Realtà immigratoria fra conoscenze, competenze, criticità: il contributo dell'Etnopsicologia - Ordine Psicologi Marche

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Realtà immigratoria fra conoscenze, competenze, criticità: il contributo dell'Etnopsicologia - Ordine Psicologi Marche
Gruppo di lavoro di Etnopsicologia

     Realtà immigratoria fra
conoscenze, competenze, criticità:
 il contributo dell’Etnopsicologia

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Realtà immigratoria fra conoscenze, competenze, criticità: il contributo dell'Etnopsicologia - Ordine Psicologi Marche
Gruppo di lavoro di Etnopsicologia

La psicologia si è affacciata alla etnopsicologia negli spazi istituzionali, solo recentemente, tali spazi
hanno invece sempre visto favorito un approccio etnopsichiatrico.
Possiamo dire che parte di questo ritardo sia stato causato dalla incapacità di cogliere
immediatamente i mutamenti della società, difficoltà che caratterizza molte delle professioni sociali
e sanitarie.
La definizione di etnopsicologia e la relativa ricerca, risalgono addirittura alla seconda metà dell’800,
ma solo oggi il nostro ruolo ha acquisito rilievo.
Siamo colpiti costantemente dai mass media con notizie che riguardano l’immigrazione e le varie
problematiche connesse: flussi migratori, integrazione e razzismo, solo per citarne alcuni.
È nostro compito, come professionisti psicologi e psicoterapeuti, seguire queste dinamiche.
Dobbiamo dare il nostro contributo sia a livello scientifico sia a livello di intervento clinico, sociale e
civico.
E’ necessario essere in grado di far recepire e concepire un nuovo pensiero e una nuova cultura che
include la realtà migratoria; essa pur presentando nuove difficoltà, bisogni e patologie rappresenta
sempre un elemento evolutivo di crescita e riflessione.
Questa ricerca del “Gruppo di lavoro di Entnopsicologia” costituito dall’Ordine Psicologi Marche,
vuole essere un contributo di riflessione, e non solo, sull’importanza, mai come oggi così urgente,
di una cultura entopsicologica.

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                                                              Presidente Ordine Psicologi Regione Marche

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Realtà immigratoria fra conoscenze, competenze, criticità: il contributo dell'Etnopsicologia - Ordine Psicologi Marche
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Riflettere, confrontarsi, capire l’attuale condizione migrante presso un contesto istituzionale quale l’Ordine
professionale degli Psicologi rappresenta un’azione di forte valenza culturale e civica, poiché come afferma
Tobie Nathan la cultura è “il sistema che contribuisce alla nostra costruzione del mondo e non può esistere
respiro psichico, senza filtro culturale che ordini, governi e fornisca i principali strumenti di interazione con
la realtà”. I colleghi e le colleghe che compongono il gruppo di lavoro di etnopsicologia presso l’Ordine
Psicologi Marche hanno pertanto profuso impegno, tempo ed energia per la valorizzazione di una cultura
etnopsicologica che rispetti innanzitutto la dimensione del diritto (per noi psicologi è sancito dall’articolo 3
del codice deontologico) e che sia all’insegna di un approccio psicologico profondamente connesso alla
potenza delle relazioni piuttosto che a rigide categorie nosografiche; uno sguardo alla migrazione tale da
poter riaffermare il senso della Storia della persona. La cultura etnopsicologica rappresenta in tal senso una
ricchezza perché parte dalle relazioni, dal rispetto per gli esseri invisibili, per la lingua, per gli oggetti simbolici
e per il corpo. È necessario però valorizzare le informazioni per poter leggere le condizioni contestuali dove
si muovono attualmente i destini di moltissime persone migranti.
Da qui l’elaborazione di un documento che rappresenti un viaggio, auspicabilmente esaustivo, nella
condizione migratoria, con la speranza che sia un contributo per vivere più tra uomini piuttosto che tra
avversari.

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                                                                                                                      3
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Il presente documento si offre come fotografia e analisi dell’attuale condizione migratoria, come realtà in
continua evoluzione, con l’intento di offrire dati e approfondimenti utili a conoscere le connotazioni di tale
fenomeno e promuovere contemporaneamente la cultura etnopsicologica. Il Gruppo di lavoro di
Etnopsicologia dell'Ordine degli Psicologi delle Marche ha cominciato a operare sulla stesura di questo
contributo a inizio 2018, ma negli ultimi mesi la situazione, per quanto riguarda il settore dell'accoglienza dei
migranti e dell'integrazione sociale, è profondamente cambiata. Notizie e informazioni distorte hanno
trovato terreno fertile proprio nella mancanza di ciò per cui questo documento era stato pensato:
un’informazione diffusa e concreta sullo stato dell'arte e sugli strumenti esistenti.
Pertanto si vuole offrire a tutti coloro che sono motivati a conoscere la realtà migratoria, o per lavoro o per
interesse personale, le informazioni su le problematiche più diffuse nella presa in carico dei migranti, le prassi
in uso e le istituzioni attive in quest’ambito.
In questo periodo anche il sistema SPRAR, che era considerato un modello di riferimento europeo e che
puntava sull’integrazione fra le realtà ospitanti e le persone accolte è stato accantonato, con inevitabili
ripercussioni rispetto agli ingressi dei migranti nel Paese, che in passato potevano usufruire di strutture
d’accoglienza e protezione per richiedenti asilo e per titolari di protezione internazionale e umanitaria in
attesa di verifica dei requisiti.
La gravità dell'attuale situazione invece di frenarci ci ha motivati ancora di più, perché è proprio quando la
confusione si fa grande che bisogna impegnarsi a fare chiarezza, così come quando arriva il buio che bisogna
accendere le luci. Speriamo quindi che il presente documento possa offrire testimonianza del nostro lavoro
e del lavoro dei tanti che da anni si impegnano nell'ambito dell'integrazione in senso lato e dell'etnopsicologia
nello specifico, diventando allo stesso tempo uno strumento di confronto e di informazione.
Per concludere, questo documento non vuole essere un punto di arrivo, ma l'inizio di un viaggio condiviso
con chiunque operi nel settore o si senta interessato e intenda partecipare allo stesso con osservazioni e
scambi.

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                                          1. SETTORE GENERALE

     1.1 COS’E’ L’ETNOPSICOLOGIA

Da una semplice analisi etimologica appare immediatamente chiaro che l'etnopsicologia si occupa della
psicologia applicata alle differenze etniche. Ma cosa, in concreto, si intende con ciò?
Per approfondire la questione proviamo a concentrarci sui concetti di salute e cura. Per molti anni si è cercato
di distinguere la salute fisica da quella psicologica, dimenticando che la salute è un meccanismo sfaccettato,
in cui i processi emotivi condizionano il benessere fisico, e viceversa. È difficile perciò ottenere buoni risultati
di cura focalizzandosi solo su uno dei due aspetti che, complessivamente, chiamiamo salute. Lo stesso
approccio va però applicato anche in ambito psicologico. Quando si parla di psicologia ci si riferisce,
solitamente, alla realtà interiore dell'individuo: personalità, emozioni, traumi, focalizzando l'attenzione
sull'esperienza del singolo rispetto al mondo, dimenticando il sottile condizionamento che quest’ultimo
opera sulle persone. La "realtà", o meglio il modo in cui ci rappresentiamo la realtà, si costruisce in base ai
modelli imposti o proposti dalla cultura.
Le diverse culture plasmano gli individui e il loro modo di essere attraverso usanze, regole esplicite e implicite.
E se per un occidentale è buona norma stringere la mano a uno sconosciuto, per un latino americano sarà
considerato più cortese un contatto maggiore, come un abbraccio, mentre per un orientale l'inchino appare
come la forma di massima educazione verso l'altro. Apparentemente si tratta solo di semplici consuetudini,
ma in realtà definiscono un modo di vivere ed esprimere la propria parte affettiva ed emotiva, condizionando
quindi la vita psichica dell'individuo.
Alla luce di tale consapevolezza, appare chiaro che la psicologia non può essere considerata come un corpus
di conoscenze e di metodologie monolitico e perfettamente delineato, valido per ogni occasione, ma deve
variare in base al substrato culturale in cui l'individuo è cresciuto o vive.
Ed è qui che entra in gioco l'etnopsicologia!
L'etnopsicologia può quindi essere definita come un approccio di intervento psicologico focalizzato sui tratti
distintivi del contesto socio-culturale di appartenenza del soggetto preso in carico. Come approfondiremo in
seguito, la sfida per l’etnopsicologia è quindi quella di costituire un impianto multidisciplinare e interculturale
che utilizzi la lingua del paziente e che permetta di conferire significato al vissuto del migrante. Pertanto
l'etnopsicologo è il professionista dell'intervento psicologico dotato di competenze e, soprattutto, di una
particolare sensibilità alle dinamiche psico-emotive dell'individuo, derivate dalle diverse culture di

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appartenenza. Parliamo di sensibilità, perché sarebbe impensabile riuscire a raggiungere una competenza
approfondita di tutti i modelli culturali esistenti. Meglio costruire, invece, un approccio "fluido" libero da
preconcetti e, al tempo stesso, una specifica attenzione alla differenza, al dettaglio dietro cui si nascondono
i diversi modi di costruire e vivere le relazioni, di rappresentarsi la realtà, di raccontarsi il corpo e le emozioni.
Enfatizzando le risorse del paziente, l’etnopsicologo si pone come obiettivo quello di offrire un intervento di
sostegno psicologico meta-culturale, creato ad hoc, in grado di ristabilire l’involucro culturale, lacerato in
seguito l’esperienza migratoria. Questo perché è proprio nello sradicamento (ovvero l’allontanamento dal
proprio mondo verso un altro) che esplode il disagio psicofisico, una condizione che diventa difficile da
comunicare con un linguaggio o con sintomi comprensibili per la cultura ospite. Un esempio di questa
difficoltà sta nel lavoro dei medici che operano con pazienti stranieri, spesso provenienti da culture molto
lontane, con i quali non è possibile utilizzare gli stessi modelli di descrizione sintomatologica. Ciò che cambia,
chiaramente non è l’anatomia, ma il modo di rappresentare e descrivere il corretto funzionamento
dell'organismo; per cui ciò che nella nostra cultura può essere definibile come fitte al fegato o dolore alle
giunture, in Africa sub-sahariana può essere spiegato come uno squilibrio energetico tra la parte destra e
quella sinistra del corpo, mentre in medicina tradizionale cinese può essere raccontato come una presenza
eccessiva o insufficiente di vento o di fuoco nelle varie aree dell’organismo.
Un’altra questione alquanto spinosa da comprendere sta nel differente “rapporto con l’invisibile”, un
problema che si rende evidente nel lavoro con le donne vittime di tratta. La questione riguarda donne,
perlopiù nigeriane, reclutate nel loro villaggio o città d’origine, spesso con la falsa promessa di una nuova vita
in Europa e di un lavoro sicuro e onesto, vincolate mediante l’impegno alla restituzione di una certa somma
di denaro. Questo patto viene suggellato da un rito magico (vudù o juju) fatto allo scopo di assoggettare le
vittime da un punto di vista morale e spirituale, oltre che con la costrizione fisica, se necessario, anche
mediante minacce alla loro incolumità o a quella dei loro familiari rimasti nel Paese di origine. I riti prevedono
inoltre un vincolo di segretezza, che vieta loro di fare il nome dei propri sfruttatori. Il timore di ritorsioni
fisiche e spirituali, in seguito alla trasgressione del patto, rende la loro liberazione alquanto ardua.
Per fare al meglio questo lavoro di continua ricerca di comprensione e rispetto delle differenze socio-cultuali,
si rende necessaria la collaborazione con un mediatore culturale. Il mediatore linguistico culturale è un
ponte, una passerella tra due universi linguistici. Riguardo al ruolo del mediatore esiste ancora molta
confusione. Se da un lato alcuni operatori considerano i mediatori come figure di passaggio e semplici
traduttori da utilizzare solo in caso di emergenza, dall’altro ci sono operatori con grandi aspettative che
considerano i mediatori dei dispositivi passe-partout, dei tecnici in grado di risolvere qualsiasi questione
legata all’intercultura e all’integrazione dei cittadini stranieri.

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Le funzioni del mediatore dovrebbero invece essere delineate e costruite di volta in volta dagli stessi
operatori e mediatori in un preciso progetto di intervento. Entrambi dovrebbero collaborare ed essere
coinvolti nelle attività di promozione e personalizzazione degli interventi al fine di renderli più vicini all’utenza
straniera ed ai suoi bisogni. Poiché esiste una differenziazione di funzioni del mediatore, è difficile fare un
discorso generalizzato che non tenga conto del contesto. Tuttavia si possono individuare alcune principali
“funzioni base”, presenti in tutte le figure della mediazione, quali:
       Funzione di orientamento e di informazione agli utenti
       Funzione di accoglienza degli utenti nei servizi
       Funzione di traduzione, interpretariato, mediazione linguistico-culturale
       Funzione di sensibilizzazione, promozione e pubblicizzazione relative al servizio specifico in cui si è
        inseriti.

     1.2 PARTE STORICA E RIFERIMENTI TEORICI

La collaborazione interdisciplinare tra psicologi, antropologi, filosofi, storici, sociologi è stata fondamentale
nei secoli per sviluppare la ricerca nell’ambito della dimensione psichica nelle diverse popolazioni.
I primi accenni al termine di etnopsicologia si ebbero grazie a Heymann Steinthal, filosofo del linguaggio e
psicologo tedesco, cofondatore nel 1860 della Rivista per l'etnopsicologia e la linguistica e autore di numerosi
scritti sull'origine del linguaggio. Nella sua opera (1851) Steinthal sostiene un orientamento volto a porre in
relazione l'analisi strutturale delle lingue e la psicologia dei popoli.
Successivamente Wilhelm Wundt, psicologo e filosofo tedesco del XIX secolo, parlò nelle sue ricerche di
“psicologia dei popoli” o etnopsicologia, ovvero dello studio del ruolo della cultura nella costruzione
delle funzioni psicologiche superiori (memoria volontaria, ragionamento, linguaggio, apprendimento). Il
concetto venne poi riutilizzato da Wundt nello studio dello sviluppo mentale generale dell'essere umano,
ovvero dei fattori costitutivi della cultura di un'etnia o di un popolo (lingua, religione, miti, morale, costumi
ecc.) tramite metodi psicologici, filologici, storici e antropologici. Una vera e propria indagine integrata che
oggi viene invece sviluppata da diverse discipline come la psicologia culturale, la psicologia trans-culturale o
cross-culturale, l'antropologia psicologica e l'etnopsicologia.
Gli studi di etnopsicologia hanno successivamente contribuito ad approfondire l’argomento. L'etnopsichiatria
può essere fatta risalire allo psichiatra Emil Kraepelin che, all'inizio del XX secolo, ha delineato una nuova
disciplina chiamata psichiatria comparata. Kraepelin era convinto che i fattori socioculturali svolgano un ruolo
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fondamentale nella genesi di diverse psicopatologie e perciò si preoccupò di identificare e spiegare il legame
che esiste tra disturbi mentali e caratteristiche etniche e culturali dei diversi popoli.
Con l'etnopsicologia e l'etnopsichiatria, etnia e cultura diventano così fattori centrali anche per le discipline
che si occupano della salute mentale. L’etnopsichiatria mirava al confronto tra diverse realtà cliniche al fine
di convalidare le categorie nosografiche della psichiatria classica occidentale, che rimanevano il termine di
riferimento certo e indiscutibile. Il metodo era appunto quello comparativo e da qui nasceva la definizione di
psichiatria trans-culturale, cross-culturale o comparativa. L’orientamento della prima etnopsichiatria era di
considerare le sindromi psichiatriche esotiche come una variante più semplice e povera di quelle riscontrate
in Occidente: in esse i fattori culturali costituivano dei meri ostacoli all’efficace riconoscimento delle
patologie secondo la nosografia psichiatrica occidentale. L’elemento culturale veniva preso in considerazione
e studiato solo in vista di una sua rimozione al fine di svelare i modi universali della sofferenza umana. La
prima etnopsichiatria riteneva infatti che, sebbene i contenuti del disagio psichico differissero in diverse aree
geografiche del mondo, essi sottintendessero una uguale forma, universale, di disturbo mentale.
Un altro pioniere degli studi etnopsicologici e della etnopsicanalisi è Georges Devereux, che ha effettuato
studi sul campo fra le popolazioni indigene in California, Australia, Nuova Zelanda, Nuova Guinea e Vietnam,
studiandone le formazioni culturali al fine di individuare le varianti strutturali comuni ad ogni cultura.
L’etnopsichiatria viene da lui considerata come una disciplina complementarista, in cui è necessario un
dialogo incessante e comparativo tra epistemologie psicoanalitiche, antropologiche, sociologiche, ma anche
biomediche, perché nessun punto di vista è esaustivo nello studio dell’uomo.
Gli orientamenti attuali hanno maturato una visione più critica del compiere azioni di cura. L’esigenza di farsi
carico di disagi "altri", ha suggerito la necessità di ripensare gli strumenti e i quadri teorici, riconoscendo la
loro inevitabilità culturale, cioè il loro essere localizzati, costruiti in spazi storici e geografici specifici. E infatti
gli etnostudiosi contemporanei si differenziano da quelli del passato per la consapevolezza della necessità di
storicizzare anche i propri riferimenti culturali e strumenti operativi.
Un ulteriore passo avanti, soprattutto nella direzione della costruzione di dispositivi di cura adeguati alle
patologie etniche, è stato più recentemente compiuto da Tobie Nathan. Da lui la psicoterapia viene
considerata come “un procedimento d’influenza destinato a modificare radicalmente, profondamente e in
modo duraturo una persona, una famiglia o semplicemente una situazione, partendo da un’intenzione
terapeutica” (Nathan 1998, p. 20). Non si separa perciò il paziente dalla famiglia o dal clan, per ricondurlo ad
un gruppo virtuale, statistico, come quello individuato e descritto dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual
of Mental Disorders), ma lo si considera parte di un corpo sociale più ampio. Di conseguenza, tutte le pratiche
terapeutiche presentano un interesse e non si può discriminare tra pratiche scientifiche e pratiche

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"selvagge". Le terapie tradizionali sono operazioni razionali, efficaci e suscettibili d’indagini approfondite:
tutto va ricondotto al sistema culturale e solo all’interno di esso si possono valutare l’efficacia e il senso.
Molti sono gli sviluppi, anche divergenti nel pensiero e nella pratica, che hanno origine dal lavoro di Nathan.
Ricordiamo soltanto Rose Marie Moro (1994, 1998), che si è concentrata in particolare sulla problematica
dell’intervento con i figli dei migranti.
Infine, va tenuto conto del fatto che in letteratura le sigle etnopsicoanalisi, etnopsichiatria e psichiatria trans-
culturale vengono a volte utilizzate come sinonimi, mentre in realtà corrispondono ad ambiti culturali e
applicativi diversi. In genere i primi due si riferiscono a quanto elaborato da George Devereux e da Tobie
Nathan, il terzo termine viene utilizzato nell’ambito della ricerca anglosassone.
Spostandoci in Italia, anche qui le ricerche e gli interventi in ambito etnopsicologico hanno avuto sviluppi
considerevoli. Già a partire dagli anni ‘50, sotto lo stimolo dell'antropologo e filosofo Ernesto De Martino,
sono stati effettuati studi e ricerche sul mondo magico e sui rapporti tra l’antropologia e la psiche. Giovanni
Jervis collaborò alle ricerche di De Martino sul tarantismo pugliese; Michele Risso e Wolfgang Boker si
occuparono di psicopatologia delle migrazioni presso le comunità d’immigrati in Svizzera; l'etnologo Vittorio
Lanternari studiò gli stretti legami tra medicina, magia e religione.
Un’eccellente attività di ricerca e d’intervento originale e feconda, e d’ispirazione nathaniana, continua ad
essere svolta da Piero Coppo che ha compiuto lunghi anni di attività scientifica e terapeutica in Mali;
dall'etnopsichiatra Salvatore Inglese, con precisi interventi sulla psicopatologia trans-culturale e sulla
psichiatria in tempo di guerra; da Giuseppe Cardamone e dallo psicologo Sergio Zorzetto, con interessanti
interventi sulla psichiatria di comunità; e dal gruppo di lavoro che si raccoglie attorno all'Associazione Oriss,
che pubblica la rivista I fogli di Oriss. E’ importante anche il contributo di Roberto Beneduce, con considerevoli
studi sulla possessione in Africa e sulla patologia delle migrazioni e di Natale Losi.

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     1.3 RIFERIMENTI LEGISLATIVI

Premessa:
Generalmente con il termine IMMIGRAZIONE si definisce ogni movimento migratorio individuale o di massa
originato da motivi economici, di studio, di lavoro o dall'intento di fuggire da situazioni conflittuali del proprio
Paese che porta a stabilirsi, in via temporanea o definitiva, in un luogo diverso da quello di origine.
L'immigrazione in Italia è un fenomeno abbastanza recente. Per oltre un secolo terra di emigrazione, il nostro
Paese si trova di fronte ad un repentino cambiamento di ruolo ed è chiamato a misurarsi, sul piano culturale
e politico, con l'afflusso crescente di uomini e donne di culture, usi e religioni assai diverse tra loro così che
l'espressione "società multietnica" è diventata una realtà quotidiana.
Sul piano storico, l'arrivo dei primi flussi migratori cominciò nei primi anni '70 con l'inizio della crisi del
petrolio. L'Italia venne scelta dagli immigrati che non potevano più raggiungere i ricchi paesi dell'Europa
centro-settentrionale a causa delle politiche restrittive e della chiusura delle frontiere da parte degli Stati più
industrializzati.
Dalla seconda metà degli anni ‘80, l'Italia vide aumentare in maniera esponenziale il numero degli ingressi di
cittadini stranieri. Da allora l’immigrazione iniziò ad essere percepita dall'opinione pubblica come un
problema e gli studiosi intrapresero ricerche più approfondite sulla condizione degli immigrati.
L'Italia, a differenza di altri Stati europei solo da pochi anni si è impegnata ad elaborare politiche
sull'immigrazione; durante gli anni '70 e la prima metà degli anni '80, lo Stato preferì "non decidere" in
materia di immigrazione, lasciando al libero gioco delle forze di mercato il compito di regolamentare i flussi
migratori e agli enti locali ed alle organizzazioni assistenziali quello di affrontare, in qualche modo, le
emergenze con centri di prima accoglienza, mense, dormitori. Le politiche che vennero adottate non tennero
sufficientemente conto dei bisogni e soprattutto dei diritti di chi proveniva da un altro Paese, fornendo
prevalentemente assistenza caritatevole in assenza di una legge specifica, in cui l'unica soluzione era spesso
individuata nell'espulsione con il ritorno immediato nel Paese di origine.
La prima legge in materia di immigrazione risale alla fine del 1986, periodo nel quale si avvertiva la necessità
di un intervento da parte dello Stato che esprimesse la volontà di regolarizzare i flussi migratori, tenendo
conto anche dei diritti degli stranieri.

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Riferimenti legislativi
Ripercorrendo l’evoluzione normativa in materia di asilo il punto di partenza si può individuare nel dettato
costituzionale: l’articolo 10 comma 3 della Costituzione riguarda i diritti di asilo e prevede che: “lo straniero
al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione
italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Di seguito
verranno riportate altre tappe cruciali di questo processo:
       Il 28 luglio 1951 l’Italia firmò la Convezione di Ginevra: pilastro del sistema di asilo che affrontò per
        la prima volta la questione relativa ai rifugiati nel dopoguerra. L’Italia aderì alla Convezione di Ginevra
        attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica n. 722 del 24 luglio 1954.
       È con la Legge Martelli che ci fu un punto di svolta nel campo del diritto di asilo e sul tema, fino ad
        allora inedito, dell’accoglienza dei richiedenti asilo, in termini più generali, nella regolamentazione
        della disciplina della condizione giuridica dello straniero.
        Legge 28 febbraio 1990 n. 39 fu la prima norma Nazionale in cui venne affrontato il tema del Diritto
        di Asilo.
       Nel luglio del 1999 l'esperienza isolata delle comunità virtuose che avevano spontaneamente
        predisposto forme di accoglienza integrata a favore dei soggetti rimasti esclusi dalle strette maglie
        del circuito di accoglienza governativo, assunse una dimensione strutturata grazie all'approvazione
        del progetto “Azione Comune”, avviato con il sostegno dell'Unione Europea e del Ministero
        dell'Interno in favore degli esuli kosovari. Il progetto venne affidato al Consiglio Italiano per i Rifugiati,
        che lo realizzò in partenariato con altre associazioni ed enti di tutela attivi sul fronte dell'accoglienza.
        Il progetto Azione Comune "rappresentò la sperimentazione di una metodologia in base alla quale si
        sono successivamente costituiti i sistemi di accoglienza istituzionalizzati e più strutturati: il
        Programma Nazionale Asilo (PNA), poi evolutosi in Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e
        Rifugiati (SPRAR)".
       Nel 2002 venne approvato un importante intervento legislativo di modifica della normativa vigente
        in materia di immigrazione, contenente al suo interno disposizioni concernenti il diritto di asilo. La
        Legge 30 luglio 2002 n.189, meglio nota come Bossi-Fini, rappresentò un inasprimento della
        condizione giuridica dello straniero in Italia. Il tema dell'asilo divenne un punto a sé; affrontato in via
        diretta, seppur non organica, dettando un ordine nella procedura di riconoscimento dello status e
        gettando le basi per la realizzazione di un sistema di accoglienza a livello nazionale.
       L'Italia, a partire dalla fine degli anni '80 del secolo scorso, partecipò ai primi trattati intraeuropei
        incidenti anche sulla materia della protezione politico-umanitaria aderendo tanto all'Accordo di

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    Schengen del 1985 quanto alla Convenzione di Dublino del 1990. Il primo nacque dal dibattito sorto
    sul finire degli anni '80 riguardante il concetto di libertà di movimento delle persone all'interno
    dell'Unione che portò a una graduale eliminazione dei controlli alle frontiere comuni. Con l’entrata
    in vigore della Convenzione di Schengen nel 1995, di ratifica dell'Accordo del 14 giugno 1985, venne
    sancita l'abolizione delle frontiere interne degli Stati firmatari, creando un'unica frontiera esterna
    dove i controlli delle migrazioni sarebbero avvenuti sulla base di regole comuni riguardanti il tema
    dei visti d'ingresso, soggiorni brevi, controlli alle frontiere e richieste di asilo. Quanto a quest'ultimo
    aspetto, la Convenzione gettava le basi per la determinazione dello Stato competente ad esaminare
    la domanda di asilo, una questione affrontata specificamente nella Convenzione di Dublino siglata il
    15 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1997 per gli Stati firmatari. La Convenzione di Dublino si
    propose di dare risposta a due fenomeni, conseguenza indiretta del sistema Schengen. Il primo, noto
    come asylum shopping, consistente nella tendenza dei richiedenti asilo a ricercare lo Stato membro
    che offra condizioni più permissive per il conferimento dello status. Il secondo volto a risolvere il
    fenomeno dei 'rifugiati in orbita', imponendo che sussista in capo a un determinato Stato membro
    l'obbligo di esaminare una domanda di asilo, evitando che la competenza venga rimbalzata di Stato
    in Stato, senza alcuna presa di responsabilità.
   Nel 1997 tramite il Trattato di Amsterdam prese avvio la cosiddetta "comunitarizzazione" della
    materia, ovvero il passaggio della materia dall'area intergovernativa alla competenza comunitaria.
   La legge 6/03/98 n.40 guarda in modo particolare all'integrazione sociale e ai diritti-doveri degli
    stranieri, facendo emergere la consapevolezza nella società contemporanea che non è più possibile
    evitare questa realtà e che bisogna cercare nuovi strumenti per costruire un dialogo con le altre
    culture. Nella legge sono inserite innovazioni importanti, per quanto concerne le misure
    d'integrazione, quale, ad esempio, la carta di soggiorno, un documento che permette di rimanere a
    tempo indeterminato dopo 5 anni di permanenza con regolare permesso di soggiorno. La legge
    prevede, quindi, che l'espulsione possa essere disposta solo per gravi motivi di ordine pubblico e che
    lo status di titolare di carta di soggiorno si estenda anche al coniuge e ai figli minori conviventi. Il
    ricongiungimento familiare viene garantito e si allarga la sfera dei parenti che ne può usufruire.
    Quanto all'assistenza sanitaria, lo straniero regolarmente soggiornante ha parità di trattamento e
    piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani. Ai minori presenti sul territorio,
    regolari e clandestini, tra le altre forme d tutela è esteso l'obbligo scolastico. Per tutti gli stranieri,
    infine, è prevista un'azione civile contro qualsiasi atto di discriminazione per motivi razziali, etnici o
    religiosi. Oltre alle diverse esigenze oggettive di controllo dei flussi migratori, con questa legge

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    cambia anche la sensibilità di fronte allo straniero: da lavoratore utile per l'economia del Paese, a
    persona desiderosa di creare un nuovo progetto di vita nel nostro territorio e che quindi ha bisogno
    di strutture sociali e culturali.
    Inoltre, il Dlgs n. 286/1998 stabilisce all’articolo 2 che la tutela dei diritti fondamentali della persona
    non possa essere limitata al solo cittadino italiano, ma debba essere estesa anche ai cittadini degli
    altri Stati ed agli apolidi.
   Nel 1999 si tenne il Consiglio europeo di Tampere da cui scaturirono importanti conclusioni sul tema
    dell'asilo. In particolare venne introdotto per la prima volta il concetto di Common European Asylum
    System (CEAS), ovvero l'istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, basato
    sull'applicazione della Convenzione di Ginevra in ogni sua componente, garantendo in tal modo che
    nessuno venga esposto nuovamente alla persecuzione, ossia mantenendo il principio di non-
    refoulement.
   Nell'arco del quinquennio successivo furono adottati atti normativi di fondamentale importanza che
    gettarono le basi del Sistema Comune di Asilo: il Regolamento di Dublino n. 343/2003, che andò a
    sostituire la Convenzione di Dublino del 1990, concernente i criteri e i meccanismi volti alla
    determinazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda, la Direttiva 2003/9/CE
    relativa alle misure minime per l'accoglimento dei richiedenti asilo (Direttiva Accoglienza), la
    Direttiva 2004/83/CE relativa all'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti
    bisognosa di protezione internazionale (Direttiva Qualifiche), la Direttiva 2005/85/CE sulle procedure
    per il riconoscimento dello status di rifugiato (Direttiva Procedure). Rilevante anche le Direttiva
    2001/55/CE del 21 luglio 2001 sulle misure di afflusso massiccio di sfollati.
   Terminato il completamento di questa prima fase di armonizzazione, la Comunità Europea ritenne
    necessario avviare una riflessione al fine di determinare in quale direzione il CEAS dovesse muoversi.
    Nel 2007, con l'elaborazione del Green Paper sul futuro regime comune in materia di asilo, prese
    avvio la seconda fase di implementazione del Sistema Comune. Sulla scorta di questo documento la
    stessa Commissione Europea approvò un Piano Strategico sull'Asilo, presentato nel Giugno del 2008,
    in cui vennero individuati i tre pilastri sulla cui base sviluppare il sistema: rafforzare l'armonizzazione
    degli standard di protezione avvicinando ulteriormente la legislazione in materia di asilo degli Stati
    membri; garantire e supportare una cooperazione effettiva tra gli stessi; incrementare la solidarietà
    ed il senso di responsabilità tra gli Stati membri e tra gli Stati Europei ed extra-Europei.
   La seconda fase del CEAS venne confermata dal Programma di Stoccolma del 2009 e con l'entrata in
    vigore del Trattato di Lisbona nello stesso anno.

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       Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano è disciplinato dal decreto legislativo n.
        142/2015, adottato in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE.
        Successivamente, alcune integrazioni e modifiche sono state apportate dapprima dal D.L. 13/2017,
        che ha previsto alcuni interventi urgenti in materia di immigrazione, poi dalla L. n. 47/2017 sui minori
        stranieri non accompagnati e dal D.Lgs. n. 220/2017. Nell'attuale legislatura, il D.L. 113/2018 (ovvero,
        decreto immigrazione e accoglienza) ha introdotto ulteriori modifiche, che vedremo in seguito, che
        riformano in parte l'impianto complessivo del sistema.

La cornice normativa riflette il modello di accoglienza «diffusa» e basata su regole definite al di fuori di una
logica emergenziale, già emerso nell'Intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 10 luglio 2014 da Stato,
regioni ed enti locali, nella quale era stato concordato il " Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso
straordinario di cittadini extracomunitari". Il sistema di accoglienza dei migranti si fonda, in primo luogo, sul
principio della leale collaborazione, secondo forme apposite di coordinamento nazionale e regionale, basate
sul Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno con compiti di indirizzo,
pianificazione e programmazione in materia di accoglienza, compresi quelli di individuare i criteri di
ripartizione regionale dei posti da destinare alle finalità di accoglienza. La primissima fase, antecedente alla
accoglienza vera e propria, consiste nel soccorso e prima assistenza, nonché nelle operazioni di
identificazione dei migranti, soprattutto nei luoghi di sbarco (art. 8, co. 2, D.Lgs. n. 142 del 2015). In base agli
impegni assunti dallo Stato italiano nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione, adottata nel 2015, tali
funzioni sono svolte nelle aree chiamate hotspot (punti di crisi) allestite nei luoghi dello sbarco per consentire
le operazioni di prima assistenza, screening sanitario, identificazione e somministrazione di informative in
merito alle modalità di richiesta della protezione internazionale o di partecipazione al programma di
relocation. Ai sensi del decreto, tale funzione è svolta nei centri di prima accoglienza (CPA) o Centri di primo
soccorso e accoglienza (CPSA) allestiti all'epoca dell'emergenza sbarchi in Puglia nel 1995 ai sensi del D.L. 30
ottobre 1995, n. 451, conv. da L. n. 563/1995 (legge Puglia).
Nell'ambito delle misure di accoglienza, il decreto n. 142/2015 riserva una particolare attenzione ai soggetti
"portatori di esigenze particolari" (cosiddette persone vulnerabili, il cui novero è ampliato rispetto al
passato), per i quali sono introdotti specifici accorgimenti nella procedura di accoglienza e di assistenza. Così,
nell'ambito dei centri governativi sono attivati servizi speciali di accoglienza, assicurati anche in
collaborazione con la ASL competente per territorio, che devono garantire misure assistenziali particolari e
un adeguato supporto psicologico. Tra tutte le categorie di vulnerabilità, disposizioni particolari sono
riservate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA).

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Per quanto riguarda le condizioni materiali di accoglienza, il decreto legislativo n. 142 si preoccupa di
assicurare livelli di accoglienza uniformi sul territorio nazionale e garantire la trasparenza delle procedure di
affidamento dei centri, rinviando ad un decreto ministeriale la definizione di uno schema di capitolato di gara
d'appalto per la fornitura dei beni e dei servizi relativi al funzionamento di tutte le strutture di accoglienza.
Tale decreto è stato adottato dal Ministero dell'interno con la collaborazione dell'Autorità nazionale
anticorruzione - ANAC (D.M. 7 marzo 2017).

Gli ultimi sviluppi legislativi in Italia:
I dati consuntivati nel DEF 2018 confermano che negli ultimi anni le presenze di migranti nelle strutture di
accoglienza italiane hanno visto un andamento crescente, dalle 176 mila unità attestate a fine 2016 alle oltre
183 mila a fine 2017, con picchi fino a oltre 193 mila a settembre 2017. La maggior parte dei rifugiati è
ospitata in strutture provvisorie (CAS), poiché i servizi convenzionali a livello centrale e locale hanno capienza
limita.
Rispetto all’elevato numero dei richiedenti asilo presenti nelle strutture di accoglienza, a fronte della
sensibile contrazione dei flussi migratori (fenomeno registrato a partire dal 2017 e consolidato nel 2018) il
Governo si è impegnato ad una rivisitazione del sistema di accoglienza, anche mediante la razionalizzazione
dei servizi (si v. comunicazioni del Ministro dell’interno sulle linee programmatiche del suo dicastero alle
Commissioni congiunte affari costituzionali di Camera e Senato, 25 luglio 2018).
In tale direzione si muove la direttiva del Ministero dell’interno del 23 luglio 2018, che ha come oggetto la
rivisitazione dei servizi di accoglienza per richiedenti asilo, tra cui:
         l’individuazione dei servizi prestazionali per gli ospiti delle strutture di prima accoglienza, in coerenza
          con le dimensioni e le tipologie di struttura (individuali o collettive), definendone il valore di
          riferimento;
         l’inclusione, nei servizi di base di accoglienza comuni, oltre all’alloggio e al vitto, della cura dell’igiene,
          dell’assistenza generica alla persona (mediazione linguistico-culturale, informazione normativa),
          della tutela sanitaria e di un sussidio per le spese giornaliere;
         l’esigenza di porre particolare attenzione alla determinazione delle basi d’asta dei servizi, da
          individuare sulla scorta dei prezzi standard di riferimento stabiliti da centrali di committenza, ovvero
          indicati dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nelle proprio delibere, con valenza regolatoria
          finalizzata al risparmio della spesa.
La revisione dei servi di accoglienza è proseguita con alcune disposizioni contenute nel D.L. 113 del 2018
(ovvero, decreto sicurezza e immigrazione) che riservano i servizi di accoglienza integrata sul territorio

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(ovvero, seconda accoglienza) predisposti dagli enti locali e finanziati con il Fondo nazionale per le politiche
ed i servizi dell’asilo (ovvero, Fondo SPRAR) solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri
non accompagnati. Possono accedere a tali servizi anche i titolari dei permessi di soggiorno “speciali” per
motivi umanitari previsti dal Testo unico in materia di immigrazione, come ridisciplinati dal medesimo
decreto legge, a condizione che tali soggetti non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati.
Rispetto al quadro normativo previgente, restano invece esclusi dall’ambito di applicazione dei servizi
territoriali i richiedenti asilo (ossia gli stranieri che hanno presentato una domanda di protezione
internazionale sulla quale non è ancora stata adottata una decisione definitiva).
Ulteriori interventi di razionalizzazione sono previsti dalla legge di bilancio per l’anno 2019 (L. 145 del 2018)
che demanda al Ministero dell’interno di provvedere sia alla razionalizzazione della spesa per la gestione dei
centri per l’immigrazione (tenuto conto della contrazione del fenomeno migratorio), sia alla riduzione del
costo giornaliero di accoglienza dei migranti (art. 1, co. 767).
Fino alla riforma introdotta dal D.L. 113/2018, l'accoglienza vera e propria dei richiedenti di asilo si articolava
a sua volta in due fasi: la fase di prima accoglienza per il completamento delle operazioni di identificazione
del richiedente e per la presentazione della domanda di asilo, all'interno dei cosiddetti centri governativi di
prima accoglienza (art. 9) ed una fase di seconda accoglienza e di integrazione, assicurata, a livello territoriale,
nelle strutture del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), dove erano accolti coloro
che avevano già fatto richiesta del riconoscimento della protezione internazionale (e anche coloro ai quali
detto status era stato riconosciuto) e che non dispongono di mezzi sufficienti di sostentamento.
Sul fronte dell'attuazione, la Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza istituita alla Camera nel
corso della XVII legislatura ha evidenziato una non allineata corrispondenza tra il modello teorico stabilito dal
D.Lgs. n. 142 del 2015 e la realtà del sistema. L'indagine svolta ha fatto emergere, a 2 anni dall'approvazione
del decreto, l'eccessivo ricorso ai centri di accoglienza straordinaria (CAS) ed una ristretta adesione ai progetti
SPRAR da parte degli enti locali, nonostante gli interventi normativi ed amministrativi volti ad incentivare i
comuni in tal senso. Ciò che ha indotto la Commissione, anche in considerazione di ulteriori fattori di criticità,
a suggerire adeguati correttivi per garantire la realizzazione del modello di accoglienza tracciato dal D.Lgs. n.
142/2015 ( Doc. XXII-bis, n. 21).
Con le novità introdotte dal citato decreto legge 113 del 2018, la distinzione tra le due fasi è sostanzialmente
eliminata, in quanto la riforma riserva i servizi di accoglienza degli enti locali che aderiscono a quello che
veniva definito SPRAR ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati,
escludendo dalla possibilità di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale.
Una disposizione transitoria consente che i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria già presenti
nel Sistema di protezione (SPRAR) alla data di entrata in vigore del decreto-legge possono rimanere in
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accoglienza nel Sistema fino alla scadenza del progetto di accoglienza in corso, già finanziato. I minori non
accompagnati richiedenti asilo, al compimento della maggiore età, potranno rimanere nel Sistema fino alla
definizione della domanda di protezione internazionale. All'esito di tale intervento, i richiedenti protezione
internazionale, a meno che non ricorrano le condizioni che necessitino il trattenimento nei Centri di
permanenza per i rimpatri (CPR), possono accedere solo alle misure previste nell'ambito dei centri
governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di consentire l'identificazione dello straniero (ove
non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di
esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni
di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza.
Tale funzione è assicurata dai centri governativi di nuova istituzione, previsti dal decreto legislativo n.
142/2015 sulla base della programmazione dei tavoli di coordinamento nazionale e interregionali (art. 9) e,
in prima applicazione, dai centri di accoglienza già esistenti, come i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo
(CARA) e i Centri di accoglienza (CDA). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto,
sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
In caso di esaurimento dei posti nei centri governativi, a causa di massicci afflussi di richiedenti, questi
possono essere ospitati in strutture diverse dai centri governativi di accoglienza. La natura di queste strutture,
denominate CAS (centri di accoglienza straordinaria), è temporanea e l'individuazione viene effettuata dalle
Prefetture, sentito l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura.

In totale sono 40 gli articoli che formano il testo del D.L. 113 del 2018 (ovvero, Decreto Sicurezza e
Immigrazione). Di seguito verranno elencati i punti fondamentali del testo riguardanti il tema immigrazione:
       Richiesta di asilo politico: vengono aumentati quel tipo di reati che annullano la sospensione della
        richiesta di asilo politico, dopo una condanna in primo grado, portando all’espulsione immediata. I
        reati in questione sono violenza sessuale, spaccio, furto e lesioni aggravate a pubblico ufficiale.
       Abolizione protezione umanitaria: al momento la norma può garantire, in caso di situazioni di
        emergenza umanitaria, un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che ne fanno richiesta.
        Inizialmente si pensava a una abolizione e a una sostituzione con un permesso di soggiorno della
        durata di un anno per motivi civili o di calamità naturali nei paesi di origine. Alla fine invece si è optato
        per un “procedimento immediato innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della
        protezione internazionale“
       Trattenimento nei centri per il rimpatrio: raddoppiati i tempi da un massimo di 90 giorni a 180 giorni.
       Revoca della cittadinanza: se una persona viene ritenuta un possibile pericolo per lo Stato, potrebbe
        scattare la revoca della cittadinanza in caso di condanna in via definitiva per reati legati al terrorismo.
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        In più, una domanda di cittadinanza potrà essere rigettata anche se presentata da chi ha sposato un
        cittadino o cittadina italiana.
       Patrocinio gratuito: niente patrocinio gratuito per un migrante se il suo ricorso contro il diniego della
        protezione umanitaria viene dichiarato inammissibile.
       Fondi per i rimpatri: stanziati 500.000 euro per il 2018, 1,5 milioni per il 2019 e 500.000 euro per il
        2020.
       Gli SPRAR ora chiamati SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e
        per minori stranieri non accompagnati): i piccoli centri che ospitano i migranti, sotto l’egida dei
        Comuni, non potranno più accogliere i richiedenti asilo ma soltanto minori non accompagnati e chi
        ha già ricevuto la protezione internazionale.

Riferimenti legislativi regione Marche
Il Servizio regionale delle Politiche sociali è articolato sulla base del modello previsto dalla L. 328/00 e recepito
dalla Regione Marche con L.R. 32/2014. La Regione ha funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento
e controllo in materia di servizi sociali intendendo per essi “gli interventi e le prestazioni coordinati nei diversi
settori della vita sociale, aventi come scopo la promozione del benessere della persona con riferimento alla
conservazione e allo sviluppo delle capacità di ciascuno a svolgere una vita di relazione in un ambiente idoneo
e sicuro. Sono esclusi gli interventi e le prestazioni assicurati dal sistema previdenziale e da quello sanitario
nonché quelli assicurati in sede di amministrazione della giustizia” (art. 2 L.R. 32/2014) ; Il sistema è articolato
in 23 Ambiti Territoriali Sociali (ATS) che aggregano più Comuni attraverso modalità istituzionali diversificate
(aziende, unione dei comuni, Unioni Montane, accordi di programma, convenzioni con istituzione di uffici
comuni etc.) ai quali viene affidata la funzione di programmazione in materia di politiche sociali e costituisce
il luogo della gestione associata dei servizi sociali. Gli ATS sono governati dai Comitati dei Sindaci composti
dai Sindaci dei Comuni aderenti all’ATS. La Regione determina le linee di programmazione sociale attraverso
lo strumento del Piano Sociale Regionale il quale, tra le altre cose, prevede anche le modalità di raccordo tra
la programmazione sociale specifica di ATS e la programmazione delle altre politiche di welfare.
Con riguardo alle politiche di inclusione sociale per i cittadini stranieri immigrati la legge regionale del 26
maggio 2009, n 13 prevede “Disposizioni a sostegno dei diritti e dell’integrazione dei cittadini stranieri
immigrati”, nel rispetto della normativa statale e comunitaria, promuove iniziative volte a garantire agli
immigrati e alle loro famiglie, condizioni di uguaglianza con i cittadini italiani nel godimento dei diritti civili
nonché a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che ne impediscono il pieno
inserimento nel territorio marchigiano. Inoltre, ispira la propria azione alla garanzia delle pari opportunità di
accesso ai servizi e alla valorizzazione della consapevolezza dei diritti e dei doveri connessi alla condizione di
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cittadino straniero immigrato. In particolare, le politiche regionali promuovono interventi sociali per
garantire l’istruzione, la formazione, il lavoro, la salute, l’accesso all’abitazione, la tutela culturale,
l’accoglienza, l’accesso ai servizi, l’informazione e la partecipazione, la tutela dell’associazionismo, secondo i
principi sanciti dalla Dichiarazione fondamentale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione di Ginevra sullo
status di rifugiato, dalla Convenzione internazionale di New York sui diritti del fanciullo, dalla Convenzione
internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e loro famiglie, dal Quadro comune per
l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi (2005), dal Programma “Europa 2020” per la crescita e l’occupazione.
In attuazione di tale legge la Giunta regionale stabilisce annualmente, attraverso un Programma, gli obiettivi
e i criteri di riparto dei fondi disponibili, da destinare a interventi e servizi sociali per il target specifico di
cittadini stranieri provenienti dai Paesi terzi, attivati dagli Enti Locali. Tali interventi, nel corso degli ultimi
anni, sono diventati residuali, indirizzandosi soprattutto verso i target vulnerabili, o verso i nuovi ingressi. In
particolare, i destinatari degli interventi previsti sono, oltre ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, anche gli apolidi, i richiedenti asilo, i rifugiati e le loro famiglie che risiedono o dimorano
regolarmente nel territorio regionale, i soggetti che hanno usufruito del ricongiungimento familiare ai sensi
del D.Lgs n 286/1998, nonché i minori stranieri non accompagnati, i giovani immigrati di seconda generazione
e le vittime della tratta e della riduzione in schiavitù.
Gli elementi più qualificanti contenuti nella normativa regionale attualmente in vigore sono i seguenti:
        1.    una rivisitazione della composizione della Consulta regionale degli immigrati (art. 3),
        valorizzando in particolare le rappresentanze degli immigrati, per rendere il suo funzionamento più
        snello e, quindi, maggiormente operativo;
        2.    tra i compiti della Consulta (art. 5) viene prevista la collaborazione con l’Osservatorio regionale
        per le politiche sociali, di cui all’art. 7, al fine di monitorare costantemente il fenomeno migratorio
        nella Regione con l’obiettivo di utilizzare i dati a supporto della programmazione regionale;
        3.    la valorizzazione della figura del mediatore interculturale (art. 15), oggi ampiamente utilizzata,
        prevedendo il sostegno alla realizzazione di appositi corsi di formazione ed aggiornamento rivolti agli
        operatori degli enti pubblici e delle associazioni operanti nel campo dell’immigrazione.
Con la promulgazione della L.R. 1 dicembre 2014, n 32 “Sistema integrato dei servizi sociali e tutela della
persona e della famiglia”, gli interventi e i servizi per l’inclusione sociale e culturale dei cittadini stranieri sono
confluiti nel complesso dei servizi di welfare ad accesso universalistico.

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     1.4 REALTA’ ATTIVE INTERNAZIONALI, NAZIONALI E REGIONALI

In Italia il sistema di accoglienza si svolge essenzialmente su due livelli: prima accoglienza, che comprende gli
hotspot e i centri di prima accoglienza, e seconda accoglienza, che comprende il SIPROIMI (Sistema di
protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) – che con il
decreto Salvini ha sostituito lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) – e i CAS (Centri
di Accoglienza Straordinaria) ibrido tra prima e seconda accoglienza. Per poter accedere presso tali centri, i
migranti devono far domanda di Asilo Politico, in caso contrario, è previsto il trasferimento presso i Centri di
Identificazione ed Espulsione (CIE) recentemente sostituiti dai centri di Permanenza e Rimpatrio (CPR), dove
i migranti possono rimanere fino ad un massimo di 180 giorni. Il SIPROIMI, con il nuovo decreto Salvini, si
rivolge solo a coloro che hanno già ottenuto una risposta positiva alla domanda di asilo (status di rifugiato o
protezione sussidiaria) e ai minori stranieri non accompagnati, mentre prima potevano accedervi anche i
richiedenti asilo e i tiolari di Protezione Umanitaria.
Il grafico che segue intende rendere più chiari questi passaggi.

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Gruppo di lavoro di Etnopsicologia

                          RICHIESTA ASILO

          SI                                                      NO

                                                                   Centro di
    Centri di prima                                              Permanenza e
     Accoglienza                                                   Rimpatrio

       Centro di
      Accoglienza                                                      QUESTURA
     Straordinaria
                                                                    COMMISSIONI
                                                                    TERRITORIALI
                                                                     TRIBUNALE

 Sistema di Protezione
      per titolari di
       protezione                                                   ACCOGLIENZA
internazionale e minori                                             APPROVATA O
      stranieri non                                                   RESPINTA
     accompagnati
                                                                                   21
Gruppo di lavoro di Etnopsicologia

Gli enti locali che intendono aderire al SIPROIMI possono fare domanda per accedere ai fondi ministeriali in
qualsiasi momento, rispondendo ad un avviso pubblico sempre aperto.
Il Ministero dell’Interno vaglia le domande e in caso affermativo, l’ente locale riceve un finanziamento
triennale al fine di attivare un progetto SIPROIMI sul proprio territorio.
Ricevute le risorse, l’ente locale pubblica una gara d’appalto per l’assegnazione di tali risorse ad un ente
gestore che può essere rappresentato da una cooperativa o da un’associazione (purché ente non profit).
Ogni progetto dovrà contemplare “l’accoglienza integrata”, ossia la costituzione di una rete locale per
permettere e promuovere le attività di inclusione sociale, scolastica, lavorativa e culturale del migrante.
I Comuni che aderiscono allo SIPROIMI non sono molti, per tale motivo e per ovviare alle situazioni di
emergenza che si presentano, sono stati introdotti i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), concepiti come
strutture temporanee da aprire quando non sia possibile l’accoglienza tramite il sistema ordinario. Gli enti
gestori dei CAS possono essere sia profit che non profit e vengono stabiliti dalle prefetture dopo apposite
gare d’appalto.
Particolare tutela viene messa in atto per le situazione che vedono i minori non accompagnati (MSNA).
“Per Minore Straniero non accompagnato si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri
Stati dell’Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel
territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte di genitori o di altri adulti per lui
legalmente responsabili…” (DPCM 535/99 art. 1).
            In questi casi, l’iter prevede alcuni importanti punti.
                  Ogni minore straniero non accompagnato deve essere segnalato:
                       alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni;
                       al Giudice Tutelare, per l’apertura della tutela;
                       al Comitato per i minori stranieri, nel caso in cui il minore non abbia presentato
                          domanda di asilo.
Secondo quanto riportato sul sito di Save the Children, ai minori stranieri non accompagnati si applicano le
norme previste in generale dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori.
Si applicano, tra le altre, le norme riguardanti:
- il collocamento in luogo sicuro del minore che si trovi in stato di abbandono; la competenza in materia di
assistenza dei minori stranieri è attribuita, come per i minori italiani, all’Ente Locale (in genere il Comune);
- l’affidamento del minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo a una famiglia o a una
comunità; l’affidamento può essere disposto dal Tribunale per i minorenni (affidamento giudiziale) oppure,
nel caso in cui ci sia il consenso dei genitori o del tutore, può essere disposto dai servizi sociali e reso esecutivo
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