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SCANDALO IN GERMANIA: LA GRANDE TRUFFA DEL TAMPONE di F. William Engdahl Questo documento, proveniente da una seria organizzazione e redatto da un ricercatore pure serio, è significativo per molti aspetti. Innanzi tutto riguarda un paese che ci si ostina a considerare sopra ad ogni sospetto, dimenticando suoi megascandali famosi come quelli riguardanti ad es. Siemens, Volkswagen, Deutsch Bank, e la cui voce fa testo per molti paesi. Poi la serietà dei consulenti di cui si circondano molti governi. Gioverebbe ricordare un altro caso, quello spagnolo dove per mesi il governo ha giustificato le proprie politiche anti-Covid con i pareri di una commissione fantasma che, alla fine, ha dovuto dichiarare inesistente.
E ancora: il mito delle riviste scientifiche “peer to peer”. E l’equivoco talvolta dei loro nomi: in questo caso Eurosurveillance, che è una rivista privata e non ufficialmente legata all’Unione europea, anche se lo fa credere.”Peer to peer” significa che gli articoli pubblicati sono stati preventivamente analizzati e riconosciuti validi da due scienziati la cui credibilità è almeno pari a quella dell’autore dell’articolo. Un’ultima considerazione: la pandemia è stata dichiarata quando ancora nel mondo i morti erano solo una decina. Se le prove. E una domanda: come si è proceduto a analizzare i risultati sui volontari espostisi alla prova dell’efficacia dei vaccini? Spero che almeno su questo venga fugato ogni possibile dubbio. E ora alla denuncia di William Engdahl. [Aldo Zanchetta*] * * * SCANDALO CORONAVIRUS SCOPPIATO NELLA GERMANIA DI MERKEL. FALSI POSITIVI E IL TEST DROSTEN PCR di F. William Engdahl** 1. William Engdahl*, Global Research, 11 Dicembre 2020 https://www.globalresearch.ca/coronavirus-scandal-breaking-mer kel-germany/5731891 Il modello tedesco del governo di Angela Merkel, ampiamente elogiato per il modo di affrontare la pandemia di COVID-19 è ora investito da una serie di scandali potenzialmente devastanti che vanno al cuore dei test e dei consigli medici utilizzati per ordinare chiusure economiche draconiane e prossime vaccinazioni obbligatorie di fatto. Gli scandali coinvolgono un professore al centro del gruppo consultivo sul coronavirus di Merkel. Le implicazioni vanno ben oltre i confini tedeschi fino alla stessa OMS e le sue raccomandazioni
globali. L’intero caso del lockdown imposto dall’OMS di aziende, scuole, chiese e altre arene sociali in tutto il mondo si basa su un test introdotto, in modo incredibilmente veloce, nella saga del coronavirus di Wuhan, in Cina. Il 23 gennaio, 2020, sulla rivista scientifica Eurosurveillance, del Centro dell’UE per la Prevenzione e il Controllo delle malattie, il Dott. Christian Drosten, insieme a diversi colleghi dell’Istituto di Virologia di Berlino presso il Charite Hospital, insieme al capo di una piccola società biotecnologica berlinese, TIB Molbiol Syntheselabor GmbH, ha pubblicato uno studio sostenendo di aver sviluppato il primo test efficace per rilevare se qualcuno è stato infettato dal nuovo coronavirus identificato pochi giorni prima a Wuhan. L’articolo di Drosten era intitolato “Rilevamento del nuovo coronavirus 2019 (2019- nCoV) in tempo reale” tramite RT-PCR[1] (Eurosurveillance 25(8) 2020[2]). La notizia è stata accolta con appoggio immediato dal corrotto direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom, il primo non medico a capo dell’OMS. Da allora il test sostenuto da Drosten per il virus, chiamato test in tempo reale o RT-PCR, è stato diffuso attraverso l’OMS in tutto il mondo, come il modello di test più utilizzato per determinare se una persona potrebbe avere contratto il COVID-19, la malattia. Il 27 novembre un gruppo molto rispettato di 23 virologi internazionali, microbiologi e scienziati correlati ha pubblicato un invito a Eurosurveillance a ritirare l’articolo di Drosten del 23 gennaio 2020. La loro attenta analisi del testo originale è demolitoria. La loro è una vera e propria “revisione tra pari”. Accusano Drosten e compagni di incompetenza scientifica “fatale” e difetti nel promuovere il loro test. Per cominciare, come rilevano gli scienziati critici, il documento che ha indicato il test PRC di Drosten per il ceppo
Wuhan del coronavirus, ed è stato subito adottato con fretta indecente dal governo Merkel insieme all’OMS per impiego a livello mondiale, con conseguenti lockdown a livello globale e una connessa catastrofe economica e sociale, non è mai stato valutato “peer to peer” prima della sua pubblicazione sulla rivista Eurosurveillance. I critici sottolineano che “il documento Corman-Drosten è stato presentato a Eurosurveillance il 21 gennaio 2020 e accettato per la pubblicazione il 22 gennaio 2020. Il 23 gennaio 2020 il documento era online.” Incredibilmente, il protocollo operativo Drosten, che era già stato inviato all’OMS a Ginevra il 17 gennaio, è stato ufficialmente raccomandato dall’OMS come test mondiale per determinare la presenza del coronavirus Wuhan, ancor prima di essere stato pubblicato . Come sottolineano gli autori del documento dei critici, per un argomento così complesso e importante per la salute e la sicurezza mondiale, non è possibile una seria “peer review” di 24 ore da parte di almeno due esperti del settore. I critici sottolineano che Drosten e il suo co-autore Dr. Chantal Reusken, non hanno reso noto un evidente conflitto di interessi. Entrambi erano anche membri del comitato editoriale di Eurosurveillance. Inoltre, come riportato da BBC e Google Statistics, il 21 gennaio vi era un totale mondiale di 6 morti attribuiti al virus Wuhan. Si chiedono: «Perché gli autori hanno assunto una sfida per i laboratori di sanità pubblica mentre all’epoca non c’erano prove sostanziali che indicassero che l’epidemia era più diffusa di quanto inizialmente pensato?». Un altro coautore del documento Drosten che ha dato una copertura di apparente credibilità scientifica alla procedura PCR Drosten è stato il capo dell’azienda che ha sviluppato il test commercializzato oggi, con la benedizione dell’OMS, in centinaia di milioni di esemplari, Olfert Landt, di Tib- Molbiol a Berlino, ma Landt non ha rivelato questo fatto
pertinente neppure nel documento Drosten. Certamente niente di sospetto o improprio in questo, oppure? Sarebbe importante sapere se Drosten, il principale consulente scientifico della Merkel per il covid-19, il “Tony Fauci” tedesco di fatto, ottiene una percentuale per ogni test venduto da Tib-Molbiol nel suo accordo di marketing globale con Roche. Falsi positivi? Dalla fine di gennaio 2020, i principali media mondiali ci hanno inondato tutti di spaventosi aggiornamenti orari sul “numero totale di infettati da coronavirus”. Di solito aggiungono semplicemente ogni aumento giornaliero a un totale globale di “casi confermati”, attualmente oltre 66 milioni. Allarmante, ma per il fatto che, come appunto sottolineano Pieter Borger e i suoi colleghi collaboratori scientifici, “casi confermati” è un numero assurdo. Perché? Il rapporto Borger identifica quelli che essi definiscono “dieci problemi fatali” nel documento Drosten dello scorso gennaio. Qui prendiamo il più eclatante che può essere facilmente compreso dalla maggior parte dei lettori. Drosten & co. hanno dato sequenze di primer e probe confuse e non specificate.[3] I critici notano: «Questo alto numero di variazioni non solo è insolito, ma è anche molto confondente per i laboratori. Queste sei posizioni non specificate potrebbero facilmente portare alla progettazione di diverse sequenze di primer alternative che non si riferiscono alla SARS-CoV-2 … la descrizione confusa e non specificata nel documento Corman-Drosten non è accettabile come Protocollo Operativo Standard. Queste posizioni non specificate avrebbero dovuto essere indicate in modo inequivocabile. Aggiungono che “RT-PCR non è raccomandato per la diagnostica primaria dell’infezione. Questo è il motivo per cui il test RT-PCR utilizzato nella routine clinica per il rilevamento del
COVID-19 non è appropriato per la diagnosi del COVID-19 su base normativa». Cicli di amplificazione Ma ancora più penalizzante per Drosten è il fatto che non ha menzionato da nessuna parte che un test sia positivo o negativo, o addirittura che cosa definisca un risultato positivo o negativo! Il rapporto Borger osserva: “Questi tipi di test virologici diagnostici devono essere basati su un SOP (Standard Operational Protocol), incluso un numero convalidato e fisso di cicli PCR (valore Ct) dopo di che un campione è considerato positivo o negativo. Il valore Ct massimo ragionevolmente affidabile è di 30 cicli. Al di sopra di un Ct di 35 cicli, ci si deve aspettare un numero in rapida crescita di falsi positivi… studi scientifici dimostrano che con valori Ct di 35 vengono rilevati solo virus non infettivi (morti). (vedi qui). L’OMS e Drosten raccomandano un Ct di 45 cicli e, secondo quanto riferito, attualmente è ciò che fanno anche i funzionari sanitari tedeschi. Non c’è da stupirsi che man mano che il numero di test aumenta nell’inizio della stagione influenzale invernale, i “positivi” PCR in Germania e altrove esplodono. Come sottolineano gli autori critici, se le autorità sanitarie specificano al massimo 35 cicli, il numero di coronavirus positivi sarebbe inferiore al 3% del numero attuale! Notano, “un risultato analitico con un valore Ct di 45 è scientificamente e diagnosticamente assolutamente privo di significato (un valore Ct ragionevole non deve superare i 30). Tutto ciò dovrebbe essere detto molto chiaramente. È un errore significativo che il documento Corman-Drosten non menzioni il valore massimo Ct per il quale un campione può essere considerato inequivocabilmente come un risultato positivo o negativo del test. Anche questo importante limite di soglia di ciclo non è specificato in alcun documento successivo presentato fino ad oggi. Gli autori aggiungono: «Il fatto che questi prodotti PCR non siano stati convalidati a
livello molecolare è un altro errore sorprendente del protocollo, rendendo inutile qualsiasi test basato su di esso come strumento diagnostico specifico per identificare il virus SARS-CoV-2». (vedi ). In poche parole, l’intero edificio della fondazione Gates, del governo Merkel, l’OMS e il WEF[4], nonché il caso dei vaccini approvati velocemente non testati adeguatamente, di fatto si basa sui risultati di un test PCR per il coronavirus che non vale un fico secco. Il test di Drosten e dell’OMS è più o meno una schifezza scientifica. Manca anche la prova del Dottore? Questa critica devastante di ventitré scienziati leader a livello mondiale, tra cui scienziati che hanno brevetti relativi alla PCR, all’isolamento e al sequenziamento del DNA, e un ex scienziato capo Pfizer, è schiacciante, ma non l’unico problema che il professor Christian Drosten deve oggi affrontare. Lui e i funzionari della Goethe University di Francoforte, dove sostiene di aver conseguito il dottorato in medicina nel 2003, sono accusati di frode in materia di laurea. Secondo il Dott. Markus Kühbacher, specialista che indaga su frodi scientifiche come il plagio delle tesi, la tesi di dottorato del Dr. Drosten, per legge deve essere depositata ad una certa data presso le autorità accademiche della sua Università, che poi firmano un forma llegale, Revisionsschein, verificata con firma, timbro dell’Università e data, con titolo di tesi e autore, da inviare all’archivio universitario. Con esso, vengono depositate tre copie originali della tesi. Kühbacher accusa la Goethe University di essere colpevole di insabbiamento sostenendo, falsamente, che la Revisionsschein di Drosten era in archivio. Il portavoce dell’Università in seguito è stato costretto ad ammettere che non è stato archiviato, almeno da loro non localizzabile. Inoltre, delle tre copie obbligatorie del suo fascicolo medico, fortemente
importanti data l’importanza a livello globale del ruolo di Drosten nel coronavirus, due copie sono “scomparse” e la restante unica copia è danneggiata dall’acqua. Kühbacher dice che Drosten ora probabilmente dovrà affrontare accuse legali per possesso di un titolo di dottorato fraudolento . Se questo avverrà, è un dato di fatto che a Berlino è stato avviato un altro procedimento legale contro due persone responsabili di un sito di media tedesco, Volksverpetzer.de, per calunnia e diffamazione, avviato da un noto e critico medico tedesco, il dottor Wolfgang Wodarg. Il procedimento giudiziario chiede agli imputati 250.000 euro di risarcimento danni per diffamazione e danni materiali a Wodarg da parte degli imputati sul loro sito online, così come su altri media tedeschi, sostenendo che brutalmente e senza prove, hanno diffamato Wodarg, definendolo un “covid-denier” (negazionista del Covid), definendolo falsamente un estremista di destra (è un ex membro del parlamento del Partito socialdemocratico per tutta la vita) e numerose altre accuse false e dannose . Il legale del dottor Wodarg è un noto avvocato tedesco- americano, il dottor Reiner Fuellmich. Nelle sue accuse contro gli imputati, Fuellmich cita per intero le accuse contro il test di Drosten per il coronavirus del Dr. Pieter Borger e altri ricordato sopra. Ciò sta di fatto costringendo gli imputati a confutare il documento Borger. È un passo importante sulla strada per confutare l’intera frode del test PCR COVID-19 dell’OMS. Già una corte d’appello a Lisbona, in Portogallo, l’11 novembre ha stabilito che il test PCR di Drosten e dell’OMS non era valido per rilevare l’infezione da coronavirus e che non era una base per ordinare un lockdown a livello nazionale o parziale. Se la posta in gioco non fosse così mortale per l’umanità, sarebbe tutto materiale per una commedia dell’assurdo. Lo zar della salute mondiale, il capo dell’OMS Tedros, non è un medico e la OMS è finanziata massicciamente da un manager di computer miliardario, Gates, che è anche consigliere del
governo Merkel sulle politiche per il covid-19. Il governo Merkel usa il test PCR di Drosten e Drosten come “saggio” esperto per imporre le conseguenze economiche più draconiane, a parte le guerre. Il suo ministro della Salute, Jens Spahn, è un ex banchiere che non ha una laurea in medicina, ma solo un periodo come lobbista per Big Pharma. Il capo del CDC[5] tedesco, chiamato Robert Koch Institute, Lothar Wieler, non è un virologo ma un veterinario, Tierarzt. Con questa squadra i tedeschi vedono le loro vite distrutte da blocchi e misure sociali mai immaginate prima al di fuori dell’Unione Sovietica di Stalin. C’è la scienza e poi c’è la scienza. Tuttavia, non tutta la “scienza” è valida. * Traduzione di Aldo Zanchetta. Il traduttore è un ingegnere chimico e non un biologo e si scusa per eventuale improprietà della traduzione di qualche termine. I neretti sono nell’originale. **F. William Engdahl è consulente strategico per il rischio e docente; ha conseguito una laurea in politica presso l’Università di Princeton ed è autore di best-seller sul petrolio e la geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook” dove questo articolo è stato originariamente pubblicato. È ricercatore associato al Centro di ricerca sulla globalizzazione. N.d.T. – Prime è un segmento di DNA o RNA che è complementare a una data sequenza di DNA e che è necessario per iniziare la replicazione in una operazione di polimerasi. Probe è una sequenza di singolo filamento di DNA o RNA per la sua sequenza complementare i un campione di genoma. Il probe viene posto in contatto col campione esaminato in condizioni tali da permettere alla sequenza del probe di ibridizzarsi con la sua sequenza complementare. Il probe viene etichettato con un tag radioattivo o chimico che consente al suo punto di collegamento di essere visualizzato. In modo analogo, anticorpi traghettati vengono usati per verificare in un campione la presenza di una specifica proteina.
[1] N.d.T. – Lo rtPRC è un metodo di rilevamento in tempo reale di tracce di una entità biologica tramite un processo di polimerasi. Non sono in grado di spiegare in modo elementare il funzionamento ma la sua veridicità è legata al numero di “cicli” con cui viene effettuata. Lo stesso suo inventore, Kari Mullis, deceduto un anno or sono, aveva precisato che oltre un numero di cicli (30) il risultato era inattendibile. Vedi ad es. www.lantidiplomatico.it › dettnews- tamponi_e_tracciamento. [2] N.d.T. – Eurosurveillance è una rivista settimanale scientifica peer-reviewed dedicate all’epidemiologia, sorveglianza, prevenzione e controllo di malattie infettive, con un focus su quei temi che sono rilevanti per l’Europa. [3] N.d.T.: Nel linguaggio scientifico medico queste due parole hanno il seguente significato: N.d.T. – Prime è un segmento di DNA o RNA che è complementare a una data sequenza di DNA e che è necessario per iniziare la replicazione in una operazione di polimerasi. Probe è una sequenza di singolo filamento di DNA o RNA per la sua sequenza complementare i un campione di genoma. Il probe viene posto in contatto col campione esaminato in condizioni tali da permettere alla sequenza del probe di ibridizzarsi con la sua sequenza complementare. Il probe viene etichettato con un tag radioattivo o chimico che consente al suo punto di collegamento di essere visualizzato. In modo analogo, anticorpi traghettati vengono usati per verificare in un campione la presenza di una specifica proteina. [4] N.d.T. – World Economic Forum. [5] N.d.T.: Centro per il controllo delle malattie.
UE: FEDERAZIONE RUSSA PUTINISTA PRIMO NEMICO di V. D. Riceviamo e pubblichiamo Il Commissario europeo per l’energia, il tedesco Günther Oettinger, il 26 agosto, a Minsk, in Bielorussia, al vertice trilaterale Russia, Ucraina e Unione europea dichiarava che l’ambizione dell’UE è evitare, nell’immediato futuro, problemi relativi alla sicurezza dell’approvvigionamento per i paesi membri. Il 27 agosto, nella città moldava di Ungheni, il commissario Oettinger, il primo ministro moldavo Ion Chicu e il premier romeno Victor Ponta hanno inaugurato un link tra la rete europea e la rete moldava in direzione ovest-est. Il gasdotto è chiaramente un’alternativa al percorso russo per
estromettere Mosca e integrare Chisinau nella sfera d’influenza di Berlino e Varsavia. Il socialista Igor Dodon, presidente della Moldavia, ha posto all’ordine del giorno l’abbassamento del prezzo russo da 170 dollari ogni mille metri cubici a 100 dollari; il primo ministro, il già citato tecnocrate filosocialista Ion Chicu, ha alzato il tiro in sostanziale complicità con Berlino, con la richiesta di maggior gas rumeno sottolineando, tra le righe, la necessità strategica di disconnettersi da Mosca. Il gasdotto di collegamento tra la rete europea e quella moldava, tra le città di confine di Iaşi e Ungheni, in Romania, sarebbe costato 28,5 milioni di euro, solca circa 11 chilometri di terra moldava ed è stato finanziato dalla BERS e dalla Romania. La portata di cui dispone è di 500 milioni di metri cubi e a regime si arriverà comunque, a quanto pare, a 1,4 miliardi di metri cubi, un dato complessivo non di molto superiore all’attuale fabbisogno moldavo. L’obiettivo è ora quello di estendere la rete all’intera Moldavia, la cui struttura interna è di proprietà Gazprom, ma secondo i dati diffusi già da ora circa il 65% di fabbisogno medio di Moldavia e Transnistria potrebbe essere soddisfatto dal nuovo impianto. Va considerato che la crisi bielorussa è iniziata mesi fa proprio sul prezzo del gas russo e, vista in una ottica un poco differente da quella della rivoluzione colorata a Minsk, come hanno giustamente sottolineato fuori dal coro Angelo Vinco in questo sito e Stefano Zecchinelli ne “L’Interferenza”, se non fossero scoppiati i recenti disordini a agosto, non si sarebbe placata la diatriba sul prezzo. Il socialista moldavo Dodon sembra quindi quasi voler ripercorrere la pregressa tattica di Lukashenko: mediare amichevolmente con Berlino e con Pechino con il fine di stremare e indebolire la controparte russa. Il gioco si svolge
però sul filo del rasoio: circondata da basi NATO la Russia non può retrocedere più di troppo da Minsk, Belgrado, Chisinau, che ne costituiscono il simbolico ultimo bastione strategico prima della inevitabile “fase Kutuzov”. Il Globalismo elitistico, irreligioso e nichilistico, ha da tempo individuato nel Putinismo cristiano-ortodosso l’unico concreto antagonista mondiale sul campo, politico, economico e culturale, ma la UE, sino a pochi mesi fa, non era particolarmente attiva sul fronte russofobo. L’FSB russo, in collaborazione con l’intelligence bielorussa, ha di fatto intercettato un dialogo che mostrerebbe la regia del cancellierato di Berlino, in collaborazione con lo spionaggio polacco, sul caso del falso avvelenamento di Navalny: Varsavia: L’avvelenamento è confermato, vero? Berlino: Ascolta ……in questo caso non è poi questo fatto così importante. Siamo in guerra e in guerra tutti i metodi vanno bene……. I popoli europei non sanno di essere in guerra con Putin, ma le élite militari e politiche europeistiche si dichiarano in guerra con la Federazione Russa e stanno di fatto battendosi per una loro guerra contro il presidente russo. Il responsabile di una frazione dell’intelligence all’estero, Sergey Nayshkin, ha infatti genericamente parlato di falsificazione dell’operazione Navalny e di falso avvelenamento, senza puntare specificamente o ripetutamente il dito sui tradizionali avversari dell’intelligence angloamericana, come avveniva solitamente in un contesto simile o come sarebbe avvenuto se vi fosse stato anche una poco più minima certezza. I maggiori partiti politici tedeschi, a eccezione di una piccola frazione conservatrice della CDU e del movimento di nuova destra Alternativa per la Germania, chiedono ora la immediata sospensione del Nord Stream 2, una necessaria vendetta politica e geopolitica contro il Putinismo che
avvelenerebbe gli oppositori. Heiko Maas , ministro esteri di Berlino, ha dichiarato domenica 6 settembre che la Germania bloccherà il Nord Stream 2 se la Russia non riconoscerà la propria responsabilità nel caso Navalny. Allo stesso tempo, però, si rafforza l’asse Modi-Putin sia sul piano della collaborazione militare sia su quello della collaborazione sanitaria, basata sulla produzione, da parte di aziende indiane, dello “Sputnik V” che avrebbe superato tutti i test del caso nel 100% dei casi, come testimonia la rivista medica britannica, altamente indipendente, Lancet. E la stessa mossa di Trump sul Kosovo-Metohija, un duro colpo sferrato a UE e a Erdogan, di certo non può che andare incontro ai desiderata di Mosca. Allison, in un recente saggio su cui si è molto discusso, “Destinati alla guerra”, paragonava sostanzialmente la Cina odierna alla Germania dello scorso secolo, prevedendo come inevitabile un conflitto caldo tra Stati Uniti e Cina, secondo la tradizionale logica della “trappola di Tucidide”. Viceversa, è a nostro avviso la Russia Putinista, non la Cina, a subire ormai da anni la fase strategica di accerchiamento (Einkreisung) sia da Occidente sia da Oriente; accerchiamento fino a ieri soprattutto politico e ideologico, da pochi anni anche economico. C’è solo da augurarsi che cresca la fronda interna per far tornare sui propri passi la signora Merkel, che recherebbe gran danno a tutti i popoli europei nel persistere della sua durezza di fatale contrapposizione ai popoli ortodossi, dal Mediterraneo all’Europa centro- orientale.
IL GIOCO TEDESCO di Leonardo Mazzei Ci siamo già occupati della virulenta campagna politico- mediatica a favore del Mes che imperversa ormai da settimane nel nostro Paese. Abbiamo spiegato come la volontà di attivare questo meccanismo niente abbia a che fare con le enormi necessità economiche dell’Italia. Cosa c’è allora dietro a tanta foga, a tante falsità diffuse a piene mani dalle forze sistemiche? Ecco una domanda che può portarci lontano. Ricapitoliamo anzitutto i termini della questione. Qualora attivato il Mes può fornire all’Italia un prestito pari al 2% del Pil, in soldoni 36 miliardi di euro. La propaganda vorrebbe farci credere che, a differenza di quello “vecchio”, il “nuovo” Mes sia privo di stringenti condizioni, ma – come abbiamo spiegato qui – ciò è falso. Al “nuovo” Mes si accede sì incondizionatamente, ma le regole statutarie di questa trappola ammazza-Stati scatteranno per statuto subito dopo.
Il Mes non è però figlio unico. Esso fa invece parte di un’allegra famigliola di tre pargoli generati dall’oligarchia eurista. Gli altri due fratelli si chiamano Sure e Recovery fund (adesso rinominato dalla fantasiosa anagrafe brussellese come Next generation EU). Secondo la narrazione prevalente delle èlite italiote, i tre fratelli (Mes compreso) sarebbero ormai pura espressione del bene, manifestazione quasi ultra- terrena di una solidarietà europea mai vista né conosciuta finora. Ed anche per i più prudenti, la generosa natura dell’ultimo nato, il Recovery fund, basterebbe comunque a bilanciare il proverbiale cattivo carattere del primogenito. Peccato che sia la solita menzogna, visto che il Recovery fund altro non è che un Mes più grande, dove al posto delle “condizionalità” ci sono le “riforme”. Il che, in linguaggio eurista, se non è zuppa è pan bagnato. All’Italia non viene dunque concesso alcunché, ma solo la possibilità di generare nuovo debito, tramite prestiti da restituire, benché a tassi bassi ed in tempi relativamente lunghi. Il tutto però ad una precisa condizione: quella di subordinarsi definitivamente ad un’Unione sempre più a direzione tedesca. Una prospettiva che il blocco dominante italiano trova evidentemente non solo accettabile, ma per certi aspetti perfino allettante. Le ragioni di questa irresistibile attrazione le conosciamo. Per i padroni del vapore, l’ordoliberismo di matrice teutonica ben si sposa con il modello mercantilista, incentrato sul binomio esportazioni/bassi salari, impostosi in particolare dal governo Monti in avanti. Per la classe politica di governo – comprendendo in essa anche i governi regionali, dunque tanta e decisiva parte della Lega salviniana – la collocazione sotto e dentro la cupola europea è tuttora la migliore assicurazione sulla vita (politica) dei suoi membri. L’unione di questi soggetti, fatta di interessi ed intrecci di vario tipo, spesso ben visibili nel famoso sistema delle “porte girevoli”, è il nucleo duro di quel che chiamiamo
“blocco dominante”. Ormai da tempo, questo blocco non ha più alcuna visione generale sul futuro della società italiana che non sia l’interesse immediato e la mera conservazione del potere. Obiettivi che oggi persegue saldandosi e subordinandosi vieppiù all’oligarchia eurista che pretende di comandarci da Bruxelles e Berlino. La crisi del Covid 19 poteva essere l’occasione per una frattura, almeno parziale, tra questo nostrano blocco dominante e l’oligarchia unionista. Così non è stato, a dimostrazione di un degrado crescente che andiamo segnalando da tempo. Un decadimento che porta il segno di una borghesia nazionale sempre più trasformata in borghesia compradora, e di un ceto politico sempre più vile, servile e ricattabile, figlio di quel processo di americanizzazione della politica non a caso innescatosi proprio in contemporanea con l’accelerazione del progetto eurista, all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso. Fin qui l’Italia e la sua classe dirigente. Ma qual è il gioco tedesco? Ecco un punto che va capito fino in fondo. Tra i sovranisti italiani spuntano di tanto in tanto due assurde credenze: che sarà proprio la Germania ad uscire dalla moneta unica; che l’UE imploderà da sola, vittima della sua intrinseca insostenibilità. Queste due credenze hanno lo scopo di rassicurare, di far credere che sia in fondo aggirabile il nodo dell’uscita. Che invece aggirabile non è. Si tratta di due credenze disarmanti e perniciose. In fondo, se se ne vanno loro (i tedeschi), perché lottare per l’Italexit? Se la fortezza eurista verrà giù da sé, perché accanirsi ad attaccarla? E’ anche da leggende come queste che fioriscono le illusioni tecniciste sulle monete parallele, le “monete fiscali”, le “monete di stato”, e via coniando. Tutto cose positive, beninteso. Al momento opportuno cose pure necessarie, ma semplicemente inattuabili finché si resta
nell’UE e nell’euro. Quel che certuni non comprendono, e che spesso non vogliono comprendere, è che la battaglia per l’uscita dalla gabbia in cui l’Italia è finita non è questione tecnica, bensì eminentemente politica. E qual è allora la politica di chi il gioco lo conduce? Contrariamente a quel che capita di leggere, la Germania non ha alcuna intenzione di far crollare l’UE, tantomeno quella di tirarsene fuori. L’Unione europea parla sempre più in tedesco, per quale motivo a Berlino dovrebbero essere così autolesionisti da tagliare il ramo su cui sono seduti? Certo, in assoluto nulla si può escludere. Nei tempi lunghi è possibile che le contraddizioni insite nell’impianto eurista ne determinino alla fine il crollo. Ma nei tempi lunghi, come avrebbe detto Keynes, saremo tutti morti. La politica non può mai fondarsi su discutibili profezie riguardanti i tempi lunghi, ma solo su concreti obiettivi riguardanti il breve ed il medio periodo. L’ordine di grandezza della prospettiva politica – quando è lungimirante – sono gli anni, non i secoli. Detto questo, è chiaro come oggi l’obiettivo tedesco, e quello dell’intera oligarchia eurista, è quello di traghettare l’UE fuori dalla crisi senza troppi scossoni, per tornare poi quanto prima alle regole di bilancio scolpite nella pietra dei trattati europei. Passata ‘a nuttata, si tornerà ai santi vecchi. Su questo, chi scrive non ha mai avuto dubbi. Ma chi scrive non conta nulla, mentre l’altro giorno ha parlato (vedi il Sole 24 ore del 2 luglio) un certo signor Dombrovskis, una nostra cara vecchia conoscenza che ha l’indiscusso merito di dire la verità. E qual è questa verità che i nostrani europeisti al cubo proprio non possono dirci? E’ che in autunno si comincerà a parlare di quando riattivare il famigerato Patto di Stabilità, le cui regole austeritarie sono state solo sospese durante il periodo più critico dell’epidemia (vedi la lunga citazione nella nota1). Se ne parlerà per riattivarle già nella primavera del 2021? Questo ancora non si sa, ma la spada di Damocle è già
legata al soffitto. Così almeno ci dice il lettone Dombrovskis, che essendo il vice della signora Von der Leyen è di certo persona informata dei fatti. Come si vede, dire che l’UE è totalmente irriformabile non è certo una frase estremista, ma solo la sobria constatazione della realtà delle cose, che a volte vanno solo osservate. Le regole ordoliberali sono dunque destinate a tornare. Ma il governo tedesco non è folle. Ed a Berlino hanno un problema, che per nostra sfortuna si chiama Italia. L’Italia però non è la Grecia, e Merkel sa benissimo che un’uscita dell’Italia dall’eurozona sarebbe l’inizio della fine dell’euro, probabilmente della stessa Unione. E sarebbe perciò l’inizio di una stagione di guai proprio per la Germania. Chiaro dunque come i governanti tedeschi non vogliano affatto lo strangolamento dell’Italia. Non per un’inesistente solidarietà europea, che ovviamente non esiste, ma per la salvaguardia del proprio stesso interesse. Detto en passant, questo particolare peso del nostro Paese nella presente congiuntura europea avrebbe dato – se opportunamente giocato – una straordinaria forza negoziale al governo Conte. Il quale però non se ne è avvalso, timorato com’è da ogni rischio di frizione con il padrone tedesco. Lo strangolamento dell’Italia non è nei programmi di Berlino perché questo potrebbe portare, magari obtorto collo, alla nostra uscita dall’euro. Non sia mai! Ma l’alternativa allo strangolamento non è meno micidiale per il nostro Paese. Il gioco tedesco consiste infatti nel tenere l’Italia con l’acqua alla gola. Che respiri, ma che non possa in alcun modo rialzare la testa. Tutte le scelte di questi anni, dalla “flessibilità” concessa a Renzi, alle procedure d’infrazione minacciate e poi ritirate, alle continue trattative in occasione delle ultime Leggi di bilancio, vanno in questa direzione. Da anni – almeno dal governo Monti –
l’Italia è un paese di fatto commissariato, la cui classe politica va tutelata proprio perché servile, la cui economia deve galleggiare ma senza mai venir fuori dall’infinità stagnazione seguita alla recessione del 2008-2009. Se tutto ciò era vero fino a ieri, a maggior ragione è vero di fronte agli enormi rischi dell’oggi. La linea italiana di Berlino è chiara, logica e senza vere alternative. Cosa significa in concreto, oggi, l’applicazione di questa linea? La mia non può essere altro che un’ipotesi, ma penso che questa linea abbia già dato luogo ad un patto non scritto tra Conte e Merkel, tra il governo italiano e l’intera cupola eurista. Un patto nel quale la Germania chiuderà un occhio sull’acquisto dei Btp da parte della Bce, mentre l’Italia accetterà l’intero pacchetto (ovviamente Mes incluso) che servirà appunto ad impacchettarla ben bene. Le stesse vicende politiche nostrane, se lette alla luce di questo patto, diventano in effetti più comprensibili. All’attuale ceto politico-istituzionale galleggiare basta e avanza, e quel patto con la Germania gli consente appunto (almeno così credono) di stare a galla. Che poi questo ancestrale primum vivere della classe dirigente porti il Paese al disastro, a lorsignori importa davvero poco. Ma il disastro è già reale per milioni di persone, e peggio ancora sarà nei prossimi mesi. Al gioco del dominio tedesco si dovrà rispondere con la mobilitazione e la lotta, con la determinazione a percorrere la via dell’Italexit. In un’intervista al Corriere della Sera del 2 luglio, il premier olandese Mark Rutte, leader dei rigoristi del Nord, ha detto che l’Italia deve imparare a fare da sola. Bene, prendiamolo in parola. L’Italia può farcela: ad uscire dalla crisi, a venir fuori dalla gabbia europea. Avendo ben chiaro che il primo obiettivo sarebbe pura illusione senza il
raggiungimento del secondo. Non sarà certo una lotta facile. I processi di liberazione non lo sono mai. Intanto cerchiamo di avere chiaro qual è il gioco tedesco, che è poi quello della cupola eurocratica che vuol riportare l’Italia ad essere quella mera “espressione geografica” di cui scriveva il Metternich nel 1847. *Leonardo Mazzei è membro del Cpt di Lucca Nota (1) Dombrovskis è tornato sul tema in un’intervista rilasciata ieri alla Corriere della Sera. E più chiaro di così non avrebbe potuto essere: «Il Patto di stabilità non è sospeso. Abbiamo solo attivato la “General Escape Clause”, la clausola generale di fuga, che certo ha conseguenze importanti e infatti non stiamo indicando ai governi obiettivi di debito e di deficit. Ma questa clausola ha anche chiare condizioni di scadenza e si applica in caso di una severa contrazione dell’economia. Quando poi non saremo più in una fase di severa caduta dell’economia, abbiamo detto che l’avremmo disattivata. Non possiamo dire quando, data l’incertezza. Torneremo sul tema in autunno. Di recente lo European Fiscal Board ha suggerito che la clausola andrebbe rivista entro primavera prossima al più tardi». Fonte: Liberiamo l’Italia LA SOVRANITÀ TEDESCA di
Piemme “Specchio specchio delle mie brame, chi è il più sovrano nel reame?” Che in seno all’Unione fosse la Germania non era un mistero. Ha un nome impronunciabile la Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht). Si attendeva con ansia la sua sentenza in merito alla ammissibilità, ovvero la compatibilità con la Grundgesetz —ovvero la Costituzione tedesca — del “Quantitative easing”, il programma di acquisto di titoli sovrani lanciato dalla Bce governata da Mario Draghi nel 2015 per far fronte alla crisi finanziaria post-2008 Com’è noto, una delle principali caratteristiche della Costituzione tedesca è che essa, per quanto attiene alle politiche economiche e di bilancio pubblico, incorpora i dogmi dela dottrina ordoliberista e monetarista —— vedi in particolare gli articoli 107-115. La sentenza è puntualmente arrivata. Il “Quantitative easing”, non è dichiarato apertamente illegale e/o anticostituzionale
— quindi non si intima alla Bundesbank, come chiedevano coloro che hanno presentato ricorso alla Corte, di uscire dal programma della Bce. Tuttavia la stessa Corte, come si legge nelle note di agenzia, fissa “robusti paletti sui margini di azione della banca centrale europea”. Come dire, “quello che è stato è stato, ma d’ora in poi niente furbate, basta con politiche monetarie espansive, ovvero con acqisti futuri da parte della Bce di titoli degli stati con alto debito pubblico”. Le stesse agenzie informano della “profonda irritazione della Commissione europea”. La ragione di questa “irritazione” è presto detta: l’Alta Corte tedesca indica al decisore politico germanico nonché alla Bundesbank che dovranno opporsi non solo all’idea di “eurobond” o “coronabond” europei, dovranno dire no anche al cosiddetto e pur aleatorio Recovery fund, cioè al finanziamento agli stati garantito dal bilancio dei paesi dell’eurozona. Si dirà che la sentenza della Corte costituzionale tedesca non si applica ai recenti programmi già adottati dalla Bce in risposta alla crisi del coronavirus. Vale a dire al Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), il nuovo programma di acquisto di titoli di Stato varato il 18 marzo come ‘scudo anti-spread’ in tempi di pandemia: 750miliardi di euro di acquisti. Ma è evidente che la decisione di Karlsrhue lega le mani alla Bce. Non si spiega altrimenti perché la settimana scorsa il board della Bce ha evitato, come già annunciato, di potenziare il Pepp di altri 500 miliardi di euro. Evidentemente a Francoforte sapevano in anticipo quel che noi abbiamo saputo solo ieri sera. La decisione dell’Alta corte tedesca avrà serie conseguenze sull’Eurogruppo che si riunirà venerdì prossimo, il summit dei ministri delle finanze che dovrebbe indicare le linee guida
per l’accesso a nuove linee di credito per far fronte alla gravissima crisi causata dalla pandemia. In poche parole il Governo Conte si scordi che potrà accedere al Mes (Meccanismo europeo di stabilità) senza accettare dure condizioni. Morale della favola: è evidente non solo lo scollamento dell’Unione europea. Viene a galla che davanti alla più grave crisi della sua storia, l’Unione non è minimamente in grado di adottare una risposta unitaria e potente. E senza questa risposta la sua dissoluzione è posta all’ordine del giorno. Ognuno per sé, Dio per tutti? Non tutto il male vine per nuocere. Si conferma quanto andiamo dicendo da tempo, che per il nostro Paese, c’è un solo modo per evitare il baratro, l’Italexit. IN GERMANIA IL CONTAGIO AUMENTA. FALSO!!!
La dittatura del “tutti a casa” è alla disperata caccia di “fake news”. Siccome siamo effettivamente a casa, gliene forniamo una fresca fresca. Ore 13:30 del 28 aprile. Tutti i giornaloni sparano la notiziona: “La Germania allenta il lockdown e il tasso di contagio risale” (la Repubblica); “In Germania risale l”indice di contagio R0: doccia fredda sulla ripartenza del Paese” (Corriere della Sera); “E in Germania il contagio risale” (Il Messaggero). Al pari delle schiere di virologi ed epidemiologi televisivi, che hanno il sacro terrore di tornare nell’ombra qualora l’epidemia (come in effetti sta avvenendo) declinasse, tutti rapidi quando c’è da dare buone notizie… Problema: quanto è fondato questo terrorismo? La fonte è il “Robert Koch Institute”, ma in tutta evidenza si tratta solo di stime, quanto attendibili ce lo dirà il futuro. A noi pare, però, che le cose non quadrino. Se il tasso di contagio fosse in risalita, anche il numero dei casi dovrebbe crescere. Ma così non è.
Qui sotto le curve del contagio in Germania ed in Italia. Curve dei casi giornalieri in Germania ed in Italia, aggiornate al 27 aprile (fonte Worldometers) Primo, non c’è alcun segnale di peggioramento della curva del contagio in Germania. Secondo, la tendenza al calo è assai più netta in Germania che non nell’Italia blindata dai cialtroni del governo Conte. Che ci dicono in proposito i giornaloni? In effetti circolano diverse fake news… Fonte: Liberiamo l’Italia ITALEXIT O AGONIA di Piemme
Ci vuole una bella faccia tosta a presentare il vertice dell’Unione europea come un successo. Non è quella che manca a Conte. Il lettore si aspetterà che spieghiamo quelle che, con gergo liberista, vengono chiamate “tecnicalità” e/o “condizionalità” dell’accordo raggiunto tra i capi di stato e di governo dell’Unione europea. Immaginerà che entriamo nei dettagli della tripletta Bei-Sure-Mes. Resterà deluso poiché è tutto aleatorio, rimandato al prossimo vertice. Figuriamoci se possiamo dare un giudizio sul cosiddetto “Recovery fund”, che per aria stava e per aria resta, e ammesso che scenda a terra, i suoi fondi sarebbero erogati a babbo morto, ovvero l’anno prossimo. Né, del resto, possiamo dire qualcosa sui tanto strombazzati “eurobond”, che la Merkel ha chiesto e ottenuto che non fossero nemmeno posti all’ordine del giorno. Questa assenza di dettagli ed evidenze dice molto, anzi dice tutto. Ci dice che ancora una volta s’è imposta la linea tedesca: nessuna condivisione, non solo dei debiti pregressi, nemmeno di quelli futuri.
Chi si illudeva che davanti al dramma del COVID-19 e alla più grave crisi economica e sociale, i falchi dessero segni di resipiscenza, che cioè fossero disposti ad allargare i cordoni della borsa, ha preso l’ennesimo ceffone. Abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione che la Ue non è riformabile. Ballano solo alcune cifre sull’ammontare che l’Unione europea potrebbe devolvere per fare fronte all’inevitabile crollo economico — la Lagarde proprio ieri ha detto che si prevede per l’eurozona una caduta del Pil quest’anno del 15%, col che si può facilmente immaginare che per l’Italia andrà ancora peggio —, cifre spaventosamente insufficienti. La sproporzione tra la gravità della malattia e l’inefficacia del farmaco è abissale. Del resto, anche ove la Ue, raschiando il fondo del barile, giungesse a dare garanzie per 500-700 mld, essi non solo sarebbero spalmati su tutta l’Unione, sarebbero in gran parte a prestito, ed ogni singolo paese dovrebbe risponderne. Ci diranno i cicisbei del governo, che sarebbero senza “condizionalità” prescrittive. Si tratta di un trappolone. Le “condizionalità”, verrebbero imposte dai mercati finanziari, che agirebbero come spietato prestatore di ultima istanza. Immaginiamo infatti cosa potrebbe accadere nei prossimi anni, quando il debito pubblico italiano (per non contare quello del settore privato) sarà salito alle stelle. I “mercati” alzerebbero la posta, esigerebbero lauti interessi in cambio
del rischio e potreb A quel punto un default — la qual cosa, ricordiamolo, non significa bancarotta, che uno Stato non va in bancarotta, ma sarebbe lo stato di insolvenza — sarebbe inevitabile, cosa che implicherebbe, nel perimetro della Ue e in ambiente globalizzato, non solo una draconiana austerità e la miseria generale; significherebbe che la finanza predatoria andrebbe all’incasso comprando a prezzi stracciati beni reali: industrie, filiere produttive, banche, beni pubblici e demaniali. La Grecia insegna. C’è chi, in questo contesto, pur di non prendere atto che l’Unione non c’è più, che è un cadavere che cammina, pur di evitare la decisione di uscire da questa gabbia di matti, spera nell’intervento salvifico della Bce. Costoro — tra i quali adesso si annovera anche Bagnai, che dal “fuori dall’euro” è passato al “più euro” — chiedono che la Bce svolga finalmente, come le altre banche centrali, la funzione di prestatore di ultima istanza: acquisti tutti i titoli di debito finanziando direttamente gli Stati, tra cui il nostro. Vero è che questa mossa salverebbe l’Unione dal collasso finale. La Germania e i suoi segugi accetterebbero mai di affidare alla Bce questa funzione? Ne dubitiamo. Il dilemma verrà forse sciolto il 5 maggio dalla Corte costituzionale tedesca che si
esprimerà sulla liceità del “Quantitative easing” (Qe). Azzardiamo un pronostico: essa sancirà che il Qe se non cozza apertamente con la Costituzione tedesca, rappresenta tuttavia una sostanziale deviazione dai suoi principi, con ciò ribadendo il rifuto che la Germania debba ubbidire a poteri sovraordinati, quindi ponendo una pietra tombale sulle speranze di coloro che credono nell’intervento salvifico della Bce. Con ciò la palla, con un lungo cross, sarà gettata dalla Germania al di sotto delle Alpi, nella metà italiana del campo. E starà all’Italia decidere: tirarsi fuori dall’Unione, riprendendosi la propria sovranità politica e monetaria allo scopo di finanziare un grande piano di investimenti pubblici e sostenere la domanda interna (contestualmente controllando il movimento dei capitali per imperdirne la fuga), oppure un’inesorabile agonia, accettando così di entrare in un periodo di gigantesche tensioni sociali interne. Gli attuali Gaulaiter al governo cesseranno di agire da ascari e servi? Invertiranno, prima che sia troppo tardi, la rotta? Ne dubitiamo. Le forze patriottiche debbono prepararsi ad una dura battaglia, sapendo che molto probabilmente dovranno prendere in mano un Paese in macerie. I TEDESCHI PIÙ POVERI D’EUROPA?
Vale la pena segnalare un’indagine della Bce del 2013. Essa prendeva in considerazione anzitutto il tasso di proprietà immobiliare delle famiglie. Era già noto che esso è in Germania tra i più bassi, mentre nei paesi mediterranei è decisamente più alto, così noi, ma anche greci e spagnoli, risultavamo più ricchi dei tedeschi. Per di più il tasso d’indebitamento dei cittadini tedeschi era tra i più alti della Ue. Di acqua ne è passata sotto i ponti. Una nuova indagine mostrerebbe di sicuro che le politiche austeritarie adottate per stampellare l’eurozona, hanno causato un impoverimento dei paesi mediterranei (a cominciare dalla Grecia) a tutto vantaggio della Germania. * * * Uno studio della Bce mostra che i tedeschi sono tra i più poveri d’Europa di Shai Ahmed* I tedeschi sono una delle popoalzioni più povere d’Europa, persino più povere di quelle nelle travagliate nazioni periferiche di Grecia, Spagna e Italia, ciò secondo i sorprendenti risultati di un sondaggio congiunto di diversi dipeartkenti della Banca centrale europea. L’indagine sulle finanze e i consumi delle famiglie (HFCS) ha esaminato la ricchezza delle famiglie in alcuni paesi chiave dell’area dell’euro. Secondo il rapporto, “la composizione della ricchezza netta è determinata principalmente da beni reali”, di cui la componente principale è la ricchezza abitativa occupata dai proprietari.
Per i paesi che non hanno alti tassi di proprietà della casa e non hanno registrato aumenti significativi dei prezzi delle case, la ricchezza netta appare più marcatamente ridotta, come la Germania, che è “più povera” in termini di ricchezza netta rispetto ad alcuni paesi che invece finanziano programmi di salvataggio. L’indagine ha identificato il tasso di proprietà in immobili delle famiglie in cinque categorie: residenza principale, altre proprietà immobiliari, veicoli, oggetti di valore e attività di lavoro autonomo. Rispetto a tutti i paesi indagati questo tasso è in Germania il più basso. La Germania ha infatti uno dei tassi di proprietà più bassi quando si tratta di residenza principale ed anche uno dei più bassi in termini di altre proprietà immobiliari. Grecia, Cipro e Spagna hanno mostrato tassi più elevati e quindi una maggiore ricchezza netta. Un fattore, che avrebbe potuto distorcere i risultati, è che il sondaggio ha esaminato la ricchezza delle famiglie e non degli individui. Pertanto, quei paesi che hanno una tradizione e una preferenza culturale per le famiglie più numerose, prevalentemente nell’Europa meridionale, possono sembrare più ricchi. La ricchezza netta secondo i risultati è sostanzialmente più elevata a Cipro a 671.000 euro rispetto ai 195.000 euro alquanto irrisori per i tedeschi. Anche la Spagna supera la Germania con una ricchezza netta pari a 291.000 euro e l’Italia a 275.000 euro. Alla luce dei fatti macroeconomici sul campo, potrebbe essere sorprendente apprendere che la Germania, nel suo insieme, è “più povera” di Cipro, un paese in ginocchio, o della Spagna
dove la disoccupazione si attesta al 26 percento, rispetto al tasso della zona euro del 12 percento. Scrive la BCE: «La misurazione della ricchezza è subordinata al fatto che la variazione della ricchezza è influenzata dalle istituzioni e da macrodinamiche che recentemente hanno differito sostanzialmente tra le varie famiglie, regioni e paesi sia con dell’eurozona che fuori». L’idea che i cittadini delle nazioni periferiche abbiano sperperato la loro ricchezza e siano stati frivoli, è stata anche smentita dalla ricerca. Gli italiani risultano essere i più parsimoniosi nello studio con il tasso d’indebitamento più basso.. Il settantacinque percento delle famiglie italiane non ha alcun debito, rispetto a circa il 53 percento in Germania e il 34 percento in Olanda. * Fonte: CNBC ** Traduzione a cura della redazione IL MODELLO TEDESCO NON FUNZIONA NEANCHE IN GERMANIA di D. Moro
[ sabato 3 agosto 2019 ] Da anni la Germania viene portata a esempio agli altri Paesi europei, soprattutto a quelli meridionali. Eppure, il modello tedesco, basato sull’export manifatturiero e su un ampio surplus commerciale unito a forti attivi di bilancio pubblico, appare in difficoltà, rivelandosi dannoso per la stessa Germania. Malgrado l’export di maggio 2019, rispetto al maggio 2018, sia cresciuto del 4,5% e il surplus commerciale ammonti a 20,6 miliardi contro i 20 dell’anno precedente, la manifattura tedesca, secondo uno studio della KFW, la Cassa depositi e prestiti tedesca, è in recessione. Una affermazione confermata dall’indice di Ihs Markit e dai dati di eurostat, che denotano un evidente calo della produzione manifatturiera. L’indice di acquisto manifatturiero di luglio (PMI), elaborato dalla Ihs Markit, è a 43,1, il minimo da 84 mesi, cioè da sette anni. A pesare sarebbero soprattutto le prospettive del settore auto. Per quanto riguarda la produzione manifatturiera complessiva in volume, la Germania, dopo aver registrato una crescita tra la metà del 2016 e la metà del 2018, risulta in calo tra la metà del 2018 e il primo trimestre 2019. Inoltre, se guardiamo a tutto il periodo dal quarto trimestre 2015 al primo trimestre 2019 l’Italia fa meglio della “locomotiva” tedesca (Graf. 1). Anche nell’indice Markit l’Italia (48,84) e l’eurozona (46,4) si situano al di sopra della Germania.
Produzione manifatturiera di Germania e Italia in volume per trimestre (indice 2015=100; dati destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario) Fonte: Eurostat, Production in industry – quarterly data [sts_inpr_q] Le difficoltà della Germania nella manifattura, ma non solo in essa, si manifestano anche negli esuberi di personale proprio nelle grandi aziende che rappresentano i campioni tedeschi a livello mondiale. Sono 85mila i dipendenti a tempo pieno che, si prevede, verranno espulsi dalla produzione nel prossimo futuro. Si parte dalle banche: Deutsche Bank ha annunciato esuberi per 18mila unità e Commerzbank per 5.300. Nella manifattura si annunciano tagli tra 5mila e 7mila unità in Daimler, 4mila in Bmw, 6mila in Basf entro il 2021, 6000 in ThyssenKrupp, 12.700 in Siemens, 3000 in Sap e 4500 in Bayer. Il pericolo principale per l’economia tedesca, che già si trova a far fronte a una riduzione dei titoli in borsa e degli utili, è la contrazione del mercato mondiale, legata anche alle guerre commerciali intraprese da Trump, che, dopo la Cina potrebbe prendere di mira la Germania. Del resto, come abbiamo detto, la manifattura tedesca è orientata all’export, come è dimostrato dall’alta quota delle esportazioni di beni sul Pil,
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