Terra Madre Salone del Gusto 2018
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
La cartella stampa di Terra Madre Salone del Gusto 2018 è realizzata con il carattere www.easyreading.it Ufficio stampa Slow Food Italia: 0172419666 - 0172419615 - press@slowfood.it Città di Torino: Luisa Cicero 011 011 21932 luisa.cicero@comune.torino.it Regione Piemonte: 011 432 2549 - donatella.actis@regione.piemonte.it
Terra Madre Salone del Gusto 2018 A Torino e in tutto il Piemonte dal 20 al 24 settembre Terra Madre Salone del Gusto torna dal 20 al 24 settembre 2018 a Torino con una nuova formula, ancora una volta destinata a sorprendere. Giunta alla dodicesima edizione, è organizzata da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e il coinvolgimento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell’ambito delle attività previste per l’anno del cibo italiano. Il programma completo, le ultime notizie e la possibilità di riservare gli appuntamenti su prenotazione sono su www.slowfood.it. Sempre on line è possibile acquistare in prevendita il biglietto d’ingresso a Lingotto Fiere: molto accessibile il prezzo (5 euro il biglietto singolo e 20 euro l’abbonamento per i cinque giorni, oltre 1 euro per i diritti di prevendita). L’incasso, al netto dei costi di gestione, verrà interamente destinato a finanziare il “diritto di partecipazione” dei delegati di Terra Madre e i progetti della rete Slow Food in Africa. Nei giorni dell’evento, il costo del biglietto di ingresso singolo acquistato è 10 euro. Food for Change è il tema dell’edizione 2018, a partire dal progetto stesso della manifestazione, diffuso e aperto, fino ai contenuti dei forum e delle conferenze, perché riteniamo che il cibo sia il più potente strumento per avviare una rivoluzione lenta, pacifica e globale: se vogliamo cambiare il mondo, cominciamo dai piccoli gesti quotidiani, come la scelta consapevole delle materie prime che usiamo per realizzare le nostre ricette. Se lo facessimo tutti, vedremmo gli effetti sulla qualità e salubrità dei prodotti, sulla tutela degli ecosistemi e della biodiversità, sui mercati globali e la distribuzione delle risorse. Sulla vita di ogni giorno. La manifestazione internazionale dedicata al cibo buono, pulito, giusto e sano per tutti rimodella quindi i propri confini per offrire alle centinaia di migliaia di visitatori e agli espositori e delegati provenienti da tutto il mondo un’esperienza ancora più appagante. L’intento è coinvolgere nei cinque giorni il più ampio numero di partecipanti, creando di fatto un nuovo evento a partire dal meglio dell’esperienza del 2016, che ha visto la manifestazione propagarsi nel centro della città di Torino, arricchito dalla facilità di visita che le edizioni sino al 2014, raccolte all’interno di Lingotto Fiere, hanno sempre permesso. Un evento che si diffonde in tutto il Piemonte grazie alle occasioni di scambio con i delegati ospiti nelle famiglie delle 120 Città di Terra Madre e i Tour DiVini, 15 itinerari (organizzati dal 15 al 30 settembre insieme alle Condotte Slow Food) per scoprire le bellezze artistiche e paesaggistiche della regione e gustare i prodotti più significativi nei luoghi in cui nascono. A Torino, grazie al bando Io sono Terra Madre sono oltre 200 gli eventi - organizzati da enti e associazioni e con il coinvolgono di tantissimi quartieri, a partire da Mirafiori e San Salvario - che rientrano nel programma ufficiale. Nuvola Lavazza e piazza Castello ospitano alcune conferenze e Laboratori del Gusto, l’Enoteca e i Food truck. Lingotto Fiere accoglie due tra le più significative novità di questa edizione: le cinque grandi aree tematiche #foodforchange, costruite insieme ai delegati della rete; le cucine di strada e le birre artigianali, allestite nello spazio antistante l’Oval
per consentire ai visitatori di fruirne anche dopo la chiusura serale dei padiglioni che ospitano il grande Mercato italiano e internazionale. Altra novità di questa edizione è l’area B2B, organizzata da Slow Food, Camera di commercio di Torino, Università di Scienze Gastronomiche e Foodscovery, in collaborazione con Enterprise Europe Network - Een, la più grande rete al mondo di supporto alle Pmi, presente in 66 Paesi. Terra Madre Salone del Gusto è resa possibile grazie al contributo delle tantissime aziende che hanno creduto in questo progetto e che insieme a noi si stanno impegnando per rendere l’edizione 2018 la più bella di sempre. Citiamo qui gli Official partner: GL events, Iren, Lavazza, Lurisia, Parmigiano Reggiano, Pastificio Di Martino, Quality Beer Academy. Official Sparkling Wine: Consorzio Alta Langa. Con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Associazione delle 12 Fondazioni di origine bancaria del Piemonte.
Terra Madre Salone del Gusto: che numeri! Spazi allestiti 75.000 metri quadri nei padiglioni di Lingotto fiere a Torino Mercato 1000 espositori da 83 Paesi 150 Presìdi Slow Food italiani di cui 30 Presìdi nuovi 103 Presìdi Slow Food internazionali provenienti da 42 Paesi di cui 15 Presìdi nuovi Partecipano all’evento 7000 delegati della rete di Terra Madre provenienti da 150 Paesi 230 migranti 1000 giovani 340 indigeni 350 docenti 950 volontari in città 200 studenti in alternanza scuola-lavoro e 200 richiedenti asilo impegnati nell’assistenza alla raccolta differenziata Ospitalità Più di 200 famiglie ospitanti in Torino Grazie anche al contributo di Coldiretti e CIA e alla passione per questo progetto delle famiglie delle 120 Città di Terra Madre, l'ospitalità dei delegati può contare su 1600 posti letto. 4000 Barachin di Terra Madre distribuiti in tutto il Piemonte grazie alla collaborazione di oltre 50 ristoranti e più di 70 associazioni Cibi di strada 18 Cucine di strada provenienti da tutta Italia 16 Food Truck 45 birrifici artigianali nella nuova area esterna all’Oval aperta fino alle 24 250 tipologie di birre servite Enoteca Propone in degustazione oltre 600 etichette italiane e internazionali
Programma Oltre 900 eventi in programma: oltre 350 appuntamenti fanno parte del programma Terra Madre IN realizzati grazie a 58 organizzazioni (associazioni, teatri, musei, enti vari), di cui 50 coinvolgono delegati di Terra Madre 204 Laboratori del Gusto 10 Appuntamenti a Tavola 24 appuntamenti della Scuola di cucina 24 Laboratori Fucina, Pizza e Pane 7 Conferenze 103 Forum di Terra Madre 10 incontri alla Nuvola Lavazza 21 appuntamenti da Eataly Lingotto 150 cuochi coinvolti negli appuntamenti 300 produttori coinvolti negli appuntamenti Oltre 50 chef presenti alle Cucine di Terra Madre da 5 continenti Educazione 5 percorsi didattici ideati per bambini, ragazzi e scolaresche, uno per ogni area tematica Slow Food Editore 4 presentazioni di libri di Slow Food Editore Università di Scienze Gastronomiche 20 incontri e conferenze 6 workshop condotti da studenti 4 presentazioni di libri e ricerche 4 colazioni con i produttori 3 aperitivi con i produttori 10 Personal shopper tour 10 Walk n’eat tour 9 Bike n’eat tour 5 Urban foraging 8 visite alla sede di Pollenzo dell’Università di Scienze gastronomiche
Food for Change Cibo per il cambiamento, ognuno di noi, ogni giorno, sulla nostra tavola, per il futuro della Terra Innescare il cambiamento in ognuno di noi, nella vita di ogni giorno, a partire dal cibo, dalla scelta di ciò che acquistiamo – e perché no, coltiviamo – per preparare i nostri pasti. È a questo che punta la dodicesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto: andare oltre i cinque giorni dell’evento e la campagna di comunicazione sui canali associativi e sui media, italiani e internazionali; coinvolgere il più alto numero possibile di persone, visitatori reali e partecipanti virtuali; ascoltare, incontrare, prendere esempio dalle storie di chi #foodforchange lo vive ogni giorno nella propria vita, in ogni angolo del mondo. Vogliamo condividere qualche esempio di cosa vuol dire per la rete di Slow Food cambiare il mondo attraverso il cibo, con il proprio lavoro, o nel proprio tempo libero, un passo per volta, ciascuno in base alle proprie possibilità. Ecco le storie di alcuni delegati che dal 20 al 24 settembre sono a Torino. In oltre 35 anni di esperienza nella realizzazione di progetti di sviluppo per le comunità della Tanzania a partire dal cibo e dall’agricoltura sostenibile, Helen Nguya ha sempre lavorato secondo il principio per cui le comunità devono incarnare il cambiamento che desiderano. È stata artefice dell’organizzazione locale Trmega (Training, Research, Monitoring and Evaluation on Gender and Aids), un punto di riferimento per persone vulnerabili come vedove, bambini, donne molto povere e malati di Hiv e Aids che si fanno forza lavorando insieme. Nel 2004 è entrata in contatto con Slow Food e oggi è tra i più convinti promotori del progetto Orti in Africa, che contribuisce a realizzare insieme al Presidio del miele di ape melipona di Arusha e ad altri progetti di Slow Food in Tanzania. Isabel Angelica Inayao Sepulveda è cilena. Nelle aree rurali intorno alla piccola cittadina di Paillaco, nel sud del Paese, si dedica all’agricoltura sostenibile di piccola scala. Giovanissima, insieme ad altre 18 donne lavora nella Agrupación por la biodiversidad de Paillaco. Sono mujeres rurales e fanno parte della rete locale di Slow Food, sono sostenitrici di una produzione agricola senza chimica e si dedicano alla ricerca di varietà locali, promuovendo un’alimentazione sana in contrasto con l’avanzata delle malattie dovute a un eccessivo consumo di cibi processati. Producono ortaggi seguendo il metodo dell’agroecologia, ma sono anche raccoglitrici di erbe e frutti selvatici che vendono ogni settimana nel mercato locale. La loro specialità sono le marmellate a base di murta, piccole bacche rosse di un arbusto originario del Sud del Cile. Si chiama Pierre Thiam ed è uno chef di origini senegalesi molto noto a New York dove è stato definito «il re della nuova cucina africana», della quale interpreta i sapori etnici con uno stile contemporaneo che si è conquistato un pubblico di tutto rispetto. «Quando cucino voglio che ogni mio piatto vada oltre la ricetta che propongo, che lasci un segno». Thiam c’è riuscito con il fonio, un cereale ritenuto miracoloso per le sue caratteristiche nutrizionali e agronomiche che ne permettono la coltivazione con poca acqua e in ambienti difficili. «Questo piccolo seme può cambiare le sorti del continente africano e in particolare della fascia subsahariana del Sahel, la più povera, quella da cui centinaia di migliaia di giovani partono rischiando la vita alla ricerca di fortuna verso l’Europa. Per questo sto lavorando affinché la coltivazione del fonio possa raggiungere i mercati internazionali».
È giovane e indigena, opera in un settore, quello della piccola pesca artigianale, in cui gli addetti, che siano pescatori oppure operatori a terra, sono per la maggior parte uomini e in cui il ruolo della donna non è riconosciuto. Si chiama Akeisha Clarke e per la prima volta partecipa a Terra Madre Salone del Gusto in rappresentanza della comunità di pescatori della Piccola Martinica, a poca distanza dall’isola madre Grenada. Da poco sono entrati a far parte del progetto Slow Fish Caribe che promuove la gestione sostenibile delle risorse naturali, essenziale per combattere la povertà e garantire la sicurezza alimentare. «La maggior parte delle persone quando pensa al patrimonio culturale considera solo monumenti e palazzi storici, per me invece un maiale che vive libero nella natura rappresenta un monumento molto più bello di un bene architettonico in rovina» a raccontarci la sua visione è Christian Aguerre che nei Paesi Baschi francesi lavora insieme a un gruppo di altri produttori per proteggere la biodiversità locale, allevando le razze antiche di maiali e pecore, coltivando varietà locali di mais e ciliegie. A mettere a rischio il maiale basco del Kintoa è la bassa capacità riproduttiva, mentre a salvarlo dall’estinzione, anche grazie al Presidio Slow Food, sono le caratteristiche della razza, che rendono facile l’allevamento allo stato brado, e la qualità delle carni da un punto di vista gastronomico. «Ho conosciuto Slow Food tramite mio fratello Luca, storico esponente dell’associazione, ma solo nel 2004, quando ho partecipato come volontario alla prima edizione di Terra Madre, mi sono innamorato di questa bellissima rete e ho deciso di entrare a farne parte attiva» racconta Gianrico Fabbri, 43 anni, impiegato in una multinazionale della moda e oggi coordinatore di Slow Food Toscana. Vive a Montevarchi, in provincia di Arezzo, dove è nato lo storico Mercato della Terra di Slow Food, una realtà attiva tutti i giorni che fattura circa 1,5 milioni di euro all’anno. «Gli 80 produttori che ne fanno parte operano entro i 40 km dalla cittadina. Per guidare le attività è stata costituita una rete d'impresa, con i produttori e la cooperativa sociale che si occupa della vendita, e un comitato di cui fa parte anche Slow Food». Ogni frutto, ortaggio, cereale venduto al Mercato è facilmente riconducibile a chi lo ha prodotto, mentre almeno una volta al mese c’è la presenza diretta dei produttori, di chi ci mette la faccia e invita i co-produttori nella propria azienda per toccare con mano il terreno, conoscere le tecniche, il foraggio, gli strumenti. «Nella mia zona, che si basa sull'industria e l'artigianato, il Mercato è un importante canale per l’economia agricola; per i co-produttori rappresenta la possibilità di praticare la filiera breve assicurandosi freschezza, qualità e anche rapporti di fiducia tra tutti gli attori della filiera». Hanno lavorato sull’opinione pubblica e le istituzioni nazionali partecipando anche ai tavoli di discussione del Ministero dell’Educazione per sensibilizzare sull’importanza dell’educazione alimentare e la salubrità dei pasti nelle mense scolastiche. Sono i soci del Convivium Slow Food di Praga che due anni fa hanno lanciato il progetto Dream Canteen influenzando anche la politica nazionale e contribuendo alla ratifica del cosiddetto Titbit Decree che ha proibito la diffusione degli snack industriali nelle vending machine e nei bar delle scuole e promosso la distribuzione di merende più salutari, come frutta e verdure.
Una giornata a Terra Madre Salone del Gusto? Non basta! Ardua impresa illustrare tutti i luoghi coinvolti in questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto, che, oltre alle tre sedi ufficiali - Lingotto Fiere, Piazza Castello, Nuvola Lavazza - coinvolge tutta Torino e il Piemonte. Provando a immaginare una giornata all’evento, partiamo da Lingotto Fiere, che torna a essere il cuore della manifestazione. Qui non c’è che l’imbarazzo della scelta nel ricco programma delle cinque aree tematiche #foodforchange dedicate a Slow Meat, Slow Fish, Cibo e salute, Semi, Api e insetti. Conferenze con esperti del calibro di Maria Canabal, fondatrice e presidente del Parabere Forum, e Amitav Ghosh, scrittore, giornalista e antropologo indiano, forum con i delegati della rete di Terra Madre e percorsi interattivi in cui divertirsi e mettersi alla prova. Moltissimi i Laboratori del Gusto che solleticano il palato, in cui assaggiare le “verdure di mare” e i mille usi della banana in cucina. Se avete ancora un languorino prenotate una Scuola di cucina, il “fritto permesso” e l’arancina gigante vi aspettano! Mentre tra le bancarelle del Mercato italiano e internazionale trovate, come da tradizione, il meglio della produzione gastronomica dai cinque continenti. E se siete appassionati di dolci e lievitati, non perdetevi la Fucina pizza e pane: moltissimi appuntamenti per provare il piatto partenopeo, croccante o soffice che sia, i migliori pani con grani antichi e concludere in dolcezza con biscotti e dessert. Da non perdere la Piazza del Gelato animata da Alberto Marchetti: venite a provare il fiordilatte con zucchero grezzo o la farina bóna! Per una pausa letteraria fermatevi allo stand di Slow Food Editore, dove sfogliare le ultime novità della casa editrice. Tappa obbligata è l’Oval, dove vi accoglie l’Arena di Terra Madre, lo spazio dedicato a migranti, giovani e popoli indigeni in cui ascoltare le storie, conoscere i progetti e condividere le loro tradizioni. Oltre 40 cuochi si alternano alla Cucina di Terra Madre, in cui gustare i piatti tipici di ogni continente, mentre di fronte troviamo la Caffetteria dei Presìdi per bere una buona tazzina con i migliori chicchi tutelati da Slow Food. Girovagando tra gli espositori, ecco finalmente i Presìdi italiani e internazionali che presentano curiosità da tutto il mondo, come il burro di karitè del Burkina Faso o l’anice verde di Castignano (Marche), e la via animata dai produttori dei Mercati della Terra dal Nord al Sud Italia. Interessante lo spazio dedicato all’olio extravergine di oliva, con l’Oil bar e la possibilità di degustare “l’oro verde” delle diverse regioni italiane grazie ai suggerimenti degli esperti della guida agli Extravergini di Slow Food. Gli studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo vi danno appuntamento sia all’Oval con un programma di degustazioni in compagnia dei produttori e conferenze con professori ed esperti, che in città, per assaggiare specialità nascoste nei vicoli torinesi. Segnatevi la grande caccia al tesoro con cui si conclude il programma lunedì pomeriggio, se ne vedranno delle belle! E ora addentriamoci nel centro del capoluogo piemontese perché sono ancora moltissime le iniziative imperdibili. Se volete raggiungere Piazza Castello e Nuvola Lavazza utilizzando i mezzi,
potete usufruire delle navette a basso impatto ambientale, messe a disposizione da Iveco Bus, che partono con flusso continuo da Lingotto Fiere (lato via Nizza). Palazzo Reale ospita l’Enoteca, con oltre 600 etichette, tra cui 130 Chiocciole della guida Slow Wine; tutti i 220 vini premiati dal concorso Mondial des vins extrêmes organizzato dal Cervim e dedicato alla viticoltura eroica; 100 Triple A proposte da Velier, tra cui il Presidio georgiano dei vini in anfora, e molto altro. Il tutto raccontato dai sommelier Fisar, gli inseparabili compagni di viaggio enologico per tutti i nostri eventi, anche grazie a una wine list molto particolare: per la prima volta infatti gli appassionati dell’Enoteca possono usare la Wine Appening, il catalogo di tutte le etichette in degustazione disponibile per Android e iPhone, che permette la ricerca e la consultazione delle schede dei vini e delle cantine, anche prima dell’evento, costruendo così la propria lista desiderata e, dopo la degustazione, anche dei vini più apprezzati. Insieme all'Enoteca la piazzetta Reale ospita anche il Punto Mixology e i 16 Food truck, perfetti per una pausa golosa. L’Enoteca e i Food truck vi aspettano tutti i giorni a partire dalle 12 e fino a mezzanotte (tranne lunedì) insieme al programma di attività messo a punto dalla Regione Piemonte che prevede, tra le altre cose, concerti, proiezioni cinematografiche e spettacoli teatrali, come quello di sabato 21 che ha per protagonista il Leone d’Oro alla carriera 2018 Antonio Rezza. Dopo una sosta ristoratrice alla Casa Slow Food Piemonte in via Garibaldi angolo piazza Castello, dove assistere a interessanti dibattiti e scoprire tutte le attività sul territorio, pronti per tuffarvi nel Terra Madre IN: un ricchissimo programma di eventi che vi aspetta IN giro per la città; dal festival teatrale Siediti vicino a me in zona Porta Palazzo ai laboratori in cui si impara a fare la pasta fresca con le anziane di Mirafiori. I bimbi di ogni età sono attesi, tra gli altri, al Museo del Risparmio per la Merenda con furto, o al Museo Egizio per indagare sulle abitudini degli antichi Egizi con Una fame da oltretomba! Ricco di spunti è il palinsesto della Nuvola Lavazza che, oltre a una serie di appuntamenti dedicati al mondo del caffè e alle sue evoluzioni culturali e gastronomiche, propone conferenze, come quella con gli chef, protagonisti di una cucina sostenibile, Olivier Roellinger, Pierre Thiam e Claudia Albertina Ruiz Sántiz, e presentazioni di libri come le ultime pubblicazioni Con tutti i miei sensi di Alice Waters per Slow Food Editore e la collana Terra Futura, per rileggere gli attualissimi testi degli autori del Club di Roma, edita insieme a Giunti. La giornata non può che concludersi con un Appuntamento a Tavola, le cene preparate da grandi chef italiani e internazionali… mai provato la cucina del catalano Artur Martínez? Se la risposta è no, affrettatevi a prenotare, la cena nella Sala dei 200 di Eataly vi aspetta! E se rientrate negli under 35, Matteo Baronetto vi invita al Cambio per un percorso di sette portate dedicato a palati curiosi e attenti ma soprattutto giovani! Grandi sorprese notturne ci riserva ancora il Lingotto: mentre i padiglioni che ospitano il Mercato chiudono alle 21,30, fino a mezzanotte nel cortile antistante l’Oval trovate 18 Cucine di strada e 45 etichette di birre artigianali ad attendervi. L’unica biglietteria aperta è all’Oval ma se arrivate con i mezzi o in via Nizza non preoccupatevi, un servizio di navette è a disposizione per accompagnarvi.
I nuovi Presìdi Slow Food dalla Penisola a Torino Moltissime le novità a Terra Madre Salone del Gusto Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta. Ed è proprio nella nostra Penisola, ricca di prodotti artigianali, tecniche tradizionali, specie autoctone e paesaggi rurali, che già nel 1999, la Chiocciola ha avviato la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus (www.fondazioneslowfood.it). Il progetto ha dato vita a uno degli strumenti più forti dell’Associazione: i Presìdi, che sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. In questo ambito, a Terra Madre Salone del Gusto 2018 debuttano 28 nuovi Presìdi italiani che vanno ad arricchire lo straordinario bagaglio della Fondazione. Sono dieci le regioni che presentano quest’anno una nuova ricchezza da tutelare: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Campania, Puglia e Sicilia. Piemonte - Riso gigante di Vercelli Iniziamo dal Nord con il Piemonte che quest’anno presenta il riso gigante di Vercelli. Coltivato nella capitale europea del riso, questa varietà è stata abbandonata intorno gli Anni ‘50 per lasciare spazio ad altre più produttive. Oggi alcuni agricoltori l’hanno recuperata per le proprietà nutrizionali e per la resistenza alle malattie fungine. Ottimo per la cottura e la mantecatura, la sua rappresentazione più tradizionale è la panissa vercellese: un risotto con vino rosso, salame della duja, lardo, fagioli e cotica di maiale. Il Presidio è protagonista del Laboratorio del Gusto Un’arancina gigante e del programma dei Tour Divini con l’appuntamento Alla scoperta della provincia di Vercelli. Veneto - Broccoletto di Custoza Proseguiamo a Est con il Veneto che propone il broccoletto di Custoza. Coltivato solo da otto agricoltori, un tempo era considerato una coltura di recupero per terreni aridi e sassosi. La pianta è facilmente distinguibile da altri broccoli perché non sviluppa il panetto fiorale, tipico di queste specie, ma un cuore centrale di foglie. Si raccoglie a mano e si consuma per intero, compresa la costola che è tenera e non filamentosa. Grazie alle sue caratteristiche e al gusto delicato e leggermente dolce, le famiglie di Custoza lo mangiano semplicemente scottato in acqua bollente, condito con olio extravergine e accompagnato da uova sode e salame. Friuli Venezia Giulia - Fagiolo di San Quirino A San Quirino, un piccolo centro del pordenonese, si coltiva fin dall’800 questo piccolo fagiolo dal grande potere economico. Infatti, a quel tempo il suo prezzo superava quello dell’avena e del granturco. Nonostante il loro grande valore, la coltivazione di questi fagioli è quasi scomparsa a partire dal Novecento. Fino a oggi, quando alcuni giovani hanno recuperato la semente e ripreso la coltivazione tradizionale: raccogliendo, essiccando e battendo le piante a mano con bastoni di legno per far uscire i semi dal baccello. I fagioli si lasciano poi asciugare al sole per qualche giorno e si conservano in sacchi di juta.
Friuli Venezia Giulia - Antiche mele dell’Alto Friuli Nel Friuli Venezia Giulia la coltivazione del melo risale ai tempi della dominazione romana. Negli anni, poi, ci sono state varie contaminazioni: alcune varietà erano autoctone, altre importate da friulani emigrati in giro per il mondo. Nell’ultimo secolo la maggioranza di queste mele è stata soppiantata da poche varietà commerciali da reddito. Slow Food ha riunito nel Presidio gli agricoltori custodi di dieci varietà storiche (gialla di Priuso, di corone, ruggine dorata, rosso invernale, chei di rose, naranzinis, striato dolce, zeuka, Marc Panara e blancon) e ha stilato un disciplinare di produzione, che definisce l’area di produzione e prevede tecniche di coltivazione sostenibili. Friuli Venezia Giulia - Varhackara Il varhackara è un pesto particolare della provincia di Udine (Paluzza), preparato con lardo bianco, speck, pancetta affumicata e l’aggiunta di qualche erba aromatica. Tradizionalmente è conservato nella pietra e può essere consumato come antipasto spalmato sul pane o sui crostini caldi o, ancora, come condimento per un piatto a base di gnocchi di patate o una pasta tipica friulana che sono i cjarsons. Il prodotto può essere acquistato oggi solo da due produttori e rischia di scomparire presto. Emilia Romagna – Pecora cornigliese La pecora cornigliese deve il proprio nome a Corniglio, un piccolo comune dell’alto Appennino parmense dove è allevata da diversi secoli. Di mole grande (i maschi superano i 100 kg), è stata selezionata a metà del ‘700, quando i Borboni fecero incrociare pecore della zona di Parma con le razze merinos spagnole per ottenere capi in grado di produrre lana pregiata. All’inizio del ‘900 è stata incrociata con arieti bergamaschi per migliorare l’attitudine alla produzione di carne. È quindi una razza a triplice attitudine (latte, carne, lana). Tuttavia oggi, nonostante la qualità tessile della lana, prevale l’allevamento da carne per via delle masse muscolari compatte e con poco grasso. Arrivata vicinissima all’estinzione - nel 1994 si contavano appena 50 capi -, è in lieve ripresa ma non ancora il riparo. Emilia Romagna – Pesca buco incavato Tra l’800 e il ’900 Massa Lombarda è stata sede dei primi esperimenti sugli impianti di alberi da frutto. Il simbolo di questa “rivoluzione” è senz’altro il buco incavato, la varietà di pesco più diffusa in queste zone. È una pesca di buona pezzatura e molto saporita. La polpa è bianca e la buccia ha sfumature rosso intenso. Il frutto ha forma sferica con una sutura molto profonda e incavata, caratteristica che la distingue e le dà il nome. Negli anni ’30 questa varietà raggiungeva mezza Europa, ma con l’introduzione delle pesche a polpa gialla, più adatte alla conservazione e a spedizioni a lunga distanza, è iniziato il suo declino. A metà degli anni ’50 rappresentava meno dell’1% della produzione regionale. Era dunque praticamente scomparsa, ma molti contadini hanno conservato uno o due piante per il consumo familiare che oggi sono state riscoperte. Emilia Romagna – Carciofo di San Luca Nella prima metà del secolo scorso il carciofo di San Luca era una delle coltivazioni principali sui versanti delle colline a sud di Bologna. I terreni argillosi della collina bolognese conferiscono alla varietà un sapore fresco, erbaceo con note di liquirizia. Grazie a queste caratteristiche un tempo era apprezzata e conosciuta in tutta la regione e rappresentava un vanto e una fonte di reddito importante per gli agricoltori locali. Con lo spopolamento delle campagne degli anni ’70 inizia
anche l’abbandono di questa varietà. Oggi, i pochi contadini che hanno conservato questa coltivazione, insieme ad alcuni giovani, stanno cercando di rilanciare i carciofi di San Luca sul mercato locale. Dalla loro iniziativa è nato il Presidio. I carciofi di San Luca si mangiano freschi o appena lessati e conditi con olio extravergine e sale. Emilia Romagna – Moretta di Vignola Presente sul territorio modenese dalla fine dell’800, questa varietà di ciliegia si è diffusa commercialmente nei primi anni del ‘900. Ha una buccia sottile, lucida e quasi nera a completa maturazione. La polpa è tenera, molto succosa, di colore rosso cupo nerastro, mentre il sapore è dolce e leggermente acidulo. Ottima fresca, è perfetta anche per preparare confetture e composte. Negli anni ’40 e ‘50 la moretta di Vignola rappresentava più del 25% della produzione cerasicola della zona. Oggi la produzione della moretta si è ridotta ad appena qualche decina di quintali ed è stata sostituita da cultivar che entrano in produzione più rapidamente e con caratteristiche più adatte alla conservazione e al commercio. Toscana - Pomodoro canestrino di Lucca Dalla Toscana arriva il pomodoro canestrino di Lucca, il cui nome è legato alla forma a canestro. Una varietà tanto apprezzata in passato che ogni famiglia della zona conservava gelosamente i propri semi. Questo ha permesso di mantenere una buona variabilità genetica e, oggi, grazie agli ultimi superstiti custodi delle sementi, di salvare la varietà. Il Presidio nasce per valorizzare il canestrino, anche detto “costoluto” o “cresputo”, e distinguerlo dal più comune cuore di bue, un cugino ibrido e per questo di più facile coltivazione. È possibile assaggiare questa varietà nel Laboratorio del Gusto Una finestra sulla biodinamica: la comunità lucchese. Toscana - Olivo quercetano L’olivo quercetano è una varietà autoctona della località di Querceta (Lu) che oggi rischia l’estinzione a causa dell’urbanizzazione che ha ridotto la coltivazione a piccoli fazzoletti di terra tra le case. A causa delle piccole dimensioni delle olive e del rapporto polpa-nocciolo sfavorevole rispetto ad altre varietà, l’oliva quercetana è attaccata in ritardo dalla mosca delle olive e quindi consente di ottenere un olio di qualità superiore. La sua produttività non è sempre costante, ad annate buone si succedono annate molto scarse ma la qualità dell’olio resta sempre eccellente. Umbria – Ricotta Salata della Valnerina La Valnerina è una terra selvaggia ricca di boschi e pascoli; in passato la pastorizia è stata una delle principali attività dell’economia locale. Durante la transumanza i prodotti della lavorazione del latte di pecora dovevano essere trasportati e conservati. Una parte della ricotta era ingrediente una zuppa tradizionale di pane e siero con ricotta fresca. La parte che rimaneva era invece sistemata in un sacco di canapa, strizzata per eliminare la parte liquida, salata e lasciata asciugare appesa. È nata così la ricotta salata, con la sua tipica forma a pera dovuta alla sacca di tela. Il Presidio riunisce allevatori che lavorano solo il proprio latte, rigorosamente crudo, allevando le greggi sui pascoli della Valnerina. Marche - Anice verde di Castignano Nelle Marche l’anice è consumato e commercializzato già dal ‘700 e la sua coltivazione è molto diffusa in particolare nel Piceno. In questa zona l’esposizione soleggiata e le fresche correnti
permettono di selezionare un ecotipo di anice verde più ricco in profumo e dolcezza, grazie alla straordinaria concentrazione di anetolo (il composto aromatico dell’anice e del finocchio) pari al 94%. Oltre al liquore all’anice, simbolo della regione, classico è anche l’utilizzo in tisana, come decotto, e la trasformazione in latte di anice, che si ottiene pestando i semi e lasciandoli in infusione per 5 minuti nel latte bollente. Marche - Fava di Fratte Rosa A Fratte Rosa, piccolo paese tra le colline pesaresi, gli abitanti sostengono che le fave migliori siano quelle coltivate sui lubachi, i terreni ricchi di argilla bianca che hanno dato origine a due produzioni tipiche del posto: i "cocci" di terracotta e le fave. Nei secoli, i contadini hanno selezionato un ecotipo dal caratteristico baccello corto contenente in media quattro semi dal gusto dolce e teneri anche a piena maturazione. Per decenni le fave sono state un alimento base per la popolazione locale: fresche o secche erano ingrediente di varie ricette casalinghe, trasformate in farina, miscelata con la farina di grano, servivano per produrre pane e pasta. Campania - Pecora laticauda Il nome della pecora laticauda fa riferimento alla larga coda che la caratterizza e le serve da riserva di grasso e acqua. Questo ovino, di grandi dimensioni, è frutto di vari incroci, tra cui quello tra la pecora nord-africana, detta barbaresca, e la pecora appenninica locale. Il prodotto più pregiato della razza è l’agnello che ha un’alta resa alla macellazione e le cui carni sono prive del tipico odore ircino degli ovini. Oltre a produrre buone quantità di formaggi, la laticauda è particolarmente conosciuta per gli ammugliatielli, tipici involtini preparati con il quinto quarto. A Terra Madre Salone del Gusto potete assaporare le ricette che vedono protagonista il Presidio durante la Scuola di Cucina Sapori irpini: la pecora laticauda – questione di razza. Campania - Fusillo di Felitto Il fusillo di Felitto è un cilindro cavo di pasta all’uovo dalla lunghezza compresa tra i 18 e i 22 cm. Viene fatto completamente a mano dalle donne del paese del salernitano che danno la forma alla pasta servendosi di un ferro finissimo: una tradizione secolare, tramandata oralmente di madre in figlia fino ai giorni nostri. Oggi questa pasta è molto famosa e ricercata ma la produzione è scarsa. I fusilli sono una ricchezza artigianale della zona che potrebbe presto scomparire insieme alle poche donne che ancora ne custodiscono il segreto. Con la Scuola di cucina L’arte del fusillo di Felitto è possibile cimentarsi nella creazione di questa tradizione secolare imparandone le tecniche direttamente dalle protagoniste. Campania – Pane Saragolla del beneventano Dalla saragolla, antica varietà di grano duro coltivata nelle aree interne del Sannio, in provincia di Benevento, si produce da sempre un pane tradizionale. Alla semola si aggiunge il lievito madre, poi si tiene la massa al caldo per tutta la notte e si impasta di nuovo, con altra semola, acqua, lievito e sale. La seconda lievitazione dura circa 3-4 ore. Al termine le pagnotte rotonde vengono contrassegnate con tagli trasversali e cotte nel forno a legna. La crosta sottile e marrone con sfumature brune nasconde una spessa mollica beige con sfumature giallognole. Il Presidio sostiene tutta la filiera: dai coltivatori di grano saragolla ai mulini che lo trasformano in semola fino ai fornai. È possibile assaggiare il pane di saragolla partecipando al Laboratorio del Gusto Buono come il pane.
Campania - Fico monnato di Prignano Cilento Da secoli il territorio intorno a Prignano Cilento (Sa) regala agli abitanti il fico monnato, meglio conosciuto come fico bianco del Cilento. I produttori hanno sviluppato una tecnica di essicazione unica: si sbucciano a mano i fichi prima di farli essiccare facendo attenzione a non incidere la polpa. Per questo sono detti monnati, ovvero mondati nel dialetto locale. Segue, poi, l’essiccazione: i frutti interi sono sistemati su graticci di canne, esposti al sole e al vento dalla mattina fino a poco prima del tramonto e girati a mano più volte, affinché l’essiccazione sia omogenea. Il Presidio riunisce i pochi produttori che ancora praticano questa complessa lavorazione. Campania - Pomodorino verneteca sannita Coltivata nelle zone pedemontane dell’appennino sannita (Benevento), la verneteca sannita è piccola e tonda di colore giallo. Entro poche ore dalla raccolta i pomodorini sono intrecciati e legati con lo spago, formando grappoli dorati che vengono poi appesi in luoghi areati e riparati, come balconi e tettoie, dove si conservano fino alla primavera successiva. Infatti, grazie alla consistenza della buccia, si mantiene all’aria aperta e si può consumare crudo durante l’inverno; da qui il nome di vernino o verneteca. Il pomodorino verneteca sannita è protagonista, insieme ad altri, della Scuola di Cucina Pizza e bloody mary: che pomodoro ci metto?. Campania - Antico aglio dell’Ufita La valle del fiume Ufita, nell’Appennino avellinese, è una zona particolarmente vocata alla coltivazione di aglio fin da tempi immemori. Qui cresce il Presidio dell’antico aglio dell’Ufita che si caratterizza per l’alta concentrazione di allicina (il composto solforganico dell’aglio). Infatti l’aroma e il sapore di questa varietà sono molto intensi, così come la piccantezza, che facilita anche la conservazione dei bulbilli. Nella cucina irpina l’aglio dell’Ufita è l’ingrediente principale di alcune preparazioni tipiche come la frittata di aglio fresco, la ciambuttella di Grottaminarda e gli spaghetti alla chitarra aglio, olio e peperoncino. Campania - Noce della penisola sorrentina Le noci di Sorrento erano coltivate già dai Romani. Lo testimonia anche il nome di alcune località: il Comune di Piano di Sorrento, ad esempio, è conosciuto anche con il nome di Caruotto, dal greco charouon, che significa noce. La varietà che cresce in questa zona è molto pregiata per via del gheriglio voluminoso, tenero, croccante e del sapore gradevole e delicato. Inoltre, il gheriglio, a differenza di altre varietà, può essere facilmente estratto integro. Per queste sue qualità la noce sorrentina è molto apprezzata dai pasticceri della zona per la preparazione di biscotti, torroni e semifreddi. Famoso è anche il liquore chiamato nocino. Campania - Vecchie varietà di albicocche del Vesuvio Delle circa cento cultivar riportate nella letteratura ne sono state rintracciate una settantina, ma solo una quindicina è ancora presente in campo, in un’area del Vesuvio gestita da aziende di piccole dimensioni. Estremamente dolci, di qualità organolettica superiore alle varietà moderne, ma più delicate e deperibili, sono di difficile gestione nei mercati ortofrutticoli. I nomi sono curiosi, solo per citarne alcuni: boccuccia, vicienzo e’ maria, vitillo e cafona. Queste varietà testimoniano
l’intensa attività di selezione svolta nei secoli dai contadini per ottenere il meglio da una delle risorse più redditizie di questa terra. Campania - Fagiolo quarantino di Volturara Irpina Nell’altopiano irpino, ai piedi del monte Terminio (Av), si coltiva un fagiolo bianco, tenero e leggermente farinoso, detto anche quarantino per la durata del suo ciclo di maturazione. La coltivazione manuale e laboriosa di questa varietà ha impedito la sua produzione su vasta scala e, poco per volta, ha ridotto drasticamente il numero dei produttori. I fagioli si conservano aggiungendo pepe nero e spicchi d’aglio e sono ingrediente di numerose zuppe e minestre della tradizione di Volturara. Un piatto, in particolare, è simbolo di questa zona: i fagioli con cotiche di maiale e castagne serviti caldi sul pane raffermo. Campania - Cece di Teano Il cece di Teano (Cs) è piccolo, color nocciola, ha pelle sottile e superficie rugosa. Per questo è anche conosciuto come “cece piccolo riccio”. Sono pochi gli agricoltori che hanno conservato i semi di questa varietà e che continuano a coltivarla. Con il Presidio nuovi produttori si sono fatti avanti e ne hanno ripreso la coltivazione, ma questa varietà antica è ancora a rischio di estinzione. In questo territorio è coltivato da sempre per il consumo familiare e, fino agli Anni ‘60, era ingrediente base della cucina contadina: nelle zuppe, nelle passate, con la pasta. Il piatto tradizionale più noto prevede tagliolini tirati a mano conditi con ceci, sugo di pomodoro e salsiccia di maiale nero teanese. Il Presidio è presente insieme ad altri alla Scuola di Cucina Un mondo di ceci – Slow Beans. Campania - Pisello centogiorni Coltivato nell’area del Vesuvio da almeno un secolo, il pisello centogiorni deve il suo nome alla durata media del ciclo produttivo. Tutte le fasi della produzione avvengono manualmente, dalla semina alla raccolta dei baccelli freschi. I piselli, che si mangiano verdi o secchi, sono molto apprezzati per la loro estrema dolcezza e la consistenza tenera della buccia. Ingrediente cardine della minestra di pasta e piselli napoletana, vengono fatti cuocere con cipolla e pancetta prima di aggiungere i classici tubetti o pasta mista. Puglia - Pomodoro giallorosso di Crispiano Nel cuore della provincia di Taranto, immerso tra colline e ulivi secolari, nell’area agricola più fertile della Puglia, le famiglie di Crispiano coltivano da secoli il pomodoro giallorosso. Forma tondeggiante, polpa morbida e buccia spessa, ha un colore aranciato che sembra non arrivare mai a maturazione completa. I pomodori giallorossi sono ottimi in insalata, per preparare sughi e come condimento delle frise. Puglia - Pomodorino di Manduria Il pomodoro di Manduria ha una resa bassa rispetto agli ibridi commerciali e richiede molto lavoro. Perciò, nonostante le ottime caratteristiche organolettiche, è stato via via sostituito da coltivazioni intensive. Il seme, rintracciato grazie ad alcuni agricoltori anziani che lo avevano gelosamente custodito, è ora un Presidio che coinvolge anche alcuni giovani produttori, tutti certificati bio. Alcune famiglie, ad agosto, lasciano appassire i pomodori su graticci di canne mentre, con i frutti più maturi, si prepara la passata. Tradizionalmente il pomodorino di Manduria si mangia fresco
insieme al cetriolo carosello o nella jatedda, un’insalata a base di pomodorini freschi, aglio, olio, sale, capperi e origano con cui si condiscono le friselle. Sicilia - Lenticchia nera delle colline ennesi Infine, dalla Sicilia arriva a Torino la lenticchia nera delle colline ennesi, una delle più caratteristiche per via della colorazione che la distingue dalle altre varietà: tegumento nero, ma interno rosso-brunastro. La sua variabilità genetica – testimoniata dalla presenza frequente di semi non neri – non è un difetto, ma al contrario una ricchezza, che le permette di sopravvivere e adattarsi al cambiamento climatico che sta rendendo queste aree sempre più aride. Grazie alla particolare nota minerale è ottima anche con il pesce, in particolare con i gamberi. È possibile assaggiare il Presidio a Terra Madre Salone del Gusto, nel Laboratorio del Gusto Una lenticchia tutta nera! – Slow Beans. Per conoscere tutti i Presìdi visita il sito della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus www.fondazioneslowfood.it.
Presìdi Slow Food dal mondo a Torino Sedici novità da tre continenti a Terra Madre Salone del Gusto Sono sedici i nuovi Presìdi Slow Food che arrivano da tutto il mondo per farsi conoscere a Terra Madre Salone del Gusto nel padiglione dell’Oval. Vanno ad accrescere il patrimonio della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus (www.fondazioneslowfood.it) che dal 1999 cataloga e recupera varietà locali, tecniche tradizionali, razze autoctone e risorse ittiche a rischio di estinzione con l’obiettivo di tutelare la biodiversità del nostro pianeta. Le novità arrivano da tre diversi continenti: Africa, Europa e Americhe. Scopriamoli insieme attraverso un viaggio intorno al mondo. L’Africa sbarca a Terra Madre Salone del Gusto con tre ricchezze da tutelare: l’arancia Rex Union, il caffè Nyasaland del monte Elgon e il Piccolo farro del Rif. L’arancia Rex Union compare per la prima volta in Sudafrica all’inizio del XX secolo e prende il nome da George Wellington Rex, pioniere di questa varietà. Oggi resta un solo aranceto di Rex Union che contiene meno di 300 alberi e appartiene alla fattoria di Lemoenfontain di Rustenburg, nella Provincia del Nordovest, a 120 km da Johannesburg. Nel 2014 la rete Slow Food locale si è impegnata per salvare il frutteto di questa fattoria che all’epoca era abbandonata. Questa varietà locale è l’ingrediente principale di una marmellata tradizionale che ancora oggi viene prodotta a livello artigianale e domestico. L’Uganda presenta le varietà di caffè Nyasaland del monte Elgon che si differenziano dalle concorrenti ibride della zona per l’aroma più intenso e floreale, con sentori di mandorla. I produttori conservano piante molto vecchie (coltivate fin dagli Anni ‘40) che sono sopravvissute alla distruzione degli alberi di Nyasaland imposta dalla dittatura di Idi Amin negli Anni ’70. La coltivazione avviene tra i 1.260 e i 1.550 mt s.l.m. insieme ad altre decine di colture locali, con fertilizzante naturale e grandi alberi africani che con le loro foglie nutrono il suolo e fanno ombra, permettendo così la traspirazione dell’acqua. Un sistema perfettamente agroecologico. Il Presidio del caffé Nyasaland è stato realizzato da Slow Food Uganda nell'ambito del Progetto Uganda, reso possibile grazie al sostegno del Fondo di Beneficenza di Intesa Sanpaolo. Per merito del Progetto oggi l'Uganda conta sei Presìdi Slow Food, 81 comunità del cibo di Terra Madre oltre 300 orti Slow Food, 3 Mercati della Terra a Mukono, Manafwa e Lira, 42 prodotti inseriti nell’Arca del Gusto e il catalogo di Slow Food dei prodotti alimentari a rischio di estinzione e da salvaguardare. Inoltre, l'Uganda è entrata a far parte dell’Alleanza dei cuochi Slow Food, con 17 chef impegnati a promuovere i produttori locali e a mantenere in vita le tradizioni gastronomiche del Paese. Dalle montagne del Nord del Marocco arriva il piccolo farro del Rif occidentale e centrale. Da secoli questa varietà rustica viene coltivata nel territorio conosciuto come Jbala, un'area remota e difficile da raggiungere, che gli esperti riconoscono come "hot spot di biodiversità". Il piccolo farro del Rif è ingrediente di diverse ricette tradizionali: con i chicchi si fanno zuppe, con la farina si preparano pasta (m’hamsa), pancakes (baghrir) e un pane dal sapore dolce di nocciola. Il farro tostato è anche usato come sostituto del caffè. I nuovi arrivati dall'Europa giungono dalla Svezia, dall'Austria e dalla Russia. Si tratta del gurpi di renna dei Sámi, del pane della Valle del Lesachtal e del sale pomorka del Mar Bianco. Il gurpi è un
salume tradizionale dei pastori Sámi a base di carne di renne: un Presidio anti-spreco perché si produce con gli avanzi di altre preparazioni. Le renne sono lasciate libere nelle foreste a Nord della Svezia e si cibano di erba, funghi e licheni. Al momento della macellazione i pastori costruiscono intorno alle renne recinti molto ampi - anche di alcuni chilometri di diametro – che poi riducono gradualmente lasciando sempre spazio agli animali per cibarsi liberamente. Questo sistema di recinti sempre più piccoli a mano a mano che ci si avvicina al luogo della macellazione non causa stress perché non prevede cattura o trasporto. Nella valle del Lesach, in Carinzia (Austria meridionale), si coltivano cereali da oltre 400 anni. Antiche varietà di segale e frumento sono legate a un territorio il cui paesaggio è caratterizzato da vecchi mulini ad acqua (dichiarati patrimonio dell’Unesco e ristrutturati a partire dal 2010). Qui si prepara un tipico pane contadino, dalla forma compatta e dalla crosta sottile, prodotto con lievito madre, farina di segale e, in piccola parte, farina di frumento. La segale rende il pane più salutare rispetto a un classico impasto di grano, perché contiene una percentuale di glutine più bassa e, quindi, è più digeribile. Nella Repubblica di Carelia abitano i Pomors, che hanno vissuto in una posizione privilegiata e autonoma rispetto ai popoli in condizione di servitù di molte altre parti della Russia, sviluppando diverse attività artigianali. La produzione di sale di Pomorka è stata una delle principali. Ottenuto per evaporazione e noto anche come “pomoryanka” e “moryanka”, questo sale ha un sapore non troppo forte e una colorazione brunastra dovuta all’elevato tasso di acido umico e alle microalghe presenti nelle acque del Mar Bianco. Infine dall'America, protagonista assoluta in questa edizione, ecco il Clairin tradizionale di Haiti, il sale di Zapotitlán del Messico, il cacao nacional del Chocò dall'Ecuador, il miele selvatico dei Wichi argentino, e ben sei nuovi Presìdi dal Brasile: cacao cabruca del sud di Bahia, sesamo Kalunga, pequi dello Xingu, pequi del nord di Minas Gerais, butiá del litorale catarinense e farina fine dei mulini di Santa Catarina. Cominciamo il nostro viaggio dalle Antille, con il Clairin tradizionale di Haiti. Si tratta di un rum agricolo, ossia ricavato dal puro succo di canna da zucchero e non dalla melassa diluita in acqua, come accade per il rum industriale. La lavorazione tradizionale con cui è ottenuto ha oltre 300 anni di vita. È molto diffuso sull'isola perché è considerato “il rum del popolo”, legato anche ai riti religiosi del voodoo e alle battaglie dei galli. Se ad oggi, nel resto dei Caraibi, sono ancora attive meno di 50 distillerie, solo ad Haiti si contano oltre 500 piccole distillerie artigianali. Il Presidio è protagonista della degustazione guidata dal patron di Velier e massimo esperto di rum, Luca Gargano, in occasione del Laboratorio del Gusto Futuro prossimo venturo: Clairin, Presidio Slow Food Spostiamoci in Messico, per la precisione nella zona sudorientale dello Stato di Puebla, dove si trova la Riserva della Biosfera di Tehuacán–Cuicatlán, una delle regioni con maggiore diversità di flora al mondo. Zapotitlán è riconosciuta in tutto il Messico per il suo pregiato sale fossile, formatosi circa 50 milioni di anni fa, epoca in cui questa zona, ora semi-desertica, era sommersa dal mare. Ed è antichissima anche la tecnica di estrazione, che i reperti archeologici fanno risalire a oltre duemila anni fa: il metodo di produzione è immutato dal XVI secolo, quando la cottura è stata sostituita dall’evaporazione solare, riducendo i costi e aumentando la produzione.
Scendiamo ora in Sudamerica, lungo la regione tropicale del Chocó che si estende dal Canale di Panama fino al litorale nord-occidentale ecuadoregno, attraversando il Pacifico colombiano. In Ecuador, il Chocó andino comprende le foreste umide della parte nord-occidentale del paese. Questo territorio è noto per la produzione di cacao fino de aroma, chiamato anche nacional, una varietà ecuadoriana riconosciuta in tutto il mondo per le eccellenti qualità organolettiche. Il cacao nacional è trasformato in molti prodotti diversi: cacao in polvere, pasta di cacao, burro di cacao e barrette di cioccolato, che danno valore aggiunto alla materia prima e facilitano la vendita sul mercato locale e nazionale. Nel corso degli anni, la coltivazione del cacao nacional in Ecuador si è ridotta notevolmente, perché la sua produttività è inferiore rispetto agli ibridi e il prezzo spuntato dagli agricoltori, invece, è lo stesso. In alcune zone, l’80% delle piantagioni tradizionali di cacao nacional è già stato sostituito con altre varietà. In Argentina facciamo conoscenza con gli indigeni Wichi, che vivono da sempre nella zona arida del Chaco centrale. Uno dei prodotti più importanti per la comunità è il miele delle api selvatiche, che nella lingua indigena viene detto twatsaj. I Wichi non sono apicoltori: infatti non allevano le api, ma raccolgono il miele nelle cavità degli alberi. Due mesi dopo l’inizio della fioritura (metà agosto), gli alveari selvatici iniziano ad accumulare miele. Il mese di novembre, quando iniziano le piogge, è il momento propizio per la raccolta. Gli uomini, osservando l’attività delle api, identificano gli alberi o i rami cavi in cui si trova il miele e lo raccolgono, lasciandone una parte, che spesso contiene anche polline, per il nutrimento delle colonie. Estraggono cera e miele e poi pressano il tutto per separare la cera. Infine, filtrano il miele dalle impurità facendolo colare tre volte attraverso un telo e lo confezionano per la vendita. Protagonista assoluto in questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto è il Brasile, che porta ben sei nuovi Presìdi. Cominciamo con il cacao Cabruca del sud di Bahia, che prende nome da uno specifico sistema di coltivazione: per coltivare con il metodo Cabruca non si deforesta il terreno, perché le piante di cacao si sviluppano bene all’ombra di altri alberi native dell’ecosistema atlantico e coesistono con una grande varietà di specie di piante e animali. Questo metodo, praticato nella regione da più di 200 anni, è un modello che ha ispirato altri sistemi agroforestali. Il sistema Cabruca si basa su un gran numero di varietà di cacao, ma la più coltivata è la parazinho, che permette di ottenere un cioccolato di alta qualità. Di per sé, la Cabruca evita la deforestazione ma non esclude l’uso di pesticidi e fertilizzanti. Il disciplinare del Presidio, però, esclude completamente la chimica di sintesi. La comunità che si dedica alla coltivazione in Cabruca risiede in un territorio che è stato definito e assegnato alla comunità di produttori a partire dalla riforma agraria (processo cominciato nel 2002 e ufficializzato nel 2018). La comunità è organizzata secondo principi ispirati all’associativismo e al cooperativismo. In Brasile, i Kalunga sono la più grande comunità esistente fondata dagli schiavi africani fuggiti dalle piantagioni secoli fa (i quilombola), per stabilirsi in una zona di difficile accesso tra le montagne e le valli che circondano il fiume Paranà, nel nord est dello stato di Goiás. Isolati per molto tempo, sono entrati in contatto con il resto della società solo trent’anni fa.
Il sesamo è una delle loro coltivazioni da oltre tre secoli. I Kalunga ne coltivano due varietà, una più chiara, nota come gergelim branco (sesamo bianco), e una più scura, il gergelim preto (sesamo nero). La chiara è la più diffusa, più usata nella gastronomia e più apprezzata dai consumatori. Il sesamo nero, invece è più raro, per via del gusto difficile: lo spesso strato esterno dei semi, con la tostatura, assume infatti un sapore amaro. I semi non tostati sono però molto richiesti per l’elevato contenuto di olio. Nel Parco Indigeno dello Xingu (PIX), situato in un’area di transizione tra il Cerrado e l’Amozzonia e attraversato dall’omonimo fiume Xingu, si trovano molte varietà di pequi, con polpa di colore diverso (giallo, rosso o bianco), con o senza spine. Questo frutto ha un valore simbolico e il suo consumo è diffuso tra i popoli indigeni che compongono la società multietnica e multilingue del territorio indigeno Xingu. In particolare, il popolo Kisêdjê, si dedica anche alla produzione dell’olio, secondo una tecnica appresa dai popoli dell’Alto Xingu. Oggi, l’estrazione si fa tramite un macchinario nel quale vengono passati i semi, ripuliti dalle spine e tostati (nella lingua indigena dei Kisêdjê pequi significa proprio “buccia spinosa”). L’olio non ha un uso culinario, ma è impiegato dai Kisêdjê come repellente o vernice per il corpo. Si vende anche sui mercati della città di San Paolo e costituisce un’importante fonte di reddito per le comunità. I frutti del pequi si consumano anche nel Nord del Minas Gerais, dove rappresentano una risorsa economica importante per le comunità di contadini e raccoglitori del Cerrado. Il frutto è impiegato in varie ricette – la più diffusa è il riso con pollo e pequi – ma è anche ingrediente di liquori e dolci tradizionali, come la paçoca. Nonostante il valore nutrizionale, medicinale e commerciale, quest’albero rischia l’estinzione per moltissime ragioni. Alcune sono di natura socio-ambientale: la siccità sempre più grave, la deforestazione (per far spazio a monocolture di soia, cotone, canna da zucchero, eucalipto oppure pascoli per l’allevamento), l’indifferenza delle amministrazioni locali e le forti disuguaglianze sociali, che hanno provocato lotte per la terra e per il riconoscimento dei diritti degli indigeni. Altre ragioni invece sono legate alle caratteristiche del pequi: ad esempio lo sviluppo lento della pianta (con tassi di germinazione bassi e una produzione che inizia solo a partire dall’ottavo anno) e la raccolta spesso gestita in modo non sostenibile. Nel territorio della Serra Mar Catarinense, un’area costiera del sud brasiliano con un importante complesso lagunare, cresce la Butiá (Butia catarinensis) una palma non molto alta che offre un frutto simile a una piccola noce di cocco. Il guscio ha un colore che varia in base alla maturazione e alla varietà (può essere giallo, marrone, verde, arancione, rosso-arancio o rosso intenso) e contiene una mandorla, che si estrae spaccando il cocco con una pietra. Il sapore è dolce e allo stesso tempo acido, e l’aroma intenso. Questa regione, oggi, è sottoposta a una forte speculazione immobiliare, che ha visto la costruzione di infrastrutture – come il porto di Imbituba – e la diffusione di incendi dolosi. I palmeti (butiazais) si sono così ridotti notevolmente, tanto che la butiá è diventata una specie protetta a rischio di estinzione. A ciò si aggiunge il forte aumento della domanda dei suoi frutti per il consumo, che ha causato lo sfruttamento incontrollato della risorsa, anche e soprattutto da soggetti provenienti da altre regioni.
Puoi anche leggere