Workshop di Venezia, 13/14 giugno 2014, Hotel Excelsior Lido - Consiusa

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Workshop di Venezia, 13/14 giugno 2014, Hotel Excelsior Lido - Consiusa
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                                  Press clippings - Rassegna Stampa

        Workshop di Venezia, 13/14 giugno 2014, Hotel Excelsior Lido
                           Web and print edition - Stampa online e cartacea
Pag. 3 - La Stampa - “Fiat, se si perde non chiedete aumenti”
Pag. 4 - La Stampa - Mohamed El-Erian: “Attenta Italia, gli investitori non resteranno a lungo. Dovete fare le riforme”
Pag. 5 - La Stampa.it - Marchionne: “Confermati gli obiettivi”
Pag. 7 - La Stampa - “Sindrome dell’uno per cento”
Pag. 8 - Corriere della Sera - Obama ha poche opzioni: è necessaria un’intesa con l’Iran - Intervista a Richard Burt
Pag. 9 - Corriere della Sera - Contratto, Marchionne frena il sindacato
Pag. 10 - Corriere della Sera - Marchionne: il contratto Fiat modello per l’Ue
Pag. 11 - La Repubblica - Contratto Fiat modello per l’Europa
Pag. 12 - La Repubblica.it - Marchionne sull’indagine fiscale Ue: “Problema del Lussemburgo”
Pag. 13 - La Repubblica.it - Marchionne: niente soldi per gli aumenti
Pag. 14 - l Sole 24 Ore - Fiat conferma i target 2014
Pag. 15 - Il Sole 24 Ore - Jeep prodotta in cina da fine 2015
Pag. 16 - Il Sole 24 Ore.it - Enrico Letta: con Draghi a Bce nessun italiano ai vertici Ue
Pag. 17, 18 - Il Sole 24 Ore.it - In Iraq satta la controffensiva dell’esercito per combattere jihadisti, anche l’Iran in campo
Pag. 19 - Il Sole 24 Ore - Riappare a Venezia l’ex Ceo Pansa
Pag. 20 - Il Messaggero - Marchionne avverte: niente soldi da distribuire se la società perde
Pag. 21 - Il Messaggero.it - Marchionne ai sindacati: quando non ci sono soldi è assurdo chiedere aumenti
Pag. 22 - Il Gazzettino - Marchionne: il contratto Fiat sia un modello per un’Italia e un’Europa nuove
Pag. 23 - La Nuova di Venezia e Mestre - Letta e Marchionne nel segno dell’Europa
Pag. 24 - Libero - La Jeep di Marchionne è Made in China
Pag. 25, 26 - FIRSTonline.info - Roland Berger: 1000 miliardi per rilanciare e reindustrializzare l’Europa
Pag. 27 - Huffington Post - Sergio Marchionne, un americano a Venezia. Bonus agli operai italiani? “Assurdo chiedere soldi
quando si perde”.
Pag. 28, 29 - Huffington Post - Federica Mogherini: “In Iraq l’Italia ha un ruolo da giocare”. Iran: “Valutiamo cooperazione
con gli Usa”
Pag. 30 - Il Fatto Quotidiano.it - Fiat, Marchionne: “Il nostro contratto diventi modello in Italia e Europa”
Pag. 31, 32 - Lettera43.it - Marchionne: “Non ci sono bonus da distribuire agli operai”
Pag. 33 - Il Sussidiario.net - CONTRATTO FIAT: La “sfida” di Marchionne a Confindustria e sindacati
Pag. 34, 35 - Usa Today - Fiat CEO sets firm’s focus on Chrysler profit
Pag. 36 - Leggo.it - Marchionne gela i sindacati: “Quando non ci sono soldi è assurdo chiedere aumenti”
Pag.37 - Sky TG24 - Marchionne a Sky TG24: “l’Irap tassa poco intelligente”
Pag. 38 - Rai News - Marchionne: indagine Ue? Fiat non c’entra
Pag. 39, 40 - Financial Times - Time to tale some chips off the table - editoriale di Mohamed El-Erian
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Pag. 41, 42 - New York Times - Turning from Europe’s past
Pag. 43, 44 - Financial Times - Cast adrift, island Britain needs a foreign policy - Philip Stephens
Pag. 45, 46 - Financial Times - A tawdry deal over jobs will leave Europe the big loser - Philip Stephens
Pag. 47 - Ekathimerini.com - Greece and Canada: two tales of fiscal consolidation - Nikos Kostandaras
Pag 48, 49 - Der Spiegel - Renzis Gesandte (Mogherini)- Walter Mayr

                                       Agenzie stampa - News agencies
Pag. 50 - Bloomberg - Marchionne Retains Fiat Goals as Maserati Offsets Brazil
Pag. 51 - Bloomberg - Renzi Should Mimic Schroeder in Cutting Taxes, Berger Says
Pag. 52 - Reuters - Fiat conferma obiettivi 2014, vede difficoltà Brasile
Pag. 52 - Reuters - Fiat Chrysler will achieve 2014 targets despite weak Europe, difficult Brazil, Marchionne says
Pag. 53 - Reuters - Fiat Chrysler CEO confirms targets despite difficult Brazil
Pag. 54, 55, 56 - LaPresse - Iraq, dai jihadisti esecuzioni di massa (Mogherini)
Pag. 56 - La Presse - Venezia - Jeep Cherokee sarà prodotta anche in Cina dal 2015
Pag. 57 - ANSA - Fiat: Marchionne, confermati i target per il 2014. E sull'inchiesta a Bruxelles: "Fiat non c'entra niente, non
siamo Apple".
Pag. 58 - TMnews - Iraq, Mogherini: Iraq lezione da trarre, coinvolgere attori regionali
Pag. 58 - TMnews - Mogherini: prima donna italiana alla Nato. Zappia scelta per merito.
Pag. 59 - AGI - Marchionne: l'Europa deve voltare pagina e in questo il governo italiano avrà un ruolo importante.
Pag. 60 - asca - Lavoro: Marchionne, spero Fiat sia modello Italia e Ue su contratto.
Pag. 60 - asca - Irap: Marchionne, e' inspiegabile a livello internazionale.
Pag. 60 - asca - Ue: Marchionne, deve voltare pagina. Governo italiano ruolo importante.
Pag. 61 - adnkronos - Contratti: Marchionne, spero Fiat sia modello per Italia e Ue.

                                      Servizi radiotelevisivi - Radio & Tv

                        Pag. 62 - SkyTG24: Video intervista a Sergio Marchionne - Giovanna Pancheri
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             L’ad di Fca: raggiungeremo i target del 2014. «Mirafiori? Fateci lavorare»

«I target del 2014 sono confermati». Sergio Marchionne, a margine del Consiglio per le relazioni tra
Italia e Stati Uniti in corso a Venezia, fa il punto sugli obiettivi di Fiat Chrysler, che prevede ricavi
di circa 93 miliardi di euro, utile della gestione ordinaria tra 3,6 e 4 miliardi, utile netto tra 0,6 e 0,8
miliardi di euro. L’indebitamento netto industriale è previsto tra 9,8 miliardi di euro e 10,3 miliardi
di euro.

«Gli ordini di Maserati sono in linea con le aspettative. Il target di produzione al 2018 è di 75.000
unità», ha spiegato Marchionne ai cronisti. Alla domanda se quest’anno gli ordini saranno 40.000
ha risposto «può darsi». Quanto alla possibilità che Maserati guadagni nel 2014 più di quanto perda
Fiat Automobiles in Europa, la risposta è stata: «Magari». «In Europa non mi aspetto segnali di
cambiamento. Il mercato sarà più o meno in linea con l’anno scorso, non vedo grandi segnali». L’ad
ha parlato anche di Brasile. «Vediamo l’anno difficile fino alle elezioni. Va su e giù, la Fiat
manterrà la quota ma c’è troppa incertezza, il vero problema sono le elezioni».

L’ad del Lingotto ha parlato anche dell’inchiesta aperta a Bruxelles sul Lussemburgo. «Fiat non
c’entra niente, non è un problema per noi. Il problema è tra il governo lussemburghese e la
Comunità Europea», ha detto. E a chi gli chiedeva informazioni sul futuro di Mirafiori ha risposto:
«Su Mirafiori ci faccia lavorare. Le date le abbiamo rese note. Abbiamo già detto quando faremo il
Suv».
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              Marchionne sull'indagine fiscale Ue: "Problema del Lussemburgo"

Il manager Fiat difende il gruppo dall'inchiesta di Bruxelles sulla sua finanziaria per
trattamenti fiscali di favore nel Granducato: "Non abbiamo spostato profitti, non siamo
Apple e nemmeno Starbucks. Magari". Sul rinnovo del contratto: "Non si possono chiedere
soldi quando si perde"

MILANO - Lussemburgo, tasse, rinnovo del contratto e obiettivi finanziari. Sergio Marchionne,
numero uno DiFiat,ha parlato a tutto a campo a margine del Consiglio per le relazioni tra Italia e
Stati Uniti in corso a Venezia."Fiat non c'entra niente, non è un problema per noi. Il problema è tra
il governo lussemburghese e la Comunità Europea", ha detto riferendosi all'inchiesta aperta a
Bruxelles sulla finanziaria Fiat Finance and Trade, per trattamenti fiscali di favore in Lussemburgo.
"Anche se dovessero ricostruire un mondo che non è vero - ha detto - la Fiat ha perdite pregresse,
non ha spostato profitti da una parte all'altra. Non siamo Apple e nemmeno Starbucks. Magari. Per
cassa stanno molto meglio di noi". Per il manager italo canadese "l'indagine coinvolge tutte le
aziende che hanno chiesto il tax-ruling. Noi siamo una delle venti. I tax-ruling si fanno per cose
diverse. Quello che abbiamo chiesto per Cnh Industrial è una cosa completamente diversa".
Quanto alle difficoltà sul rinnovo del contratto del gruppo Marchionne ha aggiunto: "E' una
situazione complicata. Considerate le condizioni del Paese, che figura stiamo facendo? Non si
possono chiedere soldi quando si perde. Quando abbiamo dato il bonus in America - ha aggiunto - è
perché c'erano i risultati economici per farlo. Qui aumenteranno le perdite, non ci sono utili da
distribuire". In chiusura il numero uno del gruppo è tornato a parlare dei piani dell'azienda
confermato "i target del 2014" che prevedono ricavi pari a circa 93 miliardi di euro e un utile netto
tra 0,6 e 0,8 miliardi. (13 giugno 2014)
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                                Marchionne: niente soldi per gli aumenti

No profit no money. Sergio Marchionne, a Venezia per il Consiglio delle relazioni Italia-Usa, spiega così la
difficoltà a chiudere il contratto dei dipendenti Fiat. Trattativa in alto mare al punto che nei giorni scorsi gli
stessi sindacati che fino ad ora avevano accettato gli accordi voluti dal Lingotto, hanno minacciato lo
sciopero. Situazione inedita.

Dopo otto mesi di trattative la Fiat propone un aumento una tantum di 250 euro lordi annui e i sindacati ne
chiedono 300. Nei fatti si tratta di una differenza minima, 4 euro lordi al mese. «La situazione è complicata
— sostiene Marchionne — perché non è giusto dare soldi senza profitti. In Europa non ci sono profitti. In
Usa abbiamo distribuito bonus quando abbiamo fatto utili. Dare soldi senza utili significa solo aumentare i
debiti». Dunque difficilmente la Fiat si sposterà dai 250 euro al prossimo incontro con i sindacati. Ci sono
problemi anche alla Maserati, dove le previsioni dell'ad parlano di «40 mila ordini entro il 2014», una prima
tappa verso l'obiettivo 2018 di 75 mila auto con il marchio del Tridente vendute. Una superproduzione che
sta creando problemi sindacali a Grugliasco dove i dipendenti chiedono di avere più ferie. «Quale figura
facciamo in giro per il mondo?», è la domanda retorica del manager Fiat. Si chiude invece il contenzioso
legale con la Fiom, grazie al rientro in fabbrica dei 19 delegati di Pomigliano: «Noi non abbiamo mai avuto
preconcetti con la Fiom — risponde Marchionne — la porta è sempre aperta. Basta che si siedano e firmino
il contratto come gli altri sindacati ».

Il successo della Maserati, aumenta le richieste dei dipendenti ma non compensa ancora le perdite della Fca
in Europa: «Al successo della Maserati è legato il risultato delle attività europee di quest'anno — osserva
Marchionne — perché nella produzione dei modelli di massa non possiamo più tagliare sui costi. Lì siamo
all'osso: per risparmiare ancora dovremmo tagliare la bolletta della luce». Un paradosso per dire che sempre
più il futuro sarà legato alla produzione dei modelli premium. Ad ammazzare la produzione di utilitarie
intervengono anche le tasse: «Senza abbassare la tassazione e favore di chi esporta — aveva detto
Marchionne a Trento — lavorare è molto difficile. Lo avevamo chiesto ai governi Monti e Letta senza
risultati». L'incertezza non riguarda solo l'Europa. In Brasile, secondo mercato per importanza dopo gli Usa,
Fiat prevede un anno di incertezza: «Credo che nel 2014 manterremo la quota ma non vedo una ripresa».

Difficoltà, quelle brasiliane ed europee che non modificano comunque gli obiettivi del Lingotto per il 2014:
«Confermiamo i target per il prossimo anno», cioè un fatturato di 93 miliardi e un utile tra 0,6 e 0,8. Poi, dal
2015 dovrebbero arrivare i primi modelli Alfa, la Giulia di Cassino: «Ho firmato pochi giorni fa gli ordini
per la preparazione della linea, sono tanti soldi». Per il Suv a Mirafiori «abbiamo già detto la data in cui
verrà presentato, alla fine del 2015».

Ultimo capitolo spinoso è quello dell'indagine, annunciata dalla Ue sul comportamento fiscale di Fiat e altre
società, come Apple e Starbucks. Sotto indagine è il tax ruling del Lingotto in Lussemburgo: «È un problema
che riguarda i rapporti tra Ue e Lussemburgo. In ogni caso l'indagine riguarda anni in cui Fiat ha accumulato
perdite. Non c'erano profitti da trasferire. Non siamo la Apple e nemmeno Starbucks. Magari avessimo
quelle dimensioni »
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                                  Enrico Letta: con Draghi a Bce
                                   nessun italiano ai vertici Ue

                                  dal nostro inviato Gerardo Pelosi

  VENEZIA - È un ex premier molto amareggiato e profondamente irritato con la stampa (per le
  notizie "totalmente false" di un suo coinvolgimento nella vicenda Mose) l'Enrico Letta ospite
    d'onore all'apertura dei lavori del Consiglio per le relazioni Italia-Usa in corso a Venezia.

Nessun accenno, ovviamente, all'inchiesta veneziana ma un ragionamento a 360 gradi sulla politica
   europea partendo dai risultati delle ultime elezioni. «In un certo senso - ha osservato Letta -
dobbiamo ringraziare le forze populiste che hanno costretto gli europeisti a rafforzare le politiche di
    integrazione, Italia e Germania sono però gli unici Paesi che hanno sconfitto le formazioni
  populiste; questo impone ai due Paesi delle precise responsabilità nelle scelte di cambiamento
                                       necessarie in Europa».

   Sollecitato a rispondere sui futuri assetti dei vertici europei, Letta ha tenuto a precisare che, al
  momento, il regista dell'operazione è il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, che
sara' a Roma il 18 giugno per un incontro con il premier Matteo Renzi prima del vertice europeo del
  26 e 27 giugno e al quale Letta ha inviato un affettuoso "in bocca a lupo" per la difficile impresa
   che lo attende. Le modalità della scelta del nuovo presidente della Commissione sulla base del
 cosiddetto spitzenkandidat" (capolista) ossia Jean Claude Juncker è, secondo l'ex premier, il modo
  corretto per rispettare il nuovo dettato del Trattato di Lisbona "ma non è l'unico modo". Occorre
                    comunque trovare un compromesso tra Paramento e Consiglio.

  Quanto alle voci che vedrebbero Letta candidato alla presidenza del Consiglio al posto di Van
 Rompuy, l'ex premier ha tagliato corto: "con Draghi alla Bce non ci sono posti per altri italiani ai
vertici delle istituzioni europee". Le priorità della politica europea declinate da Letta prevedono un
equlibrio tra il completamento del mercato unico e le regole della concorrenza. "Occorre puntare a
     campioni europei, non più aziende italiane o spagnole ma solo europee" ha spiegato Letta
ricordando che solo cosi' si può competere sui mercati gobali con Cina e Stati Uniti. Altra priorità
     una politica energetica europea che tenga conto delle nuove opportunità dello shale gas. E
soprattutto fare in modo che fallisca la cosiddetta "Brexit", ossia la British exit, strategia di David
 Cameron per venire incontro alle richieste euroscettiche dell'Ukip di Farage. "Dobbiamo fare in
                                 modo di tenere gli inglesi nella Ue".
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 In Iraq scatta la controffensiva dell'esercito per combattere jihadisti, anche l'Iran in campo

   Con l'avanzata dei jihadisti in Iraq «il rischio è che si venga a creare un vero e proprio hub del
  terrorismo proprio in quella zona». Lo ha affermato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini,
 intervenendo al Consiglio per le relazioni tra Italia e Usa, a Venezia. Sulla crisi in Iraq l'Italia «ha
    un ruolo da giocare», ha aggiunto poi Mogherini. Infatti «Il conflitto - ha spiegato - ha radici
  all'interno del Paese, ma ha fortissime connessioni con quello che succede intorno, in Siria, Iran,
       Libano e nei Paesi del Golfo. L'Italia può giocare un ruolo nel coinvolgere i diversi attori
regionali». «Penso all'Iran, che sta offrendo il proprio aiuto. Se collego questa disponibilità iraniana
     con quella a lavorare in modo determinato per raggiungere accordi conclusivi sul nucleare e
     all'inizio con un dialogo con l'Arabia Saudita, si potrebbe andare verso un nuovo equilibrio
                                  regionale», ha concluso il ministro.

                                  L'Iran invia 2mila soldati in Iraq
Di fatto, l'Iran ha inviato 2.000 soldati in Iraq nelle ultime 48 ore per aiutare il governo di Baghdad
  a fronteggiare i jihadisti. Lo ha riferito un alto funzionario iracheno al Guardian. In particolare,
    1.500 basiji (milizie volontarie controllate dai pasdaran) hanno attraversato il confine nella
provincia di Diyala, nell'Iraq centrale, altri 500 nella provincia di Wasit, nel sud-est. Il Guardian ha
 poi confermato che l'Iran ha inviato in Iraq anche il generale Qassem Suleimani, eminenza grigia
                                      delle Guardie rivoluzionarie.

               In Iraq parte la controffensiva dell'esercito nei confronti dei jihadisti
Intanto riparte da Samarra, la città 120 chilometri a nord di Baghdad, la controffensiva dell'Iraq da
parte delle truppe regolari irachene, per riprendere alle milizie sunnite le zone occupate negli ultimi
    giorni: almeno a sentire il premier, Nuri al-Maliki, che ha designato la città quale «base della
                      battaglia per riconquistare i territori occupati dai terroristi».
Soprattutto, l'esercito sarebbe riuscito a cacciare i combattenti dell'Isil da Dhuluiya, una località ad
   appena una novantina di chilometri dalla capitale Baghdad. Mentre a Baghdad è stato alzato il
 livello della sicurezza in vista del possibile arrivo delle milizie dello Stato islamico di Iraq e Siria
   (Isis). La polizia e l'esercito si stanno coordinando con i volontari delle milizie popolari, ed in
       particolare con quelli delle brigate Hezbollah e delle Bande della gente della verità, altra
     formazione sciita. Non si vedono invece al momento per le strade le milizie legate all'imam
  Moqtada al Sadr. I corpi bruciati di dodici poliziotti sono stati scoperti nella località irachena di
   Ishaqi, riconquistata dall'esercito dopo essere stata occupata dalle milizie jihadiste dello Stato
        Islamico in Iraq e nel Levante (Isil): lo hanno reso noto fonti della sicurezza irachena.

                     Situazione incandescente in Siria al confine con l'Iraq
Una forte esplosione è avvenuta oggi in una città siriana vicino al confine con l'Iraq, con un bilancio
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    di 30 ribelli uccisi, secondo la televisione di Stato siriana. L'esplosione, precisa l'emittente, è
avvenuta a Mayadin, 60 chilometri dal confine, nella provincia di Deyr az Zor, dove si fronteggiano
 fazioni rivali dei ribelli siriani. Tra queste, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis), che negli
                    ultimi giorni si è impadronito di vaste regioni nel nord dell'Iraq.

                 Ex-generale Usa: se dovesse arrivare l'ordine, attacco in 24 ore
Se dovesse arrivare l'ordine del 'Commander in Chief', l'attacco americani sull'Iraq potrebbe scattare
molto presto, anche nell'arco delle 24 ore successive. Lo spiega l'ex generale dell'Air Force, oggi in
   pensione, David Deptula, parlando al Daily Beast. «Se vengono fornire alle Forze Armate le
 informazione di intelligence necessarie - ha detto il generale - si può partire con gli attacchi aerei
entro 24 ore. Ci sono una varietà di mezzi per farlo, come voli a lungo raggio, velivoli di alto carico
     o più piccoli». Del resto, nella zona, ci sono molte basi Usa che ospitano decine di caccia
 bombardieri, tutte dentro il raggio d'attacco per l'Iraq. Oltre ai celebri droni, c'è la portaerei U.S.S.
  George H.W. Bush distante pochi giorni di navigazione, nel mar arabico, anche lei con decine di
                                 altri aerei da combattimento a bordo.

                      Monta la polemica in Usa: Isis attacca con nostre armi
 Intanto monta la polemica in Usa, a destra come a sinistra, su quanto sta succedendo in Iraq. Gli
 Stati Uniti hanno speso in aiuti militari all'Iraq circa 14 miliardi di dollari. E tantissime di quelle
     armi, di quei mezzi armati, ora sono nelle mani dei radicali sunniti del Isis che minacciano
  Baghdad. Sono molti i commenti di questo tipo che si leggono in queste ore sui social media in
   America. Da un lato i pacifisti, dall'altro i difensori dei contribuenti: tutti uniti nel criticare la
   strategia degli Stati Uniti che ha portato a questo paradosso. Del resto, lo stesso Pentagono ha
   confermato che moltissimi dei mezzi militari in mano al Isis sono americani, sottratti proprio
 all'esercito iracheno che nelle ultime ore spesso ha lasciato il campo senza nemmeno combattere.

                          Gran Bretagna: aiuti umanitari per 3,7 mln euro
 La Gran Bretagna ha stanziato aiuti umanitari d'urgenza destinati alla popolazione civile irachena
 per 3,7 milioni di euro: lo ha reso noto il Ministero per la Cooperazione internazionale britannico.
  Mercoledì scorso Londra - che ha di nuovo escluso qualsiasi coinvolgimento a livello militare -
  aveva inviato una squadra di esperti sul terreno per valutare le necessità della popolazione: una
   parte degli aiuti verrà versata direttamente a delle ong presenti nella regione per la fornitura di
  acqua potabile, medicinali di base e altri generi di prima necessità, mentre il resto andrà all'Alto
          Commissariato per i Rifugiati (Unhcr) epr l'assistenza e la sicurezza dei profughi.
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                                         14 giugno, Pag 30

                         RIAPPARE A VENEZIA L'EX CEO PANSA

  Non si era più visto in pubblico dopo l'assemblea del 15 maggio che ha segnato il passaggio di
     consegne alla guida di Finmeccanica con il ferroviere Mauro Moretti. L'ex a.d. del gruppo
Alessandro Pansa (omonimo del capo della polizia) è stato avvistato nel fine settimana a Venezia,
alla riunione del Consiglio per le relazioni Italia-Usa, riservata ai componenti del consiglio e a una
                          lista di invitati diventata un po' meno «ristretta».

  Nel parterre Sergio Marchionne, Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni, gli ambasciatori Vincenzo
   Petrone (presidente di Fincantieri) e Ferdinando Nelli Feroci (presidente Iai e Simest). C'era
  Ferdinando Beccalli-Falco, a.d. di General Electric Europe, che fino a pochi mesi sperava che
  Finmeccanica gli vendesse il gioiellino del ferroviario, Ansaldo Sts. Operazione congelata dal
nuovo a.d. di Finmeccanica, assente a Venezia. La presenza di Finmeccanica più alta in grado era
quella del neoconsigliere di amministrazione Marta Dassù, direttore di Aspenia. Pansa, 52 anni, ha
                   confidato: «Sono un disoccupato. Di lusso, ma disoccupato».
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Sabato 14 giugno
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                                          Online, 14 giugno

       Marchionne ai sindacati: «Quando non ci sono soldi è assurdo chiedere aumenti»

Il numero uno di Fiat e Chrysler è intervenuto sulla rottura della trattativa fra il Lingotto e le
        sigle firmatarie per il rinnovo del contratto degli86 mila dipendenti in Italia.

VENEZIA - «Non si possono chiedere soldi quando si perde. Non ci sono utili da distribuire». Un
messaggio chiaro quello di Sergio Marchionne ai sindacati del sì che qualche giorno fa hanno
interrotto la trattativa per il rinnovo del contratto degli 86.000 lavoratori del gruppo Fiat e Cnh e
minacciano il blocco degli straordinari.
L'amministratore delegato del Lingotto parla all'hotel Excelsior del Lido di Venezia, dove si
svolge il workshop annuale del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti, di cui è presidente.
È anche l'occasione per confermare i target 2014 del gruppo (ricavi pari a circa 93 miliardi e un
utile netto tra 600 e 800 milioni) e la buona salute della Maserati, su cui Marchionne punta per
risanare i conti in Europa: il target di produzione indicato per il 2018 è di 75.000 unità. La
situazione però resta difficile con il mercato europeo dell'auto che non dà segnali di inversione di
tendenza e anche in Brasile «l'anno sarà difficile fino alle elezioni, ma manterremo la quota».
Nessuna preoccupazione invece per l'inchiesta della Commissione Europea sulle agevolazioni
fiscali in Lussemburgo, che accomuna Fiat Finance and Trade a società come Apple e Starbucks.
«Fiat non c'entra niente - osserva Marchionne - non è un problema per noi. Il problema è tra il
governo lussemburghese e la Comunità Europea. La Fiat ha perdite pregresse, non ha spostato
profitti da una parte all'altra, non siamo Apple nè Starbucks, magari». Il tema caldo è quello
sindacale: Fim Uilm, Fismic, Ugl non hanno accettato l'una tantum da 250 euro per il 2014 proposta
dall'azienda (ne chiedono 300) e i rapporti si sono raffreddati.
Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, propone «una mobilitazione dei lavoratori».
«È una situazione complicata», commenta Marchionne che non dà indicazioni sui tempi
dell'investimento di Mirafiori. «Considerate le condizioni del Paese che figura stiamo facendo?
Quando abbiamo dato il bonus in America è perchè c'erano i risultati economici per farlo. Qui
invece aumenteranno le perdite, non ci sono utili da distribuire».
Marchionne non esclude che con la Fiom si possa aprire una nuova stagione sindacale: «è sempre
stata aperta. Si siedano e firmino», dice. Quanto all'intesa con il sindacati di Landini, che ha
permesso l'ingresso dei 19 iscritti Fiom nella fabbrica di Pomigliano, l'ad Fiat spiega: «Abbiamo
chiarito le ultime pendenze di una serie di cose che non stavano nè in cielo nè in terra». Dagli Usa
arriva la notizia dell'allargamento del cda di Chrysler che passa da 9 a 13 membri, con l'ingresso di
Richard Palmer, Mike Manley, Reid Bigland e Giorgio Fossati. «Abbiamo obblighi che scadono a
fine 2016 per i bond - spiega Marchionne -ma Chrysler è ormai una nostra controllata e quindi
rafforziamo nel board la presenza Fiat».
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15 giugno, pag. 18
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14 giugno
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15 giugno, pag. 19
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           Roland Berger: 1.000 miliardi per rilanciare e reindustrializzare l'Europa

L'INTERVENTO DI ROLAND BERGER AL CONSIGLIO ITALIA-USA DI VENEZIA - È
un'Europa da ricostruire e reindustrializzare quella che Roland Berger, uno tra i più
blasonati consulenti mondiali, ha raccontato al tradizionale Workshop di Venezia dove ha
proposto di rilanciare gli investimenti infrastrutturali nelle tlc, energia, acqua e autostrade.

                                  Lorenzo Romani, 15 giugno 2014

È un'Europa ancora tutta da costruire quella che Roland Berger, uno tra i più blasonati consulenti
mondiali, ha raccontato sabato 14 giugno al tradizionale Workshop di Venezia, evento annuale di
punta del Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti al quale hanno partecipato anche
Enrico Letta, Federica Mogherini, Carlo Cottarelli, Mohamed El-Erian e Sergio Marchionne.

Tralasciando gli spinosi temi della governance europea, Berger ha snocciolato le più significative
cifre che fotografano un continente frammentato nei mercati e nelle normative fiscali, nella
legislazione sul lavoro e nelle infrastrutture, nell'energia e nella cultura d'impresa. Il Vecchio
Continente è la più grande area economica del pianeta, produce il 24% del Pil mondiale e il
50% della spesa sociale. Ma è intrappolato in un vortice deflazionistico e ad alta disoccupazione,
rallentato da asimmetrie che minano lo sviluppo ed esacerbano le tensioni sociali.

C'è innanzitutto un problema generale di produttività totale dei fattori, sensibilmente più bassa in
tutti i paesi europei rispetto, ad esempio, a Giappone e Stati Uniti, che vantano un indice pari a 106,
mentre i maggiori paesi europei siedono mediamente sotto quota 100 (l’Italia è a 92). Solo la
Germania tiene il passo con un ottimo 105.

Ma i trend sulla produttività e competitività – che premiano i paesi virtuosi penalizzandone altri – si
inseriscono in una tendenza storica che vede, a partire dai primi anni ’70 per finire ai giorni nostri,
una crescente terziarizzazione dell’economia, con la quota di Pil mondiale generata dall’industria
che cala dal 26% al 17%, mentre i servizi “occupano” uno spazio sempre maggiore nel Pil, dal 53%
al 66%.

Impressionante in questa prospettiva è il dato sulla Francia, clamoroso esempio di arretramento
dell’industria, che ha perso negli ultimi 30 anni il 41% dell’occupazione, crollata dai 5,5 milioni di
addetti nel’75 ai 3,2 del 2010. Ma per certi versi si tratta di un cammino inesorabile: questo crollo
transalpino, secondo Berger, è causato per il 25% dall’outsourcing dei servizi (logistica in primis),
per il 30% da un aumento della produttività (garantito, nel trentennio, dai progressi nella tecnologia,
nell’automazione, nel management), e per il 45% dalla competizione internazionale (che ha portato
delocalizzazioni               e              riduzione               degli              investimenti).
Anche il dato europeo non scherza: tra il 2000 e il 2012 abbiamo ridotto in media dell'1,6% la
quota nostrana della manifattura mondiale. Ma fa eccezione la Germania, che l'ha fatta
"lievitare" dello stesso ammontare.

Se da una parte la deindustrializzazione è conseguenza di tendenze storiche difficilmente
contrastabili, rischia alla lunga di innescare un circolo vizioso che deve essere affrontato a livello
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europeo: secondo Berger l’Unione deve “remare contro corrente”, inseguire la crescita proprio in un
settore che si sta contraendo.

Il vortice della deindustrializzazione ha innescato una perdita di ritorno sugli investimenti, che ha a
sua volta disincentivato l'aggiornamento degli asset industriali - divenuti obsoleti - riducendo la
competitività di prezzo e di qualità. L'Europa si è seduta in una "terra di mezzo" dove la
specializzazione è ancora un processo incompiuto, dove si producono beni troppo costosi per i ceti
medio-bassi ma troppo poco appetibili per le nuove classi abbienti dell'Asia.

Come uscire dalla palude? Innovare la politica industriale, promuovere startup e venture capital,
armonizzare la legislazione fiscale creando un contesto in cui le "regole del gioco" siano simili per
tutti i giocatori. Puntare sui distretti che già ci sono, integrandoli e potenziandoli affinché si
inseriscano meglio nella catena internazionale di produzione del valore. Ma anche creare un terreno
fertile per le start-up e incentivare in maniera uniforme la spesa in ricerca e sviluppo.

Da rivoluzionare c'è anche il mercato dell'energia: basti pensare che il costo per le imprese in
Europa è circa il triplo di quello americano. Non possono aspettare oltre i gas di scisto, le sabbie
bituminose e i sistemi di cattura-stoccaggio dell'anidride carbonica. E un grande progetto
continentale per implementare le “smart grid”. Addirittura nell'ICT l'Europa ha perso quote che si
stanno reindirizzando altrove. Il sintomo è che non esiste attualmente un vero campione europeo
dell'economia digitale. Questo, forse, spiega in parte l'acredine verso Google (la recente sentenza
della Corte sul "diritto all'oblio" potrebbe esserne una conseguenza?).

Berger calcola che servono almeno 1000 miliardi di euro di investimenti infrastrutturali per
rilanciare l'Europa e propellere un mercato veramente competitivo. Andrebbero così suddivisi:
270 nelle telecomunicazioni, 220 nell'energia, 200 nel settore idrico e 180 nelle autostrade).
Dove attingere per finanziarli? Non dai bilanci pubblici, certo, in pieno risanamento, ma Berger
stima che a fronte di un trilione necessario ce ne sono circa 170 disponibili a livello mondiale. E'
proprio qui - nella capacità di attrarre investimenti e venture capital - che si gioca il futuro
dell'Unione.

Berger non risparmia certo i sindacati:si deve “flessibilizzare il mercato del lavoro con parti
negoziali responsabili e impegnate a perseguire il benessere collettivo; sindacati e datori non
devono essere motivati ideologicamente”.

Importanti sono anche i fattori culturali: promuovere una maggiore cultura del rischio e del
cambiamento è fondamentale per rimettere in marcia il convoglio: in Italia il 60% delle persone
pensa che la scienza faccia cambiare troppo in fretta le abitudini di vita, in Grecia la percentuale
sale addirittura al 92%, mentre in Germania e nei paesi anglosassoni si scende al 45-50 %. I
potenziali imprenditori, in Europa, sono inoltre spaventati dal fallimento molto più dei cugini
d'oltreoceano: greci e italiani siedono, rispettivamente al 59 e 49%, gli americani sono al 31%. Ciò
spiega anche la maggiore disponibilità di venture capital negli Stati Uniti, che pesa, rispetto al Pil,
ben 170 volte in più.

La relazione indica una direzione, una corrente inarrestabile: quella della quarta Rivoluzione
Industriale, delle reti, dell'interconnessione, dei big data. Una nuova dimensione del capitalismo
globale che offre enormi possibilità, ma sottopone i player anche ad enormi rischi, se rifiutano di
innovarsi. Una nuova dimensione in cui vince chi si adatta e scommette sul futuro considerando
flessibilità e incertezza alla stregua di asset, non ostacoli. In questo cammino inesorabile, Berger
illustra una mappa che pone l'Italia nel gruppo degli "esitatori". Germania e Svezia, ad esempio,
sono "pionieri".
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                                              13 giugno

 Sergio Marchionne, un americano a Venezia. Bonus agli operai italiani? "Assurdo chiedere
                                soldi quando si perde"
È un Sergio Marchionne sempre più americano quello che scende dal motoscafo e attracca al Lido
di Venezia, hotel Excelsior, per presenziare ai lavori del Consiglio per le Relazioni Italia-Usa, di cui
non a caso è presidente. Addosso il fedelissimo maglioncino, malgrado l'afa che fa del mare una
tavola che più piatta non si potrebbe. Se non altro, suda. I giornalisti lo assaltano appena fa capolino
dalla sala per fumarsi una sigaretta.

“I target per il 2014 sono confermati. Il gruppo prevede ricavi pari a circa 93 miliardi di euro e un
utile netto tra 0,6 e 0,8 miliardi”, spiega. Sul contratto, però, taglia corto. “È una situazione
complicata”, esordisce. “Non si possono chieder soldi quando si perde. Quando abbiamo dato il
bonus in America è perché c'erano i risultati economici per farlo”.

Nei giorni scorsi la Fiom ha reagito stizzita alla proposta dell'azienda sul nuovo contratto: un
aumento una tantum di 15 euro lordi al mese. Una miseria, “una proposta inaccettabile”, secondo il
segretario Maurizio Landini. Eppure, su questo, l'ad di Fiat Chrysler non sembra intenzionato a fare
un benché minimo passo avanti. Quei 15 euro una tantum – si legge tra le righe – sono già grasso
che cola.

Fiat ha pagato bonus quando c'erano profitti e risultati economici per farlo, ma non e' giusto pagarli
"anche in assenza di profitti, aumentando le perdite”, ribadisce. “Vorrei ricordare a tutti che noi non
abbiamo dichiarato eccedenze: bisogna rendersi conto di come sia un momento estremamente
difficile".

Secondo il manager, fare il confronto con ciò che accade al di là dell'Atlantico non serve a nulla. "E'
inutile parlare di quello che facciamo in America Latina o in America. Noi lì abbiamo pagato il
bonus ai dipendenti quando c'erano profitti e risultati economici per farlo. Credo non sia giusto
chiedere all'azienda di fare delle cose anche in assenza di profitti, aumentando le perdite. Non è che
io sto distribuendo utili". E ancora: “Considerate le condizioni del Paese, che figura stiamo
facendo? Non si possono chiedere soldi quando si perde”. Una parafrasi per dire che, se fosse per
lui, l'aumento contrattuale dovrebbe essere negato, punto.

Una nuova stagione con la Fiom, dopo l'accordo per il rientro dei 19 delegati di Pomigliano? “Per
noi la stagione è sempre stata aperta”, dice l'ad Fiat. “Si siedano e firmino. Abbiamo chiarito le
ultime pendenze di una serie di cose che non stavano né in cielo né in terra”. Sulla condizione
dell'industria italiana, in ogni caso, la posizione del super manager resta grigia. Malgrado la sua
fiducia nell'agenda Renzi, definita a Trento “l'unica possibile”, le previsioni per l'Europa non sono
buone. "In Europa non mi aspetto segnali di cambiamento. Il mercato sarà più o meno in linea con
l'anno scorso, non vedo grandi segnali".

Di Italia meno parla e meglio sta. A chi gli chiede notizie sui tempi dell'investimento a Mirafiori,
risponde: “E fateci lavorare... Le date le abbiamo rese note, abbiamo già detto quando faremo il
suv". Il bilancio del gruppo sarà solo in dollari? Sembra di no, “lo faremo in tutte e due le valute”,
dice prima di rientrare. La transizione non è ancora completa.
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                                                14 giugno
Federica Mogherini: "In Iraq l'Italia ha un ruolo da giocare". Iran: "Valutiamo cooperazione
                                         con gli Usa"

La nuova crisi in cui è precipitato l'Iraq non sarà “un fulmine a ciel sereno”, come ha sottolineato il
ministro degli Esteri Federica Mogherini, ma certo non era tra i temi all'ordine del giorno al
Consiglio per le Relazioni Italia-Usa, in corso a Venezia. Eppure l'Iraq, come gli incubi che non
vogliono passare, è tornato prepotentemente al centro del dibattito tra Italia e Stati Uniti. Se per
Barack Obama gli ultimi eventi sono la dimostrazione dell'impossibilità di mettersi la guerra
irachena alle spalle, per l'Italia le immagini delle milizie jihadiste che avanzano verso Baghdad,
conquistando nuove città, materializzano i fantasmi di un Medio Oriente pronto a esplodere. Perché
con l'avanzata dei jihadisti in Iraq "il rischio è che si venga a creare un vero e proprio hub del
terrorismo proprio in quella zona".
Sulla crisi in Iraq l'Italia "ha un ruolo da giocare", ha detto Mogherini a margine del Consiglio
Italia-Usa. "Il conflitto - ha spiegato - ha radici all'interno del Paese, ma ha fortissime connessioni
con quello che succede intorno, in Siria, Iran, Libano e nei Paesi del Golfo. L'Italia può giocare un
ruolo nel coinvolgere i diversi attori regionali". A cominciare, appunto, dall'Iran, sul cui
coinvolgimento si sta interrogando anche la Casa Bianca.

Gli Stati Uniti, per ora, allontanano lo spettro di un intervento militare. Dopo aver vagliato tutte le
ipotesi, Obama ha spiegato che le truppe statunitensi non rimetteranno piede in Iraq fino a quando il
governo di Baghdad non avrà varato “le riforme politiche necessarie per lavorare insieme”. La
strategia è quella di prendere tempo fino a quando non saranno più chiare le intenzioni dell'Iran.

Tehran, a quanto si apprende, sta valutando l'ipotesi di collaborare con gli Stati Uniti per contrastare
l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante. A dichiararlo è stato direttamente
il presidente iraniano Hassan Rohani nel corso di una conferenza stampa a Teheran, dove ha aperto
la porta all'ipotesi di collaborazione con Washington contro ''gruppi terroristici in Iraq e da altre
parti''. ''Dobbiamo contrastare nella pratica e con le parole i gruppi terroristici'', ha detto citato dalla
televisione di Stato. Al momento, però, Rohani ha escluso l'invio di propri militari in Iraq,
smentendo così quanto sostenuto ieri da fonti governative irachene citate dalla Cnn che parlavano di
almeno 500 uomini delle Guardie della Rivoluzione inviati da Teheran nella provincia di Diyala. Il
presidente iraniano ha comunque spiegato che Teheran è pronta ad aiutare il governo iracheno nella
sua lotta ai gruppi sunniti estremisti nell'ambito del diritto internazionale, aggiungendo che finora
Baghdad non ha fatto richiesta di assistenza.

L'Italia spera nel coinvolgimento degli attori regionali, Iran in testa. Le notizie che arrivano dalla
Siria rendono sempre più urgente il raggiungimento di un “nuovo equilibrio regionale”, come
auspicato oggi dal ministro Mogherini. Oggi a Mayadin, città siriana vicino al confine con l'Iraq,
sono morte a causa di un'esplosione almeno 30 persone. Qui, nella provincia di Deyr az Zor, si
fronteggiano fazioni rivali dei ribelli siriani, tra cui i combattenti dello Stato islamico dell'Iraq e del
Levante (Isis), che negli ultimi giorni si è impadronito di vaste regioni nel nord dell'Iraq.

Di fronte al dilagare della jihad, la speranza del governo italiano è che il coinvolgimento di un
attore fondamentale come l'Iran possa “contenere il fenomeno del terrorismo che sta dilagando nella
regione, formando un arco vero e proprio di destabilizzazione”, ha aggiunto il capo della diplomazia
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italiana. E ancora: “Se collego questa disponibilità iraniana con quella a lavorare in modo
determinato per raggiungere accordi conclusivi sul nucleare e all'inizio con un dialogo con l'Arabia
Saudita, si potrebbe andare verso un nuovo equilibrio regionale”.

Dalla Libia all'Iraq, Stati Uniti e Italia possono trarre la stessa lezione. “Non sono gli interventi
militari a essere risolutivi, anche se possono essere necessari. Quel che conta è che la comunità
internazionale sostenga i processi di transizione democratica". Si tratta di una lezione che vale per
l'Iraq come per la Libia, e che si spera non debba valere anche per l'Afghanistan, dove oggi è in
corso il ballottaggio per le presidenziali. In Iraq, dove la crisi non è giunta come "un fulmine a ciel
sereno", serve ora "capire la complessità della situazione e provare a mettere in moto dinamiche
interne e soprattutto regionali, con l'Iran e i Paesi del Golfo, perché il Paese trovi una certa
sicurezza e si consolidi il processo di transizione democratica".
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                                             Online, 14 giugno

                   Fiat, Marchionne: “Il nostro contratto diventi modello in Italia e Europa”

  Il manager italo-canadese, nonostante l'inasprirsi delle relazioni sindacali negli stabilimenti del
 gruppo, chiude agli aumenti salariali ("Non si possono chiedere soldi quando si perde") e si dice
 convinto che una multinazionale come Fiat-Chrysler "non può più essere limitata da rimasugli di
              accordi nazionali". Il sottosegretario Baretta: "Riflessione inadeguata"

Il contratto aziendale di Fiat, sottoscritto alla fine del 2011 in sostituzione di quello in vigore a
livello nazionale per i metalmeccanici, dovrebbe diventare “un modello per un’Europa e un’Italia
nuova, che cominci ad affrontare la concorrenza in una maniera aperta”. A dirlo è Sergio
Marchionne, a margine del Consiglio Italia-Usa a Venezia. Nonostante il gruppo Fiat-Chrysler sia
alle prese, in Italia, con una difficilissima trattativa per il rinnovo della parte economica
dell’accordo - arenatasi martedì a causa dell’eccessiva distanza tra le richieste dei sindacati e
l’offerta massima del Lingotto - l’amministratore delegato non ha dubbi: “Una multinazionale che
ha 300 mila dipendenti in tutto mondo”, ha sentenziato, “non può più essere limitata da rimasugli di
accordi nazionali”. Per questo “abbiamo fatto la scelta piuttosto chiara di uscire da Confindustria e
di fare accordi sindacali direttamente con i rappresentanti dei nostri lavoratori”. Strada che, per il
manager, dovrebbe essere seguita da altre aziende nel Paese – dove peraltro il governo Renzi parla
apertamente di superamento della concertazione - e magari anche nel resto del continente. Poco
importa che con i dipendenti sia in corso un nuovo braccio di ferro e che anche la crème, gli operai
della Maserati di Grugliasco, i cui nuovi modelli stanno battendo tutti i record di vendite, sia in
agitazione.

Chiusura totale anche sul fronte dell’aumento salariale una tantum di 300 euro sollecitato da Fim,
Uilm, Fismic, Ugl e dall’Associazione quadri Fiat: ”Considerate le condizioni del Paese, che figura
stiamo facendo? Non si possono chiedere soldi quando si perde”. Come dire: in Italia (come
peraltro nel resto d’Europa) le attività del gruppo sono in perdita. L’utile 2014, che dovrebbe
attestarsi tra i 600 e gli 800 milioni, arriverà da Oltreoceano. Quindi, altro che aumenti.

Un discorso non gradito dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che parlando
all’AdnKronos ha definito “inadeguata” la riflessione di Marchionne perché “pone un problema
vero ma senza valutare tutte le implicazioni”: secondo Baretta “il rapporto tra risultati aziendali e
produttività regge ma, all’azienda va detto che cosa si intende per produttività, non è il solo calcolo
orario ma la condizione complessiva del lavoro”. Il manager italo-canadese non gradirà, considerato
che all’esecutivo ha garantito un’ampia apertura di credito: se dieci giorni fa, dal Festival
dell’Economia di Trento, aveva detto che l’agenda del premier “è oggi l’unica che abbiamo in Italia
e in Europa”, e “spero lo ascoltino”, sabato l’ad ha auspicato che l’esecutivo italiano vada a
rimpiazzare in Europa “quello che è il ruolo tradizionale della Francia”, facendo da contraltare al
“discorso tedesco di austerità in conseguenza degli eccessi di bilancio”. “Sono quasi vent’anni che
ho a che fare con Bruxelles”, ha aggiunto, “e ho sempre trovato un muro di gomma nell’assumere la
responsabilità delle scelte da fare. E’ arrivato il momento di voltare pagina”.
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                                              13 giugno

                  Marchionne: «Non ci sono bonus da distribuire agli operai»
                      L'ad Fca: «Assurdo chiedere soldi quando si perde».

Sergio Marchionne punta i piedi. «Non si possono chiedere soldi quando si perde. Non ci sono
utili da distribuire». Un messaggio chiaro ai sindacati che qualche giorno fa hanno interrotto la
trattativa per il rinnovo del contratto degli 86 mila lavoratori del gruppo Fiat e Cnh e minacciano il
blocco degli straordinari.

L'amministratore delegato di Fca ha parlato all'hotel Excelsior del Lido di Venezia, dove si svolge il
workshop annuale del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti, di cui è presidente. È stata
anche l'occasione per confermare i target 2014 del gruppo (ricavi pari a circa 93 miliardi e un utile
netto tra 600 e 800 milioni) e la buona salute della Maserati, su cui Marchionne punta per risanare i
conti in Europa: il target di produzione indicato per il 2018 è di 75 mila unità.

MERCATO EUROPEO ASFITTICO. La situazione però resta difficile con il mercato europeo
dell'auto che non dà segnali di inversione di tendenza e anche in Brasile «l'anno sarà difficile fino
alle elezioni, ma manterremo la quota». Nessuna preoccupazione invece per l'inchiesta della
Commissione europea sulle agevolazioni fiscali in Lussemburgo, che accomuna Fiat Finance and
Trade a società come Apple e Starbucks. «Fiat non c'entra niente», ha sottolineato Marchionne,
«non è un problema per noi. Il problema è tra il governo lussemburghese e la Comunità europea. La
Fiat ha perdite pregresse, non ha spostato profitti da una parte all'altra, non siamo Apple né
Starbucks, magari».

LA UILM PER LA MOBILITAZIONE. Il tema caldo resta però quello sindacale: Fim Uilm,
Fismic, Ugl non hanno accettato l'una tantum da 250 euro per il 2014 proposta dall'azienda (ne
chiedono 300) e i rapporti si sono raffreddati. Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella,
ha proposto una «mobilitazione dei lavoratori».

«È una situazione complicata», ha commentato Marchionne che non ha dato indicazioni sui tempi
dell'investimento di Mirafiori. «Considerate le condizioni del Paese che figura stiamo facendo?
Quando abbiamo dato il bonus in America è perché c'erano i risultati economici per farlo. Qui
invece aumenteranno le perdite, non ci sono utili da distribuire».

Marchionne non ha escluso che con la Fiom si possa aprire una nuova stagione sindacale: «È
sempre stata aperta. Si siedano e firmino», ha ribadito. Quanto all'intesa con il sindacati di Maurizio
Landini, che ha permesso l'ingresso dei 19 iscritti Fiom nella fabbrica di Pomigliano, il manager ha
spiegato: «Abbiamo chiarito le ultime pendenze di una serie di cose che non stavano né in cielo né
in terra».
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Dagli Usa intanto è arrivata la notizia dell'allargamento del consiglio di amministrazione di
Chrysler che passa da nove a 13 membri, con l'ingresso di Richard Palmer, Mike Manley, Reid
Bigland e Giorgio Fossati. «Abbiamo obblighi che scadono a fine 2016 per i bond», ha spiegato
Marchionne, «ma Chrysler è ormai una nostra controllata e quindi rafforziamo nel board la presenza
Fiat».
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                                              14 giugno

                             Fiat CEO sets firm's focus on Chrysler profit

                                       By Tommaso Ebhardt

Sergio Marchionne can't stop the financial bleeding in Europe, so the chief executive officer of Fiat
SpA is shifting the automaker's growth and profit focus to Chrysler Group LLC in the United
States.
Marchionne, who has been spearheading an industrywide effort to cut excess assembly lines in
Europe, vowed to close a second Italian factory, after shuttering one last year, unless he finds a way
to export cars to the U.S.
"We need to coordinate the efforts; otherwise somebody is going to pay a huge price for it,"
Marchionne said in a conference call with analysts July31. "The European market is now heading
for a fifth straight year of decline; we are now seeing levels in the Italian market which has not been
since 1979," he added, citing "irrefutable evidence of market decay."
For Marchionne, the potential flow of cars from Europe to North America would follow the money.
Capital spending at Chrysler, which Marchionne also runs, will rise to $4billion this year from
$3.1billion in 2011, while Fiat is reducing European investment by 500million euros this year.
Chrysler plans to raise its full-year profit forecast after the third quarter and doesn't expect a
slowdown in the second half.
"Marchionne's strategy to bet on North America as Europe stalls make sense as things stand now,"
Emanuele Bosio, CEO of Italian car-parts maker Sogefi SpA, said in a phone interview. "We are
bullish on North America, and we don't expect the European market to return anytime soon to pre-
crisis level."
Sogefi plans to boost revenue from outside Europe to 50percent in 2015 from 30percent last year as
it expands in North America, Bosio said.
Chrysler lifeline
Marchionne rescued Chrysler from bankruptcy in 2009, a deal that Renault SA CEO Carlos Ghosn
passed up. The addition of the third-largest U.S. carmaker gave Fiat an outlet lacking at PSA
Peugeot Citroen, Europe's second-largest carmaker. The French automaker in July was downgraded
to two levels below investment grade by all three main credit-rating services as it burns through
$246million a month in cash. Peugeot reported a first-half net loss of more than $1billion, compared
with a profit of $9.9million a year earlier.
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Fiat posted net income, including minority interests, in the period of $9.1million. Without Chrysler,
the Italian manufacturer's loss was $639million.

European delays
"Fiat has reached a point where they are probably taking a view that it doesn't make an awful lot of
sense to invest in Europe," said Erich Hauser, a London-based analyst with Credit Suisse. "If you've
got to spend money somewhere, you might as well spend it in the U.S., where there's a chance of
making a return."
Marchionne, who plans to combine Fiat and Auburn Hills, Mich.-based Chrysler to boost revenue
to more than $123billion by 2014, is refreshing Chrysler's lineup while delaying new models in
Europe. Next year, Chrysler will update the Jeep Grand Cherokee SUV and Ram heavy-duty pickup
and replace the Jeep Liberty SUV.
In Europe, a new version of the Grande Punto hatchback was delayed from its planned rollout next
year because the introduction would be a "failure" as margin-sapping discounts rise amid the auto
market's contraction, Marchionne told reporters last month in Turin, Italy.
"Any investment we make in the Punto will never, ever return capital, so we sit on the sideline until
we find better conditions," Marchionne said in his conference call.

'One of the best'
"It makes more sense to launch products in a growing market," said Sascha Gommel, a Frankfurt-
based analyst with Commerzbank. "Marchionne is one of the best car managers around. He's not the
classic car guy, but on the financial and strategic side, he's really one of the best."
In turning around Fiat, Marchionne hasn't been afraid to shake things up. He has taken on Italian
unions, spurring protests as he sought concessions and closed a plant in Sicily. Unions fear that
Fiat's cuts in Europe are permanently damaging the business.
Marchionne said he will make a decision about Fiat's European plans, including further plant
closings, in October, after seeing quarterly earnings.
"The CEO failed with his strategy," Giorgio Airaudo, a leader of the Fiom CGIL metalworkers
union, said. "If you don't invest in new products in Europe, you keep down debt levels and boost
liquidity, but you lose market share that you won't get back when the crisis ends."
Fiat's European sales dropped 17percent in the first half to 456,191 vehicles as the carmaker's
Italian home market plunged 20 percent, according to data from industry group ACEA.
Industrywide sales across the region declined 6.3percent, causing market share to drop to 6.6percent
from 7.4percent.
Chrysler's U.S. market share rose 1.4 percentage points from a year earlier to 11.5percent after the
company increased deliveries 30percent in the first half, doubling the industry's 15percent gain,
according to researcher Autodata Corp.
After failing with earlier efforts to partner with Peugeot and General Motors Co.'s Opel,
Marchionne was "left having to do something with Chrysler -- whether that was design or whether
that was luck," said Hauser of Credit Suisse. "Of all those options, it was the best one to go for."
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                                              14 giugno

     Marchionne gela i sindacati: "Quando non ci sono soldi è assurdo chiedere aumenti"

VENEZIA - «Non si possono chiedere soldi quando si perde. Non ci sono utili da distribuire». Un
messaggio chiaro quello di Sergio Marchionne ai sindacati del sì che qualche giorno
fa hanno interrotto la trattativa per il rinnovo del contratto degli 86.000 lavoratori del gruppo Fiat e
Cnh e minacciano il blocco degli straordinari.

L'amministratore delegato del Lingotto parla all'hotel Excelsior del Lido di Venezia, dove si
svolge il workshop annuale del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti, di cui è presidente.
È anche l'occasione per confermare i target 2014 del gruppo (ricavi pari a circa 93 miliardi e un
utile netto tra 600 e 800 milioni) e la buona salute della Maserati, su cui Marchionne punta per
risanare i conti in Europa: il target di produzione indicato per il 2018 è di 75.000 unità. La
situazione però resta difficile con il mercato europeo dell'auto che non dà segnali di inversione di
tendenza e anche in Brasile «l'anno sarà difficile fino alle elezioni, ma manterremo la
quota». Nessuna preoccupazione invece per l'inchiesta della Commissione Europea sulle
agevolazioni fiscali in Lussemburgo, che accomuna Fiat Finance and Trade a società come Apple e
Starbucks. «Fiat non c'entra niente - osserva Marchionne - non è un problema per noi. Il problema è
tra il governo lussemburghese e la Comunità Europea. La Fiat ha perdite pregresse, non ha spostato
profitti da una parte all'altra, non siamo Apple nè Starbucks, magari». Il tema caldo è quello
sindacale: Fim Uilm, Fismic, Ugl non hanno accettato l'una tantum da 250 euro per il 2014 proposta
dall'azienda (ne chiedono 300) e i rapporti si sono raffreddati. Il segretario generale della Uilm,
Rocco Palombella, propone «una mobilitazione dei lavoratori». «È una situazione complicata»,
commenta Marchionne che non dà indicazioni sui tempi dell'investimento di Mirafiori.
«Considerate le condizioni del Paese che figura stiamo facendo? Quando abbiamo dato il bonus in
America è perchè c'erano i risultati economici per farlo. Qui invece aumenteranno le perdite, non ci
sono utili da distribuire». Marchionne non esclude che con la Fiom si possa aprire una nuova
stagione sindacale: «è sempre stata aperta. Si siedano e firmino», dice. Quanto all'intesa con il
sindacati di Landini, che ha permesso l'ingresso dei 19 iscritti Fiom nella fabbrica di Pomigliano,
l'ad Fiat spiega: «Abbiamo chiarito le ultime pendenze di una serie di cose che non stavano nè in
cielo nè in terra». Dagli Usa arriva la notizia dell'allargamento del cda di Chrysler che passa da 9 a
13 membri, con l'ingresso di Richard Palmer, Mike Manley, Reid Bigland e Giorgio Fossati.
«Abbiamo obblighi che scadono a fine 2016 per i bond - spiega Marchionne -ma Chrysler è ormai
una nostra controllata e quindi rafforziamo nel board la presenza Fiat».
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