TIZIANO BROGGIATO CITTA' ALLA FINE DEL MONDO

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TIZIANO BROGGIATO

CITTA’ ALLA FINE DEL MONDO
Sempre diverse sono le acque
 dei fiumi in cui ci bagniamo.

                    (Eraclito)
I
La casa del poeta

Si scendeva per una scala ripida
verso la cucina e da lì
(in pieno centro, tra i grattacieli)
al suo orgoglio: un giardinetto interno
con la tavola già apparecchiata
per la cena.

Ma il sancta sanctorum
(i libri, le carte dei lavori in corso,
la collezione di radioline…)
era di sopra, al primo piano:
giravano leggende di ingresso riservato
a davvero pochi sodali, di filtri
efficacissimi (segreterie telefoniche,
dinieghi con voci artefatte…).
Al balletto

Si alza con un guizzo il corpo
da terra.
Riprecipita.
Poi si allunga, bianco e improvviso,
sulle assi del palco.
Alza la testa
Si riporta, lentissimamente,
eretto.
Una rincorsa breve, un balzo:
la spaccata perfetta
che fa trattenere il fiato.

Che fa mormorare:

“Nemmeno dopo anni di esercizio…

“Nemmeno nell’età migliore…
Fiori per un matrimonio

Spuntavano da sopra le teste
i similori dei candelabri
e la schiera dei vasi
di garofani bianchi.

­ Così nobili – si sarebbe commentato poi
nell’intervallo del Ronzani.

­ Così algidi ­.
Alberghi

A qualsiasi latitudine,
nel silenzio ininterrotto delle camere,
si sgranano preziose ore di concentrazione.

Nessuno sa
quanti interamente le possiedano.
II
I primi ritorni

Nell’incipiente oscurità della sera
è così rassicurante,
oltrepassata la vetrina d’angolo
della boulangerie,
trovarsi in rue Vasco De Gama
dove c’è la nostra casa.
Ci scopriamo all’improvviso più distesi
e rallentiamo perfino il passo,
animando la discussione
con rinnovato vigore.
Nel frattempo si butta l’occhio
sui numeri sopra i portoni
cercando l’11,
ma certi, ormai, appagati,
dello scontato esito finale.
*

E’ notte e fa caldo
nel piccolo appartamento al quarto piano.
Affacciandomi alla finestra
in cerca di refrigerio, osservo
l’infinita pazienza con cui un ebour
scova le sue reliquie
tra le auto in sosta.

In lontananza, il profilo del Sacre Coeur
sembra un busto di donna
con un nastro intrecciato tra i capelli.
Sosta sul ponte Mirabeau

E’ la stessa Senna silenziosa
che accolse l’urgenza delle tue ombre
nel suo pietoso grembo
quella che adesso scorre sotto di me,
sotto questa campata
legata indissolubilmente al tuo nome,
Paul Celan.

Trentaquattro anni dopo,
un equipaggio di vogatori
dalla canotta bianca,
sfila veloce senza nemmeno
alzare lo sguardo.

“Sans paix” è il nome impresso
sulla prua della barca.
Louvre

E’ qui, ne sono certo,
sulla sommità della gradinata
che introduce al pavillon Denon,
che Eurinome,
assunta la forma di colomba,
depose l’uovo universale
della bellezza.
Parigi al crepuscolo

Mentre il taxi mi trasporta veloce
verso il centro della città,
non è solo una voce telefonica
quella che viene a informarsi
se il volo è stato puntuale
e se a Orly ho avuto subito il bagaglio.

E’ quel “mi manchi” sussurrato appena
che interrompe il mio stato
di estasi osservatoria,
che la fa all’improvviso diventare
una voce importante,
una di quelle voci
che non chiedono mai niente,
ma che finiscono per farti fare tutto
quanto credi che vogliano.
6, Place des Vosges – Maison de Victor Hugo

Si è oscurato in pochi istanti il pomeriggio
sulla piazza dei gerani parigini.
Un quadrilatero perfetto, una bella storia
da smarrirci, noi lì, ancora con mezzo panino
in mano, a seguirne l’origine sulla piantina.
­ C’è una parete bianca, anonima,
che depista gli inopportuni ­
mi informasti quasi con circospezione.
Ci siamo alzati dalla panchina
che ormai pioveva fitto: sotto i portici,
con noi, per il vento confluiva
tutta la polvere della vicina Bastille.
Qualcuno si aggirava ancora
in cerca di un riferimento: ­ Number six, please? –
L’hai scorto tu per prima
l’ingresso semicelato dagli alti oleandri.
Chissà se è stata gelosia, la nostra,
nel guardarci attorno prima di entrare.
Forse desideravamo essere gli unici
ad aver individuato la targa decisiva.
Gli unici ad aver intuito
la reale provenienza del suono.
III
Messalina

Cercava un testimone,
qualcuno da implicare, con lei,
nella congiura.

Chiedeva, in fondo,
solo una voce,
uno che mandasse a memoria
ordito e abiura.
*

Mentre le stelle crescono alla finestra
e un’interminabile luna rischiara
la direzione,
lei, di fuori, scruta attentamente
le orme fresche impresse nella neve.

Inquietanti, così prossime alla casa.
Nel pieno novero della zona morta.

“Chi è passato che noi non sappiamo?”
Dalla confessione dell’omicida

… lei non può capire
il senso di onnipotenza che ho provato
mentre le tenevo la testa sott’acqua.

Mentre percepivo distintamente
la sua vita che la lasciava.
*

E’ una boccata d’etere
la speranza: ti fa sentire
più leggero e ilare
per un niente.

Ti fa sentire già a domani.

Ti anestetizza la mente.
*

Armeggiava con biglie e bicchieri
sul fondotavolo
lanciando, di tanto in tanto,
occhiate di fuoco alle etichette riservate,
quello che alla fine sbottò:

­ Avete un bel dire, voi,
che c’è un canone comune e
che a volersi bene è facile.
Ma è da chi sta peggio, sapete,
che si impara a campare ­.
*

Al nostro entusiasmo
per il fuoriprogramma dell’ospite
lì, nella terrazza ancora plaudente,
oppose tutto il suo veleno
la vicina: ­ Lo conosco, io.
Suona bene il piano,
ma è semianalfabeta ­ .
Nell’ora intermedia all’Hotel Du Lac

Chissà che cosa sarà stato
a turbarlo così, quello che ci svegliò
nel cuore della notte (si capì solo,
nelle varie fasi “regole disattese”
“titolo imposto” e poi,
con maggiore veemenza “le ricevute…
le ricevute…”)
imprecando ad alta voce
lungo il corridoio.
*

Eh si che contano gli incoraggiamenti,
la versione addolcita delle cose
nello scarto decisivo,
quando si giunge al punto in cui
si è costretti a scegliere
tra sublimazione e abbandono

(rinvenivo sul terzo assoluto,
ne rilevavo, a quel punto distintamente,
il balzo rallentato dei muscoli della schiena,
ma anche per me, ormai,
si trattava di una questione di istanti:
lo schianto, la deflagrazione definitiva.

Eppure
c’era quella voce a incitarmi,
lì, a dirmi – Puoi farcela. Vedi
c’è ancora un’ora di luce…

Puoi farcela…)
La visita

                                      a M. C.

Mi accoglie con il suo sorriso da ragazzo
e il noto sguardo luciferino.
Dalle vetrate dell’appartamento
spiove una bella luce colorata
sulle librerie ordinate
e sullo scorrere calmo della sua voce.
Mi godo le sue dissertazioni
e i precisi consigli
che annoto mentalmente
come in un travaso d’armi
tra consanguinei.
Spunta anche la Gigia dalla cucina:
scruta incuriosita l’ospite per poi
tornare soddisfatta alle sue cose.
­ E’ malata – confida l’amico ­ ma
molto dignitosa. Cerco di non interferire,
di assecondarne, al massimo, qualche sfizio…
Ma è per il momento del commiato il dono,
la confessione da fratello:
­ Piango ancora, sai, qualche volta.
Per le mie cose. Gioie o avversità
non ha importanza.
Piango un poco, da solo, e mi fa stare bene ­.

Non sa quanto, anche di questo, io
me ne vada grato.
Versi per la buona terra

Eppure ti ho amata come una nutrice
e in ogni mio viaggio ho raccolto
lembi dalle tue fratture.

Si dice che stai per soffocare
e ti ribelli ai soprusi subiti
con invereconda ira.

Io non credo che l’umana pochezza
arrechi tanto danno al tuo immenso
vorticare.

Sorniona, tu invece sai
che è il ciclo femminile
ad alterarti i battiti
con estreme polluzioni.

Così, in fondo, si tratterà
di attenderne la fine
per ritrovare le tue arcuate stagioni,

per riconoscerci nella crudeltà
delle loro veloci migrazioni.
IV
*

Mi vengono incontro come ombre,
come figure di un ordine sospeso
tra la nebbia spessa
di questa vigilia di Natale,
passanti solo a me visibili,
sagome che sembrano uscite dai cancelli
del breve interregno.

E’ sera di commiati questa,
e l’odore dei fuochi invernali
ravviva l’intimo rammarico
per un’altra stagione dissipata
e spergiura.

Viale Eretenio, forse
(ma non ha importanza):
qui aspettiamo che ci liberi
il coro degli uccelli a mezzanotte.
*

E’ un uomo sconfitto
quello che a capo scoperto,
nonostante la pioggia battente,
si è fermato sul ponte
a fissare invaghito
la piena del fiume.

Gli rimugina da giorni
quell’idea: che il diluvio
può accadere così rapido
da perderci la testa.

Così si ritrova a contare
i secondi che scandiscono il buio,
a chiedersi se esiste
(se è mai esistita)
una tregua tra ciò che è passato
e la vita, se è vita il futuro.
Il tradimento

Fermo sul ciglio della strada
col motore dell’auto acceso
e attorno i resti di un pasto,
l’uomo sta
pensando a se stesso
come all’ombra di un uomo.
Adesso ne è certo:
aveva una luce maligna il crepuscolo
mentre lui rientrava in anticipo.

Con troppo anticipo, forse,
già presago della sconfitta.
*

Non avevo mai pensato di possedere
la sua forza,
né il timbro della sua voce
che da sola riempiva una stanza.

Glielo chiesi un giorno
se per me ci sarebbe mai stata
almeno una speranza.

­ C’è ancora troppa acqua nei tuoi occhi ­
fu la sua risposta – Devi smetterla
con tutti quei sorrisi accondiscendenti ­ .
*

Avrei dovuto interpretarlo subito
il monito di quelle allusioni:
tutte le cose riposte
nel loro ordine preciso.
Nulla lasciato al caso.
Si percepiva, chiaro, un senso
di minacciosa compiutezza
(mi ritrovai a pensare
a un profilo di città immobile,
senza gru e senza il fervore
di sbarramenti e deviazioni
per lavori in corso).

Solo in un tardivo scoppio di luce
mi si è rivelato
ciò che era così semplice da capire:
tutto in quelle stanze era stato lasciato
come fosse per sempre.
A “Casa del vento”

­ Quello dei colloqui più lunghi,
quello, sai, che nel sempiterno
esercizio del male
sembrava un predestinato,
dicono che la notte scorsa gridasse,
come un ebete “mi lascio…
mi lascio…”.

Poi, stamattina,
ha finalmente potuto godere
del beneficio della morte.
Altopiano

Dall’orrido sale una bruma
coriacea, inarrestabile.

Tutt’intorno un tappeto di fiori
dal nome bellissimo: godezie.
Persona cara

Tutta la tua vita si annida
nell’umido accorgersi degli occhi
che l’esercizio del male dilaga.

Qualunque sia il proposito,
fa che abbia termine
l’inutile fuga.
A mio figlio che se ne va a vivere in Austria

Si è chiuso la porta alle spalle
per entrare nel sonno.
Residui commenti, poco prima, e
un saluto breve: domani all’alba
sarà già partito.

In poche righe gli lascio il mio adempimento
alla commozione sottratta agli uomini:

“Ci rivediamo il giorno del tuo compleanno.
A metà strada, come hai deciso.
Ma fammi sapere, per tempo, se sarà
a Chiusa, oppure a Bolzano.”
*

                                       a P. L.

Sono rimasto per ore a fissare
il moto perpetuo di questa galassia
in cui non si sa più se esiste
una luce superstite, di fiaccole,
tra tutte quelle che ne accendono
i vetri degli argini altissimi
e dove il sibilo dei lemuri
rende intrasportabile perfino la voce.

Ma davvero si può sentire propria,
anche per un solo momento, una
città straniera che riesce a rendere
indistinguibili crepuscoli e aurore?

(“E fu sera e fu mattina
ma ovunque pareva giorno”).

Così riflettevo, insonne,
dietro le vetrate del Chiba Hotel
di Tokyo
in una notte piena di vento.
*

L’ho raggiunta, col pensiero,
mentre schermava la luce.

Ho così solo intravisto il suo
sorriso ostile, l’aria,
nemmeno dissimulata, da
persecutrice.

Nulla da aggiungere, in ogni caso,
da parte mia:

in quella preistoria di accadimenti
anche lei mi è sembrata più distante,
risucchiata forse
                  in una sua scia propizia.
*

La stradina s’inerpicava
tra la boscaglia in direzione
dei Gorghi scuri.

“ Per il ritorno – consigliava
il cartello – prevedere l’ultima
luce ”.
Dicembre

Mugola, dentro la nebbia,
l’arcangelo che mi accompagna.

Si va verso il freddo, insieme,
con una grande stanchezza.

Ma un suono di monete, in tasca,
ci ricorda di camminare in fretta.
*

La ragazza sfortunata che nell’autobus
tenta di parlare all’autista
emettendo solo acuti stridii,
mi fa pensare a un grosso uccello migratore
che accavalla le parole
per la gioia del ritorno.

Ma lo sguardo indispettito,
e poi pietoso del suo interlocutore,
non le provocheranno nostalgia
per il paese straniero appena lasciato?

Così che in nessuno dei due luoghi
riconoscerà più la sua casa.
V
Raccontava

I

Ritornati dalla disastrosa campagna,
ci rendemmo conto di avere
bisogno di tutto:

di un riparo caldo, vestiti…

E di giovani donne
senza memoria.

II

Nessuno era caduto
sulla strada del ritorno.
Non c’erano prove a suffragare
tutte quelle maldicenze.

 L’ansa del fiume
era stata ripulita: vi crescevano ora,
a migliaia, gli iris gialli.

E anche il dolore
si era fatto più maturo.
III

Dopo il commiato, venne
la luce frettolosa di Dicembre.

E noi lì, ancora con le mani
incrociate sulla schiena,
come a celare prove indelebili.

Prove lunghe secoli.
Dopo aver letto “De Aquae Sextiae proelio”

Di notte, nella camera d’hotel,
un chiarore di luna filtra
dalla persiana.

Immagino sia una luce di fuochi,
accesi all’esterno, per vegliare
il mio sonno.

Così mi addormento sereno:

ut dux Caius Marius
ad vigilis suis defensus
ante bellum.
*

Quasi non se ne rende conto,
non ci dà peso subito e anzi,
a malincuore, ma perfino approva.

E’ dopo, quando è solo e ci riflette,
che il senso della frase lo frastorna,
gli insinua il dubbio che anche
quella storia non sia più così sicura.

Eppure, era stata proprio lei
quel pomeriggio, sul prato a chiedergli:

­ Perché continuiamo a restare abbracciati
con questo caldo atroce? ­
Sala d’aspetto

In tutti gli occhi vedo
nostalgia o speranza.

La vera forca, a questo punto,
è l’inconsistenza del presente.

Così il tempo, in apnea,
si riappropria di se stesso.
*

Dovevo assolutamente oltrepassare
quella donna appena scesa dal tram.

Dovevo distanziare subito
quel suo sguardo scuro,
il malessere che mi aveva provocato.

Ne avevo avuto la certezza fulminea:
lei era la Morte.
*

Lo capirebbero gli altri, gli amici
convenuti che chiedono con insistenza:
“Raccontaci, dai, del tuo viaggio,
della rivisitazione” se dicessi loro
che il diario di quei giorni è fermo
nella struggente aria che mi fece entrare
nel minuscolo bistrot,
in quel tempietto di ance e sfere in cui
un vecchio fisarmonicista, dondolando
la testa e a occhi chiusi, dava
voce al suo strumento
con dita abilissime,
con movenze da sciamano?

Lo capirebbero che là dentro
c’ero solo io con le pulsazioni
e i graffi che quel mantice inarcato
stava evocando?

No, non potrebbero capire che il nome
che stringevo nella mano e che sillabavo
nel trasporto della musica, mi stava dicendo
che per tanto tempo ancora avrebbe continuato
a tormentarmi: Jean­ni­ne… Jean­ni­ne…

Che solo al ritorno, guardando dall’oblò,
ho avuto un sussulto di remota amarezza:

“Au revoir Musèe d’Orsay…
Au revoir Touileries…
In vetta al Picco di Vallandro / Durrenstein (mt. 2839)
Val Pusteria – Alto Adige

Sibilano i gracchi in picchiata
come pallottole di cecchini, mentre
mi metto in posa, ai piedi della croce,
per il grinzoso escursionista austriaco
che senza entusiasmo ha accettato
il mio invito.

Non sarà che il suo ghigno
gli è dettato dall’ immaginarmi inquadrato,
anziché nel mirino della Konika,
in quello di un nostalgico Sharpnel
del tempo suo?
VI

     All’amore di tutto il mio tempo
     per le sue troppo esposte ferite.
Museo egizio

Si consideravano le varie opportunità.

Perduta di vista la guida, si trattava
di scegliere tra l’intrico dei corridoi
e l’esposizione della nostra assenza.

Nella stanza, in cui ristagnava
un forte odore di legno, cedro forse,
e di urina, tutto si svolgeva
come in un gioco dove si cercava
di attribuire a ognuno somiglianze
con le statue funerarie.

Solo verso l’imbrunire, il timore
di alcuni divenne reale:

“ Torichte anleitung”

Ma si rimaneva lì,
sprofondati nel pavimento,
come smarrite pedine
del grande occhio sovrastante.
Conversando con Sylvia, in una fresca notte di fine Agosto.

­ Confido in un cambio del respiro,
in una decisa svolta degli accadimenti.
In un nuovo e propizio sottovento
che inverta la regola e mi conceda
di scalare le pareti di un buio durato
troppi anni. –

­ Lo ritenevi, sapevo, uno stato ineluttabile. ­

­ Stavo lì, come una condannata,
senza trovare parole.
Ma superata l’età dell’urgenza
e il distacco provocato da un marito fedifrago,
ho individuato lo spazio per virare,
per desiderare di rimettermi in gioco
verificando se ero davvero andata
così lontano da non potere più
tornare indietro. –

­ C’è un filo che pende dalla tua mano. ­

­ Con la solitudine, sai, ho imparato
che la nebbia apre porte miracolose:
così ho attraversato città remote o
rimaste nella memoria soltanto
perché ne fosse consentita la rivisitazione.

                                                              ./.
Piazze e strade assumono altri nomi,
sembianze gloriose che riscaldano
le pietre del cammino, e che permettono
finalmente di ascoltare il suono
del tempo che passa. –

­ Quel filo, dicevo… ­

­ Ho atteso a lungo che qualcosa
di più grande dei miei sogni accadesse.
Sto cercando un nuovo assetto, è vero,
ma da guardiana dei miei sogni
non posso in un istante annullare
la zona d’ombra della porta
che mi accingo a oltrepassare.
Mi riservo una via di fuga sicura,
una matassa da poter riannodare... –

­ … e che ti riconsegnerebbe all’ascia affilata
che hai tenuto finora dietro le spalle. –

­ Nella mia vita ho tanto atteso,
senza fare domande.
Sono giunta anche a credere
che si può morire come un premio.
Ma ora qui, col favore del buio
ti dico che nessun’altra veste bianca
segnerà più me, né la mia discendenza.
Che non sarà il veleno di un altro
ago luccicante a determinare

                                                  ./.
la mia seconda morte.­

­ Non ti biasimo.
 Credo possa diventare insopportabile,
 a un certo punto, il dolore.­

­ O farsi invocazione, come un nutrimento.
Si dice che chi trattiene troppo a lungo
la luce, ne rimane lui stesso accecato.
O che chi avverte l’afflato che incrina
il ghiaccio, ha il destino segnato.
Io invece desidero lo strappo deciso, il gesto
rapido della cometa che fa mancare
il fiato.
E lo cerco soprattutto nei giorni di festa,
quando le alte temperature del buio
raggiungono l’acme.
Anche adesso, in questa notte insidiosa
in cui sono finalmente riuscita a parlare,
ne avverto il bisogno.­

­ Ti alzi. E’ tardi. Ma dimmi,
prima di accomiatarci, la tua pena
ha mai trovato tregua nella preghiera ?­

­ “Portate i tamburi e suonate. Suonate
e suonate” incita l’arcangelo
nell’Apocalisse.

E io che li ho uditi a lungo quei tamburi

                                                 ./.
nell’insonnia di notti trascorse a respingere
la discesa della tenebra sul riposo
dei miei figli, ti confesso che ho visto
accendersi le stelle più fredde dei cieli,
prima di avvertirne il bisogno.
Ma ho avuto momenti di bene attraverso
la sua frequentazione. Ne ho avuto serenità
come se un vento lieve mi passasse vicino.

Si, ne ho avuto benefici, è vero, e (sottovoce)

molte miglia in più da percorrere
prima di poter dormire.­

Note: La Sylvia del titolo è, idealmente, la Plath.

       Gli ultimi due versi del testo sono tratti da Robert Frost.
*

Parlava della sua vita
come se fosse sempre stata collocata
tra due candele.

E quel suo motto,
ostentato fino alla noia:
“ I vecchi soldati
non muoiono mai “.

Chissà se ora è davvero
andato così lontano
da non potere più
tornare indietro.
*

E’ quando riesce a vedere un sole bianco
anche attraverso basse nubi

e avvertire che aumentano le acque
mentre la luce riposa

che uno capisce che il suo luogo
è quello. Per sempre.
Quadri milanesi

I

Sa di imboscata, di intima convocazione
inaspettata, la faccia mesta che Milano
mi presenta all’uscita metro Lanza.

C’è sentore di spettri nell’aria, di voti
inadempiuti ai suoi tanti santi

e di memorie dolenti
per tutto quello che non è accaduto
e che avrei voluto ( viverci, si,
dai trent’anni ).

II

Via Manin: in una delle sue tante mattine
senza luce, è qui, dove gli androni adesso
sembrano trappole, che ho conosciuto la sposa
bambina, la mia iniziatrice.

­ C’è una distanza da colmare – mi incitava
­ E il pedaggio da pagare è un’ intera vita ­

Ma in verità sapevamo bene entrambi
che nessuna sponda ci avrebbe mai potuto
contenere tutti.
III

Piazza Lima: scivola, nella pioggia,
la luce di un tram
con tutte le sue facce stipate
dietro il vapore dei vetri.

Sembrano i prigionieri di una città caduta.

Chissà quante volte anche loro, come
una nave rimasta senza vele, né rematori,
si saranno trovati a invocare
una gran tempesta che li liberi dalla bonaccia
e li spinga in una corrente, verso riva
o contro gli scogli e il desiderio
di prendere ancora il mare.

IV

Resti di pasti, ossa, lungo i portici di via
Vittor Pisani.

Nel ciclo degli eventi, tra poco
qualcuno pulirà preparando il piano
per nuovi banchettanti.

Tutto tornerà normale. Ne sono certo:
tutto sembrerà, come se io ci fossi sempre stato,
nell’identica posizione.
VII
*

Le Havre in un silenzio immobile
alle prime luci dell’alba, con la
macchia grigia e calma delle nuvole
in avvicinamento dal mare.

Una sirena lancia il suo lamento solitario
nel porto: segnerà il risveglio o
il propagarsi si altri allarmi?

­ E’ ancora presto. Perché non torni a letto ?­
mi sorprende il suo sussurro.

Ma indugio, non mi muovo dallo spiraglio
di tenda: al di là ora posso ammirare
il re delle tempeste che ha preso a lavorare
forte di ocra e biacca nel tumulto del
cielo, intanto che un lampo schiara la linea
simmetrica dei condomini giù, fino
alle cupole nere del Musée Malraux.

­ Tra poco pioverà – le confido. E mi pare
una scusa, mentre la vista s’increspa
nel semibuio, per non rivelarle il segreto.

“Il re delle tempeste”, così Corot definì Eugène Boudin ( Honfleur, 1824 – Deauville 1898 ), per la
sua abilità nel dipingere il movimento delle nuvole, sviluppata soprattutto durante i suoi lunghi
soggiorni a Le Havre.
*

Volendo, potrei non ricordarmi
quale periferia sto attraversando.

Potrei fare lo smemorato, immedesimarmi
a piacere nel primo nome che mi passa
per la mente, rincorrere una piantina
di città assoluta o riscoperta in un
lembo di memoria.

Mi verrebbe bene anche fare il mentecatto,
come quello che all’uscita del bar mi apostrofa
“ Tu, si tu che sembri saperne molto.
 Mi spieghi come fa il dolore a entrare nel
corpo? “

Poi i vetri rotti, quell’aria da resa
dei conti.

A me hanno sempre provocato ansia, e
malessere, le periferie.
Parola mancante

Si rigenera nel silenzio,
nella metamorfosi delle sue regole,
l’appuntamento.

Perché perseguita, la parola mancante,
irrita l’incapacità di circoscriverla.
Diventa un pensiero fisso, di pena
e sgomento, non riuscire a carpirla.

Lei è lì, prona nel suo nascondiglio
e si fa beffe dell’appostamento.
A volte sembra di intuirne il muso,
di poterla sorprendere attirandola
all’aperto, ma al momento buono
non se ne riconosce più il fiato.

Andrà avanti così, come di consueto,
finché non sarà lei a decidere di
mostrarsi, preziosa e compiuta, pronta
per l’innesto.
*

Si avverte l’urto della montagna
quando le voci si allungano
e la cadenza del respiro regola
la velocità del sangue.

C’è una dignità da preservare

(… il fruscio della giacca tecnica
che provoca la sensazione di camminare
sulle assi di una chiglia
di nave rovesciata).
Disorientamento

La tempesta che si annuncia
ha oscurato il fisso sole d’Ottobre.

Dalle stanze calde escono lacerti
di voci e risa.

Abbiamo deposto pietre su ogni tumulo
che abbiamo incontrato.

Deponiamo pietre ovunque, lungo
il cammino.

Tra poco la pioggia ne laverà le impronte:

chiunque potrà proclamarsi tamburino.
*

Preclusa
           ogni via di fuga
e la possibilità di aiuto
da improvvisi alleati.

Tutte le sue forze, a quel punto,
erano in campo.
*

Niente più di quanto
le ho già fatto osservare
potrebbe distoglierlo
dalle sue fissazioni.

Ci sono giocolieri di parole
che s’incrinano alla distanza,
ma anche sul breve, a volte,
mancano la presa.
Madre di Sparta

­ Hai venduto narcisi all’angolo della strada
e mi hai prontamente consegnato l’oro riscosso.
E’ stata una buona prova di umiltà, figlio,
dopo quella altrettanto dura
dei tre corpo a corpo consecutivi.
Mi rasserena il tuo sguardo consapevole,
la determinazione con cui ti appresti a compiere
l’atto sublime per cui sei nato:
va, la battaglia ti attende.

Ti rivedrò, è stabilito.
Io ti rivedrò, al ritorno, con lo scudo
o sopra di esso ­.
Patagonia

Avrei voluto raggiungere
la terra eletta dei predoni
coprendo distanze assolute,
forare a gran colpi d’ala
quel cielo eburneo che prometteva
di calare di colpo sulla città
alla fine del mondo, lambirne
il ghiaccio incurante di non
avere nemmeno la certezza
di poter fare ritorno.

Ma in quella luce schierata di Ottobre
ci separammo nella discesa
imboccando vie opposte,
percorrendo margini imprevisti.

Poi, foriero di risvegliate angosce,
anche il mugolio del vento
dilagò nelle camere mantenendoci
a una distanza costante,
nell’identica oscurità di ovunque:
come là fuori, noi inizio e termine
di una pianura senza riferimento.
*

E’ ritornato il copiatore di foglie:

­ Ho esaurito i miei sogni.
Sono stato in tutte le città
alla fine del mondo. ­
*

Rivelatore fu il cencio usato
per lavare la ferita, la sua ostentazione
affinché se ne potesse poi parlare come
di un’immolazione.

Avrebbe potuto continuare a lungo
in quel galleggiamento astuto
alternando confidenze a intimidazioni.

Né era sfuggito, al suo compiacimento,
l’esito dei nomi combinati ( nei vari
aneddoti: Intermaier, Labrador, Guado )
ormai diventati di uso comune.

“ Un manipolatore di storie minime,
un pavido, in fondo, la cui rendita
era sostenuta da una feroce determinazione”.
VIII
Figurandosi l’arrivo nella terra dei morti
(da un “avvicinamento” Hopi)

Il sentiero attraversa la foresta.
Sui cespugli sono sparsi gli indumenti
di chi ci ha preceduto.
Voci, in lontananza, si chiamano
e ridono in un’armonia che prosegue.

Non avranno avvertito la nostra
stessa nostalgia?

Noi camminiamo da tre giorni
e ci sentiamo perduti.
*

Dopo lo scoppio del tuono
ritorna con lentezza
alla sua doppia vita,

ai difficili sonni.
*

Hai detto “ seguilo,
prendigli le misure ora,
mentre si muove a tentoni
in questa luce che non aspetta ”.

Nella luce delle sei del mattino,
a Dicembre, quando solo il battito
della pioggia ha una cadenza
di passi.

E poi “ non rimandare,
non permettere che le sue dita acerbe
spostino i doni. Prevarrà una ragione,
infine, per spiegare la sua assenza “.

Ma a un folle che pesca tutta la notte
senza prendere nulla,
chi potrà mai chieder conto
della sua pazienza?
*

La domenica mattina sto lì,
sospeso alla finestra,
con l’aria imbambolata e
gli occhi ancora colmi d’acqua
ad aspettare che la città si scopra,

che il movimento degli alberi
sortisca la puntuale cantilena.

Sto lì, inoffensivo e sottile,
a rinominare le cose
disponendone il giorno
e la giusta ora.
*

Il cuore, concentrato in pochi chilometri quadrati,
non ha deluso le aspettative ( ma in Belgrave sq.,
all’inizio, ho stentato a riconoscere la prospettiva
della casa latina ).

E’ stato uno dei giorni più lunghi dell’anno,
il 27 di un piovoso Aprile, il “ tornerò presto “
deciso dopo aver attraversato svelto il Mall
per sbirciare da sopra le teste uno spicchio
di regale controluce.

Avrebbe potuto durare un secolo, a quel punto,
il tragitto in pullman nell’anticipo prescritto,
nel polvericcio denso del crepuscolo, incontro
alle prime stelle e al loro incurante balbettio.
Jacopo Da Ponte

Devoto, smemorato, fermamente convinto
che il suo girar per chiese, nella calura estiva,
lo avesse più volte salvato, anticipò di secoli
il ciclo delle nuvole e perfino “ le malinconiche ”
di Hayez.

Si poneva assorto sul fondale, sempre a destra,
col capo piegato per conformare la luce al suo
particolare cristallino.

Poi, come da una sorta di estasi,
veniva fuori il dannato, o il custode
di quella miracolosa semina d’Agosto.
Breve diario dalla terra riemersa

Un vento di troppe foglie
infiltra all’interno dell’auto
un odore acuto di cenere e neve.
E’ strana Brooklyn alle sei del mattino
con tutto questo mulinare
di manine tronche che permette
di intuire appena i suoi bastioni,
l’acuminato dorso di animale
acquattato nel semibuio e aizzato
dai lucori dei precoci risvegli.

Dall’ultimo viale di alberi neri,
ormai al sicuro verso Long Island,
non avverto più i suoi gorgoglii,
l’aspro alito delle sue viscere
e gli sterminati vapori
che ne preludono il necessario inabissamento.

Qui, dove i bassi palmeti
sono flessi dal rinforzo del vento

                                                ./.
e il fragore delle onde ritma
il respiro, mi rinviene chiaro
il monito dell’arcangelo sull’estrema
cresta di Atlantide: “ Questa terra
che nasconde ciò che si prese
nel castigo del buio perenne,
riemergerà un’unica volta
per conoscere luci di albe così luminose
che solo gli occhi dei più forti
potranno sopportare ”.

Poi rallento, a Tulash bay,
per seguire sulla banchina i riti
del tuffatore che si appresta
 a entrare nell’oceano, nudo,
eppure indifferente al gelo,
rappreso nella sua ipnotica incolumità
di angelo: mi colpisce il suo sorriso
estatico, a occhi chiusi, mentre
si tende in volo.
Un sorriso da folle.

_ It will snow !_
mi saluta il doganiere dal pontile
indicando l’arrivo della tempesta:
un sospeso grigio in cui appaiono
e scompaiono sagome di navi
e fendenti di gabbiani

                                           ./.
che, come mesti e vecchi dèi abdicanti,
ripiegano sul molo trasalendo appena
per la presenza di altri compagni
di naufragio.

Da quaggiù, nel riverbero di inchiostri e cere,
la città irraggia lampi delle sue
chiuse rovine.
Nell’andarmene, il mattino seguente,
ho visto scendervi la più bella neve
della mia vita,

                ma sento che là,
dove sono stato felice,
dove ho molto immaginato,
non dovrò mai tornare.
IX
*

Sedimentano per giorni, settimane,
deviano dall’origine i confini,
i tuoi cieli di rapidi uccelli
e le porte segnate col gesso.

Per questo ho deciso
di non leggerti più,
monsieur Antschel:

c’è troppa morte
intorno ai tuoi doni.
*

La tarda ballerina,
dietro lo sfondo nero,
prova con movenze devote
i suoi passi nello Sheherazade.

Moltiplicata dagli specchi
infervora lo sguardo mentre
si protende in un arrischiato frullo
quasi a compiacere il plauso
irretito e complice del custode.

Se davvero solo gli occhi
sanno spravvivere, adesso lì
sono tutti per lei.
*

Nelle intenzioni
la traiettoria del volo
doveva descrivere
un arco perfetto.

Verso la fine, invece,
si è abbassata di colpo:
è venuta giù
come un autunno improvviso.
*

Correvo
lungo l’argine del fiume
scrutandone intensamente
la corrente
( come se a cercare
nella memoria la frase,
il volto, fosse soltanto
una questione di fiato ).

Eppure mi ero attenuto
alle regole, avevo considerato
gli avvenimenti in perfetto
ordine temporale.

La ragione, a quel punto,
dettava l’attesa: l’ostaggio
si sarebbe risvegliato.
*

Lo stridore di scarpe ferrate
su per le scale

qualcuno che mi chiama
da un corridoio lontano

e poi, alla radio, una bella voce
che annuncia l’inizio della stagione.

Scivolerebbe tutto nell’indifferenza,
nell’esito scontato delle cose
se ad arrestare il momento
non intervenisse il senso della tua
disarmante certezza;

­ C’è una promessa
                     in tutto questo ­
*

Sto qui, fermo al crocevia,
con il pensiero fisso che l’approssimarsi
della primavera m’intristisce.

Sto qui cercando d’intuire
da quale punto cardinale si annunceranno
gli spifferi di quest’altro mondo
( e se non siano già quei due
puntini rossi che calano veloci
verso la città, in un frastuono di ferraglia,
ad avermi mancato per primi ).

Indugio ancora, un poco, per convincermi
definitivamente che sarà lei a trovarmi,
 energica e pura, precisa e dura
come la gente che sale veloce dal tunnel,
dietro di me, senza più stagioni
e con lo sguardo altrove.
Precarietà

La mano tesa
               come un ponte levatoio.
Finestra di grattacielo

I

Nei preparativi per il sonno
qui, nella città straniera,
si chiamano a raccolta i riti:
uno spiraglio ampio fra le tende,
la serie collaudata delle giaculatorie,
l’En e, infine, la discesa
alla posizione propizia.

II

Così rannicchiato, protetto
in una sorta di bozzolo,
attendo l’arrivo del torpore,
il suo dilagare con la cadenza
rallentata del respiro, il sussulto
per l’ultimo, immaginario, precipitare…
III

Ma succede a volte che irrompa
una crepa improvvisa, che
in uno spazio lungo solo pochi secondi
si apra un varco nel muro
che stavi pazientemente erigendo:

di là c’è la lista dei nomi,
il loro suono, quando li pronunci,
che genera insonnia.

IV

Si è ritirata la luce del giorno.
Si è ritirata la sua rete protettiva.

Basso sull’acqua del fiume
come un guizzante blu d’iride,
il faro dell’elicottero insegue
due puntini azzurri che presto
spariranno nella palude.
V

Intanto, nella camera contigua,
piagnucola la coppia di sposini
appena arrivata.
S’interroga senza sosta,
ad alta voce, protraendo il suo
e il mio dormiveglia.

VI

C’è un’urgenza di voci,
di urla strozzate come
in un sottofondo di foresta
in questa città eccessiva,
perennemente sospesa
tra i suoi inestinti furori
e la nostra seconda vita.

VII

In questa città enorme
dove nemmeno nella notte di nozze
ci si sa confidare il segreto dolore.
Note

La poesia Non ho mai pensato di possedere è stata pubblicata in un’edizione limitata da
Pulcinoelefante, con una fotografia di Eric Toccaceli, nel Luglio 2006.

Le poesie Parigi al crepuscolo, I primi ritorni, E’ notte e fa caldo, Louvre e Sosta sul Pont
Mirabeau sono uscite nella rivista Serta nell’inverno 2007.

Le poesie Eh si che contano gli incoraggiamenti, Hotel Du Lac, E’ una boccata d’etere, Mentre le
stelle crescono alla finestra, Mi vengono incontro come ombre, Al nostro entusiasmo, Alberghi,
Fiori per un matrimonio, Messalina, Dalla confessione dell’omicida sono apparse nell’Almanacco
dello Specchio n°3 ( Mondadori, Dicembre 2007 )

La poesia Mentre le stelle crescono alla finestra , con il titolo Zona, è stata inclusa in Poeti – Volti
e luoghi ( Marietti, 2007) curata da Eric Toccaceli.

Le poesie Armeggiava con biglie e bicchieri, Sosta sul Pont Mirabeau, Parigi al crepuscolo, Alla
buona terra, Aquae sextiae proemio, Quasi non se ne rende conto, Raccontava e Dovevo
assolutamente oltrepassarla sono state pubblicate anche nella rivista Poeti e Poesia, diretta da Elio
Pecora, nel Gennaio 2008.

Breve diario dalla terra riemersa, presente nella raccolta Parca lux ( Marsilio, Venezia, 2001) viene
qui proposta in una versione rivisitata e, a questo punto, definitiva..
Notizia

Tiziano Broggiato è nato a Vicenza, dove tuttora risiede, nel 1953.
Le sue più recenti raccolte di poesia sono: Parca lux (Marsilio, Venezia, 2001) Premio Montale
2002 e Premio dell’Unione Lettori Italiani per: Un libro di poesia per la scuola 2002,
Anticipo della notte (Marietti, Milano, 2006) e Dieci poesie (Almanacco dello Specchio n°3,
Mondadori, Milano, 2007).
Ha curato le antologie: Canti dall’universo – Dodici poeti italiani degli anni ottanta (Marcos y
Marcos, Milano, 1988) e Lune gemelle (Palomar, Bari, 1998).
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