VOLVO ITALIA CASE HISTORY

Pagina creata da Samuele Tosi
 
CONTINUA A LEGGERE
VOLVO ITALIA
CASE HISTORY

INCONTRO
Nel 2006 Marco Lazzoni, Amministratore delegato di Volvo Italia, organizzò a
Milano un seminario per conto della Camera di commercio italo-svedese sul tema
Etica e business. In quell’occasione il professor Umberto Galimberti gli consigliò di
leggere un libro, in cui avrebbe trovato una concettualizzazione interessante di una
serie di problemi strutturali e sostanziali che regnano all’interno della cultura
manageriale e di quella organizzativa delle imprese. Quel libro era Leadership
riflessive.
“Il titolo era invitante e quindi lo comprai subito. Le sensazioni che avevo raccolto
in una carriera, avendo sempre lavorato in grandi multinazionali americane,
tedesche, italiane, ora svedese, Andrea Vitullo le aveva razionalizzate nel suo
scritto. Quindi ci mettemmo in contatto e iniziammo a lavorare insieme. In questo
modo nacque la collaborazione con Inspire”.
Marco Lazzoni cercava una fonte di ispirazione ed energia per motivare e abilitare le
persone nella sua azienda. Ma soprattutto cercava una strumentazione adatta per
dare corpo a un'intuizione che coltivava da anni: i clienti chiedevano a Volvo un
prodotto “vero”, e per poterlo vendere Volvo aveva bisogno di cambiare
radicalmente e di essere un'organizzazione “vera”. Per realizzare questo progetto
servivano tre elementi:
    – una visione dell’azienda;
    – un abilitatore del sistema;
    – l’ingaggio dei singoli.
In questo articolo descriveremo i tratti salienti di tre anni di collaborazione tra
Volvo Italia e Inspire, con l'intento di mostrare cosa può significare, concretamente,
lavorare con la filosofia dentro le organizzazioni. Nei progetti che illustreremo,
vedremo all'opera il gioco dialettico tra “visione”, “abilitazione” e “ingaggio”, con cui
l'azienda ha intrapreso il percorso per “diventare sé stessa”.

1
INFILTAZIONE
Il primo progetto in collaborazione con Inspire per “abilitare il sistema” e
“ingaggiare le persone” è stata un'infiltrazione filosofica nella Market Company, la
struttura commerciale, vero cuore pulsante dell'azienda.
Si è scelto di utilizzare il format “Presenze”, un ciclo di incontri di pratica filosofica
che negli anni Inspire ha proposto e realizzato in diverse aziende italiane e
multinazionali, attive in diversi settori, dal bancario al farmaceutico all’alimentare.
Il titolo del format allude a due elementi di innovazione: in primo luogo la presenza
fisica del filosofo nell'organizzazione, una figura professionale ianttesa e
difficilmente riconducibile agli schemi operativi del mondo aziendale; in secondo
luogo l'invito rivolto ai partecipanti a una piena presenza, mentale e affettiva,
durante le sessioni di lavoro insieme.
Presenze è iniziato in Volvo Italia agli inizi del 2008: il percorso è durato 2 mesi e
ha coinvolto 38 persone, che hanno aderito all’iniziativa su base volontaria.
Il progetto ha erogato più di 20 ore di presentazioni, laboratori filosofici di gruppo,
incontri in plenaria. I partecipanti si sono divisi a partire dal secondo incontro in
tre gruppi, che hanno sviluppato tre diversi percorsi di ricerca, confluiti al termine
del progetto in un Simposio filosofico a cui ha partecipato anche il Top
Management dell'azienda.
I lavori sono stati coordinati, facilitati e contaminati da Pierpaolo Casarin e
Francesca Scarazzato, consulenti filosofi, provenienti entrambi dal Master di II
livello in Consulenza Filosofica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, diretto dal
Prof. Luigi Perissinotto e dal Prof. Umberto Galimberti.

METODO
La libertà ha bisogno di regole chiare, e questo è valido anche in un'infiltrazione
filosofica. Con le opportune modifiche, la metodologia che è stata usata in Volvo
riprende la Comunità di ricerca (community of enquiry) della scuola americana di
Matthew Lipman, fondatore della Philosophy for Children.
I consulenti filosofi hanno dato il via ai lavori prendendo spunto da un gruppo di
domande propedeutiche, pensate per favorire l’incontro non facile tra culture,
mentalità, atteggiamenti diversi (la soggettività dei singoli partecipanti, l'oggettività

2
del contesto aziendale, l'idealismo della filosofia). Queste domande iniziali hanno
toccato alcuni temi accomunati da un particolare “collocamento”, sulla soglia tra
vita privata e vita lavorativa.
Alcuni di questi temi sono: la felicità (“Cosa vuol dire per te avere uno scopo?” “Chi
ha detto che bisogna essere felici?”); la libertà (“Cosa significa essere libero?” “Cosa
fai per la libertà delle persone che lavorano con te?”); l’identità (“Cosa significa
essere se stessi?” “Senti mai il bisogno di nascondere il tuo modo di essere?”); il
tempo (“Tempo libero da che cosa?” “Dove va a finire il tempo perso?”).
Queste prime domande sono state proposte come stimolo di riflessione. Lo stimolo
ha portato alla stesura di un’agenda delle domande e delle considerazioni dei
partecipanti, e a partire da questa il lavoro collaborativo facilitato dai filosofi ha
permesso di tessere insieme un “piano di discussione”. Questo piano si colloca in
uno spazio diverso dalle certezze e dai luoghi comuni delle normali conversazioni di
lavoro; si trova, se c’è la voglia di trovarlo e se accade l’evento della scoperta di un
tale spazio di dialogo e partecipazione, lontano dalla “zona di comfort” che ciascuno
ha in un modo o nell’altro ritagliato per sé nel proprio ambiente lavorativo. È un
piano che costringe a mettersi in gioco, ad esporre le proprie convinzioni e quindi a
mettere a rischio, a stare nella postura della parola “vera”, che non sempre coincide
con la parola opportuna. È un piano che chiama in causa le biografie dei
partecipanti, per svelarle e valorizzare il loro potenziale di “verità”: in filosofia,
infatti, non si fa riferimento alla psiche, a fenomeni inconsci, a verità che richiedono
una particolare tecnica per essere portate a galla. Tutto ciò che serve sapere è ciò
che i partecipanti già sanno: fare filosofia non significa scrivere una nuova storia,
ma imparare a notare i collegamenti, le incongruenze, il senso di una storia che è
tutta scritta nelle esperienze concrete vissute dalla persone. La filosofia è una
celebrazione dei pensieri che ci rendono esseri umani, proprio quegli esseri umani
che siamo e possiamo essere.

PARTECIPAZIONE
Chiedere alle persone di fermarsi e parlarsi può essere spaesante, oppure irritante, o
affascinante, perché il tempo oggi è la grande metafora di una liberazione che le

3
persone desiderano ma rispetto alla quale sono carenti di strumenti. La filosofia è
stata il pretesto per donarsi un tempo dotato di senso.
I feedback molto positivi dei partecipanti ci dicono che è stata innanzitutto questa
modalità “spiazzante” di condurre gli incontri a convincerli a proseguire
l’esperienza. Hanno avuto la percezione che per una volta venisse dato davvero
valore alla relazione tra le persone, indipendentemente dalle caselle in cui si ritaglia
la vita organizzativa: una relazione autentico, scaturita dalle parole “vere” e non dai
linguaggi specialistici, una relazione indipendente dai ruoli e libera dalle agende.
Questa pratica ha portato dei momenti di agio e benessere; ha indotto una grande
partecipazione; ha favorito una naturalezza di comportamento, un ascolto attento e
un clima divertito. La sensazione condivisa è stata che il tempo sia volato via, una
sensazione appagante e di grande benessere, che viene descritta così da Francesca,
una dei filosofi coinvolti nel progetto:

“Avete presente il gioco del 15, che forse molti di voi avranno fatto da bambini,
andava molto di moda negli anni 70? Dal caos di numeri iniziali bisognava
arrivare ad un ordine progressivo compiuto, ma per farlo, perché ci fosse spazio
di gioco, possibilità di andare avanti, c’era bisogno di una casella essenziale,
quella mancante, lo spazio vuoto, che permetteva a tutte le altre di poter occupare
il loro posto. Ecco, questo abbiamo provato a sperimentare, muoverci in questo
spazio vuoto, in cui non c’erano già le caselle in ordine, in cui ognuno di noi
doveva provare a muoversi, a mettersi in gioco. Se vogliamo questo spazio vuoto è
proprio lo spazio della libertà, nostra e altrui ed è questo spazio che ci permette di
ridefinirci, nel confronto con altri. E abbiamo imparato la possibilità di non
riempirlo tutto questo spazio, di lasciare, il posto agli altri, attraverso l’ascolto,
l’attenzione, il silenzio, la capacità di fare spazio.”

ESPLORAZIONE
L’ospitalità per le persone è diventata ospitalità per domande e inquietudini che
spesso sono taciute negli ambienti lavorativi, ma che sono imprescindibili per
provare il piacere di pensare, e quindi poter crescere umanamente e
professionalmente. Spesso la formazione non insegna a pensare: il tempo per agire

4
schiaccia completamente il tempo per formarsi, e per il tempo per pensare non resta
più nulla. Con l’esperienza di Presenze invece le persone Volvo si sono sentite
Autori di pensiero. Hanno sperimentato che se si autorizzano ad esprimere il
proprio pensiero, in uno spazio adeguato esse possono trovare spazio e
riconoscimento, e diventare generatori di proposte e idee innovative. La pratica
filosofica ha dato la possibilità ai partecipanti di esplorare liberamente alcune piste
di riflessione che erano importanti per loro, e attraverso la complicità tra individui,
di creare insieme un concetto, ovvero un pensiero chiaro, strutturato e condiviso.
Si è iniziato pretestuosamente dalle domande-stimolo lanciate dai filosofi, per
inoltrarci poi sempre più all'interno delle curiosità e delle inquietudini poste dai
partecipanti. Con il progredire dell'esplorazione filosofica, si sono affacciate
domande sempre più potenti e sempre più collegate alle esperienze concrete di vita
dei partecipanti. Dopo alcune sessioni di Comunita di Ricerca si sono create le
condizioni per tentare un metodo di indagine filosofica più complesso e
impegnativo: il Dialogo Socratico. Attraverso il Dialogo socratico ciascun gruppo ha
dato scelto un concetto chiave e ha provato a darne una definizione condivisa, non
banale e libera da luoghi comuni. Ad esempio il terzo gruppo ha scelto di sviscerare
il concetto di ricerca, e lo ha infine definito così: “La ricerca è una tensione,
organizzata o non organizzata, verso uno stato (stadio, condizione) migliore
(nuova/o) nel quale il soggetto può realizzare/raggiungere una maggiore
consapevolezza di sé”.

CONSULENTI E FILOSOFI
In tutto il percorso, i due consulenti filosofi hanno avuto due funzioni:
    – procedurale: la contribuzione delle persone, soprattuto quando non c'è
      familiarità con la filosofia, va facilitata, coordinata e spesso provocata e
      stimolata;
    – etica:   il processo di messa a nudo dei concetti (e di se stessi) è tanto
      emozionante     quanto     delicato,   e   va   protetto    da   dinamiche     di
      strumentalizzazione, che sono connaturate (potremmo dire “fisiologiche) ai
      contesti organizzativi in cui i pensieri e le interazioni tendono a riflettere
      passivamente le strutture gerarchiche.

5
Francesca e Pierpaolo hanno lavorato per abilitare le persone a stare con presenza
mentale ed emotiva dentro all'esercizio filosofico del pensiero critico: non dare
nulla per scontato e cogliere ogni ambiguità, paradosso, incomprensione, ogni
elemento irrazionale come occasione per approfondire e immaginare.
Hanno protetto lo sviluppo dei differenti processi di riflessione, e hanno protetto
alcuni processi di trasformazione, individuali e di gruppo, che si sono svolti
nell’arco dei tre incontri. I facilitatori    in questo caso non si sono limitati a
“togliersi”, a lasciare spazio alle persone per “filosofare” insieme. Non hanno
lavorato per le persone ma hanno invece accettato di mettersi in gioco con le altre
persone: in questo modo hanno evitato di ricadere nella gabbia del “ruolo” (di qua i
facilitatori, di là i partecipanti) e sono riusciti meglio a realizzare un incontro
autentico, sul piano della umanità, non della tecnica.
Questa pratica di facilitazione “umana” è lo specifico di Presenze ed è la “tecnica”
con cui si realizza una infiltrazione:
    – il filosofo fa un passo indietro come sòphos (sapiente) e lascia spazio di
       movimento alle idee, chiare o confuse, strutturate o ambigue che siano;
    – il filosofo fa un passo avanti come phìlos (amico) e quindi come persona, e
       incontra le altre persone sul piano delle cose semplici che ci riguardano in
       quanto esseri umani;
    – fidandosi soprattutto del proprio buon senso, ci si autorizza a entrare nel
       concetto (partecipare) e a uscirne (facilitare), a seconda delle necessità del
       gruppo e del punto in cui si trova il dialogo;
    – questo lavoro si fa in due: i due filosofi si “tendono la mano” e si “coprono il
       gioco”, in modo che ciascuno dei due possa, quando serve, non facilitare
       ma essere, essere semplicemente se stesso, con le proprie parole imperfette
       ma anche senza parole, in un temporaneo riparo dal ritmo incalzante del
       dialogo, nel quale riflettere con più calma.
“Se non avessi potuto essere Francesca, e godere dei silenzi e dei momenti di
sospensione in cui “si sta a guardare le idee”, i loro movimenti, senza la fretta di
contribuire e organizzare il pensiero altrui, ma aprendo una pausa, rimanendo
nell’esitazione, non avrei potuto fare veramente filosofia con voi”.

6
TEMI DI RICERCA
I temi toccati in questi cicli di incontri, quelli sui quali le persone Volvo sono state
più sensibili e attive, sono stati i seguenti. Li presento succintamente con l’unico
scopo di far percepire l'energia e la qualità che si attivano in un percorso di pratica
filosofica:

• Il linguaggio, risorsa congestionata nel flusso di comunicazioni, o imbrigliata
nelle reti dei saperi specialistici e dei protocolli; linguaggio smascherato nella sua
ambivalenza, pericolosità e ricchezza di potenziale inespresso; linguaggio in cui si fa
l’esperienza della differenza e dell’incomprensione; linguaggio da smontare e
ricostruire, rischiarando con pazienza il significato e la ricchezza delle singole
parole; linguaggio che tradisce il desiderio insopprimibile di capirsi veramente, di
essere uomini e donne uno di fronte agli altri. “La parola conta, può fare una
differenza non solo sull’altro ma soprattutto su di me, sui miei pensieri e sulle idee
che posseggo e che spesso mi posseggono”.

• Il tempo, soggettivo e oggettivo; intrecciato con la libertà dell’individuo, con i
suoi stati mentali, con le sue scelte e la sua capacità di darsi delle priorità; tempo
frettoloso che chiede di fermarsi, di disimpegnarsi; tempo da conquistare, tempo da
liberare per fare cose che ci riguardano, cose piacevoli, cose veramente utili e che
hanno senso per noi; tempo della modernità, emergenza della sincronicità,
necessità di essere in più cose contemporaneamente.

• Il riconoscimento, lavoro dell’intelligenza sui pregiudizi, che permette di
scoprire le persone dietro ai ruoli, che interroga sulla capacità di accogliere e di
convivere. Riconoscimento che è infine la grande conquista di ciascun individuo, e
che rappresenterà in futuro la sfida di ogni impresa che vuole essere “vera”;
riconoscimento che scandisce la progressiva perdita dell’imbarazzo e della
diffidenza, la conquista della capacità di esprimere i propri punti di vista e di
mettere in circolo un pensiero autentico e personale.

• La ricerca, pratica di smarrimento e riposizionamento; metodica mappatura del
territorio con cui divergere dai sentieri già percorsi; spazio di conversazione che

7
autorizza a sperimentare e a mettere in relazione cose apparentemente separate. La
ricerca, durante queste infiltrazioni filosofiche non è scaturita da saperi
precostituiti, ma è nata dalle domande radicali dei partecipanti, dall’esposizione alle
domande che per lo più non ci permettiamo di fare; una ricerca che ha coinvolto
anche alcuni aspetti intimi degli individui, e che ha fatto fare un lavoro su sé stessi.
Ricerca, riconoscimento, tempo, lavoro sul linguaggio. Sono diversi aspetti di ciò di
cui hanno disperatamente bisogno le organizzazioni oggi: la capacità di pensare.
Lo testimonia in maniera semplice e diretta R., uno dei più ferrei scettici, all’inizio,
rispetto al senso di una pratica filosofica in azienda, diventato poi un animatore
entusiasta del Simposio, quarto incontro con cui si è concluso, in plenaria e alla
presenza della dirigenza, il percorso di Presenze: “Se scopro che il mio pensiero può
essere ascoltato, e quando ascoltato può essere un’esperienza altamente
gratificante e piena, rischio poi di mettere pensiero perfino nel lavoro stesso!”

PRESENZA
Possiamo dire che dal 2008 ad oggi, i lavori di ricerca e sviluppo sulle persone che
Volvo Italia ha svolto in collaborazione con Inspire sono stati un'evoluzione delle
linee di ricerca tracciate nel progetto Presenze.
Presenze è stato l'evento in cui ci si è accorti di esserci. Quello che viene dopo
sono lavori svolti da persone che “si sono accorte di esserci”, e solo per questo fatto
hanno una qualità sensibilmente diversa da ciò che avrebbero fatto le stesse persone
senza questa consapevolezza.
La presenza è un germe di novità, di cui si accorgono per primi i partecipanti di una
pratica, mentre la svolgono insieme. Poi però questa novità può contagiare il
contesto lavorativo a cui queste persone ritornano: le agende, il modo di
interpretare i ruoli, la possibilità di fare propria una missione e una visione, il modo
di collaborare, le aspettative, la gestione del tempo. La presenza è una rivoluzione,
senza bisogno di fare la rivoluzione. In un'azienda questo è moltissimo: far nascere
qualcosa dal contesto in cui siamo, verificandone ma anche forzandone un pò i
limiti, autorizzarsi a fare cose diverse in uno spazio protetto e poi rischiare
consapevolmente di portarlo nelle abitudini organizzative consolidate.

8
COMUNITA'
Le persone di Volvo si sono “accorte” prima di tutto di essere insieme, di essere
una comunità. Non è un caso che il metodo filosofico di Lipman che è stato usato si
chiami “Comunità di Ricerca”. Sentirsi comunità e “fare comunità” sono l'esito più
naturale di questo tipo di lavoro.
Ma di che tipo di comunità stiamo parlando? Ci sono comunità che si formano
intorno a un luogo fisico, altre che si formano intorno a un'ideologia, a uno slogan,
altre che si formano intorno a una pratica, a un lavoro condiviso, ecc.
Nel nostro caso abbiamo tutte le componenti sopra accennate (il luogo fisico
dell'azienda, la missione e gli slogan aziendali, i lavori e i progetti che si vivono
insieme) ma ne abbiamo una ulteriore che fa la differenza. Volvo Italia è una
comunità di persone che si fanno le stesse domande, o che almeno hanno messo
molte domande in comune.
Si sono portati a casa molte domande, e poche risposte dall'incontro con i filosofi.
Quanto di veramente mio ci metto in quello che faccio? Quanto spazio lascio anche
al non sapere, all'incertezza? Quanto spazio lascio al mio desiderio? Quanto sono
disposto a farmi conoscere? Come conquisto la mia libertà? Qual è lo spazio che
lascio alla libertà degli altri? Quanto sono ospitale rispetto all’inatteso? Che cosa
significa partire da sé? Che cosa significa trovare parole vere? Cosa significa la
sconfitta? Che cosa significa reagire? Qual è il senso del limite? Quanto rischio e
quanto guadagno ad espormi? Ho un progetto di vita? L’azienda ha un progetto per
me? Qual è la visione dell’azienda su di me tra 10 anni? La saggezza si può
insegnare? Cosa succede faccio un lavoro su me stesso insieme a persone mature?
Queste domande sono le premesse per un lavoro di costruzione di una
comunità consapevole dentro a un’organizzazione.

IDENTITÀ
Per Marco Lazzoni, amministratore delegato di Volvo Italia, il punto di riferimento
per costruire una vera comunità all'interno della sua azienda era sempre stata la
Svezia. La Svezia era per lui il tratto identitario forte di Volvo Italia, la specificità
che dava valore aggiunto al lavoro di tutti, e quindi anche al prodotto: il camion
Volvo venduto sul mercato italiano.

9
I tratti salienti di questa identità (cfr. box3 Il modello svedese) sono la sensibilità
estetica, l'integrità etica, uno stile di vita equilibrato (tra competitività e benessere,
tra tecnologia e ambiente, tra orgoglio di appartenenza e rispetto delle diversità).
Innamoratosi da subito della Svezia, Marco Lazzoni ha coltivato il progetto di
appropriarsi dello stile di pensiero “svedese” e di contaminarne la sua azienda. “Il
contesto nel quale noi siamo e lavoriamo (l'Italia ndr) è quasi simmetrico e
opposto, ma quando ci penso, piuttosto che disperarmi, pensando che sia
praticamente impossibile portare me stesso e i miei colleghi a ragionare e a vivere
in quella maniera, io penso che un’azienda come la mia possa offrire un pezzo di
quella cultura all’interno di una società fatta in maniera radicalmente diversa”. Lo
stile di pensiero svedese ha i caratteri dell'understatement, è sempre molto
semplice, easy. Applica pragmaticamente il principio del “just enough”, e in questo
modo determina scelte e comportamenti che sono all’opposto dell’apparenza,
dell’opulenza e del consumismo.
Il lavoro che è stato fatto, con il supporto di Inspire, per “portare in azienda un
pezzo di quella cultura”, è stato quello di valorizzare i tratti salienti di un modello di
pensiero e di azione (svedese) e di una comunità (italiana, e in particolare
bergamasca). Valorizzarli e aiutarli a riconoscersi a vicenda e a comunicare tra di
loro. In un certo senso è stato necessario contenere l'“utopia svedese”
dell'amministratore delegato, e al contempo immettere un certo quantitativo di
utopia nel lavoro, nelle conversazioni, nelle interazioni tra i lavoratori di Volvo
Italia. Lo strumento utilizzato per attivare questo processo trasformativo è stata una
carta dei valori, una di quelle stupende pubblicazioni dimenticate nell'ultimo
cassetto della scrivania di ogni buon impiegato: The Volvo Way.

VOLVO WAY
La Volvo Way è il documento della casa madre che dichiara i valori, i principi, i
comportamenti su cui si fonda l’identità Volvo, e così sintetizza la cultura
organizzativa aziendale.    È “un pezzo di Svezia” che viene distribuito a livello
internazionale a tutti i dipendenti Volvo.
La Volvo Way è uno strumento di comunicazione che si inserisce nella strategia di
Volvo di puntare sulle persone per sviluppare una cultura competitiva a supporto

10
del business di Volvo nel mondo: “La nostra capacità di sviluppare una cultura
competitiva è un fattore strategico a lungo termine per la redditività. A differenza
delle tecnologie, delle strategie, delle strutture o dei modelli di business, la cultura
mal si presta a essere copiata dal concorrente. Sarebbe analogamente difficile per
noi copiare la cultura di un concorrente.”
La Volvo Way che circolava nel 2008 affermava dei valori (qualità, sicurezza e cura
dell’ambiente), delle pratiche (energia, passione e rispetto per la persona) e dei
codici di comportamento (orientamento al cliente, spirito d’azienda, dialogo
aperto, lavoro di squadra, diversità ecc.). La versione aggiornata della Volvo Way
che è stata pubblicata nel 2010 differisce sostanzialmente in alcuni punti dalla
versione precedente, dando maggior peso ai valori relazionali e lasciando “qualità”,
“sicurezza” e “cura dell'ambiente” sullo sfondo, come prerequisiti.
Al di là di queste differenze, ciò che l'azienda intende fare attraverso la Volvo Way è
un discorso di valore (credibile, motivante, rassicurante) sui propri valori, al fine di
dare un valore aggiunto (chiaro, riconoscibile e apprezzabile) al proprio brand e al
proprio business.

VALORI SULLA CARTA
Come accade per tutte le “Carte dei valori”, anche il valore della Volvo Way può
rimanere solo sulla carta oppure essere reale. Anche per Volvo è solo il
riconoscimento da parte della comunità di riferimento (i diversi stakeholders
interni ed esterni: collaboratori, clienti, fornitori, società civile, istituzioni ecc.) che
conferisce valore al suo discorso sui valori. La Volvo Way è quindi solo un pezzo di
carta se non viene ascoltato, discusso, condiviso, interrogato e messo in pratica
dalle persone.

Prendendo spunto dall'esperienza fatta nel format filosofico di Presenze, Volvo
Italia ha progettato, in collaborazione con Inspire, un processo di infiltrazione e di
appropriazione dei valori della Volvo Way nella vita quotidiana dei propri
stakeholder: clienti, fornitori e dipendenti.
Questo processo ha utilizzato in maniera innovativa gli strumenti della
comunicazione messi a disposizione da Volvo. Invece di comunicare dall'alto al

11
basso i valori dell'azienda (attraverso slogan, campagne, eventi ecc.), Volvo Italia ha
scelto di ascoltare le persone attraverso alcuni spunti forniti dalla Volvo Way.
L'obiettivo è stato quello di: rafforzare i legami, umani e professionali, tra le
persone della sua comunità di riferimento; mettere in comune delle domande
fondamentali sul senso di quello che si fa in Volvo; creare un sentire comune sulla
missione di Volvo e sul modo Volvo di fare business.

L'esito auspicato di questo processo è una Volvo Way “reale”: un sentire comune su
ciò che abbiamo realmente in comune, un modo di pensare, domandare, fare che è
testimoniato dalle persone attraverso le conversazioni, i comportamenti, le scelte. Il
percorso che porta i valori dalla “carta” alla “realtà” è un work in progress, che non
si può esaurire con una o più iniziative. Questa impostazione del lavoro è coerente
con quanto enunciato dalla stessa Volvo Way: “La Volvo Way è durevole, non
immutabile. È anzi lecito attendersi che cambierà col cambiare del mondo attorno
a noi. Tutti noi siamo parte di questo cammino di progresso”.
Proveremo qui a documentare i cantieri che su questo tema sono stati aperti in
Volvo Italia dal 2008 ad oggi.

DISTILLARE
Il primo cantiere aperto è stato quello dell'ascolto.
In una logica di differenziazione e valorizzazione della propria identità, è stato
indispensabile puntare su un processo di ascolto e di riconoscimento dei valori
vissuti in Volvo dalle persone.
Cosa è la Volvo Way? Di chi parla? Cosa ne vogliamo fare? Quali altri valori
valgono in Volvo, al di fuori di quelli della Volvo Way ? Quale riconoscimento
hanno? I valori si dimostrano con le parole o con i fatti? Siamo un azienda etica?
Queste sono alcune delle domande che sono state tenute in considerazione nella
progettazione degli strumenti di ascolto. Alle persone però abbiamo rivolto
domande molto più dirette e concrete, relative ai loro valori personali e ai
comportamenti riscontrati in Volvo.
Il processo di ascolto, denominato “Distillare i valori” è stato dedicato il secondo
trimestre del 2008. L'ascolto si è sviluppato in quattro momenti:

12
1. Ascolto dei clienti e fornitori più importanti
Sono stati intervistati, tramite un questionario strutturato “Ascoltarsi in 13
domande” (che ruotavano intorno ai concetti chiave della Volvo Way), 65
stakeholder seganalati dalla Direzione. L'obiettivo è stato raccogliere le opinioni
autorevoli sulla identità percepita dell'azienda (le caratteristiche e i valori che
caratterizzano l’identità di Volvo sul mercato).

2. Sondaggio interno
È stato distribuito tramite la intranet aziendale lo strumento “All about us”,
semplice questionario in tre domande a cui è stato associato un concorso.
I risultati di queste due prime iniziative di ascolto, esterno ed interno, sono state
presentate insieme a tutta la Market Company. Il risultato è stato un
coinvolgimento immediato sul piano del confronto tra percezione interna (come ci
vediamo, come crediamo di operare) e percezione esterna (come siamo visti dagli
altri, cosa arriva realmente al cliente e al fornitore nella nostra comunicazione).
Pregi e difetti di un organizzazione, riconoscibili come buone e meno buone
pratiche che riguardano tutti i lavoratori.
Il confronto fa sorgere delle domande, le domande mettono in discussione abitudini
e preconcetti. Da questo punto in poi il documento “Volvo Way” diventa
concretamente un ponte di comunicazione tra interno ed esterno, tra la scrivania (o
l'officina) e il mercato. Esso fornisce alcuni paletti su cui si misura la congruenza tra
ciò che ciascuno vuole essere attraverso il proprio lavoro, e ciò che riesce
effettivamente ad essere. Fornisce alcuni punti di riferimento che sono utili per
capire come ci si sta muovendo nel mercato, rispetto alle aspettative el proprio
datore di lavoro e dei propri clienti e interlocutori.

3. Ascolto della Market Company
La Market Company, ovvero la struttura commerciale che costituisce il nerbo di
Volvo Italia, è stata intervistata approfonditamente attraverso il questionario
“Ascoltarsi   in   26   domande”      e   due   Focus    Group.    Hanno     partecipato
complessivamente all'iniziativa 78 persone. Gli sviluppi dell'iniziativa sono stati
seguiti da un blog aziendale progettato ad hoc.

13
Puoi indicare tre valori importanti che orientano la tua vita? Questi valori
trovano spazio sia nella vita privata sia in quella professionale? Cosa significa per
te qualità? Ricordi un fatto concreto, un’esperienza vissuta in prima persona, in
cui hai “toccato con mano” il valore del Rispetto della persona nella tua vita
professionale? Cosa potrebbe fare Volvo per migliorare il Dialogo con te? Queste
sono alcune delle domande con cui abbiamo aiutato le persone ad ascoltarsi rispetto
alla sfera etica della propria vita, dentro e fuori Volvo.

4. Ascolto dei Truck Center
Il questionario “Ascoltarsi in 26 domande” è stato proposto anche a 118 lavoratori
dei Truck Center . Sono state organizzate quattro presentazioni nelle sedi di Mestre,
Trento, Verona e Zingonia, per spiegare gli obiettivi dell'iniziativa, rispondere alle
domande e accogliere le perplessità dei lavoratori. Le presentazioni sono state
tenute da un referente interno dell'area HR Volvo Italia e da un filosofo Inspire.

Gli esiti della “distillazione”, le evidenze emerse dall'analisi dei questionari
compilati, sono state presentate in un evento in plenaria a cui hanno partecipato
persone della Market Company e dei Truck Center. Rispetto al ragionamento che
stiamo facendo, ci sono due contenuti di quella presentazione che vale la pena
riprendere.

a) Le narrazioni
Una caratteristica importante del questionario Inspire è la presenza di numerose
domande aperte, che chiedono al compilatore di raccontare qualcosa di sé. Ne
risulta una meta-narrazione di “fatti”, cose che accadono in Volvo e che hanno
valore, perché sono importanti e per questo ricordate. Abbiamo rilevato che le
narrazioni più ricorrenti rimandavano a quattro “fatti” fondamentali che creano
maggiori “problemi” alle persone in Volvo:
     – la relazione con i dirigenti e con i colleghi;
     – la relazione con i clienti;
     – i momenti di valutazione;
     – le richieste della Direzione.

14
È in questi fatti, ci dicono le persone intervistate, che si gioca la possibilità o meno
di praticare i valori della Volvo Way: è in questi fatti che si scrive ogni giorno la
Volvo Way “reale” di cui abbiamo parlato in precedenza.
Rispetto a questi fatti, le narrazioni delle persone hanno indicato con una certa
ricorrenza cinque temi emergenti, a cui possiamo dare i seguenti titoli:
     – Ascolto
     – Lealtà/Affidabilità
     – Sincerità/Trasparenza
     – Qualità
     – Autonomia
È chiaro che questi temi hanno dei tratti etici molto forti. Non sostituiscono la
Volvo Way ma danno il senso del tempo e dell'urgenza: sono i valori che
richiedevano attenzione nel 2008, e che hanno indirizzato la progettazione delle
iniziative concrete di tipo formativo e organizzativo durante tutto il 2009 e il 2010.

b) L'architettura dei valori
Un secondo esito della distillazione ha a che fare con quella che viene solitamente
chiamata “scala dei valori”. È preferibile parlare di “architettura dei valori” perché i
valori sono connessi in una rete complessa, tra di loro e rispetto ad altri aspetti (il
business, il tempo, gli sviluppi del mercato, le storie di crescita delle singole persone
e dei team), che non ha una struttura puramente gerarchica. A partire da alcune
domande a risposta multipla che chiedevano di definire le parole chiave della Volvo
Way (Che cos'è per te la diversita? Ecc.), è stato possibile collocare i valori Volvo su
un piano definito da due assi: l'asse individuale-sociale e l'asse vita-lavoro.
Questi assi delimitano quattro quadranti: la persona (vita+individuale), la
carriera      (lavoro+individuale),    la   comunità       (vita+sociale),    l'azienda
(lavoro+sociale). Collocare i valori della Volvo Way in questi quadranti è stato un
modo per ascoltare in quali contesti questi valori sono centrali per le persone e,
quindi, in quali contesti e con quali strumenti possono essere sviluppati. Questo ha
aiutato Volvo Italia a orientarsi rispetto alle molteplici richieste che sono giunte, in
questi anni, da un lato dalla casa madre e dall'altro dalla base.

15
Per fare un esempio, agli estremi opposti di questa rappresentazione troviamo la
passione (al margine estremo del quadrante della persona) e la diversità (ben
centrata nel quadrante dell'azienda). Questo ci dice due cose:
     – che l'azienda può e anzi deve farsi carico di iniziative interne di promozione
        della diversità; e che dovrà al contempo rispettare il bisogno degli individui
        di coltivare le proprie passioni, meglio se al di fuori del contesto lavorativo;
     – che possiamo imparare la cultura della diversità dalla Svezia (da ciò che della
        Svezia riusciamo a comunicare), ma per coltivare la passione dobbiamo
        osare, innovare, e a volte disobbedire alle politiche aziendali, se necessario.

VIVERE
“Values are established through interaction. It’s not about preserving values, it’s
about “working” values. Corporate values enable personal values”. Wim
Vandekerckhove, ricercatore belga che abbiamo avuto il piacere di conoscere a
Oxford nel 2008, durante la convention “Philosophy for Management”, riassume
così l'idea che la costruzione dei valori di un'azienda sia un processo continuo di
interazioni e feedback all'interno di una comunità. I valori organizzativi non
possono essere considerati un elemento oggettivo (codici stabiliti dall'azienda
rispetto ai quali le persono devono essere compliant) e neppure un elemento
soggettivo (per cui starebbe ai singoli individui mettere in pratica la propria
sensibilità etica nel lavoro che svolgono). I valori aziendali hanno una natura
intersoggettiva: sono una complessa tessitura composta dalle cose che le persone
fanno, e dal discorso che su queste cose si genera, che permette di discernere tra
buone e cattive pratiche, di apprenderle, di insegnarle, di metterle in discussione
quando serve: in altre parole, di avere costantemente la consapevolezza di quello
che si fa e del perché lo si fa in un certo modo e non in un altro.
La comunità Volvo, che ha cominciato a prendere una forma riconoscibile
aggregandosi intorno ad alcune domande comuni, emerge in modo ancora più
nitido ora che le domande e le proposte sono collegate alla Volvo Way, ossia ai
linguaggi e agli obiettivi propri dell'azienda per cui si lavora. Ascoltandosi,
dialogando e cercando risposte, all'interno della comunità si alza il livello di
consapevolezza sul senso di ciò che si fa in Volvo. Lo esprime molto bene la

16
testimonianza di una lavoratrice, raccolta dopo la presentazione dei risultati.
“Facendo questa esperienza ho capito quanto sia importante il coinvolgimento
delle persone sui valori. Ho capito anche quanto sia bello lavorare insieme,
collaborare, creare qualcosa in gruppo. È molto più efficace così che non stare
nella mia stanzetta e diramare comunicati sull’importanza della raccolta
differenziata. È la partecipazione che fa la differenza. Forse questo è un valore che
è emerso nel corso della mia esperienza e che vorrei che emergesse, vorrei creare
un gruppo di lavoro sui temi ambientali. Riflettendo sui valori Volvo attraverso il
questionario e questa discussione viene fuori che noi stessi possiamo creare valori,
costruire i nostri valori insieme”.
Si è infiltrata nell'organizzazione la consapevolezza che le persone posso “creare
valori”, e in questo modo, in seguito al cantiere dell'ascolto (la “distillazione” dei
valori) si sono aperti diversi cantieri per “vivere” i valori. Alcuni sono nati sotto la
direzione del Responsabile delle Risorse Umane, Massimo Lutksh, altri in maniera
spontanea dalle persone di Volvo, altri ancora dalle proposte di Inspire, che ha
continuato a supervisionare i progetti italiani legati alla Volvo Way.
Il tratto comune è che sono tutti progetti rivolti alla comunità, e in cui la comunità
si riconosce. Seminari (“Attivare l'ascolto nella catena del fare” a cura di Inspire),
conferenze (“La diversità” con Antonietta Potente, teologa), progetti creativi di
comunicazione (“Working Class”, reportage fotografico di Gianpaolo Dal Lago),
progetti di attenzione alle relazioni umane (maternità/paternità, part-time e
telelavoro, prevenzione dei rischi legati al fumo), iniziative di riprogettazione del
modello di governance (istituzione del “G20”, con l'allargamento da 8 a 20 persone
del team di pianificazione strategica e commerciale di Volvo Trucks), ecc.
Va notato che questi progetti sono stati sviluppati all'interno di un contesto di
recessione economica e di fortissima contrazione del volume delle vendite, in
seguito alla crisi finanziaria dell'autunno del 2008. Com'è stato possibile trovare le
risorse per queste iniziative altamente innovative, mentre a livello globale Volvo
imponeva una severa politica di contenimento dei costi? Lo spiega bene, ancora una
volta, Marco Lazzoni: “Volvo Italia sta diventando una specie di laboratorio
ufficiale per l’organizzazione. Credo che dalla Svezia apprezzino la nostra
stravaganza e la nostra quota di utopia che invece nel loro caso forse è più diluita,
meno accettabile da una società che vive sicuramente emozioni molto forti

17
stimolate dall’ambiente esterno ma che ha ancora una dimensione fortemente
razionale, fortemente “cervello sinistro”. Quindi quello che penso piaccia della
nostra natura è la capacità di energia e la capacità di giocare fuori dagli schemi.
A me lo fanno fare, anzi mi stimolano ad andare su questa strada”.
Il lavoro di Ricerca e Sviluppo sulle persone, quindi, non solo ha riconfigurato le
interazioni all'interno della comunità italiana Volvo, ma ha trasformato le relazioni
con la casa madre, rendendo l'Italia un laboratorio di innovazione e un benchmark
internazionale.

LUCI E OMBRE
Abbiamo sin qui presentato il caso Volvo Italia dal punto di vista delle persone che
si sono ingaggiate attivamente sulla proposta dei laboratori filosofici, sul cantiere
dell'ascolto sui valori, e sui progetti che sono nati in seguito. Queste attività di
innovazione dei processi e delle relazioni hanno anche fatto emergere
incomprensioni e resistenze. È fondamentale darne visibilità. In primo luogo per
rispettare tutti i punti di vista e restituire la ricchezza di una comunità fatta di
persone vere, non di portavoce di valori o esecutori di linee guida aziendali. In
secondo luogo perché il pensiero divergente è con ogni probabilità l'ingrediente
più importante per realizzare la autentica intuizione di Volvo Italia: l'integrazione di
visione, abilitazione e ingaggio personale.
La reazione degli operai dei Truck Center è quella più interessante da questo punto
di vista. La presentazione del questionario sui valori “Ascoltarsi in 26 domande” ha
sollevato subito numerose questioni. Per la maggior parte degli operai è risultato
spiazzante l’appello alla dimensione “personale”: per alcuni è stato fastidioso e
invasivo, per altri generoso e inedito. Dialogando con loro abbiamo compreso come
sia   profondamente      interiorizzata    la   scissione    “vita/lavoro”   e   dunque
“persona/ruolo”.
Non è possibile scavalcare questa scissione interiorizzata, considerandola poco
contemporanea o poco “evoluta” (tentazione che si ha, se si prende lo stile di vita
svedese a modello). È necessario allora non mescolare indistintamente valori
dell'azienda e valori personali, ma capire come possono interagire positivamente gli
uni con gli altri al fine di costruire un'organizzazione “etica”.

18
I valori aziendali sono accettati indistintamente da tutti; devono rimanere alti e
in un certo “solenni” perché indicano il livello al quale l’azienda si impegna nei
confronti del “mondo” (clienti, azionisti ecc.); questi valori non chiamano in causa il
senso del mio stare in azienda, ma chiamano in causa la qualità della mia
prestazione, poiché la prestazione stessa ha una fortissima componente di
responsabilità (la prestazione, in quanto servizio ad altri, è già di per sé un fatto
etico, senza bisogno di sovrastrutture morali). Quindi, posso rispettare i valori
dell’azienda senza espormi come persona nell’azienda: accetto che l’azienda mi
chieda di rispondere a certi standard, so di essere valutato rispetto a tali standard e
questo mi va bene.
I valori personali sono agiti in azienda solo “per accidente” e quindi non
appartengono all'azienda: sono intersoggettivi ma non appartengono a tutti per il
semplice fatto di lavorare in Volvo. Sono elementi di identità e coesione: attraverso
certi valori gli individui si riconoscono in diverse “comunità di pratica” che
condividono codici, linguaggi, tempo, domande ecc. Sono valori in senso più ampio:
non chiamano in causa solo la prestazione professionale, ma possono avere a che
fare con il senso del lavoro. È rispetto a questi valori, e all’interno del gruppo di
riferimento/riconoscimento, che io sono disposto a valutare il senso del mio stare
qui. Questi valori appartengono alle persone a un livello più profondo e
determinano un senso di responsabilità che va oltre al rapporto con i capi e con i
clienti. Sono valori che fanno di un semplice lavoro “il mio lavoro”. Se metto questi
valori nel mio lavoro, è una mia scelta: l'azienda non può chiederlo e tanto meno
pretenderlo. Sono io che scelgo di espormi con i miei valori personali, e il raggio di
questa esposizione è collegato alla mia storia personale all'interno di questa
azienda, e prima ancora all'interno della mia professione. In altre parole, posso
scegliere se condividere i miei valori nella mia comunità o se stare in azienda “da
solo”.
I valori personali sono quelli che conservano la mia identità all'interno della più
ampia identità aziendale. Sono quelli che in ogni modo, qualunque cosa accada
nella mia vita professionale, ritrovo quando ripongo la tuta e l'attrezzatura
antinfortunistica nell'armadietto e prendo la macchina per tornare a casa. Il punto è
capire se nell'organizzazione in cui lavoro esistano o meno le condizioni affinché io

19
conservi e comunichi la mia identità (e quindi i miei valori) anche prima di chiudere
la tuta nell'armadietto.
Se è vero, come afferma Vandekerckhove, che “corporate values enable personal
values”, quali sono le condizioni affinché un'organizzazione riesca ad abilitare i
valori delle persone, ad integrarli e a trasformarli in valore aggiunto?

DIVERGERE
Se per molti è così profonda la scissione vita/lavoro, è importante considerare, con
disincanto, che molte delle risposte nei questionari non ci parlano dei valori
importanti per le persone, ma ci parlano dei valori che sono ritenuti pertinenti
con il lavoro. Questa possibilità emerge con chiarezza se consideriamo i diversi
comportamenti delle persone nei confronti delle domande a risposta multipla e di
quella a risposta aperta. Dove trovano le parole d'ordine del lavoro, le persone
rispondono con facilità; laddove invece non trovano queste “parole-lavoro” a cui
appigliarsi, laddove la domanda chiede di parlare di sé, chiede “Chi è Mario al di
fuori del lavoro?”, laddove insomma la domanda non è riconducibile a una opzione
di lavoro, molte persone hanno fatto fatica a rispondere: i sono smarrite.
Questo è assolutamente normale, se pensiamo alla cultura organizzativa e allo stile
di impresa che cerchiamo, con questi progetti, di mettere in discussione: la nostra è
una cultura organizzativa del giudizio. In azienda si valuta e si viene valutati, si è
talmente abituati al fatto che a ogni azione corrisponde una valutazione, che è
normale che che anche un processo di ascolto e dialogo possa essere vissuto con
un'aspettativa di valutazione. Per questo nel questionario spesso le persone non
hanno scelto la risposta che “mi appartiene”, ma semmai la risposta “che mi
compete”: la risposta giusta dal punto di vista del mio ruolo nell'organizzazione.
Se la cultura organizzativa fosse una cultura del riconoscimento reciproco, i cui ci si
espone e ci si relaziona senza paura rispettando se stessi e gli altri, rispondere per
quello che si è significherebbe semplicemente pensare. In una cultura del giudizio,
invece, rispondere per come si è, a prescindere dal ruolo che si ha (e quindi a
prescindere da ciò che si aspetta che faccia e dica una persona in quel ruolo)
significa autorizzarsi a dissentire.
In altre parole, per molte persone l'ascolto è stato vissuto in una cornice di
performance: e la performance “essere sinceri/essere se stessi” (richiesta

20
esplicitamente dal questionario) è andata in cortocircuito con la performance
(immaginata, ma forse inconsapevolmente proiettata su tutto il progetto dalla forte
enfasi comunicativa sui valori da parte della Direzione) “descrivere, attraverso un
episodio che hai vissuto, i tratti concreti della cultura che condividiamo”. Si è
determinato un paradosso: “sentiti libero di abbracciare la mia visione”.
La soluzione a questo paradosso è probabilmente questa: se vuoi abilitare la tua
visione nell'organizzazione, devi permettere alle persone di agire, pensare,
organizzarsi, indipendentemente da quella che è tua visione. È questo che accadrà
inevitabilmente in Volvo Italia, e in molte altre organizzazioni che si sono prese il
rischio di ascoltare l'anima. Sarà non una trasformazione all'interno del paradigma
attuale, ma un ribaltamento di paradigma. Dal paradigma dell'aspirazione e della
leadership (farsi guidare dal modello svedese) al paradigma dell'ispirazione (fornire
strumenti alle persone affinché si abilitino e portino tutta la ricchezza che
desiderano dentro l'organizzazione). Ma questo è l'argomento di un altro libro.

COMUNICARE
Per concludere: a che punto ci troviamo, dopo questi passaggi, rispetto all'obiettivo
iniziale del progetto? L'intenzione era abilitare una particolare visione d'azienda
all'interno di un'organizzazione coinvolgendo le persone. È stato fatto molto, e si
sono delineati due tipi di atteggiamenti:
     – un gruppo di persone ha voluto cogliere l'opportunità offerta di ascoltarsi,
        stare nella domanda, mettersi in gioco, riconoscersi in una comunità Volvo, e
        si è fatto promotore e fruitore di iniziative collegate alla Volvo Way;
     – un secondo gruppo ha vissuto la proposta di ascolto e messa in gioco
        all'interno della cornice della valutazione e della performance, e ha sviluppato
        una resistenza sospettosa rispetto ai temi della consapevolezza, dell'ascolto
        gratuito e dei valori. Rispetto a questo secondo gruppo di persone, si è
        determinato un forte conflitto tra la visione del vertice aziendale, e alcune
        strutture di pensiero e azione profondamente radicate nell'organizzazione
        stessa, nei processi, nelle persone.

21
Nell'ultimo anno di lavoro con Volvo si è ripartiti dalla consapevolezza di questo
conflitto per riprogettare i processi di comunicazione interna.
È stato avviato un vero e proprio laboratorio della comunicazione con l'obiettivo di
comprendere senza pregiudizi le dinamiche delle relazioni interne, e di progettare
processi e strumenti di comunicazione coerenti con l'idea di abilitare le persone a
un nuovo modo di fare impresa. Particolare attenzione è stata posta nel trovare
strumenti e messaggi adatti a “bucare” il muro di scetticismo e di promuovere la
riflessione e la consapevolezza anche tra le persone che, per le ragioni che abbiamo
sopra esposto, non erano state ingaggiate dai precedenti progetti. Il primo output è
stato il prodotto ESP-erience: Extended Suggestion Podcasting.
L'idea di base era realizzare una comunicazione leggera, con delle componenti di
gioco, capace di raccontare delle storie che riguardassero le persone, e capace di
generare domande che lavorassero a livello personale.
Il media che è stato scelto è stato il podcasting: brevi videopillole (della durata di
3-5 minuti) da scaricare, con cadenza settimanale, dalla intranet aziendale, che le
persone possono “consumare” privatamente, davanti al monitor del pc o sul proprio
dispositivo portatile.
Il registro narrativo scelto è stato quello del giallo a puntate. “Extended suggestion”
si riferisce proprio a questa caratteristica: suggestioni lanciate in una puntata che
lasciano un po' di mistero che sarà svelato nelle puntate successive, dando spazio e
tempo alle persone e alle riflessioni. Nessuna richiesta formale di feedback. Il
contenuto di ispirazione genera domande e conversazioni che si consumano nei
luoghi rituali dell'azienda, negli angoli dei distributori di caffé, nei corridoi, nelle
trasferte con i colleghi, nelle pause pranzo. Sta ai singoli cogliere il potenziale
trasformativo dei contenuti proposti, e segnalarlo/promuoverlo tra i propri colleghi.
Il podcasting ha permesso di realizzare una comunicazione più rispettosa dei tempi
e delle sensibilità di ciascuno, senza rinunciare a orientare la riflessione delle
persone sui temi importanti per l'organizzazione (diversity, engagement,
involvement, energy, sono stati i valori della Volvo Way presenti sullo sfondo delle
prime 20 puntate di ESP).
Ad oggi i podcast sui valori di Volvo Italia sono scaricati ogni settimana da circa 300
persone. Sono stati doppiati in inglese e distribuiti a livello internazionale a tutti i
dirigenti HR Volvo. Sono una delle punte di diamante del laboratorio Volvo Italia.

22
Box 1. Nuovi modelli di governance
Intervista a Marco Lazzoni, CEO Volvo Italia

Una delle schizofrenie tipiche della cultura organizzativa di oggi è quella legata alla governance.
Per parlarne vorrei utilizzare una metafora: l’evoluzione dei sistemi informativi. Com’è andata
l’evoluzione dei sistemi informativi?
In principio c’erano main frame e tanti terminali stupidi. Poi piano piano abbiamo sostituito i
terminali con i pc, anche se li usavamo ancora da terminali stupidi, e poi finalmente abbiamo
utilizzato l’intelligenza distribuita, abbiamo cominciato a costruire la rete, e oggi il sistema è la
rete. L’organizzazione deve fare questo passaggio, deve passare da un modello che è oggi
fondamentalmente gerarchico che utilizza una quantità di intelligenza al suo interno molto ridotta
- i gruppi elitari che decidono e tutti gli altri fanno - a un modello nel quale invece si utilizzano le
intelligenze, le diversità di cui è ricchissima l’azienda, ma che ha rinunciato, per motivi diversi, a
utilizzare. Io credo che oggi questa metafora possa essere una guida. Naturalmente realizzare una
rete di questo genere significa cambiare un mucchio di cose. In particolare la governance del
sistema cambia radicalmente: c’è un capo della rete? Non c’è. Si parla al contrario di
organizzazioni piatte, parla chi ha qualcosa da dire, parlano le idee, parlano i contenuti, quelle
cose che possono cambiare, dal mio punto di vista, la performance dell’azienda. Ma cambiare la
performance con un salto quantico, non con un semplice improvement, un semplice
miglioramento di percorso che è quello che cerchiamo i fare tutti i giorni. Serve una visione
dell’azienda, serve qualcuno che abiliti il sistema, serve l’ingaggio dei singoli.
Io ho tanti ragazzi che mi girano attorno in azienda e quando mi arriva uno e mi dice una cosa
furba, mi fa un’osservazione, una domanda o una proposta, una piccola cosa, per me quella
persona non è più quella di prima, ha cambiato il suo ruolo nel mio sistema di governance. Non
l’ho scritto da nessuna parte, non uscirà una disposizione organizzativa, ma è la verità pura. Ed è
questa la verità che dobbiamo rintracciare dentro le aziende e che deve essere valorizzata. Invece
noi trattiamo tutti nella stessa maniera, abbiamo le disposizioni organizzative che non possiamo
trasformare dall’oggi al domani, ma dobbiamo lavorare per costruire una cosa diversa, un
passaggio diverso, e questo io credo sia cruciale.
Credo che la flessibilità del modello organizzativo corrente sia arrivato al limite. I prodotti oggi
hanno bisogno di un grosso c0ontenuto di verità, ma il problema è che se la verità non l’hai
costruita e non hai una macchina azienda che è fatta per affermare la verità, è pura illusione
quella di creare un prodotto che trascini questo valore. In altre parole, le regole per costruire la
macchina devono essere molto simili alle regole per costruire il prodotto.

23
Puoi anche leggere