22 MAGGIO - UFFICIO STAMPA - Libero Consorzio Comunale di Ragusa

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22 MAGGIO - UFFICIO STAMPA - Libero Consorzio Comunale di Ragusa
UFFICIO STAMPA

22 MAGGIO
22 MAGGIO - UFFICIO STAMPA - Libero Consorzio Comunale di Ragusa
LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA

                     già Provincia Regionale di Ragusa

                                  Ufficio Stampa

Comunicato n. 064 del 21.05.19
Elezioni presidente e consiglio Libero Consorzio. Insediato l’ufficio elettorale

Al lavoro l’ufficio elettorale preposto all’organizzazione delle elezioni di secondo
livello per scegliere il nuovo presidente del Libero Consorzio Comunale ed eleggere
il nuovo consiglio consortile composto da 12 membri. Stamani l’ufficio elettorale
composto dal presidente Valentino Pepe (segretario generale del comune di Vittoria),
da Nadia Gruttadauria (segretario generale comune di Santa Croce Camerina), da
Giampiero Bella (segretario generale del comune di Modica) e da Alessandro Basile
(dirigente del comune di Vittoria) si è insediato per dare corso ai primi adempimenti
preelettorali, a cominciare dalla formazione dell’elenco degli elettori. Gli aventi
diritto sono 187, ovvero 11 sindaci e 176 consiglieri comunali. Non partecipa alle
elezioni il comune di Vittoria perché sciolto per mafia lo scorso 31 luglio.
Le operazioni di voto si svolgeranno il 30 giugno 2019 dalle ore 8 alle ore 22,
mentre, lo spoglio avverrà il giorno successivo a partire dalle otto.
Considerato che il voto espresso dagli aventi diritto sarà col criterio della
ponderazione, gli undici comuni della provincia di Ragusa sono stati suddivisi in 4
fasce in base alla popolazione. Nella fascia A vi sono i comuni di Giarratana,
Monterosso perché con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, nella fascia B i
comuni di Acate, Chiaramonte Gulfi e Santa Croce Camerina in quanto con
popolazione fino a 10 abitanti, nella fascia C i comuni di Comiso, Ispica, Pozzallo e
Scicli perché con popolazione fino a 30 mila abitanti e nella fascia D Ragusa e
Modica perché hanno popolazione sino a 100 mila abitanti. Il peso elettorale di
Vittoria che non vota è stato suddiviso proporzionalmente tra i comuni di fascia C.
Il voto col criterio della ponderazione comporta che il voto di un consigliere di una
determinata fascia ha un peso diverso rispetto a quello delle altre fasce.
Per la presentazione della candidatura a presidente del Libero Consorzio Comunale ci
vuole una percentuale de 15% degli aventi diritto e il termine ultimo è il 10 giugno
2019.

(gianni molè)
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   22 MAGGIO 2019

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22/5/2019                                                                     Stampa Articolo

ATTUALITA                                                                                                         22/5/2019

CONCESSIONI E POLEMICHE

Lidi e chioschi la Regione dà il “liberi tutti”
La giunta sfida il no di Palazzo Chigi e insiste Niente gare, ok a stabilimenti più grandi
di Antonio Fraschilla Una doppia manovra per far crescere a dismisura il numero di lidi e stabilimenti balneari sulle coste
dell’Isola, consentendo di piazzare strutture coperte per più del quadruplo rispetto a quanto consentito fino a oggi. Il governo
Musumeci da un lato non terrà conto dell’impugnativa di Palazzo Chigi sulla norma della Finanziaria che consente
all’assessorato all’Ambiente di dare nuove concessioni, anche temporanee. Dall’altro lato, nella prima seduta utile di giunta,
arriverà una norma, da portare subito all’Ars, che rinvia di 15 anni l’applicazione della direttiva europea Bolkestein che
prevede la possibilità di dare concessioni balneari solo con gare pubbliche.
Sulle spiagge, e sulla loro occupazione e privatizzazione, il governo Musumeci va dritto come un treno, mentre Legambiente
annuncia ricorso al Tar per bloccare «una deriva che rischia di rendere le nostre spiagge invivibili».
La Regione non terrà conto dell’impugnativa di Palazzo Chigi sulla norma, inserita in Finanziaria, che consente all’assessorato
Territorio e ambiente, guidato da Toto Cordaro, di dare nuove concessioni, anche temporanee e con nuove regole. « Siamo una
Regione a statuto speciale, il demanio marittimo è di nostra competenza » , insiste Cordaro. Le pratiche nuove, quindi, saranno
esaminate e al dipartimento Ambiente è stata istituita una task force per accelerare le procedure. Per dare nuove autorizzazioni
in base alla norma in Finanziaria si attende soltanto un parere, già comunicato per le vie brevi, dell’Ufficio legale di Palazzo
d’Orleans. « La legge regionale è in vigore e non abbiamo alcuna intenzione di ritirarla » , dice Cordaro.
Insomma, il governo Musumeci va avanti e, a ridosso del voto per le Europee, ribadisce il concetto. Cordaro non ha alcuna
intenzione di ritirare anche la direttiva, firmata poco prima dell’impugnativa di Palazzo Chigi, che cambia alcuni paletti,
estendendo la possibilità di piazzare strutture attrezzate sulla costa. Prevista la riduzione da 100 metri a 25 della distanza
minima fra un’area in concessione e un’altra. Addirittura la distanza più scendere ad appena dieci metri se risulta ridotta la
dimensione della spiaggia: insomma, un po’ ovunque in Sicilia, regione che ha enormi problemi di dissesto ed erosione della
costa.
Con questa direttiva Cordaro inoltre consente di aumentare l’ampiezza delle concessioni: da tremila a cinquemila metri
quadrati. Stessa cosa per le strutture attrezzate, che passano da tre a cinquemila metri quadrati, con un aumento di quattro volte
della possibilità di realizzare coperture: si passa dal 5 al 20 per cento di metri quadrati della concessione che sarà possibile
coprire con tettoie. Le aree di ristoro potranno arrivare a 250 metri quadrati, quelle sportive a ben 800 metri quadrati. Insomma,
nuove concessioni senza gara, aumento della possibilità di piazzare strutture e riduzione ad appena dieci metri della distanza fra
uno stabilimento e un altro, in modo da incrementare il numero di concessioni da rilasciare su un singolo tratto di costa. In
giunta poi arriverà il rinvio della Bolkestein: «Il rinvio di 15 anni è stato deciso da Palazzo Chigi, ma mancano ancora i decreti
attuativi, noi quindi vareremo il rinvio con una nostra legge», dice Cordaro.
Le concessioni per i prossimi anni saranno date dalla Regione senza alcuna trasparenza. «Per fermare l’assalto alle coste
faremo ricorso al Tar, sia contro il decreto Cordaro sia contro il mancato recepimento dell’impugnativa di Palazzo Chigi sulle
nuove concessioni», attacca Gianfranco Zanna, segretario regionale di Legambiente.
k Coste e spiagge File fittissime di ombrelloni e sdraio in uno stabilimento balneare

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POLITICA                                                                                                                 22/5/2019

verso le elezioni

Video rubati e dossier le sfide fratricide
infiammano i partiti
I duelli nelle liste segnati dai colpi bassi: la parodia di Cetto La Qualunque contro Milazzo ( opposto
a Romano), un comunicato falso ai danni di Gelarda che se la vede con Attaguile. E la delazione
online anima la partita fra i 5S Corrao e Giarrusso
di Antonio Fraschilla e Giusi Spica Video registrati di nascosto, dossier, manifesti strappati, mosse e contromosse. Nella corsa
per uno scranno a Bruxelles all’interno dei partiti si giocano duelli fratricida, senza alcuna esclusione di colpi bassi. Sfide nella
sfida per primeggiare, per prendersi il ruolo di leader nel proprio partito o evitare di essere scalzati.
Nella Lega lo scontro è tra il neo arrivato Igor Galarda, stimato dal commissario Stefano Candiani che lo ha scelto come
responsabile della Sicilia Occidentale, e l’ex dc Angelo Attaguile, passato alla Lega in tempi non sospetti e sponsorizzato da
Giancarlo Giorgetti. I due, a distanza, non se le mandano a dire. Gelarda punzecchia i « grandi elettori » del suo avversario.
Appena Repubblica ha sollevato il caso della famiglia Genovese che a Messina fa votare Attaguile, Gelarda ha dichiarato: «Per
loro le porte della Lega sono chiuse » . Un attacco che aveva come obiettivo Attaguile, che ha replicato: « Le polemiche sul
sostegno della famiglia Genovese di Messina alla mia campagna elettorale sono frutto di invidia e arretratezza mentale » .
Gelarda ha punzecchiato poi la famiglia Colianni, tutti Mpa, che a Enna farebbero campagna per Attaguile: «Gelarda è un finto
politico » , ha replicato il figlio di Paolo Colianni, Francesco. Per attaccare Gelarda è spuntato fuori pure un finto comunicato
stampa di Candiani ad Agrigento, dove l’ex 5 stelle ha stretto un accordo con il presidente dell’Akragas, Silvio Alessi. I
dirigenti locali di Agrigento non hanno apprezzato l’intesa, da qui uno strano comunicato che sostanzialmente faceva dire a
Candiani che Alessi non è gradito nella Lega. Candiani è stato costretto a fare un comunicato per smentire di aver mai rilasciato
dichiarazioni.
Colpi bassi non mancano nemmeno in casa 5 stelle. Qui i due “galli” che si scontrano a distanza sono l’eurodeputato uscente
Ignazio Corrao e l’ex Iena Dino Giarrusso. Il primo legato a Di Maio e a Giancarlo Cancelleri, il secondo catapultato nell’Isola
da Roma. I due nemmeno si sono sfiorati in eventi pubblici, ognuno per la sua strada. Su Giarrusso è circolato un video nel
quale, davanti ad alcuni attivisti, fa riferimento a possibili assunzioni nel suo staff da europarlamentare. Un video che, prima
che sui social, è circolato nelle chat interne del Movimento, probabilmente ripreso da un attivista dei 5 stelle che era
all’incontro incriminato a Ravanusa.
Nel Pd la sfida più avvincente è tutta al femminile, fra le due uscenti Caterina Chinnici e la giornalista catanese Michele
Giuffrida. Ed è proprio all’ombra dell’Etna che si gioca la guerra fratricida che vede come protagonisti il giovane deputato
regionale dem Luca Sammartino, che cinque anni fa aveva sostenuto la volata della giornalista a Bruxelles e ora invece ha
deciso di puntare tutte le fiches su Chinnici. Da settimane Sammartino si spende per la campagna elettorale pro- Chinnici,
organizzando incontri con associazioni e studenti universitari. Qualcuno vocifera anche che il giovane dem sia stato visto
staccare i manifesti elettorali della Giuffrida: « Esilarante, non ho né l’età né la voglia di fare certe cose», dice.
Scaramucce. Per vedere le pistole fumanti bisogna spostarsi invece in casa Forza Italia, dove la sfida nella sfida è quella tra
Giuseppe Milazzo, il deputato regionale sostenuto dalla maggior parte del partito e soprattutto dal coordinatore Gianfranco

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Micchiché, e Saverio Romano, che ha incassato l’appoggio dei centristi, degli anti- miccicheiani e dei grandi esclusi dalla corsa
come Giovanni La Via. Le prime avvisaglie di guerra tra i due ci sono state già prima dell’ufficializzazione delle candidature.
Una battaglia a colpi di manifesti elettorali con i faccioni dei tre aspiranti candidati Milazzo, Romano, La Via che
campeggiavano in tutti gli spazi pubblicitari. Il grande escluso, alla fine, è stato La Via. «Che non a caso — dice uno dei big del
partito vicino a Milazzo — adesso va in giro con Romano che lo presenta come futuro coordinatore di Forza Italia al posto di
Micciché. In pratica, gli abbiamo dato un passaggio e ora lui vuole fotterci la macchina». Ancora più esplicito è stato Giuseppe
Milazzo, che durante un comizio ad Agrigento ha chiesto dal palco di non mandare a Bruxelles « i vecchi trombati della
politica». Un riferimento al flop elettorale di Romano alle Politiche di marzo. « Un giovane ruspante » , lo definiscono dallo
staff di Romano: « Noi abbiamo uno stile di sobrietà, moderazione e buone maniere » . Sottolineando, con quel “ noi”, la
differenza con Micciché. Che proprio ieri è finito al centro delle polemiche per il video in cui, durante un comizio, definiva
l’assessore Gaetano Armao che ha detto di sostenere il sardo Cicu un “ex assessore”. Certo, i colpi bassi non mancano. E da
giorni sul web circola un video-caricatura che accosta Milazzo a Cetto La Qualunque. Chi l’ha messo in rete?
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   22 MAGGIO 2019

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                                 G.D.S.
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ECONOMIA                                                                                                                       22/5/2019

Tria lancia l’allarme conti “Non possiamo
sforare il 3%”
Il ministro dell’Economia chiede stabilità per avere la fiducia dei mercati, poi nega che ci sia un “tesoretto”
di un miliardo per le famiglie. Replica di Di Maio: “Ci sono le coperture”. E scoppia un caso sugli 80 euro

— r.p. —

ROMA — «Stabilità» e «fiducia». Con queste due parole il ministro dell’Economia Tria s’appella alle forze politiche mentre si avvia a
conclusione una campagna elettorale dai toni esacerbati. «Abbiamo bisogno di stabilità politica, sociale e finanziaria per creare un
ambiente favorevole alla crescita», ha detto ieri durante la trasmissione televisiva del mattino Agora. «Il problema — ha aggiunto —
non è il 3 per cento, il problema è ricreare un clima di fiducia intorno ai programmi economici dell’Italia e convincere coloro che
prestano denaro all’Italia, per finanziare il nostro deficit, a farlo a un tasso di interesse non troppo alto».
Dopo aver bloccato il “decreto famiglia” di Di Maio per mancanza di coperture nel corso del Consiglio dei ministri di lunedì, ieri è
tornato a ricordare a Salvini la necessità di non giocare con lo sfondamento della linea del 3 per cento tracciata da Maastricht: «Il deficit
non è autonomo dai mercati, Salvini lo sa bene e non devo spiegarlo ».
La possibilità di farcela è condizionata: «Nella seconda parte dell’anno potremo avere una ripresa più forte ha spiegato Tria — , dipende
anche da quanto riusciamo a creare fiducia negli investitori e fiducia nei risparmiatori, che così possono utilizzare più reddito per i
consumi. Per questo non bisogna creare allarmi per il futuro». E ha concluso augurandosi che, dopo la campagna elettorale, i battibecchi
tra i ministri cessino.
La battaglia per il voto nel frattempo continua intorno ai temi della flat tax leghista, degli interventi grillini sulla famiglia e dell’impegno
inderogabile del governo per trovare 23 miliardi per il prossimo anno, con l’aumento dell’Iva, con misure alternative o con un mix di
interventi. Tria, ancora una volta, ha riavvicinato le sue posizioni “scientifiche” con quelle “politiche”: «Secondo me è meglio avere più
imposte indirette, in altri termini più Iva e meno Irpef», ha sintetizzato anche se ha ribadito che il Tesoro sta lavorando alla ricerca di
«risorse alternative ». Ai grillini che vogliono utilizzare il miliardo in eccedenza del reddito di cittadinanza per la famiglia ha replicato
secco: «Non sappiamo cosa sia questo miliardo e al momento le coperture non sono state individuate ». Di Maio ha subito ribattuto che
le coperture «ci sono». Sulla flat tax leghista Tria ha concesso che si può fare ma con «scelte conseguenti sul lato della spesa », cioè
recuperando i 13-15 miliardi di cui si parla.
Nella lotteria delle misure cade anche il bonus Renzi di 80 euro. «Si può togliere, verrà riassorbito nell’ambito di una riforma fiscale ».
Ha aggiunto che sono frutto di un provvedimento «tecnicamente fatto male» perché il bonus «risulta come una spesa». Il discorso è
vecchio: per fare cifra tonda allora si evitò di agire con una detrazione Irpef ma si optò per una erogazione, tanto è vero che il bonus
contabilmente non alleggerisce la pressione fiscale. Il Pd replica stizzito e il ministro poco dopo è costretto a precisare che non è sua
intenzione eliminare gli 80 euro ma solo di cambiare sostanzialmente il meccanismo contabile «riassorbendoli nella riforma fiscale».
Comunque precisa: «Nessuno uscirà penalizzato ».
L’Istituto non è come l’Istat o Bankitalia È un ente vigilato e controllato dal ministero del Lavoro
Il collegamento con la politica è molto forte
L’Inps che ho in mente dovrà ridurre le disuguaglianze
pasquale tridico
audizione alla camera f g
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ECONOMIA                                                                                                          22/5/2019

L’Inps gialloverde
Con la presidenza di Pasquale Tridico, già consigliere di Di Maio, l’ente diventa una sorta di agenzia
governativa Spinge quota 100 e reddito di cittadinanza, le misure bandiera della maggioranza, e
rimanda i tagli alle pensioni

Roma — L’Inps sta cambiando pelle. In tre mesi, l’Istituto che gestisce pensioni e assistenza per 40 milioni di italiani - un
gigante da 800 miliardi, oltre un terzo del Pil - si è trasformato in agenzia del governo. Fin quasi ad assomigliare a un comitato
elettorale. Incaricato non solo di spingere le misure bandiera di Lega e M5S - quota 100 e reddito di cittadinanza - anche a
scapito di tutte le altre prestazioni e a colpi di deroghe mai viste, incentivi monetari ai dipendenti a fare presto, sconti sui
documenti da presentare. Ma pure di trascinare i provvedimenti più scomodi, come il taglio delle pensioni alte e il conguaglio
su quelle da 1.500 euro lorde, ai primi di giugno, scavallate le elezioni europee.
Nessuno perderà un centesimo, sia chiaro. Le pensioni non sono a rischio. Ma agli sportelli Inps è un caos continuo. Gli stessi
dipendenti si sentono smarriti, non in grado di rispondere a utenti spazientiti. C’è chi vuole sapere perché gli hanno messo solo
40 euro sulla card di cittadinanza. E chi, dopo 14 mesi, ancora non riesce ad incassare la pensione. Le risposte, come i software,
non esistono. Il reddito è operazione coordinata dai computer romani. Le pensioni ordinarie sono state rallentate, per andare
spediti su quota 100, erogata in una manciata di ore. Nei primi tre mesi dell’anno, le pratiche “normali” sono calate del 25%. Le
domande per le pensioni di anzianità contano una giacenza del 78%. Quelle di opzione donna del 56%. Contro il 100% di
risposte per quota 100.
Il nuovo corso, un inedito mix di propaganda e dirigismo, è incarnato da Pasquale Tridico, professore di politica economica a
Roma Tre, già consigliere del ministro del Lavoro Di Maio e alla guida di Inps dal 14 marzo, sebbene la sua nomina sia in
attesa del via libera definitivo della Corte dei Conti, dopo quello di Parlamento e Consiglio dei ministri. Nei giorni scorsi,
davanti alle commissioni di Camera e Senato, Tridico ha garantito autonomia e indipendenza, a quanti - dall’opposizione -
paventano il rischio di un Istituto trasformato in contropotere, non in grado di elaborare relazioni tecniche indipendenti sui
provvedimenti che di qui in avanti sfornerà il governo. «Ma l’Inps non è Istat o Bankitalia, il suo collegamento con la politica è
molto forte», ammette.
Lo si è visto quando il 6 marzo, una settimana prima del decreto di nomina di Tridico, il direttore generale di Inps Gabriella Di
Michele fu mandata in audizione parlamentare a sostenere la tesi tutta politica dell’allora consigliere di Di Maio che il reddito
di cittadinanza avrebbe aumentato il Pil potenziale, così da creare uno spazio fiscale - cioè più deficit - da 12 miliardi.
L’autofinanziamento del reddito, insomma. Tesi contrastata da molti colleghi di Tridico. Dalla Ragioneria, che l’ha confinata
nella relazione illustrativa (e non tecnica) del decretone. E dal ministero dell’Economia che nel Def quasi azzera quello spazio
fiscale. Come a dire: fuffa.
Eppure Tridico insiste. Fa organizzare, ora da presidente, convegni in Inps che ne parlano. Non solo. Sa che la misura più
importante per i Cinque Stelle - che lo volevano ministro del Lavoro - non procede alla velocità sperata. E allora si lancia in
campagne e iniziative per spingerlo, quasi porta a porta. Il camper e i gazebo per recuperare i poveri dove si trovano: alla
Stazione Termini di Roma e nelle periferie disagiate di Palermo, Bari, Napoli, Milano, Torino, Bologna. Li doterà di Pin sul

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campo, per fare domanda. Dopo che il decretone, scritto anche da lui e riempito di mille paletti, ha escluso quasi tutti i senza
dimora e gli stranieri: i più poveri tra i poveri.
Tridico sa che questo non è il compito dell’Inps. Ma lo rivendica: «La missione è redistribuire». E così si spinge ad azzardi e
forzature, sotto gli occhi di una Lega spiazzata, in attesa di mettere i suoi nel nuovo cda tutto da costruire. Promette agli operai
campani ex Fiat saliti sul campanile che a loro e «in via straordinaria» il reddito verrà erogato, anche se privi dei requisiti di
legge. Si atteggia a ministro-ombra quando rivela che la «bozza di decreto per l’Isee corrente» - che corregge un altro errore del
decretone: tenere conto della situazione economica più recente - è sul suo tavolo. Annuncia per primo l’avanzo di un miliardo
dal reddito, giocando di sponda con Di Maio che si precipita a confezionare un decreto legge farsa per le famiglie numerose,
anche loro penalizzate. Ma l’avanzo è eventuale, si saprà solo a fine anno: la Ragioneria lo boccia.
Le associazioni sono nervose. Terzo settore, Ong, Alleanza contro la povertà, Forum famiglie: ignorate quando le norme si
dovevano scrivere, rincorse ora. Tridico incontra Sant’Egidio e Caritas. Di Maio il Forum Famiglie. Promettono, promettono.
Come se fossero uno. Tridico annuncia un “reddito base” di 400 euro al mese per due anni a giovani laureati «in architettura o
arti performative». Ma nessuno ne sa nulla, forse neanche Di Maio. Insiste su salario minimo e riduzione dell’orario di lavoro.
Vanta un rapporto buono con i sindacati: «Li vedo tutti i giorni ». Poi però sposta 50 dipendenti dagli uffici territoriali a Roma,
ma solo per uno specifico profilo professionale. Procedura «scellerata, inopportuna, restrittiva, fintamente nazionale», dicono
Cgil, Cisl e Uil. Vuole creare quattro nuove direzioni in Inps: informatica, vigilanza, povertà, formazione. Moltiplica poltrone,
disegna un cerchio magico. «Ma il modello della nuova Inps qual è?», si chiede Guglielmo Loy, presidente del Civ, il Comitato
di vigilanza composto da sindacati e imprese. «I dati non sono trasparenti, gli uffici del territorio soffrono. E la confusione di
ruoli del presidente designato, tra propaganda e politica, non aiuta».
©RIPRODUZIONE RISERVATA I numeri
800
Miliardi
Distribuisce ogni anno prestazioni per circa 800 miliardi
40
Milioni
Eroga pensioni e assistenza a 40 milioni di persone, tra individui e imprese
Pasquale Tridico, classe 1975, è presidente designato dell’Inps dal 14 marzo

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POLITICA                                                                                                           22/5/2019

Paura 5S, Salvini ha deciso "Con il 30%
sarà crisi"
I grillini ormai convinti che il leader leghista romperà in caso di exploit alle Europee. E per non
offrire pretesti non ostacoleranno più il testo del Viminale

di di Tommaso Ciriaco e Annalisa Cuzzocrea

Roma. — Lunedì, notte fonda. Pausa del consiglio dei ministri. Dalla stanza di Giuseppe Conte esce Luigi Di Maio. Ha appena
parlato con Salvini. È scosso, raduna lo staff e qualche ministro grillino. «Qualcosa è cambiato — confida — Matteo ha già
deciso che farà la crisi».
A parlare è la paura. In dieci minuti di colloquio, il grillino capisce che una storia è finita: «Dovevate vederlo, era sprezzante.
Vuole rompere. Sul decreto sicurezza, oppure alla prima occasione che gli capiterà il giorno dopo le Europee ». Per non offrire
sponde, il vicepremier M5S decide immediatamente di disinnescare il decreto sicurezza bis. Vuole togliere alla Lega l’ultimo
alibi prima della conta elettorale. Altro che barricate, il Movimento si prepara ad accettare il testo, "tanto ormai è svuotato", a
votarlo entro giovedì in una nuova riunione di governo. A farsi piegare dal Carroccio, insomma, a meno che Sergio Mattarella
non bocci esplicitamente la bozza di cui discuterà già oggi con il premier al Quirinale.
L’intuizione di Di Maio è giusta. Da qualche giorno Salvini è convinto che la strada maestra conduca dritta allo strappo.
Ascolta Giancarlo Giorgetti, che lunedì sera ha disertato la riunione di governo per dire la verità agli investitori americani
incontrati a Milano: «Il 26 maggio ci sarà uno shock». C’è un solo paletto che il ministro dell’Interno continua a voler fissare:
«Serve una buona forbice tra noi e i grillini». È l’unico modo, sostiene, per evitare «una crisi al buio e la responsabilità di una
rottura». «E comunque — spiega in queste ore ai big — se prendiamo il 30% la fine di questo governo sarà nelle cose. È la
politica».
L’assedio interno al ministro dell’Interno, d’altra parte, si è fatto pesante. La linea di Luca Zaia, che governa l’impero leghista
in Veneto, è: «Se Matteo non rompe con i grillini, si brucia». Quella di Roberto Maroni, assai più debole ma comunque un
nome in Lombardia, pure. Di Giorgetti si è detto. E si dirà anche di più oggi, quando farà capire ai giornalisti della stampa
estera perché la Lega si prepara a salutare Di Maio.
Di Maio, di nuovo. Compreso il rischio imminente di una crisi, prova a schermarsi con il Quirinale. A lanciare pubblicamente
l’allarme. «Dopo lo scontro con il Papa — ironizza al forum dell’Ansa — adesso la Lega vuole quello con il Presidente della
Repubblica? E poi, Salvini chiede voti per le Europee o per aprire la crisi di governo? ». Lo chiede anche più tardi al tempio di
Adriano, dove convoca tutti i ministri per spiegare la "fase due del governo": «Ci dicano se vogliono far cadere Conte». Gli
attacchi di Giorgetti al premier non sono stati affatto digeriti, piuttosto interpretati come l’ennesimo passo verso il precipizio.
«Parliamo di un premier che non ha fatto un minuto di campagna elettorale », lo difende il leader M5S. E poco serve a
rassicurarlo il ragionamento "pacifista" di Salvini su Facebook: «Il voto di domenica non è un voto sul governo. Io mantengo la
parola. Sono leale».
Dietro gli slogan incrociati, però, il Movimento vede un governo sfuggirgli tra le dita. E non ha la forza, il coraggio, la
convenienza di mettere alla prova Salvini in un nuovo braccio di ferro. Di "vedere il bluff", quando minaccia la crisi sul decreto
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sicurezza. In questa chiave, le ultime ore sono emblematiche. Di Maio non si aspettava la forzatura del collega vicepremier in
consiglio dei ministri. E una volta compreso che il ministro dell’Interno sarebbe andato fino in fondo, decide di innescare la
retromarcia. Mettersi di traverso significherebbe regalare alla Lega lo sprint finale della campagna elettorale. Meglio
abbozzare, parlare di un testo «svuotato» — in effetti modificato profondamente — ma consentirne l’approvazione.
Fallisce insomma la strategia del rinvio dei cinquestelle. E quella di Conte, che senza uno stop ufficiale del Colle esaurisce gli
argomenti contro il decreto voluto dal suo vice leghista. Resta solo da capire il "quando": Salvini vuole che il consiglio venga
convocato oggi stesso, Palazzo Chigi sostiene che servirà qualche ora per riflettere sulle nuove indicazioni di Mattarella, una
volta consumato il faccia a faccia con il Capo dello Stato. Venerdì, poi, le agende sono gravate dagli ultimi comizi. La data più
probabile per il cdm è allora giovedì pomeriggio, quando il premier tornerà dalla Sicilia. E consegnerà con ogni probabilità al
suo vice il nuovo trofeo "da sceriffo".
Resta il fatto che il copione gialloverde sembra ormai esaurito. Un esempio? Nella ricerca un po’ scaramantica delle tracce che
possano indicare il futuro, Di Maio si è imbattuto lunedì sera in un altro dettaglio preoccupante. «Moavero e Tria — ha
confidato ai ministri 5S — sostengono sempre e soltanto le ragioni della Lega. Si stanno riposizionando pure loro».

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Soccorrere i migranti non sarà reato,
restano le multe
Modifiche al decreto sicurezza. E Riace torna nel sistema di protezione
di Alessandra Ziniti Roma — Soccorrere i migranti e sbarcarli in Italia non sarà reato. E tantomeno sarà possibile punire chi, in
acque internazionali, non segue le indicazioni dell’autorità di un altro Paese. Mostruosità giuridiche quelle con cui Salvini
voleva colpire le Ong che operano in zona Sar libica e che, dopo tre tentativi, si è rassegnato a cassare trovando un altro modo
di raggiungere l’obiettivo: mettere fuori gioco con multe salate e con la confisca le navi umanitarie che non rispetteranno il
divieto di ingresso in acque territoriali italiane.
Sparisce la parola migrante dall’articolo del decreto sicurezza- bis che istituisce le sanzioni amministrative per le Ong, cassata
anche la modifica del Codice della navigazione che avrebbe attribuito al Viminale le competenze del ministero dei Trasporti in
tema di attraversamento e sosta delle navi nelle acque italiane, ma resta l’inasprimento delle pene per chi in pubbliche
manifestazioni ostacola le forze dell’ordine. Eccole le novità, molto più che "limature", partorite dagli uffici del ministero
dell’Interno per rendere il decreto digeribile.
Nel giorno in cui il Viminale deve mandare giù il boccone amaro della sentenza del Tar di Reggio Calabria che, segnando un
altro punto a favore dell’ex sindaco Mimmo Lucano, riammette Riace nel circuito degli Sprar ( il sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati), si sceglie di fare un formale passo indietro. Cominciando dalla premessa del provvedimento. Non
c’è più la «straordinaria necessità ed urgenza di prevedere misure volte a contrastare prassi elusive dei dispositivi che
governano l’individuazione dei siti di destinazione delle persone soccorse in mare», dunque dovrebbe persino cadere la
necessità di procedere con decreto nei confronti delle navi umanitarie che operano in zona Sar libica. Ma a questo Salvini non
rinuncia. E allora ecco le modifiche. Già sparita la proposta originaria di infliggere alle navi Ong multe da 1.500 a 5.500 euro a
migrante trasportato (vera e propria tassa per il soccorso), Salvini rinuncia anche alla sanzione da 10.000 a 50.000 euro e alla
confisca della nave che reiteri il comportamento o che «trasporti più di 100 migranti». E arrendendosi all’idea di non potere
punire nessuno per fatti avvenuti fuori dal territorio italiano, gira le stesse sanzioni (dunque multe per comandante e armatore e
confisca della nave) «in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane». Divieto che
diventa di competenza del Viminale «per motivi di ordine e sicurezza pubblica» con una innovazione al testo unico
sull’immigrazione.
Resta immutato invece l’inasprimento di pene, multe e detenzione, per chi, non solo aggredirà ma anche con la resistenza
passiva (vedi gli scudi) ostacolerà le forze dell’ordine durante manifestazioni pubbliche.
Ex sindaco
Mimmo Lucano, 60 anni, sindaco di Riace sospeso nell’ottobre scorso. Sotto inchiesta per irregolarità nella gestione dei
migranti

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