MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione

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MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione
MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI
  Follia, carnevale e percorsi di liberazione
MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione
MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione
Tradizione, Arte, Turismo Sostenibile
                       Progetto 2008-SAC-110

         Il presente dossier rientra tra le attività del progetto
       CANTIERI CREATIVI - Tradizione, Arte, Turismo Sostenibile,
           progetto finanziato dalla Fondazione per il Sud.

           Il dossier è stato realizzato dal Consorzio Meridia

                Si ringrazia la preziosa collaborazione del
                          Centro “Marco Cavallo”

Ringraziamo tutte le realtà che si sono rese disponibili all’organizzazione
        degli stage e tutti coloro che con fiducia hanno affidato
                     a Marco Cavallo i loro desideri.

             I risultati della ricerca sono disponibili sui siti:
           www.retecantiericreativi.it - www.consorziomeridia.it
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Sommario

Premessa                                                                p. 7

Introduzione: Chi è Marco Cavallo?                                      p. 9

Trasgressione e salute mentale “Marco Cavallo Libera tutti!”            p. 13

Marco Cavallo incontra le cooperative sociali della Provincia di Bari   p. 27

Il futuro come lo vorremmo                                              p. 37

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MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione
MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione
Premessa

     Il presente dossier rientra tra le attività del progetto CANTIERI CREATIVI -
Tradizione, Arte, Turismo Sostenibile, progetto finanziato dalla Fondazione per
il Sud e che ha, come soggetto proponente, la Fondazione del Carnevale di Puti-
gnano e come partner l’Associazione Versus, CNA Puglia, il Consorzio Meridia, la
Cooperativa La Poderosa e l’ Associazione Work in Progress.

     Il progetto è finalizzato alla riscoperta e alla valorizzazione di arti e di me-
stieri legati al Carnevale creando delle opportunità occupazionali. Le cooperati-
ve sociali interne ed esterne alla rete del Consorzio Meridia sono state coinvolte
nel progetto Cantieri Creativi attraverso un’attività di sensibilizzazione e socia-
lizzazione al fine di coinvolgere ragazzi svantaggiati all’interno di un percorso
creativo in grado di valorizzare giovani troppo spesso lasciati ai margini della
nostra società.

     L’intervento del Consorzio Meridia nel progetto Cantieri Creativi ha visto la
partecipazione di 260 utenti di 20 cooperative sociali interne ed esterne alla rete
Meridia. Sono stati effettuati 20 stage nelle cooperative sociali e nelle organizza-
zioni del Terzo Settore del Comune di Bari e della Provincia di Bari.
     Gi stage hanno visto la partecipazione di “utenti” con diverse tipologie di
svantaggio e afferenti a diverse fasce di età. I laboratori hanno inteso appro-
fondire il tema della diversità, a partire dal disagio psichico con riferimento al
Carnevale e alla sovversione delle regole che esso porta storicamente in nuce.
Grazie all’utilizzo del video “La città dei pazzi” risultato di una sintesi della fiction
trasmessa dalla RAI, è stato possibile introdurre i partecipanti al tema e lavorare
con loro alla narrazione dei loro desideri di sovversione e liberazione attraverso
elaborati scritti e grafici. La partecipazione della struttura marco Cavallo alla pri-
ma sfilata dei carri carnevaleschi ha permesso di coinvolgere altri “utenti” e di
renderli parte attiva del laboratori con la raccolta dei desideri della popolazione
putignanese.

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MARCO CAVALLO LIBERA TUTTI - Follia, carnevale e percorsi di liberazione
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1. Introduzione – Chi è Marco Cavallo?
                                      Claudia Loizzo

     Quando abbiamo incontrato Marco Cavallo anche noi ci siamo posti questa
domanda e poi gradualmente ne abbiamo ricostruito la storia grazie all’aiuto e
al racconto di chi l’ha vista e attraversata in prima persona senza mai dimenti-
carla.
     Cercavamo un link che potesse connettere il carnevale, il senso profondo
della sovversione delle norme e delle regole che esso porta in nuce, con il disa-
gio, il bisogno, i prodotti di questa società generati proprio dal fallimento delle
sue stesse norme.
     La proposta di lanciare una riflessione che collegasse il carnevale con il disa-
gio psichico ci è giunta dalla Fondazione del Carnevale di Putignano e ci ha per-
messo di incontrare l’esperienza del centro polifunzionale diurno Marco Cavallo
di Latiano in provincia di Brindisi. Chi ha lottato per l’apertura del Centro, com-
pletamente gestito e organizzato dagli stessi “utenti”, sono stati medici e pazienti
che hanno seguito da vicino la sfida lanciata da Franco Basaglia, dalla sua equipe
e dai pazienti del tempo resi parte attiva di tutto il percorso di liberazione.
     Marco Cavallo approda in Puglia ma arriva dal nord est italiano dei primi
anni ‘70.
     Trieste 1973, Ospedale psichiatrico manicomiale S. Giovanni. Franco Ba-
saglia diventa direttore dell’ospedale e scende negli inferi della reclusione e
dell’isolamento forzato del disagio sociale.
     I dannati e i diseredati del tempo non hanno perso, però, la vitalità che con-
sente agli uomini di tornare tali recuperando il contatto con il proprio gruppo, la
propria comunità.
     Al paradigma della coercizione Basaglia tenta di sostituire quello della par-
tecipazione e della liberazione e supportato dalla forza e dalla determinazione
del suo staff e dei pazienti ricondotti alla vita partecipativa di gruppo, l’esperi-
mento diventa percorso e direzione.
     I nudi spazi comuni alienati dalla divisione per sesso e svuotati di tutti i signi-
ficati affettivi e simbolici, diventano spazi di elaborazione creativa e di scambio
tra pazienti ed operatori. Si rompono i confini delle divisione per sesso e la comu-

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nità si allarga e matura nuove esperienze condivise. Marco Cavallo nasce proprio
in questo momento di formazione della comunità terapeutica. Esso pone una
domanda forte e un’esigenza reale che arriva dal ventre di questa prima forma di
comunità: può la comunità di recupero, la comunità terapeutica restare isolata
dal mondo, confinata nello spazio urbano della periferia lontana dalla vita del
centro dove si consuma l’esperienza umana fatta di lavoro, di famiglia, di casa?
      I pazienti chiedono di entrare nella comunità città/mondo, di recuperare in
pieno i loro desideri e di decidere liberamente delle loro vite.
      Quando viene disegnato per la prima volta da una giovane donna, Marco
porta nel suo ventre i desideri più semplici che un’esperienza umana possa ave-
re: casa, lavoro, affetti.
      La sua materializzazione passa attraverso l’uso della cartapesta. I pazienti
realizzano collettivamente un cavallo blu di grandi dimensioni che sarà simbolo
e mezzo concreto della loro successiva liberazione. La struttura sarà utilizzata
per sfondare definitivamente le porte di San Giovanni e per irrompere nella so-
cietà portando all’esterno i desideri di quanti, fino a quel momento, erano stati
obbligati a congelare le loro vite. Marco Cavallo non è solo metafora classica di
assedio strategico, è anche esperienza reale di un atto compiuto con forza che
mette il mondo dinanzi a sé stesso, dinanzi alle contraddizioni che esso stesso
produce.
      La legge 180, approvata nel 1978, sarà preceduta da questa storia di lotta
e di rivendicazione attiva, a dimostrazione che è la storia reale, quella vissu-
ta e attraversata dagli uomini a determinare la legislazione e non il contrario,
come molti credono. La stessa travagliata storia di applicazione della L.180/78
ci dimostra quanto scritto. Dovranno passare, infatti, venti lunghi anni a partire
dall’approvazione della legge, per la definitiva chiusura delle strutture manico-
miali nel resto di Italia. Quella pugliese con sede a Bisceglie, sarà, per esempio,
smantellata solo nel 1999.
      L’interesse economico, il profitto privato avevano a tal punto rivestito le
strutture manicomiali e gli ospedali psichiatrici, da opporsi al loro superamento.
In tutta Italia furono necessarie dure battaglie per spostare l’orizzonte di cura al
di là delle strutture detentive. Gli attori coinvolti furono i medici e i professionisti
consapevoli dell’arretratezza metodologica, i pazienti resi parte attiva, la società
civile che percepiva la necessità di un cambiamento.

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Il Centro polifunzionale diurno Marco Cavallo gestito dall’associazione 180
amici Puglia1, composta da “amici”, ovvero, sostenitori della legge 180, della
quale gli stessi si auspicano una completa attuazione, è testimonianza diretta di
quanto accaduto alla fine degli anni ‘90 in Puglia.
      A distanza di quaranta anni dall’approvazione della legge e dopo undici anni
dalla definitiva chiusura delle strutture manicomiali, il percorso di liberazione
è ancora da completarsi. Lo sanno bene i 180 amici e tutti coloro che lavorano
quotidianamente in servizi e strutture dedite alla cura e alla prevenzione del
disagio psichico e sociale. Guardando al quotidiano e al contingente, si vede,
infatti, come la cura del disagio psico-sociale si sia sclerotizzata in una medicaliz-
zazione forzata che vede il ricorso diffuso a farmaci e a sostanze farmacologiche,
utilizzate come deterrente per la risoluzione temporanea di problematiche do-
vute al disagio psico-sociale. Questo sposta l’interesse e il profitto economico su
nuovi soggetti subentrati nella scena: case farmaceutiche e strutture sanitarie. Il
rischio di spingere la cura del disagio verso nuove forme di dipendenza e isola-
mento sociale è elevatissimo.
      D’altronde basta riflettere sul concetto stesso di bisogno e sulla sua esten-
sione a tutte le fasce sociali considerate potenzialmente a rischio. La “società del
rischio”2, come la definisce Beck, diventa sistemica, essa è il risultato, un “effetto
indesiderato” derivante dalla natura stessa delle tecniche di produzione moder-
ne che alienano sempre più i prodotti in merce e i produttori in consumatori o in
semplici elementi inerti esclusi dal ciclo produttivo ai quali viene negato anche
l’accesso alle stesse merci.
      Le normative hanno registrato questo cambiamento generale e generalizza-
to a livello europeo, producendo i relativi regolamenti in favore dell’inserimento
socio lavorativo delle diverse categorie di svantaggio3. Chi sono i moderni svan-
taggiati, stante la definizione che ne dà l’Unione Europea?
      Sono i lavoratori precari, i disoccupati di breve, media e lunga durata, qual-
siasi persona adulta che viva sola con uno o più figli a carico, qualsiasi donna di

1 http://www.centromarcocavallo.it/
2 Ulrich Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, 1 ed., traduzione di Walter
Privitera, Carlo Sandrelli, Carocci Editore, 2000, pp. 380
3 REGOLAMENTO (CE) N. 2204/2002 DELLA COMMISSIONE del 12 dicembre 2002 relativo
all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione

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un’area geografica al livello NUTS II4 (la maggior parte delle regioni del sud Ita-
lia), siamo tutti potenziali svantaggiati che quotidianamente sfidano quel fragile
equilibrio tra in e out, tra inclusione ed esclusione. Questo significherebbe che
in potenza i servizi di prevenzione e cura del disagio psico-sociale riguardano
l’intera comunità locale e a tale allargamento e generalizzazione non può corri-
spondere il ricorso diffuso a tecniche invasive di medicalizzazione, a meno di non
voler definitivamente alienare la società in un insieme di corpi sedati.
      Le nuove tecniche di dominio e di controllo non hanno del tutto sostituito le
precedenti. Assistiamo, infatti, al permanere del modello benthamiano del pa-
nottico che ancora coinvolge e avvolge le carceri, le scuole, gli uffici, le fabbriche,
le caserme, le comunità, i centri di permanenza temporanea per immigrati, gli
ospedali psichiatrici giudiziari, fino agli slum e le favela delle modernissime me-
tropoli5 e al parallelo dilagare della medicina preventiva e curativa6 applicata a
diversi livelli di esperienze di vita. La sintesi tra rovine del passato mascherate da
modernità e nuove tecniche che bypassano le strutture e colpiscono direttamen-
te i corpi, producono un Moloch7 ben più tremendo che per essere superato,
necessità di un intervento collettivo e generale di trasformazione della società.

4 Aree geografiche nelle quali il tasso medio di disoccupazione superi il 100 % della media
comunitaria da almeno due anni civili e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato
il 150 % del tasso di disoccupazione maschile dell’area considerata per almeno due dei tre anni
civili precedenti.
5 Mike Davis, Il Pianeta degli Slum, Feltrinelli, Milano, 2006, Serie Bianca , pag. 216
6 Per medicina preventiva intendiamo anche la psicoterapia e tutte le tecniche professionaliz-
zate di interpretazione dell’esperienza sociale umana. Per medicina curativa intendiamo il T.S.O.
(Trattamento Sanitario Obbligatorio) ospedaliero praticato nei reparti di psichiatria esistenti
negli ospedali generali (i cosiddetti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, o SPDC), la prescrizione
di farmaci anche per casi che potrebbero seguire altri percorsi terapeutici.
7 Moloch (o Molech o Molekh o Molok o Mal’akh o Melqart in ebraico ‫ ךלמ‬mlk) è sia il nome
di un dio, sia il nome di un particolare tipo di sacrificio storicamente associato al fuoco. Moloch
è stato storicamente associato con culture di tutto il Medio Oriente, tra cui gli Ebrei, gli Egizi, i
Cananei, i Fenici e culture correlate nell’Africa settentrionale e nel Vicino Oriente. Oggi il termine
“Moloch” viene usato in senso figurato per designare un’organizzazione o una persona che do-
manda o richiede un sacrificio assai costoso.

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2. Trasgressione e salute mentale “Marco Cavallo Libera tutti!”

                                  Francesco Occhiofino

     Il ciclo di incontri che ha visto lo staff di Meridia incrociare più di venti realtà
appartenenti al mondo della cooperazione, per una serie di appuntamenti che
avevano al centro l’esperienza di Franco Basaglia, ha avuto innanzitutto il merito
di innescare un processo dialettico e positivo tale da intercettare e trasformare
attivamente tutti gli attori coinvolti.
     Merito essenzialmente del tema; il percorso che porta alla L. 180, la fine
della contenzione totale nell’esperienza manicomiale, il percorso di liberazione
dallo stato di colpevolezza del paziente.
     Si sono incontrate diverse realtà; studenti dell’obbligo formativo, centri po-
livalenti dei sistemi integrati delle circoscrizioni, cooperative sociali che si occu-
pano di immigrazione, uomini e donne transitati nel circuito delle dipendenze,
ragazzi e ragazze ospiti di case famiglia o comunità.
     Una utenza dunque molto variegata, che ha avuto come specificità la gio-
vane, a volte giovanissima età dei protagonisti e la assoluta entusiastica risposta
registrata in ogni stage affrontato.
     Un tema anche duro, sottolineato da un contributo video, contenente spez-
zoni della fiction andata in onda sulla RAI e dedicata alla figura di Basaglia: “La
città dei pazzi”, intervallata da immagini originali riguardanti il corteo che attra-
versò Trieste e che vedeva come protagonisti ex degenti e dimessi, operatori e
un enorme cavallo di color blu, di cartapesta.
     Queste ultime forniteci dal Centro Polifunzionale Diurno “ Marco Cavallo”
di Latiano.
     Ed è interessante che sia proprio la cartapesta il filo rosso che ha legato
Fondazione Carnevale di Putignano, Fondazione per il Sud, Consorzio Meridia e
mondo della cooperazione.
     Quasi che la fragilità della stessa materia e per riflesso dell’arte che serve
per lavorarla sia una metafora della nostra fragilità e delle possibilità che abbia-
mo per rimediarvi con la nostra abilità e affrontare le crisi.
     Noi che, per il progetto, abbiamo materialmente seguito l’animazione ter-

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ritoriale incrociando le diverse esperienze e realtà, abbiamo da subito avvertito
che molto il tema aveva di fascinoso e che sviluppava una serie di reazioni posi-
tive e appassionate.
      Non potendo ovviamente parlare in maniera esaustiva del totale delle ini-
ziative, tracceremo in grandi linee alcuni dei risultati emersi, le esperienze più
significative fatte, le impressioni colte a caldo durante gli stage.
      In tutto ciò, innanzitutto, va segnalata una profonda domanda di conoscen-
za, la mancanza totale di preconcetti da parte di questa utenza giovane, l’estre-
ma ignoranza di “quei fatti”, ma anche l’assoluta mancanza di paletti e ostacoli
alla discussione.
      Quasi che quella appassionata vicenda, che parla di umanità dolente e rin-
chiusa e del percorso di emancipazione e liberazione della stessa, riuscisse a
bucare la grande assenza di dibattito sulla salute mentale e il disinteresse per un
tema che rimane a suo modo scabroso.
      Disinformazione che è a sua volta contemporaneamente specchio e figlia
dei tempi, intrecciata alla più comune mancanza di partecipazione sociale e civi-
le ed al vuoto pneumatico-politico che caratterizza gli anni del post-riflusso.
      Inevitabilmente balza all’occhio la discrepanza tra un mondo giovanile lan-
ciato a fionda in un futuro immateriale ed inafferrabile, e che sembra mancare di
sentire comune, di passione e compassione ed invece inaspettatamente si apre
e accoglie questo racconto di esperienza, e gli si avvicina senza condizionamenti;
entra in sintonia con tale esperienza di dolore e precarietà, la quale si riflette in
quella e vi trova verosimiglianze non scontate.
      A tal proposito riteniamo positiva e tutta particolare l’esperienza di stage
svolta nelle classi dell’obbligo formativo.
      Riconosciute e a loro modo marchiate come “classi ghetto”, i ragazzi dell’ob-
bligo invece si sono mostrati attenti alle dinamiche che la discussione ha de-
terminato. È impressionante e davvero a – nomica la condizione dei giovani
incontrati, dove le miserie di una vita sociale assolutamente nulla si incrociano e
si avviluppano con una istituzione come quella scolastica in evidente e profonda
crisi.
      Quasi che il malessere di quei giovani si riflettesse, in quella più estrema
condizione dei pazienti che hanno vissuto tale totalizzante e desertificante espe-
rienza.
      La figura e la testimonianza di Basaglia, invece, risuonavano e riverberava-

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no in termini positivi, coinvolgendo in maniera totale il pubblico – utente, svilup-
pando dinamiche di discussione inaspettate e sempre interessanti.
     La sofferenza dei pazienti, le disumane o troppo umane storie di vita che
abbiamo incrociato, hanno mutato il nostro atteggiamento, travolgendoci.
     In questa ottica le vicende che interessano i più piccoli tra coloro che han-
no frequentato gli stage,le loro storie di vita che emergevano rumorosamente,
hanno messo a nudo il nesso profondo che lega quelle storie di ieri all’oggi, la
cuginanza tra il vecchio “manicomio” con il moderno CIE o CPT.
     Il carcere che a sua volta è esperienza diffusa, vicina, la privazione della li-
bertà che è già patrimonio di quei piccoli, faceva sì che essi si accostassero senza
problemi al tema con noi affrontato.
     È stata una questione di sensibilità; non ci si arriva alla comprensione di tali
dinamiche se si pensa di poterle afferrare attraverso un gioco intellettuale, biso-
gna invece “mettersi in gioco”, avere il coraggio di emozionarti ed emozionare,
non negare l’orrore, guardarlo negli occhi e comprenderlo.
     E i bambini hanno manifestato abbastanza coraggio e la necessaria capacità
di interrogarsi, dimostrando di penetrare in profondità il tema, di carezzarlo, e di
tentare una interazione necessaria.
     Ugualmente significative sono le storie e le vite incrociate all’interno delle
strutture H24 residenziali. A partire da qualcuno che quella storia aveva vissu-
to in prima persona, e che portava ancora e per sempre i segni fisici di quella
violenza; come la donna anziana che non aveva più un solo dente, tutti saltati
a causa dell’elettroshock e che, nonostante tutto, ha avuto il coraggio anche se
solo per poco tempo di ripercorrere e rivivere quella terribile esperienza, conti-
nuando a ripeterci quanto in verità con lei fossero stati “solo cattivi”.
     Quell’essere solo cattivi, escludeva qualsiasi altra remota possibilità di con-
tatto umano, e si avvicinava molto alla “banalità del male”. La uni dimensione del
male stesso ha segnato per sempre migliaia di uomini e donne.
     Ecco essi percepivano durante gli incontri che Basaglia è stato un uomo buo-
no, un uomo giusto, o più semplicemente un uomo, che opera in una situazione
disumanizzante, e che nonostante tutto rimane fedele a se stesso e non abdica.
     E non si può non dubitare di una certa dose di sadismo che attraversa tutte
le strutture che si occupano di controllo e contenzione; nelle quali a volte il sen-
so di umanità viene smarrito e dove è possibile ancora oggi scorgervi quei segni,
quelle stimmate che ci parlano ancora di lager.

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Potremmo dunque affermare che il paradigma del campo è passato, il mo-
dello del campo è risultato essere vincente. Il lager è un paradigma della moder-
nità.
     Crediamo che in definitiva la grande intuizione di Franco Basaglia sia essere
quella d’aver individuato in quella dinamica tra potere e dominio il campo da
gioco sul quale si sarebbe svolta la partita del futuro; i prodromi anticipatori di
quella “biopolitica” che, con la sua trama, ha invaso, mutato, condizionato lo
sviluppo intero delle dinamiche sociali.
     Come non leggere nelle pieghe della testimonianza di Basaglia, il Foucault
di “Sorvegliare e punire”, la minuta disamina delle dinamiche di limitazione della
sovranità del corpo, l’attacco alla nuda vita, prima proposto attraverso il dominio
capitalistico e lo sfruttamento del corpo alle logiche di potere e profitto, e poi
attraverso i meccanismi di razzismo sociale.
     Quali sono le domande che Basaglia attraverso la sua testimonianza pone;
quale è lo scandalo di questi corpi rinchiusi perché non produttivi, cioè non ri-
ducibili alla dinamica dell’economia?
     Ed oggi, così come abbiamo ripetutamente chiesto alle persone coinvolte,
cosa rimane di quel racconto, quali sono i paradigmi attraverso i quali è possibile
rivivere tali esperienze di marginalizzazioni totali, così costantemente riverbe-
ranti alla luce della modernità?
     Le risposte sono state più semplici delle domande, l’immedesimarsi delle
persone e dei ragazzi coinvolti nel progetto ha di fatto scardinato le nostre ti-
tubanze, accorciato le distanze, appianato le differenze. Quelle voci, quei volti
incontrati, hanno nella loro semplicità, nella mancanza di schemi che li contrad-
distingue, vissuto in prima persona il disagio dei pazienti, avvertito che quella
condizione è la condizione di tutti, e che Basaglia ha fatto una battaglia di uma-
nizzazione delle strutture e delle tecniche di cura.
     Non ci sono volute molte spiegazioni, c’è voluta una buona dose di umani-
tà.

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3. Marco Cavallo incontra le cooperative sociali della Provincia di Bari
                                        Claudia Loizzo

     Gli scritti e i disegni pubblicati rappresentano parte del materiale raccolto
durante gli stage organizzati in venti differenti realtà del terzo settore della pro-
vincia barese. Gli incontri sono stati organizzati a partire dalla presentazione del
progetto Cantieri Creativi e dalla costruzione condivisa degli strumenti con gli
operatori delle cooperative sociali che hanno ospitato gli stage. Sapevamo di do-
ver incontrare target diversi di diverse fragilità e differenti immaginari. Gli opera-
tori ci hanno aiutato a comprenderne le caratteristiche specifiche e a definire il
format da utilizzare a seconda del disagio con cui andavamo a confrontarci.
     Il video utilizzato8 è stato mostrato integralmente o solo in parte, a seconda
dell’impatto generato sul target di riferimento. Questo strumento è stato utilissi-
mo per introdurre i partecipanti alla riflessione e all’attività di manipolazione ed
espressione del desiderio. Laddove il target è risultato estremamente giovane9
per poter recepire la complessità del legame tra carnevale e salute mentale,
abbiamo fatto ricorso ad un frammento del video accompagnato con materiale
fotografico dedicato a Marco Cavallo e alla sua partecipazione al Carnevale di
Putignano.
     La qualità della discussione è stata sempre alta e ha consentito di lavorare
in maniera collettiva e condivisa all’analisi e all’elaborazione di quanto questo
sistema socio-economico ha prodotto e continua a produrre e di trasfigurare il
desiderio in forma scritta o grafica.
     Tutte le 300 esperienze di vita incrociate durante i laboratori ci hanno con-
fermato l’urgenza di ritornare ad una riflessione reale sulla gestione dei servizi e
sulle funzioni dell’istituzione, sulle tecniche di presa in carico da esse utilizzate
e sugli effetti che queste producono nell’immaginario di libertà e desiderio degli

8 Si tratta di un video della durata di 30 minuti che sintetizza la fiction trasmessa sulla rete
televisiva RAI 1 dedicata alla storia di Franco Basaglia e della L180/78. Il montaggio di sintesi è
stato realizzato dagli utenti del Centro Marco Cavallo di Latiano con il sostegno del dott. Carlo
Minervini curatore anche della stessa fiction in quanto attore privilegiato dell’esperienza di ap-
plicazione della L180/78 in Puglia.
9 Per target estremamente giovane intendiamo bambini dai 3 ai 6 anni ospitati in case famiglia
o centri diurni.

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“utenti”.
      La semplicità che traspare da tutti i disegni e da tutti gli scritti ci confer-
ma quanto già anticipato nell’introduzione: il desiderio di libertà e di vita passa
attraverso oggetti e bisogni semplici che, il più delle volte, corrispondono agli
affetti, ai legami duraturi, alla natura, a paesaggi essenziali, ad un ambiente che
sia frutto di una comunità umana coesa e allargata.
      I desideri dei ragazzi sono desideri che trascendono il piano individuale e
personale, tutti sembrano riferirsi ad un piano collettivo non immediatamente
privato.
      Anche i desideri riferiti alla propria vita di adulti, sembrano andare verso di-
rezioni plurime e questo non solo a causa della giovane età dei partecipanti, ma
anche per quel tentativo spontaneo di voler uscire dalle logiche della specializza-
zione del lavoro, delle professioni e dei saperi che il più delle volte non consente
la completa realizzazione dell’individuo.
      Gli elaborati di chi ha trascorso diversi anni nelle strutture manicomiali e che
é adesso ospitato in comunità, ci dicono che la strada per l’emancipazione degli
“utenti” è ancora lunga e che necessita del contributo di tutti e del sostegno
reale da parte delle istituzioni, del terzo settore e della comunità di riferimento.
Come scrivono i 180 amici sul volantino pubblicato10 i desideri e le conquiste
“devono essere messi in pratica con il contributo di ognuno di noi”. Tutti sono
chiamati, oggi, a riflettere sull’andamento di questo sistema socio-economico,
sull’esclusione che esso produce e sulle pratiche di inclusione che tenta di uti-
lizzare.
      La partecipazione di Marco Cavallo alla sfilata dei carri e l’adesione dei cen-
tri pugliesi e lucani che lavorano con il disagio psichico, è stata un momento di
“raduno” di esperienze che intendono proseguire nel percorso di superamento
dei limiti che la realtà impone a chi è entrato nei servizi di cura e a chi rischia
di entrarci. La cartapesta è stato il filo conduttore che ha tenuto insieme questi
laboratori. Marco Cavallo è fatto di cartapesta blu e la stessa struttura è stata
utilizzata per raccogliere i desideri degli abitanti di Putignano e per far scoprire
loro la storia nascosta nel suo ventre e riportata fuori in quella occasione.

10 I volantini pubblicati sono stati distribuiti durante la sfilata alla quale ha partecipato Marco
Cavallo e i 180 amici del centro di Latiano.

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4. Il futuro come lo vorremmo

                        Claudia Loizzo e Francesco Occhiofino

     Se ci interrogassimo rispetto al futuro e ad un suo possibile paesaggio, scor-
geremmo forse ancora luoghi dedicati al recupero e alla prevenzione del biso-
gno? Immagineremmo, forse, intere comunità divise tra “utenti” e normodotati?
Penseremmo ad intere generazioni “a rischio”?
     Probabilmente ci verrebbe più immediato e auspicabile immaginare una so-
cietà che abbia chiara la sua direzione e che sia in grado di consentire a tutti i
suoi abitanti una vita liberata dalla condizione di bisogno.
     Gli attori che governano il sistema dei servizi dovrebbero iniziare ad interro-
garsi rispetto a questo futuro a partire dal presente. Uomini dal pensiero lungo
hanno spesso invitato le istituzioni e il terzo settore, quale loro strumento, ad
evitare con forza il concetto di permanenza. Istituzioni e loro servizi sono fatti
per scomparire, per accompagnare la società alla totale emancipazione dallo
stato di necessità e per consentire la liberazione delle esperienze dalle contrad-
dizioni del quotidiano. Quando ci si allontana da questa strada, si perde anche
la funzione e l’obiettivo e si rimane meri soggetti economici tesi alla difesa del
proprio interesse, piuttosto che di quello collettivo che risiede nel definitivo
superamento del bisogno e del disagio.

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Un contributo del Centro Marco Cavallo

     “L’Isola che non c’è…”
     Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino,
poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è ... e se ti prendono in giro
se continui a cercarla non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride
alle spalle è forse più pazzo di te …

      Quando l’allora Direttore Generale Dottor Guido Scoditti, a gennaio 2008, ci
ha proposto lo stupendo spazio nel palazzo storico De Nitto di Latiano, chieden-
doci di “inventare” un appropriato progetto di utilizzo, non ci sembrava vero!!!
… e volentieri, anche se con un po’ di preoccupazione avvertendo il peso della
responsabilità che ne derivava, abbiamo accettato questa “scommessa”, forse
dovremmo dire addirittura questa “sfida”!
      La sua è stata sua un’intuizione eccezionale; ha voluto puntare sul mondo
della follia come risorsa e scommettere che proprio da questo particolar punto
della sanità potessero essere lanciate pratiche trasformative nel campo della sa-
lute e addirittura in quello della cultura promuovendo la tolleranza, la solidarie-
tà, il rispetto, la pace …
      È raro che un amministratore punti sulla qualità ed il pregio degli ambienti,
ed in particolare di quelli dedicati al mondo del malessere psichico (di solito
sono allocati in sottoscala ed in locali poveri e mortificanti per chi ci lavora e per
chi ne usufruisce) e che in cambio chieda agli operatori dei servizi di impegnarsi
per coniugare l’estetica dei luoghi dove “fare” all’etica di una buona pratica.
      Come primo atto abbiamo cercato, per così dire, una identità: il primo im-
pulso è stato quello di intitolare il Centro a Franco Basaglia ma, subito dopo,
questi meravigliosi spazi, vuoti, ci hanno ricordato il pancione del cavallo az-
zurro, simbolo di libertà, che fu’ riempito di sogni dai ricoverati di Trieste e che
divenne primo simbolo concreto dell’apertura del manicomio: infatti per uscire e
andare in città buttò giù muri, grate e cancelli (che possono essere oggi i simboli
dei nostri pregiudizi, delle nostre paure, del duro stigma che ancora pesa su chi
è portatore di un disagio psichico …).
      E allora chiamare questo Centro Marco Cavallo ha significato comunque le-
garsi alla storia di Franco Basaglia ma in modo più creativo, fantasioso e, vorrei
dire, “programmatico”, nel senso che già dal nome si evince l’intenzionalità del

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suo progetto (possiamo dire utopico?).
      La vicenda di Marco Cavallo è stata, e Peppe Dell’Acqua ce lo ha confermato
durante l’inaugurazione ufficiale del 18 maggio 2009, uno dei primi atti concreti
nella volontà di agire una pratica di trasformazione che coinvolgesse non solo gli
addetti e gli specialisti ma tutto il modo civile facendo entrare nella realtà senza
tempo e senza contrattualità dell’ospedale psichiatrico, il “disordine della vita”,
come dice superbamente Maria Grazia Giannichedda; e questo anche attraverso
il coinvolgimento degli “artisti” chiamati da Basaglia che si impegnarono in quel-
la che poi è diventata la famosa esperienza del Laboratorio P (che prese il nome
del reparto appena abbandonato che ospitò l’esperimento artistico) che portò
poi alla costruzione del cavallo azzurro.
      E subito, in conseguenza di questa scelta, abbiamo pensato che per entrare
direttamente in questa storia potevamo/dovevamo far nascere il suo primo fi-
glio, marco cavallo junior, e allora abbiamo attivato anche noi, nel nostro piccolo,
un piccolo laboratorio artistico e artigianale di lavoro con la cartapesta.
      Il Progetto Marco Cavallo significa per noi un impegno collettivo per la co-
struzione di un percorso di Salute Mentale di Comunità … e nel contempo un
tragitto che ci porti a riconquistare il diritto di cittadinanza e renderlo realmente
esigibile per tutti.
      Questo luogo, topos in greco, dove stiamo cercando di rendere possibile
l’utopia, cioè il luogo che non c’è, o forse l’isola che non c’è, è di particolare pre-
gio architettonico ma è quasi vuoto: quel poco di arredamento che c’è è frutto di
collette, di un contributo volontario della cooperativa “Osiride”, o è stato costru-
ito in loco con materiale povero o ancora donato da persone di buona volontà.
      Ma questo invece di bloccarci ci ha stimolato: infatti abbiamo colto questa
mancanza di oggetti come un segnale e, sforzandoci di vedere il bicchiere mezzo
pieno invece che mezzo vuoto, abbiamo scelto di lavorare con le persone, con
i soggetti (prima e più che con le cose, con gli oggetti!!!), e abbiamo riempito il
pancione del cavallo di variegata e ricca umanità;
e subito sono partite le esperienze: del gruppo di self help – automutuoaiuto (un
sorprendente gruppo che è diventato il cuore ed il motore del Marco Cavallo)
trasformatosi nel tempo in un grande gruppo del “fareassieme”; del gruppo di
uditori di voci, indubbiamente una interessante esperienza antropica (termine
accattivante che vogliamo utilizzare ricordando il caro Sergio Piro), gruppo che si
collega ad un movimento di utenti internazionale e sempre più numeroso; del-

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le assemblee pubbliche al Marco Cavallo; delle assemblee di “prossimità” nelle
città di Cellino e Mesagne; della nascita dell’Associazione “180amici Puglia”, co-
stola di quella nazionale di Roma (con sede anche a L’Aquila dove ha svolto, con
una sua tenda dedicata, un ruolo importante nel portare aiuto alle persone più
deboli nel dopo terremoto); della partecipazione al progetto “Librarsi in Puglia”
in collaborazione con la casa editrice leccese Manni (all’interno dell’iniziativa na-
zionale del Ministero dei Beni Culturali “ Ottobre piovono i libri”); del laborato-
rio “Progetto amici dell’Archeologia” con archeologi locali in collaborazione con
l’Università di Amsterdam; dei vari laboratori interni che definiamo “di senso”;
della partecipazione numerosa, attiva e attenta a vari momenti di riflessione e di
studio in giro per l’Italia …. e tanto altro ancora.
     Tra le ultime iniziative da segnalare l’uscita del Marco Cavallo junior per la
partecipazione al Carnevale di Putignano di quest’anno!
     Abbiamo, ci pare, messo in campo una pratica reale di condivisione, con la
metodologia del “fareassieme”, su cui ci stiamo misurando.
     La maggioranza degli operatori ha mostrato interessamento e disponibilità
rendendo possibile l’inizio di questo percorso; ma sono stati soprattutto i citta-
dini utenti che, con intelligenza, flessibilità, coraggio, non solo si sono coinvolti
nell’esperienza del Marco Cavallo, aderendo con fiducia e slancio a questo (pos-
siamo definirlo?) sogno, ma hanno da subito contribuito direttamente alla pro-
grammazione ed alla realizzazione delle attività! Insieme a loro tutti i fantastici
cittadini familiari il cui sostegno è stato e sarà fondamentale e, non ultimi, tutti i
volontari che con pazienza e abnegazione ci fiancheggiano …
     Con questa esperienza stiamo cercando di dimostrare, attraverso l’ottimi-
smo della pratica e della volontà, che “si può fare” (e vogliamo aggredire invece
il pessimismo della ragione che pare dire invece che non si può fare!);
     e crediamo che si possa fare se a scendere in campo saranno tutti gli at-
tori protagonisti; quindi gli operatori, esperti per professione, ma anche, e in
qualche modo alla pari, i cittadini utenti e familiari, con la loro competenza per
esperienza, e ancora tutta la cittadinanza attiva.
     La scelta di fondo che dovrebbe guidarci è quella che di cercare di riconosce-
re e valutare, più che il problema, la risorsa che è in ognuno di noi!
     In tal senso abbiamo prodotto e presentato Il Progetto “Marco Cavallo “ che
si prefigge di realizzare un Centro Diurno Sperimentale, gestito con modalità in-
tegrata dalla UOSM di Mesagne e dall’Associazione di cittadini, utenti e familiari

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“180amici Puglia”, ed un Centro di Studi, Ricerca e Sperimentazione sulla Salute
Mentale di Comunità, in collaborazione con l’Università del Salento, coordinato
dal DSM dell’ASL di Brindisi. Un “luogo di vita, di riflessione, di studio, di proget-
tazione, di azione ….” aperto non solo agli “addetti ai lavori”, utenti, familiari ed
operatori dei Centri di Salute Mentale del DSM, ma anche alle organizzazioni
del volontariato, agli studenti e docenti universitari delle facoltà interessate, al
mondo della cultura, alle agenzie della scuola e del lavoro, agli Enti Locali.
      In questa dimensione l’INTEGRAZIONE delle persone e dei servizi si sostan-
zia in una pratica quotidiana: AGITA dai diversi soggetti coinvolti a livello istitu-
zionale ed individuale; ELABORATA nei differenti piani di competenza del sa-
pere scientifico, del sapere professionale e del sapere esperienziale; VERIFICATA
nei processi organizzativi a livello gestionale, tecnico, amministrativo.
      Fondamentalmente il Centro “Marco Cavallo” si propone come una struttu-
ra dove si pratica l’Integrazione per promuovere la Cultura dell’Integrazione.
       La valenza innovativa del Centro Diurno “Marco Cavallo” sta nel fatto che
nella gestione dei programmi terapeutico riabilitativi verranno coinvolti diret-
tamente gli utenti, i familiari ed i volontari che, avendo già acquisito sul campo
una formazione di base, intendono seguire un percorso di empowerment per
sviluppare una vasta gamma di competenze: infatti i familiari, gli utenti, i vo-
lontari, “operatori esperti per esperienza”, saranno coinvolti nella gestione del
Centro Diurno e collaboreranno con gli “operatori esperti per professione” della
UOSM contribuendo in maniera corresponsabile al raggiungimento degli obiet-
tivi del progetto. Tutti gli incarichi svolti dagli “operatori esperti per esperien-
za” dovranno essere riconosciuti con un compenso economico, commisurato al
tempo impegnato ed alla complessità dell’incarico. La quantificazione dovrà es-
sere definita secondo quanto previsto dalle normative in materia di convenzioni
con associazioni di volontariato.
      Poichè il Centro Diurno è una struttura permeabile e di intermediazione con
la realtà circostante dovrà favorire al massimo il coinvolgimento delle persone di
riferimento degli utenti: familiari, amici, il parroco, l’insegnante, ecc.
      Sperimentare queste relazioni, che spesso nella storia degli utenti sono sta-
te vissute come conflittuali e frustranti, in una situazione protetta, rassicurante,
con l’aiuto di una guida relazionale (un operatore o un altro utente o un fami-
liare) può offrire la possibilità di recuperare legami affettivi significanti, stabilire
nuovi rapporti basati sulla fiducia reciproca e gettare le basi per ricostruire un

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nuovo incontro esistenziale con il mondo.
    Il Progetto “Marco Cavallo” è stato approvato nel Dicembre 2010 dalla Re-
gione Puglia e ora stiamo discutendo animatamente come “partire” ufficialmen-
te.
    C’è ancora tanto da fare …!!!

Carlo Minervini Direttore UOSM Mesagne San Pancrazio

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Finito di stampare: maggio 2011
Tipografia effedi snc - Putignano (Ba)
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