ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...

Pagina creata da Veronica Brambilla
 
CONTINUA A LEGGERE
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
CAPITOLO 5
   ABBIGLIAMENTO SPORTIVO

Una società che maltratta i propri figli
non può definirsi civile e se rimaniamo
insensibili a questo problema, dobbia-
mo preoccuparci perché vuol dire che
non abbiamo più valori di riferimento...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO - Una società che maltratta i propri figli non può definirsi civile e se rimaniamo insensibili a questo problema, dobbia...
Ma dove sono situati
    questi paesi?

Tutti nel sud del mondo!
Perché molte ditte si rivolgono a paesi " tanto lontani " per le
loro produzioni?

       Cerchiamo informazioni...
Tailandia
Forza lavoro, salari.

La forza lavoro in Tailandia supera i 32 milioni di occupati, per la mag-
gioranza minori di trent'anni. Il salario minimo è di 162 bath al giorno
(circa 4 USD ) a Bangkok è di 130-140 bath nelle altre province. I sa-
lari mensili di un operaio specializzato 15.000 bath, di un impiegato
15.000-30.000.

La qualificazione e la formazione delle risorse umane e uno degli o-
biettivi principali del paese, la forza lavoro tailandese e una delle più
convenienti dell'area sud-asiatica, non solo per il basso costo, ma an-
che per la diligenza e l'adattabilità.

                                   Cina
Le industrie

L'industria occupa solo il 19% della popolazione attiva, ma contribui-
sce per quasi la metà al reddito nazionale. Mentre fino a 1949 le atti-
vità industriali erano assai limitate e concentrate in poche aree, il regi-
me comunista ha cercato di potenziarle e di renderne più equilibrata
la distribuzione; tuttavia le regioni del nord-est e dell'est ancor oggi
sono le più favorite. Una novità nel settore industriale è costituita dalla
recente creazione delle zone economiche speciali, situate in varie re-
gioni della Cina ma soprattutto nella fascia costiera compresa fra
Canton e Shanghai. In queste zone sono sorte numerose società in-
dustriali miste, frutto della collaborazione fra una società cinese e una
straniera; le aziende di queste società esportano la totalità dei prodot-
ti fabbricati e possono contare sull'impiego di manodopera cinese pa-
gata con salari dieci volte inferiori a quelli europei. Tali aziende, rivela-
tesi molto efficienti, stanno avendo un effetto trainante sulle aree cir-
costanti. Tra le molte società straniere presenti possiamo citare: " A-
merican Motors ", " Nike " ( che ha subappaltato a sei industrie cinesi
la produzione di 18 milioni di paia di scarpe l'anno ),"Gillette",
"Vokswagen", "Honda", "Suzuki", "Toshiba", "Olimpus", Mitsubishi"
ecc.
CINA

                           TAILANDIA

                          INDONESIA

                             INDIA

Dal libro " SULLA PELLE DEI BAMBINI "

Paesi come la Tailandia, alla Cina, l’Indonesia, l'India stanno
tentando la scalata dello sviluppo industriale attraverso la pro-
duzione per l'esportazione di manufatti semplici come vestiti,
scarpe, giocattoli. Di conseguenza, ogni volta che compriamo
uno di questi prodotti rischiamo di usufruire del lavoro minorile.
In Indonesia, una delle maggiori aree industriali è quella di
Tangerang che si trova alla periferia di Jakarta. Il suo sviluppo
industriale è iniziato una ventina di anni fa ed oggi conta alcu-
ne migliaia di stabilimenti industriali che vanno dalla produzio-
ne per il mercato interno ai prodotti per l'esportazione.
Secondo una stima dell'ufficio internazionale del lavoro, in que-
st'area sono impiegati circa 92.000 lavoratori, il 30-50 per 100
dei quali sono minori, soprattutto di sesso femminile.
TAIWAN HONG KONG COREA DEL SUD
            INDONESIA TAILANDIA CINA

Dal libro " SULLA PELLE DEI BAMBINI "

la Nike è la più grande società del mondo di scarpe sportive. Fondata
nel 1964 da Philip Knight, già studente e podista dell'Università
dell’Oregon, oggi essa controlla il 31% del mercato statunitense ed in
Europa ha già conquistato una persona su venti.
Il quartiere generale della Nike si trova a Behaverton nell'Oregon, in
una serie di basse palazzine, ciascuna delle quali reca il nome di ce-
lebrità sportive come Michael Jordan, Joan Benoit, John Mc Enroe,
Alberto Salazar e altri, che hanno avuto un ruolo pubblicitario fonda-
mentale per spingere la Nike verso il successo.
Da questo complesso, circondato di ciliegi giapponesi che valgono un
milione di dollari, i funzionari della ditta dirigono la fitta rete produttiva
sparsa in tutto il mondo. Ma in realtà Nike non produce proprio nulla.
Essa progetta le scarpe, le fa produrre ad altri e le rivende. In conclu-
sione su un totale di 841000 persone che lavorano per la Nike, solo
9000 sono suoi dipendenti diretti mentre tutti gli altri dipendono da dit-
te appaltate.
Praticamente, tutta la produzione della Nike avviene in Asia. Fino alla
metà degli anni '80 la maggior parte delle sue scarpe era prodotta in
Corea del sud. Nel 1988, ad esempio, ben il 68% di tutte le scarpe Ni-
ke proveniva da questo paese, mentre le altre erano prodotte a Tai-
wan e a Hon Kong. Ma nel 1992 troviamo che la quota della Corea
del sud è scesa al 42%. Viceversa è aumentata quella della Cina, del-
l'Indonesia e della Thailandia che è passata complessivamente dal 10
al 44%.
La ragione di questa variazione sta nei salari. Nonostante venti anni
di industrializzazione vissuta nella repressione, gli operai sudcoreani
sono riusciti ad organizzarsi e ad ottenere notevoli aumenti salariali.
Ad esempio, nel settore calzaturiero, oggi il salario medio è di
1.300.000 lire al mese, undici volte più alto di quello percepito nel 19-
71. Per conto nei paesi asiatici meridionali ai lavoratori dello stesso
settore si pagano salari oltre venti volte più bassi ( L. 190.000 in Thai-
landia, L. 110.000 in Indonesia, L. 95.000 in Cina, L. 65.000 in Viet-
nam ).
VIETNAM

                      BAMBINI SENZA INFANZIA?

Il Vietnam un paese giovane e povero.
Giovane perché è la larga maggioranza dei suoi abitanti è nata dopo
il 1975, cioè dopo la fine di quella guerra durata trent'anni, che tanto
lo ha segnato nel nostro secolo. Giovane perché il " rimbalzo " demo-
grafico, che contraddistingue ogni società all’indomani delle tragedie,
e una -assai discutibile- politica sostanzialmente natalista, perseguita
fino a poco tempo, hanno fatto sì che una metà circa della popolazio-
ne appartenga a quelle fasce d'età che nei nostri paesi ricchi sono
quelle dell'infanzia. Ma l'infanzia nel mondo dei poveri finisce molto
prima che da noi e spesso è troncata da un inserimento prematuro, e
carico di rischi, nel mondo del lavoro, quando non in più devastanti
attività.
Chiunque abbia visto il Vietnam è stato colpito, con un misto di ammi-
razione e di pena, dalla sperimentata abilità con la quale due fratellini
guidano la mandria di bufali: il primo, decenne, con la corda tira il buf-
fo lo più anziano, il piccolo, sotto il 5, in groppa all'ultimo nato di bufa-
li, osserva che nessun animale si perda nel traffico della strada per-
corsa da infiniti tipi di veicoli. O le bimbe che portano sulle spalle fra-
tellini con una gioia -e una rassegnazione- che hanno antiche radici.
Ma ci sono anche i bambini senza casa, che vendono cartoline men-
dicando nelle strade: soprattutto le bambine offrono la loro mercanzia
con una grazia e una capacità di seduzione che fanno pensare " che
cosa venderanno tra un anno, tra due, domani? " La risposta è sven-
turatamente molto facile per ogni donna.
Il Vietnam è e resta un paese povero, anche se negli ultimi vent'anni
ha conosciuto rapidi ritmi di sviluppo e ha mostrato segni che posso-
no far prevedere la sua inclusione in quel sistema economico dell'A-
sia orientale, che -nonostante la crisi intervenuta dal 1997- conserva
una forte spinta espansiva. Ma lo sviluppo ha comportato anche un
aumento del divario sociale, in modo stesso drammatico, una spinta
all'inurbamento ha certo destabilizzato istituzioni familiari e antiche
forme di sussistenza. Le infrastrutture sanitarie e scolastiche, che su-
bito dopo il 1975 avevano fatto del Vietnam un paese esemplare nel
mondo dei poveri, hanno subito pesantemente le conseguenze di
scelte politiche probabilmente improcrastinabili, ma non di meno gra-
vose per i gruppi più deboli, le famiglie senza padri, le minoranze etni-
che, gli abitanti delle zone più esposte ai drammi del clima. E soprattut-
to, quindi, i bambini e le loro madri rimaste troppo spesso vedove per la
guerra o abbandonate per l'inurbamento. L'Unicef ha svolto in Vietnam
un'opera fondamentale contro questi meccanismi perversi.
Ma l'opera deve continuare: il Vietnam infatti non solo è un paese giova-
ne e povero, è anche un paese dove la guerra ha segnato profondi sol-
chi di morte. In questo momento, in cui la coscienza delle conseguenze
della guerra è stata riportata nella mente e nel cuore degli europei, è im-
portante ricordare che il Vietnam è ancora segnato da una guerra pre-
cedente: la distruzione programmata del manto forestale con i defolianti,
il trasferimento forzoso delle popolazioni rurali nelle città (e il loro rein-
sediamento dopo il 1975 in campagne minate e devastate), le conse-
guenze biologiche della presenza di enormi quantità di diossina rimaste
sul terreno nelle zone " defoliate ", la presenza di migliaia di crateri dive-
nuti terreno ideale per l'insediamento delle zanzare e quindi della mala-
ria e di altre malattie.
Per tutte queste ragioni i bambini vietnamiti hanno ancora bisogno di
noi: chi ha visto il Vietnam li ha visti spesso tendere la mano anche in
tenera età, ma più spesso, in età scolare, chiedere a gesti uno strumen-
to per scrivere e un foglio di carta. È giusto sentire il dovere di darli loro.
La maggior parte dei prodotti del settore dell'abbigliamento e delle cal-
zature, vengono confezionati nei paesi poveri del sud-est del mondo.
Alcune “grandi ditte” si rivolgono a questi paesi dove tante persone, per
sopravvivere, hanno bisogno di lavorare a qualsiasi condizione.

                  SALARI BASSISSIMI

         SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA

         MAGGIORI GUADAGNI PER LE DITTE
Ricercando informazioni sui paesi di provenienza dei prodotti sportivi,
abbiamo trovato anche testimonianze di persone che lavorano per
produrli.

               UNA BAMBINA RACCONTA

Mi chiamo Doy ed ho 13 anni. Lavoro a Bangkok ( Thailandia ) in una
fabbrica di scarpe che è stata premiata come la miglior fabbrica per
l'esportazione. Taglio, cucio e incollo scarpe, non so quante migliaia
alla settimana.
Lavoro dodici, anche quattordici ore al giorno. Mi fermo solo per man-
giare e per dormire. Dormo in una stanza vicina al capannone insie-
me ad altri venuti, come me, dai villaggi lontani.
Sono qui da un anno. Mi ha portato uno che passa di villaggio in vil-
laggio ad assumere persone. I miei genitori mi mandarono perché si
erano indebitati con un usuraio. Non sto molto bene di salute. Respiro
male, mi lacrimano gli occhi ed ho tutta la pelle piena di bolle. Un o-
peraio più anziano mi ha detto che è colpa della colla.
Mi mancano i miei fratelli e le mie sorelle, ma non so quando li potrò
rivedere. Forse un giorno riuscirò a tornarci.
Visita alla Sharaka Garment in Bangladesh

L'impiego di lavoro minorile da parte delle multinazionali per mezzo
dell'appalto, non è un fenomeno limitato all'Indonesia. Nel Bangla-
desh la cosa è altrettanto diffusa. Ecco una testimonianza di Roseline
Costa, esponente del movimento cattolico " giustizia e pace ":
Da tempo desideravo visitare la fabbrica dell'abbigliamento denomi-
nata “Sharaka Garment Factory”. Avevo bisogno di rendermi conto di
persona delle condizioni di lavoro esistenti in questa fabbrica affinché
non si ripetesse la tragedia avvenuta il 26 dicembre 1990. Quel gior-
no un incendio provocò la morte di 25 persone, undici delle quali ave-
vano meno di sedici anni e tre addirittura meno di dodici anni. La
maggior parte dei corpi furono trovati al piano terra, ammassati da-
vanti a un cancello che i vigili del fuoco ebbero dei problemi ad aprire.
Da allora avevo fatto due tentativi per visitare la fabbrica Sharaka, ma
non ero mai riuscita nel mio intento. Il mio desiderio si realizzò il 20
novembre 1992, in occasione della visita di alcuni amici venuti dagli
Stati Uniti. Essi si presentarono come clienti e il proprietario fu felice
di mostrare ai compratori tutte le sue attività.
La scena che si presentò i nostri occhi, quando entrammo nella fab-
brica, andava oltre la mia immaginazione. Ammassate dentro a uno
stanzone c'erano più di 500 donne che lavoravano ad una macchina.
In seguito scoprimmo che il 60% erano bambine che dimostravano
meno di 13 anni. Essere lavorano dalle otto del mattino fino alle dieci
di notte e due volte alla settimana devono lavorare fino alle due o alle
tre del mattino. Poi si sdraiano sul pavimento e si addormentano in
attesa dell'alba. Alle sei vanno a casa e tornano due ore più tardi per
affrontare un'altra giornata di lavoro.
Alcune bambine iniziano lavorare a sei anni come piccole aiutanti e
con la scusa che devono imparare non ricevono la paga per diversi
mesi. Poi, quando sanno cucire a macchina, ricevono un salario base
di circa 300 taka (L. 10.00 ) al mese. Quando fanno la notte ricevono
quindici taka (L. 500) in più e per il lavoro straordinario guadagnano
200 taka (L. 6600) in più al mese indipendentemente dalle ore effet-
tuate. Ma i soldi dello straordinario non sono pagati sempre. A volte
se li tiene la direzione come fondo cassa per eventuali danni alla pro-
duzione e non li restituisce mai più. Durante la visita parlai con Putul.
Mi disse che aveva nove anni, che lavorava alla Sharaka da circa sei
mesi e che abitava nella baraccopoli vicina con sua mamma e il suo
fratello più piccolo. Ad un certo punto si attaccò al mio sahri e con fa-
re implorante mi disse: "Per favore mi puoi portare con te? Io non vo-
glio più stare qui. Per favore mi porti via con te? Per favore torna do-
menica e portami via da qui ". Mi fece questa richiesta ripetutamente
mentre le lacrime le rigavano il viso.
Parlando con altre bambine seppi che non possono stare al gabinetto
più di tre minuti, altrimenti sono multate. Al minimo ritardo nell'orario di
entrata ricevono delle forti multe. Chi entra anche solo con un minuto di
ritardo, alla terza volta perde un giorno di paga. Se uno non va al lavoro
perché si sente male e non porta il certificato medico, per ogni giorno di
assenza perde tre giorni di paga. Del resto, nessuno va dal medico per-
ché una visita costa più di un mese di lavoro.
Questa è la“Sharaka Garment Factory che si vanta di produrre capi di
vestiari per la Wal-Mart una delle più grandi catene di supermercati di
abbigliamento degli Stati Uniti.

Mi chiamo Judita , ho diciott'anni e vivo nel Salvador. Lavoro per la
Mandarin International , che ha sede a Taiwan e produce abbiglia-
mento per alcune multinazionali americane. Lavoro dalle sette del
mattino fino alle nove di sera, e il venerdì dalle sette del mattino alle
                     quattro di quello successivo. Dormo sul pavimento
                     tre ore e poi riprendo lavorare fino alle quattro del
                     pomeriggio. Guadagno L. 65.100 al mese. I capi
                     urlano spesso e qualche volta ci picchiano. Pos-
                     siamo andare al bagno due volte al giorno per
                     non più di tre minuti. Fa molto caldo, c'è poco
                     spazio e siamo senz'acqua. Ci sono anche ragaz-
                     ze di quattordici anni.
Abbiamo visitato un negozio di abbigliamente sportivo della nostra
Repubblica e abbiamo registrato il prezzo di alcuni capi:

Lire 79.500... scarpe Nike Air Quest

lire e 71.000... scarpe Nike alate per bambino

lire 112 miglia... scarpe Nike da calcio

lire 269.000... scarpe Nike women’s

lire 149.000... tuta Adidas

lire 75.000 felpa Champion

lire 329.000 di giaccone Nike

lire 16.000 berretta Reebook

lire 149.000 scarpe Adidas

I costi degli articoli sono elevati nonostante abbiamo " scoperto " at-
traverso le testimonianze, che chi li produce ricevere un salario bas-
sissimo.
Dove finiscono, allora, i soldi che spendiamo per comprare un
paio di scarpe?

                      Su " GLOB GLOB "...

    ... abbiamo trovato la risposta alla nostra domanda!
Se esaminiamo la storia di un paio di scarpe sportive, ci accorgiamo
che tutto comincia nell'ufficio progettazione della Nike, della Reebok,
dell'Adidas, della Fila o di un'altra grande multinazionale, dove squa-
dre di sociologi, psicologi, pubblicisti e ogni altro genere di esperti,
progettano un nuovo prodotto che la pubblicità penserà a rendere po-
polare.
Appena il modello è pronto, inizia la ricerca di una azienda estera, di
proprietà di un altro padrone, disposta a realizzare la produzione de-
siderata e viene firmato un contratto con quella che richiede il prezzo
più basso. Questo sistema di trasferimento della produzione si defini-
sce "produzione su contratto" o "produzione in appalto" ed è partico-
larmente gradito alle multinazionali perché le libera da tutti i rischi le-
gati alla produzione e da ogni responsabilità rispetto alle condizioni di
lavoro.

La globalizzazione è come una " megamacchina "che sposta enormi
somme di denaro e quantità di prodotti da una parte del mondo all'al-
tra. Non tiene conto dei criteri di giustizia, non rispetta le persone e fa
aumentare sempre più il divario tra ricchi e poveri.
Puoi anche leggere