VOLVO ITALIA CASE HISTORY
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
VOLVO ITALIA CASE HISTORY INCONTRO Nel 2006 Marco Lazzoni, Amministratore delegato di Volvo Italia, organizzò a Milano un seminario per conto della Camera di commercio italo-svedese sul tema Etica e business. In quell’occasione il professor Umberto Galimberti gli consigliò di leggere un libro, in cui avrebbe trovato una concettualizzazione interessante di una serie di problemi strutturali e sostanziali che regnano all’interno della cultura manageriale e di quella organizzativa delle imprese. Quel libro era Leadership riflessive. “Il titolo era invitante e quindi lo comprai subito. Le sensazioni che avevo raccolto in una carriera, avendo sempre lavorato in grandi multinazionali americane, tedesche, italiane, ora svedese, Andrea Vitullo le aveva razionalizzate nel suo scritto. Quindi ci mettemmo in contatto e iniziammo a lavorare insieme. In questo modo nacque la collaborazione con Inspire”. Marco Lazzoni cercava una fonte di ispirazione ed energia per motivare e abilitare le persone nella sua azienda. Ma soprattutto cercava una strumentazione adatta per dare corpo a un'intuizione che coltivava da anni: i clienti chiedevano a Volvo un prodotto “vero”, e per poterlo vendere Volvo aveva bisogno di cambiare radicalmente e di essere un'organizzazione “vera”. Per realizzare questo progetto servivano tre elementi: – una visione dell’azienda; – un abilitatore del sistema; – l’ingaggio dei singoli. In questo articolo descriveremo i tratti salienti di tre anni di collaborazione tra Volvo Italia e Inspire, con l'intento di mostrare cosa può significare, concretamente, lavorare con la filosofia dentro le organizzazioni. Nei progetti che illustreremo, vedremo all'opera il gioco dialettico tra “visione”, “abilitazione” e “ingaggio”, con cui l'azienda ha intrapreso il percorso per “diventare sé stessa”. 1
INFILTAZIONE Il primo progetto in collaborazione con Inspire per “abilitare il sistema” e “ingaggiare le persone” è stata un'infiltrazione filosofica nella Market Company, la struttura commerciale, vero cuore pulsante dell'azienda. Si è scelto di utilizzare il format “Presenze”, un ciclo di incontri di pratica filosofica che negli anni Inspire ha proposto e realizzato in diverse aziende italiane e multinazionali, attive in diversi settori, dal bancario al farmaceutico all’alimentare. Il titolo del format allude a due elementi di innovazione: in primo luogo la presenza fisica del filosofo nell'organizzazione, una figura professionale ianttesa e difficilmente riconducibile agli schemi operativi del mondo aziendale; in secondo luogo l'invito rivolto ai partecipanti a una piena presenza, mentale e affettiva, durante le sessioni di lavoro insieme. Presenze è iniziato in Volvo Italia agli inizi del 2008: il percorso è durato 2 mesi e ha coinvolto 38 persone, che hanno aderito all’iniziativa su base volontaria. Il progetto ha erogato più di 20 ore di presentazioni, laboratori filosofici di gruppo, incontri in plenaria. I partecipanti si sono divisi a partire dal secondo incontro in tre gruppi, che hanno sviluppato tre diversi percorsi di ricerca, confluiti al termine del progetto in un Simposio filosofico a cui ha partecipato anche il Top Management dell'azienda. I lavori sono stati coordinati, facilitati e contaminati da Pierpaolo Casarin e Francesca Scarazzato, consulenti filosofi, provenienti entrambi dal Master di II livello in Consulenza Filosofica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, diretto dal Prof. Luigi Perissinotto e dal Prof. Umberto Galimberti. METODO La libertà ha bisogno di regole chiare, e questo è valido anche in un'infiltrazione filosofica. Con le opportune modifiche, la metodologia che è stata usata in Volvo riprende la Comunità di ricerca (community of enquiry) della scuola americana di Matthew Lipman, fondatore della Philosophy for Children. I consulenti filosofi hanno dato il via ai lavori prendendo spunto da un gruppo di domande propedeutiche, pensate per favorire l’incontro non facile tra culture, mentalità, atteggiamenti diversi (la soggettività dei singoli partecipanti, l'oggettività 2
del contesto aziendale, l'idealismo della filosofia). Queste domande iniziali hanno toccato alcuni temi accomunati da un particolare “collocamento”, sulla soglia tra vita privata e vita lavorativa. Alcuni di questi temi sono: la felicità (“Cosa vuol dire per te avere uno scopo?” “Chi ha detto che bisogna essere felici?”); la libertà (“Cosa significa essere libero?” “Cosa fai per la libertà delle persone che lavorano con te?”); l’identità (“Cosa significa essere se stessi?” “Senti mai il bisogno di nascondere il tuo modo di essere?”); il tempo (“Tempo libero da che cosa?” “Dove va a finire il tempo perso?”). Queste prime domande sono state proposte come stimolo di riflessione. Lo stimolo ha portato alla stesura di un’agenda delle domande e delle considerazioni dei partecipanti, e a partire da questa il lavoro collaborativo facilitato dai filosofi ha permesso di tessere insieme un “piano di discussione”. Questo piano si colloca in uno spazio diverso dalle certezze e dai luoghi comuni delle normali conversazioni di lavoro; si trova, se c’è la voglia di trovarlo e se accade l’evento della scoperta di un tale spazio di dialogo e partecipazione, lontano dalla “zona di comfort” che ciascuno ha in un modo o nell’altro ritagliato per sé nel proprio ambiente lavorativo. È un piano che costringe a mettersi in gioco, ad esporre le proprie convinzioni e quindi a mettere a rischio, a stare nella postura della parola “vera”, che non sempre coincide con la parola opportuna. È un piano che chiama in causa le biografie dei partecipanti, per svelarle e valorizzare il loro potenziale di “verità”: in filosofia, infatti, non si fa riferimento alla psiche, a fenomeni inconsci, a verità che richiedono una particolare tecnica per essere portate a galla. Tutto ciò che serve sapere è ciò che i partecipanti già sanno: fare filosofia non significa scrivere una nuova storia, ma imparare a notare i collegamenti, le incongruenze, il senso di una storia che è tutta scritta nelle esperienze concrete vissute dalla persone. La filosofia è una celebrazione dei pensieri che ci rendono esseri umani, proprio quegli esseri umani che siamo e possiamo essere. PARTECIPAZIONE Chiedere alle persone di fermarsi e parlarsi può essere spaesante, oppure irritante, o affascinante, perché il tempo oggi è la grande metafora di una liberazione che le 3
persone desiderano ma rispetto alla quale sono carenti di strumenti. La filosofia è stata il pretesto per donarsi un tempo dotato di senso. I feedback molto positivi dei partecipanti ci dicono che è stata innanzitutto questa modalità “spiazzante” di condurre gli incontri a convincerli a proseguire l’esperienza. Hanno avuto la percezione che per una volta venisse dato davvero valore alla relazione tra le persone, indipendentemente dalle caselle in cui si ritaglia la vita organizzativa: una relazione autentico, scaturita dalle parole “vere” e non dai linguaggi specialistici, una relazione indipendente dai ruoli e libera dalle agende. Questa pratica ha portato dei momenti di agio e benessere; ha indotto una grande partecipazione; ha favorito una naturalezza di comportamento, un ascolto attento e un clima divertito. La sensazione condivisa è stata che il tempo sia volato via, una sensazione appagante e di grande benessere, che viene descritta così da Francesca, una dei filosofi coinvolti nel progetto: “Avete presente il gioco del 15, che forse molti di voi avranno fatto da bambini, andava molto di moda negli anni 70? Dal caos di numeri iniziali bisognava arrivare ad un ordine progressivo compiuto, ma per farlo, perché ci fosse spazio di gioco, possibilità di andare avanti, c’era bisogno di una casella essenziale, quella mancante, lo spazio vuoto, che permetteva a tutte le altre di poter occupare il loro posto. Ecco, questo abbiamo provato a sperimentare, muoverci in questo spazio vuoto, in cui non c’erano già le caselle in ordine, in cui ognuno di noi doveva provare a muoversi, a mettersi in gioco. Se vogliamo questo spazio vuoto è proprio lo spazio della libertà, nostra e altrui ed è questo spazio che ci permette di ridefinirci, nel confronto con altri. E abbiamo imparato la possibilità di non riempirlo tutto questo spazio, di lasciare, il posto agli altri, attraverso l’ascolto, l’attenzione, il silenzio, la capacità di fare spazio.” ESPLORAZIONE L’ospitalità per le persone è diventata ospitalità per domande e inquietudini che spesso sono taciute negli ambienti lavorativi, ma che sono imprescindibili per provare il piacere di pensare, e quindi poter crescere umanamente e professionalmente. Spesso la formazione non insegna a pensare: il tempo per agire 4
schiaccia completamente il tempo per formarsi, e per il tempo per pensare non resta più nulla. Con l’esperienza di Presenze invece le persone Volvo si sono sentite Autori di pensiero. Hanno sperimentato che se si autorizzano ad esprimere il proprio pensiero, in uno spazio adeguato esse possono trovare spazio e riconoscimento, e diventare generatori di proposte e idee innovative. La pratica filosofica ha dato la possibilità ai partecipanti di esplorare liberamente alcune piste di riflessione che erano importanti per loro, e attraverso la complicità tra individui, di creare insieme un concetto, ovvero un pensiero chiaro, strutturato e condiviso. Si è iniziato pretestuosamente dalle domande-stimolo lanciate dai filosofi, per inoltrarci poi sempre più all'interno delle curiosità e delle inquietudini poste dai partecipanti. Con il progredire dell'esplorazione filosofica, si sono affacciate domande sempre più potenti e sempre più collegate alle esperienze concrete di vita dei partecipanti. Dopo alcune sessioni di Comunita di Ricerca si sono create le condizioni per tentare un metodo di indagine filosofica più complesso e impegnativo: il Dialogo Socratico. Attraverso il Dialogo socratico ciascun gruppo ha dato scelto un concetto chiave e ha provato a darne una definizione condivisa, non banale e libera da luoghi comuni. Ad esempio il terzo gruppo ha scelto di sviscerare il concetto di ricerca, e lo ha infine definito così: “La ricerca è una tensione, organizzata o non organizzata, verso uno stato (stadio, condizione) migliore (nuova/o) nel quale il soggetto può realizzare/raggiungere una maggiore consapevolezza di sé”. CONSULENTI E FILOSOFI In tutto il percorso, i due consulenti filosofi hanno avuto due funzioni: – procedurale: la contribuzione delle persone, soprattuto quando non c'è familiarità con la filosofia, va facilitata, coordinata e spesso provocata e stimolata; – etica: il processo di messa a nudo dei concetti (e di se stessi) è tanto emozionante quanto delicato, e va protetto da dinamiche di strumentalizzazione, che sono connaturate (potremmo dire “fisiologiche) ai contesti organizzativi in cui i pensieri e le interazioni tendono a riflettere passivamente le strutture gerarchiche. 5
Francesca e Pierpaolo hanno lavorato per abilitare le persone a stare con presenza mentale ed emotiva dentro all'esercizio filosofico del pensiero critico: non dare nulla per scontato e cogliere ogni ambiguità, paradosso, incomprensione, ogni elemento irrazionale come occasione per approfondire e immaginare. Hanno protetto lo sviluppo dei differenti processi di riflessione, e hanno protetto alcuni processi di trasformazione, individuali e di gruppo, che si sono svolti nell’arco dei tre incontri. I facilitatori in questo caso non si sono limitati a “togliersi”, a lasciare spazio alle persone per “filosofare” insieme. Non hanno lavorato per le persone ma hanno invece accettato di mettersi in gioco con le altre persone: in questo modo hanno evitato di ricadere nella gabbia del “ruolo” (di qua i facilitatori, di là i partecipanti) e sono riusciti meglio a realizzare un incontro autentico, sul piano della umanità, non della tecnica. Questa pratica di facilitazione “umana” è lo specifico di Presenze ed è la “tecnica” con cui si realizza una infiltrazione: – il filosofo fa un passo indietro come sòphos (sapiente) e lascia spazio di movimento alle idee, chiare o confuse, strutturate o ambigue che siano; – il filosofo fa un passo avanti come phìlos (amico) e quindi come persona, e incontra le altre persone sul piano delle cose semplici che ci riguardano in quanto esseri umani; – fidandosi soprattutto del proprio buon senso, ci si autorizza a entrare nel concetto (partecipare) e a uscirne (facilitare), a seconda delle necessità del gruppo e del punto in cui si trova il dialogo; – questo lavoro si fa in due: i due filosofi si “tendono la mano” e si “coprono il gioco”, in modo che ciascuno dei due possa, quando serve, non facilitare ma essere, essere semplicemente se stesso, con le proprie parole imperfette ma anche senza parole, in un temporaneo riparo dal ritmo incalzante del dialogo, nel quale riflettere con più calma. “Se non avessi potuto essere Francesca, e godere dei silenzi e dei momenti di sospensione in cui “si sta a guardare le idee”, i loro movimenti, senza la fretta di contribuire e organizzare il pensiero altrui, ma aprendo una pausa, rimanendo nell’esitazione, non avrei potuto fare veramente filosofia con voi”. 6
TEMI DI RICERCA I temi toccati in questi cicli di incontri, quelli sui quali le persone Volvo sono state più sensibili e attive, sono stati i seguenti. Li presento succintamente con l’unico scopo di far percepire l'energia e la qualità che si attivano in un percorso di pratica filosofica: • Il linguaggio, risorsa congestionata nel flusso di comunicazioni, o imbrigliata nelle reti dei saperi specialistici e dei protocolli; linguaggio smascherato nella sua ambivalenza, pericolosità e ricchezza di potenziale inespresso; linguaggio in cui si fa l’esperienza della differenza e dell’incomprensione; linguaggio da smontare e ricostruire, rischiarando con pazienza il significato e la ricchezza delle singole parole; linguaggio che tradisce il desiderio insopprimibile di capirsi veramente, di essere uomini e donne uno di fronte agli altri. “La parola conta, può fare una differenza non solo sull’altro ma soprattutto su di me, sui miei pensieri e sulle idee che posseggo e che spesso mi posseggono”. • Il tempo, soggettivo e oggettivo; intrecciato con la libertà dell’individuo, con i suoi stati mentali, con le sue scelte e la sua capacità di darsi delle priorità; tempo frettoloso che chiede di fermarsi, di disimpegnarsi; tempo da conquistare, tempo da liberare per fare cose che ci riguardano, cose piacevoli, cose veramente utili e che hanno senso per noi; tempo della modernità, emergenza della sincronicità, necessità di essere in più cose contemporaneamente. • Il riconoscimento, lavoro dell’intelligenza sui pregiudizi, che permette di scoprire le persone dietro ai ruoli, che interroga sulla capacità di accogliere e di convivere. Riconoscimento che è infine la grande conquista di ciascun individuo, e che rappresenterà in futuro la sfida di ogni impresa che vuole essere “vera”; riconoscimento che scandisce la progressiva perdita dell’imbarazzo e della diffidenza, la conquista della capacità di esprimere i propri punti di vista e di mettere in circolo un pensiero autentico e personale. • La ricerca, pratica di smarrimento e riposizionamento; metodica mappatura del territorio con cui divergere dai sentieri già percorsi; spazio di conversazione che 7
autorizza a sperimentare e a mettere in relazione cose apparentemente separate. La ricerca, durante queste infiltrazioni filosofiche non è scaturita da saperi precostituiti, ma è nata dalle domande radicali dei partecipanti, dall’esposizione alle domande che per lo più non ci permettiamo di fare; una ricerca che ha coinvolto anche alcuni aspetti intimi degli individui, e che ha fatto fare un lavoro su sé stessi. Ricerca, riconoscimento, tempo, lavoro sul linguaggio. Sono diversi aspetti di ciò di cui hanno disperatamente bisogno le organizzazioni oggi: la capacità di pensare. Lo testimonia in maniera semplice e diretta R., uno dei più ferrei scettici, all’inizio, rispetto al senso di una pratica filosofica in azienda, diventato poi un animatore entusiasta del Simposio, quarto incontro con cui si è concluso, in plenaria e alla presenza della dirigenza, il percorso di Presenze: “Se scopro che il mio pensiero può essere ascoltato, e quando ascoltato può essere un’esperienza altamente gratificante e piena, rischio poi di mettere pensiero perfino nel lavoro stesso!” PRESENZA Possiamo dire che dal 2008 ad oggi, i lavori di ricerca e sviluppo sulle persone che Volvo Italia ha svolto in collaborazione con Inspire sono stati un'evoluzione delle linee di ricerca tracciate nel progetto Presenze. Presenze è stato l'evento in cui ci si è accorti di esserci. Quello che viene dopo sono lavori svolti da persone che “si sono accorte di esserci”, e solo per questo fatto hanno una qualità sensibilmente diversa da ciò che avrebbero fatto le stesse persone senza questa consapevolezza. La presenza è un germe di novità, di cui si accorgono per primi i partecipanti di una pratica, mentre la svolgono insieme. Poi però questa novità può contagiare il contesto lavorativo a cui queste persone ritornano: le agende, il modo di interpretare i ruoli, la possibilità di fare propria una missione e una visione, il modo di collaborare, le aspettative, la gestione del tempo. La presenza è una rivoluzione, senza bisogno di fare la rivoluzione. In un'azienda questo è moltissimo: far nascere qualcosa dal contesto in cui siamo, verificandone ma anche forzandone un pò i limiti, autorizzarsi a fare cose diverse in uno spazio protetto e poi rischiare consapevolmente di portarlo nelle abitudini organizzative consolidate. 8
COMUNITA' Le persone di Volvo si sono “accorte” prima di tutto di essere insieme, di essere una comunità. Non è un caso che il metodo filosofico di Lipman che è stato usato si chiami “Comunità di Ricerca”. Sentirsi comunità e “fare comunità” sono l'esito più naturale di questo tipo di lavoro. Ma di che tipo di comunità stiamo parlando? Ci sono comunità che si formano intorno a un luogo fisico, altre che si formano intorno a un'ideologia, a uno slogan, altre che si formano intorno a una pratica, a un lavoro condiviso, ecc. Nel nostro caso abbiamo tutte le componenti sopra accennate (il luogo fisico dell'azienda, la missione e gli slogan aziendali, i lavori e i progetti che si vivono insieme) ma ne abbiamo una ulteriore che fa la differenza. Volvo Italia è una comunità di persone che si fanno le stesse domande, o che almeno hanno messo molte domande in comune. Si sono portati a casa molte domande, e poche risposte dall'incontro con i filosofi. Quanto di veramente mio ci metto in quello che faccio? Quanto spazio lascio anche al non sapere, all'incertezza? Quanto spazio lascio al mio desiderio? Quanto sono disposto a farmi conoscere? Come conquisto la mia libertà? Qual è lo spazio che lascio alla libertà degli altri? Quanto sono ospitale rispetto all’inatteso? Che cosa significa partire da sé? Che cosa significa trovare parole vere? Cosa significa la sconfitta? Che cosa significa reagire? Qual è il senso del limite? Quanto rischio e quanto guadagno ad espormi? Ho un progetto di vita? L’azienda ha un progetto per me? Qual è la visione dell’azienda su di me tra 10 anni? La saggezza si può insegnare? Cosa succede faccio un lavoro su me stesso insieme a persone mature? Queste domande sono le premesse per un lavoro di costruzione di una comunità consapevole dentro a un’organizzazione. IDENTITÀ Per Marco Lazzoni, amministratore delegato di Volvo Italia, il punto di riferimento per costruire una vera comunità all'interno della sua azienda era sempre stata la Svezia. La Svezia era per lui il tratto identitario forte di Volvo Italia, la specificità che dava valore aggiunto al lavoro di tutti, e quindi anche al prodotto: il camion Volvo venduto sul mercato italiano. 9
I tratti salienti di questa identità (cfr. box3 Il modello svedese) sono la sensibilità estetica, l'integrità etica, uno stile di vita equilibrato (tra competitività e benessere, tra tecnologia e ambiente, tra orgoglio di appartenenza e rispetto delle diversità). Innamoratosi da subito della Svezia, Marco Lazzoni ha coltivato il progetto di appropriarsi dello stile di pensiero “svedese” e di contaminarne la sua azienda. “Il contesto nel quale noi siamo e lavoriamo (l'Italia ndr) è quasi simmetrico e opposto, ma quando ci penso, piuttosto che disperarmi, pensando che sia praticamente impossibile portare me stesso e i miei colleghi a ragionare e a vivere in quella maniera, io penso che un’azienda come la mia possa offrire un pezzo di quella cultura all’interno di una società fatta in maniera radicalmente diversa”. Lo stile di pensiero svedese ha i caratteri dell'understatement, è sempre molto semplice, easy. Applica pragmaticamente il principio del “just enough”, e in questo modo determina scelte e comportamenti che sono all’opposto dell’apparenza, dell’opulenza e del consumismo. Il lavoro che è stato fatto, con il supporto di Inspire, per “portare in azienda un pezzo di quella cultura”, è stato quello di valorizzare i tratti salienti di un modello di pensiero e di azione (svedese) e di una comunità (italiana, e in particolare bergamasca). Valorizzarli e aiutarli a riconoscersi a vicenda e a comunicare tra di loro. In un certo senso è stato necessario contenere l'“utopia svedese” dell'amministratore delegato, e al contempo immettere un certo quantitativo di utopia nel lavoro, nelle conversazioni, nelle interazioni tra i lavoratori di Volvo Italia. Lo strumento utilizzato per attivare questo processo trasformativo è stata una carta dei valori, una di quelle stupende pubblicazioni dimenticate nell'ultimo cassetto della scrivania di ogni buon impiegato: The Volvo Way. VOLVO WAY La Volvo Way è il documento della casa madre che dichiara i valori, i principi, i comportamenti su cui si fonda l’identità Volvo, e così sintetizza la cultura organizzativa aziendale. È “un pezzo di Svezia” che viene distribuito a livello internazionale a tutti i dipendenti Volvo. La Volvo Way è uno strumento di comunicazione che si inserisce nella strategia di Volvo di puntare sulle persone per sviluppare una cultura competitiva a supporto 10
del business di Volvo nel mondo: “La nostra capacità di sviluppare una cultura competitiva è un fattore strategico a lungo termine per la redditività. A differenza delle tecnologie, delle strategie, delle strutture o dei modelli di business, la cultura mal si presta a essere copiata dal concorrente. Sarebbe analogamente difficile per noi copiare la cultura di un concorrente.” La Volvo Way che circolava nel 2008 affermava dei valori (qualità, sicurezza e cura dell’ambiente), delle pratiche (energia, passione e rispetto per la persona) e dei codici di comportamento (orientamento al cliente, spirito d’azienda, dialogo aperto, lavoro di squadra, diversità ecc.). La versione aggiornata della Volvo Way che è stata pubblicata nel 2010 differisce sostanzialmente in alcuni punti dalla versione precedente, dando maggior peso ai valori relazionali e lasciando “qualità”, “sicurezza” e “cura dell'ambiente” sullo sfondo, come prerequisiti. Al di là di queste differenze, ciò che l'azienda intende fare attraverso la Volvo Way è un discorso di valore (credibile, motivante, rassicurante) sui propri valori, al fine di dare un valore aggiunto (chiaro, riconoscibile e apprezzabile) al proprio brand e al proprio business. VALORI SULLA CARTA Come accade per tutte le “Carte dei valori”, anche il valore della Volvo Way può rimanere solo sulla carta oppure essere reale. Anche per Volvo è solo il riconoscimento da parte della comunità di riferimento (i diversi stakeholders interni ed esterni: collaboratori, clienti, fornitori, società civile, istituzioni ecc.) che conferisce valore al suo discorso sui valori. La Volvo Way è quindi solo un pezzo di carta se non viene ascoltato, discusso, condiviso, interrogato e messo in pratica dalle persone. Prendendo spunto dall'esperienza fatta nel format filosofico di Presenze, Volvo Italia ha progettato, in collaborazione con Inspire, un processo di infiltrazione e di appropriazione dei valori della Volvo Way nella vita quotidiana dei propri stakeholder: clienti, fornitori e dipendenti. Questo processo ha utilizzato in maniera innovativa gli strumenti della comunicazione messi a disposizione da Volvo. Invece di comunicare dall'alto al 11
basso i valori dell'azienda (attraverso slogan, campagne, eventi ecc.), Volvo Italia ha scelto di ascoltare le persone attraverso alcuni spunti forniti dalla Volvo Way. L'obiettivo è stato quello di: rafforzare i legami, umani e professionali, tra le persone della sua comunità di riferimento; mettere in comune delle domande fondamentali sul senso di quello che si fa in Volvo; creare un sentire comune sulla missione di Volvo e sul modo Volvo di fare business. L'esito auspicato di questo processo è una Volvo Way “reale”: un sentire comune su ciò che abbiamo realmente in comune, un modo di pensare, domandare, fare che è testimoniato dalle persone attraverso le conversazioni, i comportamenti, le scelte. Il percorso che porta i valori dalla “carta” alla “realtà” è un work in progress, che non si può esaurire con una o più iniziative. Questa impostazione del lavoro è coerente con quanto enunciato dalla stessa Volvo Way: “La Volvo Way è durevole, non immutabile. È anzi lecito attendersi che cambierà col cambiare del mondo attorno a noi. Tutti noi siamo parte di questo cammino di progresso”. Proveremo qui a documentare i cantieri che su questo tema sono stati aperti in Volvo Italia dal 2008 ad oggi. DISTILLARE Il primo cantiere aperto è stato quello dell'ascolto. In una logica di differenziazione e valorizzazione della propria identità, è stato indispensabile puntare su un processo di ascolto e di riconoscimento dei valori vissuti in Volvo dalle persone. Cosa è la Volvo Way? Di chi parla? Cosa ne vogliamo fare? Quali altri valori valgono in Volvo, al di fuori di quelli della Volvo Way ? Quale riconoscimento hanno? I valori si dimostrano con le parole o con i fatti? Siamo un azienda etica? Queste sono alcune delle domande che sono state tenute in considerazione nella progettazione degli strumenti di ascolto. Alle persone però abbiamo rivolto domande molto più dirette e concrete, relative ai loro valori personali e ai comportamenti riscontrati in Volvo. Il processo di ascolto, denominato “Distillare i valori” è stato dedicato il secondo trimestre del 2008. L'ascolto si è sviluppato in quattro momenti: 12
1. Ascolto dei clienti e fornitori più importanti Sono stati intervistati, tramite un questionario strutturato “Ascoltarsi in 13 domande” (che ruotavano intorno ai concetti chiave della Volvo Way), 65 stakeholder seganalati dalla Direzione. L'obiettivo è stato raccogliere le opinioni autorevoli sulla identità percepita dell'azienda (le caratteristiche e i valori che caratterizzano l’identità di Volvo sul mercato). 2. Sondaggio interno È stato distribuito tramite la intranet aziendale lo strumento “All about us”, semplice questionario in tre domande a cui è stato associato un concorso. I risultati di queste due prime iniziative di ascolto, esterno ed interno, sono state presentate insieme a tutta la Market Company. Il risultato è stato un coinvolgimento immediato sul piano del confronto tra percezione interna (come ci vediamo, come crediamo di operare) e percezione esterna (come siamo visti dagli altri, cosa arriva realmente al cliente e al fornitore nella nostra comunicazione). Pregi e difetti di un organizzazione, riconoscibili come buone e meno buone pratiche che riguardano tutti i lavoratori. Il confronto fa sorgere delle domande, le domande mettono in discussione abitudini e preconcetti. Da questo punto in poi il documento “Volvo Way” diventa concretamente un ponte di comunicazione tra interno ed esterno, tra la scrivania (o l'officina) e il mercato. Esso fornisce alcuni paletti su cui si misura la congruenza tra ciò che ciascuno vuole essere attraverso il proprio lavoro, e ciò che riesce effettivamente ad essere. Fornisce alcuni punti di riferimento che sono utili per capire come ci si sta muovendo nel mercato, rispetto alle aspettative el proprio datore di lavoro e dei propri clienti e interlocutori. 3. Ascolto della Market Company La Market Company, ovvero la struttura commerciale che costituisce il nerbo di Volvo Italia, è stata intervistata approfonditamente attraverso il questionario “Ascoltarsi in 26 domande” e due Focus Group. Hanno partecipato complessivamente all'iniziativa 78 persone. Gli sviluppi dell'iniziativa sono stati seguiti da un blog aziendale progettato ad hoc. 13
Puoi indicare tre valori importanti che orientano la tua vita? Questi valori trovano spazio sia nella vita privata sia in quella professionale? Cosa significa per te qualità? Ricordi un fatto concreto, un’esperienza vissuta in prima persona, in cui hai “toccato con mano” il valore del Rispetto della persona nella tua vita professionale? Cosa potrebbe fare Volvo per migliorare il Dialogo con te? Queste sono alcune delle domande con cui abbiamo aiutato le persone ad ascoltarsi rispetto alla sfera etica della propria vita, dentro e fuori Volvo. 4. Ascolto dei Truck Center Il questionario “Ascoltarsi in 26 domande” è stato proposto anche a 118 lavoratori dei Truck Center . Sono state organizzate quattro presentazioni nelle sedi di Mestre, Trento, Verona e Zingonia, per spiegare gli obiettivi dell'iniziativa, rispondere alle domande e accogliere le perplessità dei lavoratori. Le presentazioni sono state tenute da un referente interno dell'area HR Volvo Italia e da un filosofo Inspire. Gli esiti della “distillazione”, le evidenze emerse dall'analisi dei questionari compilati, sono state presentate in un evento in plenaria a cui hanno partecipato persone della Market Company e dei Truck Center. Rispetto al ragionamento che stiamo facendo, ci sono due contenuti di quella presentazione che vale la pena riprendere. a) Le narrazioni Una caratteristica importante del questionario Inspire è la presenza di numerose domande aperte, che chiedono al compilatore di raccontare qualcosa di sé. Ne risulta una meta-narrazione di “fatti”, cose che accadono in Volvo e che hanno valore, perché sono importanti e per questo ricordate. Abbiamo rilevato che le narrazioni più ricorrenti rimandavano a quattro “fatti” fondamentali che creano maggiori “problemi” alle persone in Volvo: – la relazione con i dirigenti e con i colleghi; – la relazione con i clienti; – i momenti di valutazione; – le richieste della Direzione. 14
È in questi fatti, ci dicono le persone intervistate, che si gioca la possibilità o meno di praticare i valori della Volvo Way: è in questi fatti che si scrive ogni giorno la Volvo Way “reale” di cui abbiamo parlato in precedenza. Rispetto a questi fatti, le narrazioni delle persone hanno indicato con una certa ricorrenza cinque temi emergenti, a cui possiamo dare i seguenti titoli: – Ascolto – Lealtà/Affidabilità – Sincerità/Trasparenza – Qualità – Autonomia È chiaro che questi temi hanno dei tratti etici molto forti. Non sostituiscono la Volvo Way ma danno il senso del tempo e dell'urgenza: sono i valori che richiedevano attenzione nel 2008, e che hanno indirizzato la progettazione delle iniziative concrete di tipo formativo e organizzativo durante tutto il 2009 e il 2010. b) L'architettura dei valori Un secondo esito della distillazione ha a che fare con quella che viene solitamente chiamata “scala dei valori”. È preferibile parlare di “architettura dei valori” perché i valori sono connessi in una rete complessa, tra di loro e rispetto ad altri aspetti (il business, il tempo, gli sviluppi del mercato, le storie di crescita delle singole persone e dei team), che non ha una struttura puramente gerarchica. A partire da alcune domande a risposta multipla che chiedevano di definire le parole chiave della Volvo Way (Che cos'è per te la diversita? Ecc.), è stato possibile collocare i valori Volvo su un piano definito da due assi: l'asse individuale-sociale e l'asse vita-lavoro. Questi assi delimitano quattro quadranti: la persona (vita+individuale), la carriera (lavoro+individuale), la comunità (vita+sociale), l'azienda (lavoro+sociale). Collocare i valori della Volvo Way in questi quadranti è stato un modo per ascoltare in quali contesti questi valori sono centrali per le persone e, quindi, in quali contesti e con quali strumenti possono essere sviluppati. Questo ha aiutato Volvo Italia a orientarsi rispetto alle molteplici richieste che sono giunte, in questi anni, da un lato dalla casa madre e dall'altro dalla base. 15
Per fare un esempio, agli estremi opposti di questa rappresentazione troviamo la passione (al margine estremo del quadrante della persona) e la diversità (ben centrata nel quadrante dell'azienda). Questo ci dice due cose: – che l'azienda può e anzi deve farsi carico di iniziative interne di promozione della diversità; e che dovrà al contempo rispettare il bisogno degli individui di coltivare le proprie passioni, meglio se al di fuori del contesto lavorativo; – che possiamo imparare la cultura della diversità dalla Svezia (da ciò che della Svezia riusciamo a comunicare), ma per coltivare la passione dobbiamo osare, innovare, e a volte disobbedire alle politiche aziendali, se necessario. VIVERE “Values are established through interaction. It’s not about preserving values, it’s about “working” values. Corporate values enable personal values”. Wim Vandekerckhove, ricercatore belga che abbiamo avuto il piacere di conoscere a Oxford nel 2008, durante la convention “Philosophy for Management”, riassume così l'idea che la costruzione dei valori di un'azienda sia un processo continuo di interazioni e feedback all'interno di una comunità. I valori organizzativi non possono essere considerati un elemento oggettivo (codici stabiliti dall'azienda rispetto ai quali le persono devono essere compliant) e neppure un elemento soggettivo (per cui starebbe ai singoli individui mettere in pratica la propria sensibilità etica nel lavoro che svolgono). I valori aziendali hanno una natura intersoggettiva: sono una complessa tessitura composta dalle cose che le persone fanno, e dal discorso che su queste cose si genera, che permette di discernere tra buone e cattive pratiche, di apprenderle, di insegnarle, di metterle in discussione quando serve: in altre parole, di avere costantemente la consapevolezza di quello che si fa e del perché lo si fa in un certo modo e non in un altro. La comunità Volvo, che ha cominciato a prendere una forma riconoscibile aggregandosi intorno ad alcune domande comuni, emerge in modo ancora più nitido ora che le domande e le proposte sono collegate alla Volvo Way, ossia ai linguaggi e agli obiettivi propri dell'azienda per cui si lavora. Ascoltandosi, dialogando e cercando risposte, all'interno della comunità si alza il livello di consapevolezza sul senso di ciò che si fa in Volvo. Lo esprime molto bene la 16
testimonianza di una lavoratrice, raccolta dopo la presentazione dei risultati. “Facendo questa esperienza ho capito quanto sia importante il coinvolgimento delle persone sui valori. Ho capito anche quanto sia bello lavorare insieme, collaborare, creare qualcosa in gruppo. È molto più efficace così che non stare nella mia stanzetta e diramare comunicati sull’importanza della raccolta differenziata. È la partecipazione che fa la differenza. Forse questo è un valore che è emerso nel corso della mia esperienza e che vorrei che emergesse, vorrei creare un gruppo di lavoro sui temi ambientali. Riflettendo sui valori Volvo attraverso il questionario e questa discussione viene fuori che noi stessi possiamo creare valori, costruire i nostri valori insieme”. Si è infiltrata nell'organizzazione la consapevolezza che le persone posso “creare valori”, e in questo modo, in seguito al cantiere dell'ascolto (la “distillazione” dei valori) si sono aperti diversi cantieri per “vivere” i valori. Alcuni sono nati sotto la direzione del Responsabile delle Risorse Umane, Massimo Lutksh, altri in maniera spontanea dalle persone di Volvo, altri ancora dalle proposte di Inspire, che ha continuato a supervisionare i progetti italiani legati alla Volvo Way. Il tratto comune è che sono tutti progetti rivolti alla comunità, e in cui la comunità si riconosce. Seminari (“Attivare l'ascolto nella catena del fare” a cura di Inspire), conferenze (“La diversità” con Antonietta Potente, teologa), progetti creativi di comunicazione (“Working Class”, reportage fotografico di Gianpaolo Dal Lago), progetti di attenzione alle relazioni umane (maternità/paternità, part-time e telelavoro, prevenzione dei rischi legati al fumo), iniziative di riprogettazione del modello di governance (istituzione del “G20”, con l'allargamento da 8 a 20 persone del team di pianificazione strategica e commerciale di Volvo Trucks), ecc. Va notato che questi progetti sono stati sviluppati all'interno di un contesto di recessione economica e di fortissima contrazione del volume delle vendite, in seguito alla crisi finanziaria dell'autunno del 2008. Com'è stato possibile trovare le risorse per queste iniziative altamente innovative, mentre a livello globale Volvo imponeva una severa politica di contenimento dei costi? Lo spiega bene, ancora una volta, Marco Lazzoni: “Volvo Italia sta diventando una specie di laboratorio ufficiale per l’organizzazione. Credo che dalla Svezia apprezzino la nostra stravaganza e la nostra quota di utopia che invece nel loro caso forse è più diluita, meno accettabile da una società che vive sicuramente emozioni molto forti 17
stimolate dall’ambiente esterno ma che ha ancora una dimensione fortemente razionale, fortemente “cervello sinistro”. Quindi quello che penso piaccia della nostra natura è la capacità di energia e la capacità di giocare fuori dagli schemi. A me lo fanno fare, anzi mi stimolano ad andare su questa strada”. Il lavoro di Ricerca e Sviluppo sulle persone, quindi, non solo ha riconfigurato le interazioni all'interno della comunità italiana Volvo, ma ha trasformato le relazioni con la casa madre, rendendo l'Italia un laboratorio di innovazione e un benchmark internazionale. LUCI E OMBRE Abbiamo sin qui presentato il caso Volvo Italia dal punto di vista delle persone che si sono ingaggiate attivamente sulla proposta dei laboratori filosofici, sul cantiere dell'ascolto sui valori, e sui progetti che sono nati in seguito. Queste attività di innovazione dei processi e delle relazioni hanno anche fatto emergere incomprensioni e resistenze. È fondamentale darne visibilità. In primo luogo per rispettare tutti i punti di vista e restituire la ricchezza di una comunità fatta di persone vere, non di portavoce di valori o esecutori di linee guida aziendali. In secondo luogo perché il pensiero divergente è con ogni probabilità l'ingrediente più importante per realizzare la autentica intuizione di Volvo Italia: l'integrazione di visione, abilitazione e ingaggio personale. La reazione degli operai dei Truck Center è quella più interessante da questo punto di vista. La presentazione del questionario sui valori “Ascoltarsi in 26 domande” ha sollevato subito numerose questioni. Per la maggior parte degli operai è risultato spiazzante l’appello alla dimensione “personale”: per alcuni è stato fastidioso e invasivo, per altri generoso e inedito. Dialogando con loro abbiamo compreso come sia profondamente interiorizzata la scissione “vita/lavoro” e dunque “persona/ruolo”. Non è possibile scavalcare questa scissione interiorizzata, considerandola poco contemporanea o poco “evoluta” (tentazione che si ha, se si prende lo stile di vita svedese a modello). È necessario allora non mescolare indistintamente valori dell'azienda e valori personali, ma capire come possono interagire positivamente gli uni con gli altri al fine di costruire un'organizzazione “etica”. 18
I valori aziendali sono accettati indistintamente da tutti; devono rimanere alti e in un certo “solenni” perché indicano il livello al quale l’azienda si impegna nei confronti del “mondo” (clienti, azionisti ecc.); questi valori non chiamano in causa il senso del mio stare in azienda, ma chiamano in causa la qualità della mia prestazione, poiché la prestazione stessa ha una fortissima componente di responsabilità (la prestazione, in quanto servizio ad altri, è già di per sé un fatto etico, senza bisogno di sovrastrutture morali). Quindi, posso rispettare i valori dell’azienda senza espormi come persona nell’azienda: accetto che l’azienda mi chieda di rispondere a certi standard, so di essere valutato rispetto a tali standard e questo mi va bene. I valori personali sono agiti in azienda solo “per accidente” e quindi non appartengono all'azienda: sono intersoggettivi ma non appartengono a tutti per il semplice fatto di lavorare in Volvo. Sono elementi di identità e coesione: attraverso certi valori gli individui si riconoscono in diverse “comunità di pratica” che condividono codici, linguaggi, tempo, domande ecc. Sono valori in senso più ampio: non chiamano in causa solo la prestazione professionale, ma possono avere a che fare con il senso del lavoro. È rispetto a questi valori, e all’interno del gruppo di riferimento/riconoscimento, che io sono disposto a valutare il senso del mio stare qui. Questi valori appartengono alle persone a un livello più profondo e determinano un senso di responsabilità che va oltre al rapporto con i capi e con i clienti. Sono valori che fanno di un semplice lavoro “il mio lavoro”. Se metto questi valori nel mio lavoro, è una mia scelta: l'azienda non può chiederlo e tanto meno pretenderlo. Sono io che scelgo di espormi con i miei valori personali, e il raggio di questa esposizione è collegato alla mia storia personale all'interno di questa azienda, e prima ancora all'interno della mia professione. In altre parole, posso scegliere se condividere i miei valori nella mia comunità o se stare in azienda “da solo”. I valori personali sono quelli che conservano la mia identità all'interno della più ampia identità aziendale. Sono quelli che in ogni modo, qualunque cosa accada nella mia vita professionale, ritrovo quando ripongo la tuta e l'attrezzatura antinfortunistica nell'armadietto e prendo la macchina per tornare a casa. Il punto è capire se nell'organizzazione in cui lavoro esistano o meno le condizioni affinché io 19
conservi e comunichi la mia identità (e quindi i miei valori) anche prima di chiudere la tuta nell'armadietto. Se è vero, come afferma Vandekerckhove, che “corporate values enable personal values”, quali sono le condizioni affinché un'organizzazione riesca ad abilitare i valori delle persone, ad integrarli e a trasformarli in valore aggiunto? DIVERGERE Se per molti è così profonda la scissione vita/lavoro, è importante considerare, con disincanto, che molte delle risposte nei questionari non ci parlano dei valori importanti per le persone, ma ci parlano dei valori che sono ritenuti pertinenti con il lavoro. Questa possibilità emerge con chiarezza se consideriamo i diversi comportamenti delle persone nei confronti delle domande a risposta multipla e di quella a risposta aperta. Dove trovano le parole d'ordine del lavoro, le persone rispondono con facilità; laddove invece non trovano queste “parole-lavoro” a cui appigliarsi, laddove la domanda chiede di parlare di sé, chiede “Chi è Mario al di fuori del lavoro?”, laddove insomma la domanda non è riconducibile a una opzione di lavoro, molte persone hanno fatto fatica a rispondere: i sono smarrite. Questo è assolutamente normale, se pensiamo alla cultura organizzativa e allo stile di impresa che cerchiamo, con questi progetti, di mettere in discussione: la nostra è una cultura organizzativa del giudizio. In azienda si valuta e si viene valutati, si è talmente abituati al fatto che a ogni azione corrisponde una valutazione, che è normale che che anche un processo di ascolto e dialogo possa essere vissuto con un'aspettativa di valutazione. Per questo nel questionario spesso le persone non hanno scelto la risposta che “mi appartiene”, ma semmai la risposta “che mi compete”: la risposta giusta dal punto di vista del mio ruolo nell'organizzazione. Se la cultura organizzativa fosse una cultura del riconoscimento reciproco, i cui ci si espone e ci si relaziona senza paura rispettando se stessi e gli altri, rispondere per quello che si è significherebbe semplicemente pensare. In una cultura del giudizio, invece, rispondere per come si è, a prescindere dal ruolo che si ha (e quindi a prescindere da ciò che si aspetta che faccia e dica una persona in quel ruolo) significa autorizzarsi a dissentire. In altre parole, per molte persone l'ascolto è stato vissuto in una cornice di performance: e la performance “essere sinceri/essere se stessi” (richiesta 20
esplicitamente dal questionario) è andata in cortocircuito con la performance (immaginata, ma forse inconsapevolmente proiettata su tutto il progetto dalla forte enfasi comunicativa sui valori da parte della Direzione) “descrivere, attraverso un episodio che hai vissuto, i tratti concreti della cultura che condividiamo”. Si è determinato un paradosso: “sentiti libero di abbracciare la mia visione”. La soluzione a questo paradosso è probabilmente questa: se vuoi abilitare la tua visione nell'organizzazione, devi permettere alle persone di agire, pensare, organizzarsi, indipendentemente da quella che è tua visione. È questo che accadrà inevitabilmente in Volvo Italia, e in molte altre organizzazioni che si sono prese il rischio di ascoltare l'anima. Sarà non una trasformazione all'interno del paradigma attuale, ma un ribaltamento di paradigma. Dal paradigma dell'aspirazione e della leadership (farsi guidare dal modello svedese) al paradigma dell'ispirazione (fornire strumenti alle persone affinché si abilitino e portino tutta la ricchezza che desiderano dentro l'organizzazione). Ma questo è l'argomento di un altro libro. COMUNICARE Per concludere: a che punto ci troviamo, dopo questi passaggi, rispetto all'obiettivo iniziale del progetto? L'intenzione era abilitare una particolare visione d'azienda all'interno di un'organizzazione coinvolgendo le persone. È stato fatto molto, e si sono delineati due tipi di atteggiamenti: – un gruppo di persone ha voluto cogliere l'opportunità offerta di ascoltarsi, stare nella domanda, mettersi in gioco, riconoscersi in una comunità Volvo, e si è fatto promotore e fruitore di iniziative collegate alla Volvo Way; – un secondo gruppo ha vissuto la proposta di ascolto e messa in gioco all'interno della cornice della valutazione e della performance, e ha sviluppato una resistenza sospettosa rispetto ai temi della consapevolezza, dell'ascolto gratuito e dei valori. Rispetto a questo secondo gruppo di persone, si è determinato un forte conflitto tra la visione del vertice aziendale, e alcune strutture di pensiero e azione profondamente radicate nell'organizzazione stessa, nei processi, nelle persone. 21
Nell'ultimo anno di lavoro con Volvo si è ripartiti dalla consapevolezza di questo conflitto per riprogettare i processi di comunicazione interna. È stato avviato un vero e proprio laboratorio della comunicazione con l'obiettivo di comprendere senza pregiudizi le dinamiche delle relazioni interne, e di progettare processi e strumenti di comunicazione coerenti con l'idea di abilitare le persone a un nuovo modo di fare impresa. Particolare attenzione è stata posta nel trovare strumenti e messaggi adatti a “bucare” il muro di scetticismo e di promuovere la riflessione e la consapevolezza anche tra le persone che, per le ragioni che abbiamo sopra esposto, non erano state ingaggiate dai precedenti progetti. Il primo output è stato il prodotto ESP-erience: Extended Suggestion Podcasting. L'idea di base era realizzare una comunicazione leggera, con delle componenti di gioco, capace di raccontare delle storie che riguardassero le persone, e capace di generare domande che lavorassero a livello personale. Il media che è stato scelto è stato il podcasting: brevi videopillole (della durata di 3-5 minuti) da scaricare, con cadenza settimanale, dalla intranet aziendale, che le persone possono “consumare” privatamente, davanti al monitor del pc o sul proprio dispositivo portatile. Il registro narrativo scelto è stato quello del giallo a puntate. “Extended suggestion” si riferisce proprio a questa caratteristica: suggestioni lanciate in una puntata che lasciano un po' di mistero che sarà svelato nelle puntate successive, dando spazio e tempo alle persone e alle riflessioni. Nessuna richiesta formale di feedback. Il contenuto di ispirazione genera domande e conversazioni che si consumano nei luoghi rituali dell'azienda, negli angoli dei distributori di caffé, nei corridoi, nelle trasferte con i colleghi, nelle pause pranzo. Sta ai singoli cogliere il potenziale trasformativo dei contenuti proposti, e segnalarlo/promuoverlo tra i propri colleghi. Il podcasting ha permesso di realizzare una comunicazione più rispettosa dei tempi e delle sensibilità di ciascuno, senza rinunciare a orientare la riflessione delle persone sui temi importanti per l'organizzazione (diversity, engagement, involvement, energy, sono stati i valori della Volvo Way presenti sullo sfondo delle prime 20 puntate di ESP). Ad oggi i podcast sui valori di Volvo Italia sono scaricati ogni settimana da circa 300 persone. Sono stati doppiati in inglese e distribuiti a livello internazionale a tutti i dirigenti HR Volvo. Sono una delle punte di diamante del laboratorio Volvo Italia. 22
Box 1. Nuovi modelli di governance Intervista a Marco Lazzoni, CEO Volvo Italia Una delle schizofrenie tipiche della cultura organizzativa di oggi è quella legata alla governance. Per parlarne vorrei utilizzare una metafora: l’evoluzione dei sistemi informativi. Com’è andata l’evoluzione dei sistemi informativi? In principio c’erano main frame e tanti terminali stupidi. Poi piano piano abbiamo sostituito i terminali con i pc, anche se li usavamo ancora da terminali stupidi, e poi finalmente abbiamo utilizzato l’intelligenza distribuita, abbiamo cominciato a costruire la rete, e oggi il sistema è la rete. L’organizzazione deve fare questo passaggio, deve passare da un modello che è oggi fondamentalmente gerarchico che utilizza una quantità di intelligenza al suo interno molto ridotta - i gruppi elitari che decidono e tutti gli altri fanno - a un modello nel quale invece si utilizzano le intelligenze, le diversità di cui è ricchissima l’azienda, ma che ha rinunciato, per motivi diversi, a utilizzare. Io credo che oggi questa metafora possa essere una guida. Naturalmente realizzare una rete di questo genere significa cambiare un mucchio di cose. In particolare la governance del sistema cambia radicalmente: c’è un capo della rete? Non c’è. Si parla al contrario di organizzazioni piatte, parla chi ha qualcosa da dire, parlano le idee, parlano i contenuti, quelle cose che possono cambiare, dal mio punto di vista, la performance dell’azienda. Ma cambiare la performance con un salto quantico, non con un semplice improvement, un semplice miglioramento di percorso che è quello che cerchiamo i fare tutti i giorni. Serve una visione dell’azienda, serve qualcuno che abiliti il sistema, serve l’ingaggio dei singoli. Io ho tanti ragazzi che mi girano attorno in azienda e quando mi arriva uno e mi dice una cosa furba, mi fa un’osservazione, una domanda o una proposta, una piccola cosa, per me quella persona non è più quella di prima, ha cambiato il suo ruolo nel mio sistema di governance. Non l’ho scritto da nessuna parte, non uscirà una disposizione organizzativa, ma è la verità pura. Ed è questa la verità che dobbiamo rintracciare dentro le aziende e che deve essere valorizzata. Invece noi trattiamo tutti nella stessa maniera, abbiamo le disposizioni organizzative che non possiamo trasformare dall’oggi al domani, ma dobbiamo lavorare per costruire una cosa diversa, un passaggio diverso, e questo io credo sia cruciale. Credo che la flessibilità del modello organizzativo corrente sia arrivato al limite. I prodotti oggi hanno bisogno di un grosso c0ontenuto di verità, ma il problema è che se la verità non l’hai costruita e non hai una macchina azienda che è fatta per affermare la verità, è pura illusione quella di creare un prodotto che trascini questo valore. In altre parole, le regole per costruire la macchina devono essere molto simili alle regole per costruire il prodotto. 23
Puoi anche leggere