Tensioni sulla Spianata delle Moschee
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Tensioni sulla Spianata delle Moschee Tornano gli scontri sulla Spianata delle Moschee a causa di gruppi di fedeli islamici e degli agenti di polizia israeliana. Tornano le tensioni sulla Spianata delle Moschee. I protagonisti sono i fedeli islamici e degli agenti della polizia islamica. Al termine della preghiera in occasione della festa del Sacrificio, era essenziale evitare ulteriori tensioni tra diversi gruppi religiosi. Un portavoce della polizia ha riferito che erano presenti sulla Spianata almeno 100 mila persone. In seguito agli scontri, ci sono stati dieci feriti. Durante l’operazione, la polizia ha utilizzato gas lacrimogeni, proiettili di gomma e granate assordanti per disperdere la folla. In quell’occasione l’accesso agli ebrei era stato interdetto per evitare che la situazione si surriscaldasse. Nella stessa giornata della Id al-Adha musulmana cade anche la Tisha b’Av ebraica, durante la quale si ricorda la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Neanche alcune istituzioni israeliane erano d’accordo con l’interdizione, come ad esempio il ministro dei Trasporti
Bezalel Smotrich ha parlato di “una resa al terrorismo dei facinorosi”. La situazione alla Spianata è diventata bollente anche a causa di ciò che sta accadendo sulla striscia di Gaza. Un uomo è stato ucciso sulla zona di confine. L’esercito israeliano ha giustificato la sua azione dicendo: “Le pattuglie hanno avvistato un terrorista armato che si avvicina alla recinzione di sicurezza nella Striscia di Gaza settentrionale. Il terrorista ha aperto il fuoco sulle truppe che hanno risposto secondo le procedure in vigore.” Siria – Raid di aerei russi e governativi siriani sulla folla, 12 morti Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani, il raid è avvenuto ieri sera nella città di Maarrat Numan, a sud-est di Idlib Subito dopo l’iftar, la tradizionale rottura quotidiana del digiuno nel mese islamico di Ramadan, un bombardamento è stato
centrato un mercato ortofrutticolo affollato di persone. E’ di almeno 12 civili uccisi il bilancio di raid aerei russi e governativi siriani nella regione nord-occidentale di Idlib. Palestina accusa Israele di strumentalizzare l’Eurovision Song Contest In un video promozionale per l’Eurovision Song Contest 2019, che si terrà a Tel Aviv, Gerusalemme viene lodata come capitale di Israele. Martedì 14 maggio inizierà la 64° edizione dell’Eurovision Song Contest presso l’Expo di Tel Aviv, in Israele. L’edizione dell’anno scorso fu vinta dall’israeliana Netta Barzilai con ‘Toy’, e da qui la nomina di Tel Aviv come teatro di Eurovision 2019. Tra poche ore l’evento prenderà il via, e gli spot promozionali hanno scatenato la polemica in una terra già fratturata fino alle sue più intime radici identitarie. Il Ministero degli Affari Esteri della Palestina ha criticato un video di sponsorizzazione dell’evento, trasmesso dall’emittente televisiva pubblica di Israele, in cui si
invita a “la nostra amata capitale, la Gerusalemme dorata”. Quello che si omette, però, è che la parte Est della città è rivendicata anche dai palestinesi, come capitale del loro futuro Stato. “Il materiale promozionale pubblicato per il concorso Eurovision e approvato dall’EBU è inaccettabile a causa del ruolo culturale che normalizza l’occupazione prima dell’opinione pubblica europea e mondiale”, ha scritto il ministero degli Esteri della Palestina all’EBU, la European Broadcasting Union. “Questa propaganda cancella la mappa dello Stato di Palestina”. Le accuse suggeriscono che all’ombra del fracasso musicale del Contest, Israele stia silenziosamente espandendo il suo dominio e consolidando l’occupazione sui territori palestinesi. Alcuni eventi del concorso, infatti, si svolgeranno nei territori occupati. “La potenza occupante ne approfitta per usare il concorso per consolidarsi nella sua occupazione coloniale normalizzando l’accettazione globale della sua condotta illegale”, accusa l’omologo palestinese della Farnesina. Siria critica Stati Uniti e condanna il colpo di stato in
Venezuela Il governo siriano torna a criticare gli Stati Uniti, e “condanna con la massima fermezza il tentativo fallito colpo di stato contro il governo legittimo” venezuelano. Dopo che alcuni giorni fa l’ambasciatore siriano all’ONU aveva denunciato le misure economiche unilaterali coercitive adottate da Stati Uniti ed Unione Europea, la Repubblica araba siriana torna all’attacco, criticando Washington per le sue politiche destabilizzanti a danno del Venezuela. Il Ministro degli Esteri siriano ha diffuso un comunicato, riportato da SANA, in cui annuncia che “La Repubblica araba siriana condanna con la massima fermezza il tentativo fallito colpo di stato contro il governo legittimo della Repubblica Bolivariana del Venezuela”. L’accusa è rivolta direttamente al governo di Washington, che utilizza tutte le armi a sua disposizione, incluse quelle economiche, per sabotare le scelte del popolo venezuelano e mettere a segno un colpo di stato. “Con il tentativo di colpo di stato, intendevano trasformare il Venezuela in uno stato fallito che si trova nell’orbita della politica statunitense”, sostiene il ministero siriano. La Siria, invece, ribadisce la solidarietà al popolo e al governo di Caracas, e “sollecita immediatamente a fermare l’intervento palese e il sabotaggio degli Stati Uniti nei suoi affari interni”. Infatti, la diplomazia di Damasco sostiene di credere fermamente nel popolo e nel governo venezuelani, e nella loro capacità di contrastare l’interferenza americana.
La Siria denuncia il “terrorismo” di Europa e Stati Uniti L’ambasciatore siriano all’ONU si è scagliato contro le misure politiche ed economiche coercitive degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Bashar al-Jaafari, ambasciatore siriano all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ha criticato pesantemente l’operato degli Stati Uniti e dell’Unione Europea verso la Siria. Il cuore della denuncia sono le misure economiche unilaterali coercitive adottate dalle due superpotenze, che alimenterebbero la contraddizione tra la politica anti-siriana e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC). Il discorso, pronunciato durante una conferenza stampa a seguito del dodicesimo ciclo di consultazioni sulla pace in Siria a Nur-Sultan, in Kazakistan, ha sottolineato come “queste misure sono terrorismo economico, che si aggiungono al terrorismo politico attuato da quegli stessi paesi”. Da annoverare alla lista sotto accusa sono le sanzioni contro
Damasco attuate dall’inizio della crisi siriana. Con la scusa di punire le violazioni dei diritti umani e le repressioni delle proteste, l’Europa e gli Stati Uniti starebbero peggiorando la situazione, anziché migliorarla. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e le stesse Nazioni Unite hanno confermato che gli embarghi non fanno che aggravare la situazione umanitaria in Siria. Nella stessa occasione, Mosca, Teheran e Ankara hanno ribadito la necessità e il loro impegno a mantenere la sovranità territoriale della Siria, sottolineando l’urgenza di eliminare le cellule terroristiche nel paese. Pakistan – Assalto a un bus: uccise 14 persone Il fatto è successo nella regione del Belucistan, nel sudovest del Pakistan, vicino al confine con l’Iran, uomini armati hanno assaltato un autobus è ucciso 14 persone Ministro locale dell’Interno, Haider Ali: “Hanno fermato il pullman che viaggiava sull’utostrada Makran, da Ormara era diretto alla megalopoli di Karachi, hanno fatto scendere i passeggeri e ne hanno uccisi 14” I passeggeri, secondo la prima ricostruzione, sono stati fatti
scendere e, dopo aver verificato la loro identità attraverso i documenti, gli uomini armati ne hanno giustiziati quattordici. Tra le vittime, figurano anche un ufficiale della Marina e un membro della Guardia costiera. Gli assalitori indossavano uniformi dei paramilitari del Corpo di frontiera, ma nessuno ha rivendicato al momento la responsabilità dell’attacco. L’ipotesi più accreditata riguarderebbe un’azione dei separatisti beluci. Papa Francesco bacia i pedi ai governanti del Sud Sudan Sarà il Presidente Salva Kiir ad avviare, il 12 maggio prossimo, un nuovo Governo nel Sud Sudan, come stabilito dall’accordo siglato a settembre – il Revitalised Agreement on the Resolution of Conflict in South Sudan. Con lui, i vicepresidenti designati: Rebecca Nyandeng De Mabior, vedova del leader sud sudanese John Garang; e Riek Machar,leader dell’opposizione. “A voi tre che avete firmato l’accordo di pace vi chiedo, come fratello, rimanete nella pace”, ha detto loro Papa Bergoglio. “Lo chiedo col cuore: andiamo avanti, ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi. Andare avanti, risolvere i problemi. Ci saranno lotte tra voi ma davanti al popolo le mani siano unite! Così da semplici cittadini
diventate padri delle nazioni”. Ed è al leader africano che Papa Bergoglio ha poi baciato i piedi, dopo essersi inginocchiato. Un gesto immortalato che ha segnato e concluso il ritiro spirituale in Vaticano con le massime autorità religiose e politiche del Sud Sudan, voluto e organizzato dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby. L’incontro non è stato un comune incontro bilaterale o diplomatico tra il Papa e i Capi di Stato, né una iniziativa ecumenica tra i rappresentanti delle diverse comunità cristiane, ma ha avuto le sembianze di un vero e proprio ritiro spirituale per inviare un messaggio di pace e donare “buoni frutti dopo aver operato un raccoglimento interiore”. “Spegnere il fuoco della guerra” Papa Francesco e Salva Kiir si sono incontrati a Santa Marta, ultima tappa del ritiro, conclusosi con un messaggio di pace volto a spegnere, in Africa, “il fuoco della guerra una volta per sempre”. Il Sud Sudan è segnato ormai da una guerra civile che va avanti da sei anni, che ha provocato oltre 400mila morti. Una situazione da dover chiudere, mettendo fine ai contrasti, così come si è a più riprese augurato Bergoglio riguardo la questione immigrazione, in Italia. Pochi giorni fa, di ritorno da Rabat, Papa Francesco aveva inoltrato un messaggio di pace simile, denunciando la crudeltà a cui sono sottoposti i migranti e i danni delle conseguenze della chiusura dei confini. “La pace è possibile, non mi stancherò mai di ripeterlo, ma necessita di un forte impegno degli uomini responsabili verso il popolo”, dice Bergoglio rivolto ai futuri leader del più giovane stato del mondo, indipendente dal 2011. Ed è al popolo, stremato per la perdita di case e dei loro cari, dalla divisione delle famiglie, dalle donne stremate dalla morte, fame e dal dolore, che va il suo pensiero: “Questo grido dei poveri e dei bisognosi lo abbiamo sentito fortemente, esso penetra i cieli fino al cuore di Dio Padre che vuole dar loro
giustizia e donare loro la pace”, sottolinea Francesco. “A queste anime sofferenti penso incessantemente e imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre, che possano tornare nelle loro case e vivere in serenità. Supplico Dio onnipotente che la pace venga nella vostra terra, e mi rivolgo anche agli uomini di buona volontà affinché la pace venga nel vostro popolo”. “Cercare ciò che vi unisce” Mantenere la pace è infatti “il primo dono del Signore e primo compito che i capi delle Nazioni devono perseguire”. Solo con il mantenimento della pace è possibile garantire i diritti di ogni uomo e lo sviluppo integrale dell’intero popolo. “In questo momento desidero assicurare la mia vicinanza spirituale a tutti i vostri connazionali, in particolare ai rifugiati e ai malati. Il vostro popolo attende il vostro ritorno in Patria, la riconciliazione di tutti i suoi membri e una nuova era di pace e prosperità per tutti”. Il Papa ha poi ricordato l’enorme responsabilità dei leader, che dovrebbero essere obbligati alla coscienza, in quanto eletti da Dio e dal popolo, per servirlo fedelmente e per rispondere al “desiderio ardente di giustizia, di riconciliazione e di pace”. “Cercare ciò che vi unisce, a partire dall’appartenenza allo stesso popolo, e superare tutto ciò che vi divide. La gente è stanca ed esausta ormai per le guerre passate: ricordatevi che con la guerra si perde tutto! La vostra gente oggi brama un futuro migliore, che passa attraverso la riconciliazione e la pace”, continua ancora il Pontefice. Poi l’invito affinché cessino le ostilità, le divisioni politiche ed etniche, e affinché duri la pace, per il bene comune.
L’Egitto si ritira dalla MESA, la “NATO araba” promossa dagli USA Gli Stati Uniti stavano provando a formare una “NATO Araba” con i maggiori stati arabi alleati, ma l’Egitto si è chiamato fuori. Un po’ di incertezza per il futuro, e una scarsa fiducia nel progetto. Sono queste le possibili ragioni, secondo Reuters, per cui l’Egitto ha deciso di non partecipare agli sforzi per istituire una “NATO Araba”. Il progetto prende il nome di Middle East Strategic Alliance (MESA – “Alleanza per la sicurezza in Medio Oriente”). Fortemente promossa e guidata dagli Stati Uniti di Donald Trump, la MESA vuole riunire tutti i maggiori stati arabi alleati con il paese a stelle e strisce. La proposta del tycoon viene dalla necessità di contenere il potere iraniano, ma l’Egitto non ne vuole sapere. Un motivo potrebbe essere, almeno in parte, l’incertezza per il futuro. La rielezione di Trump nel 2020 non è scontata, e il suo successore potrebbe non rinnovare l’impegno nell’iniziativa, esattamente come Trump ha smantellato l’accordo nucleare iraniano. Ulteriori dubbi, poi, si sollevavano per la
possibilità che l’Alleanza aumentasse le tensioni con l’Iran, come spiegato da una fonte anonima di Reuters. L’Egitto è il paese più densamente popolato del Nord Africa, e ha a disposizione uno degli eserciti più forti nel mondo arabo. Nello specifico, la MESA doveva creare terreno fertile per maggiore collaborazione nella difesa missilistica, addestramento militare, lotta al terrorismo e il rinforzo delle relazioni diplomatiche. Golpe in Sudan, lascia Al Bashir, arrestati tutti i membri del governo Colpo di stato in Sudan. Al potere da 30 anni, si è dimesso il presidente Omar Al Bashir, mentre l’esercito, che aveva circondato il palazzo presidenziale, ha annunciato la formazione di un governo di transizione. Arrestati funzionari di governo. Nella capitale Khartum, al quinto giorno di un sit in di protesta di migliaia di persone che invocavano la rinuncia di Bashir, ora la gente festeggia la sua uscita di scena. L’esercito sudanese ha circondato il palazzo presidenziale con uomini e mezzi. Militari sono anche entrati nella sede
dell’emittente radiotelevisiva di Stato che trasmette da alcune ore marce militari, interrotte a più riprese solo per annunciare un imminente discorso a reti unificate. L’ esercito è entrato all’alba nella sede dell’emittente, dopo mesi di proteste e al sesto giorno di un sit in di protesta davanti al loro quartier generale di Khartum da parte di migliaia di persone che invocano la rinuncia del presidente Omar Al Bashir, al potere da 30 anni. Cos’è il Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica dell’Iran (IRGC) In cosa consiste la formazione militare che l’America ha aggiunto alla lista nere delle organizzazioni terroristiche. Nei giorni scorsi, per la prima volta nella storia americana, gli Stati Uniti hanno etichettato una formazione militare di un paese straniero come “organizzazione terroristica”. Si tratta della Guardia Rivoluzionaria Islamica dell’Iran (IRGC). Ma che cos’è questa formazione, e come è nata? L’IRGC è stata istituita nel 1979, dopo la rivoluzione islamica. In quei giorni l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, leader della
rivoluzione, terminò il suo esilio, tornò in patria e rovesciò la monarchia, che godeva dell’appoggio degli Stati Uniti. in quel periodo di transizione, la fedeltà dell’esercito regolare non era data per scontato, e così si è pensato di istituire una forza alternativa. È così nata la Guardia Rivoluzionaria Islamica dell’Iran, dall’unione di diverse forze paramilitari che appoggiavano il nuovo governo. Nel 1980, però, il paese dovette fare i conti con l’invasione irachena, e così anche l’IRGC. Dovettero agire come un esercito regolare, poiché quello di prima era stato sensibilmente indebolito da purghe politiche e defezioni. “L’IRGC partecipa attivamente, finanzia e promuove il terrorismo come strumento per governare”, ha dichiarato il presidente americano Donald Trump. Il Tycoon ha anche detto che “l’IRGC è il mezzo principale del governo iraniano per guidare e attuare la sua campagna terroristica globale”.
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