RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - giovedì 23 aprile 2020

Pagina creata da Claudia Graziani
 
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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 23 aprile 2020
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)
Sicurezza in fabbrica: patto aziende-sindacati per attuare le verifiche (M. Veneto e Piccolo, 3 articoli)
Mensa di Fincantieri a Monfalcone aperta all'indotto, gli spogliatoi no (Piccolo, 2 articoli)
Le lavatrici prodotte sono state 1.764 in 6 ore (M. Veneto, 2 articoli)
Turni di giorno: così la Siap ha ripreso con 70 dei 420 addetti (M. Veneto)
Dipiazza scrive al premier: ripartire prima del 4 maggio (Piccolo)
Bini al Governo: chi esporta deve poter ripartire lunedì (M. Veneto)
A Trieste contagiato un ospite su tre sui 904 esaminati nelle case di riposo (Piccolo, 3 articoli)
Case di riposo: dolore e inchieste, la strage silenziosa (M. Veneto, 3 articoli)
Sono 150 i sanitari infetti e 1.300 quelli "vigilati" negli ospedali di Trieste (Piccolo Trieste)
Test in Casa di riposo e Centro disabili. Otto positivi fra Monfalcone e Medea (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 14)
Casa di riposo Sant'Anna, nessun positivo tra i 91 degenti (M. Veneto Udine)
Fase 2 dei buoni spesa: arrivano via mail (M. Veneto Udine)
I precari della scuola: «Assumeteci in ruolo» (M. Veneto Pordenone)
Polimeni presto in procura: «Sereni e pronti a collaborare» (M. Veneto Pordenone)
La quarantena blocca le aste dei beni Coop. Slitta ancora il saldo dei rimborsi ai soci (Piccolo Trieste)

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ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA

Sicurezza in fabbrica: patto aziende-sindacati per attuare le verifiche (M. Veneto)
Maurizio Cescon - Una sintonia rara da cogliere tra parti datoriali e rappresentanti dei lavoratori. Ma ieri, in
occasione della presentazione del protocollo per la sicurezza nelle aziende ai tempi del coronavirus, firmato
da Confindustria Alto Adriatico e Cgil, Cisl e Uil, le parole di reciproca stima e plauso per l'intesa si sono
sprecate. «Non si tratta di un accordo, primo in Italia, focalizzato solo sulla fase dell'emergenza per la
pandemia - ha detto il presidente di Confindustria Alto Adriatco Michelangelo Agrusti - , sarà uno dei
pilastri delle nuove relazioni industriali che vogliamo realizzare su scala regionale. Siamo soddisfatti, con i
sindacati c'è stata una condivisione su ogni aspetto, mai decisioni unilaterali». Parole al miele anche da
parte dei sindacati. «Mi complimento per l'ottimo accordo sottoscritto con una Confindustria illuminata che
ha compreso l'eccezionalità del momento», ha dichiarato il leader regionale della Cgil Villiam Pezzetta. «È
stato dimostrato coraggio e senso di responsabilità: qui nessuno si è messo a raccogliere firme per Draghi o
per qualcun altro (chiaro il riferimento alla petizione di qualche giorno fa di Confindustria Udine, ndr), ci si è
seduti attorno a un tavolo per scrivere un'intesa innovativa», ha rilanciato Alberto Monticco, numero uno
della Cisl regionale. «Complimenti e auguri, Pordenone diventa laboratorio in termini di relazioni industriali
che potranno essere prese ad esempio in molte altre realtà», ha chiosato Giacinto Menis, segretario Uil del
Friuli Venezia Giulia.I dettagli del pattoMa in cosa consiste esattamente questo patto che, in un primo
momento, verrà applicato alle 900 realtà industriali che occupano 35 mila addetti del Pordenonese e
successivamente esteso anche a quelle di Trieste e Gorizia? Ci sono due capisaldi che caratterizzeranno la
cosiddetta Fase 2, quella della ripresa delle attività durante la quale andranno create in fabbrica nuove
modalità di organizzazione del lavoro coerenti con le prescrizioni sanitarie in via di adozione. Viene creato
l'Organismo paritetico territoriale (Opt), ente bilaterale composto da rappresentanti datoriali e sindacali
con l'ausilio di medici consulenti esterni esperti in prevenzione ed epidemiologia dell'Ass 5 Pordenonese
che costituirà un'organizzazione strutturata per l'informazione alle imprese, ai responsabili del servizio
prevenzione e protezione sul lavoro, ai medici competenti e ai lavoratori in merito ai progressi medico-
scientifici delle terapie anti Covid-19, all'evoluzione dei protocolli tecnici e precauzionali da adottare nei
luoghi di lavoro. Inoltre viene creata la figura del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a livello
territoriale (Rlst), di particolare importanza soprattutto per le Pmi a minor dimensione, che costituiscono
l'ossatura del tessuto industriale friulano e giuliano. Il compito di questa figura sarà quello di far applicare e
verificare le regole, nazionali e territoriali per la sicurezza sul lavoro post Covid-19. Gli Rlst, anche in questo
caso, saranno composti sia da delegati di Confindustria che da rappresentanti dei sindacati, ce ne saranno
6, per ora, che avranno competenza su una determinata fascia di territorio. Nelle grandi realtà, che
dispongono di Rsu interne, saranno le stesse Rsu a vigilare sulla correttezza dell'applicazione del
protocollo.Chi ha sottoscritto l'intesaHanno firmato per Confindustria Alto Adriatico il presidente
Michelangelo Agrusti e il direttore operativo Giuseppe Del Col, per la Cgil Flavio Vallan, per la Cisl Cristiano
Pizzo e per la Uil Roberto Zaami, dopo la positiva verifica sull'applicazione del protocollo di regolazione
delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro, che
Governo e parti sociali avevano siglato a Roma il 14 marzo, a tutt'oggi la cornice di regole condivise per la
gestione dell'organizzazione del lavoro e dei comportamenti individuali all'interno degli
stabilimenti.L'indagine statisticaLa rilevazione effettuata da Confindustria Alto Adriatico a inizio aprile su
circa 300 industrie per un totale di circa 15 mila lavoratori in merito all'applicazione nel territorio
Pordenonese dell'accordo ha evidenziato come il 100% delle imprese sondate avesse adottato il protocollo
nazionale e dato attuazione alle misure precauzionali in esso previste. In nessuna delle imprese sondate
sono stati rilevati, a tale data, casi di contagio originatisi in azienda.Il plauso del PdNon sono mancate le
prese di posizione politiche sull'intesa, come quella del segretario regionale del Pd Cristiano Shaurli. «Un
ottimo esempio - ha spiegato - che riguarda un'area rilevante della regione: un atto concreto che apre la
strada alla ripresa delle attività in sicurezza, come auspicato da tutti. È la dimostrazione che il lavoro fatto
con serietà e senza chiasso vale più di tante chiacchiere e propaganda». Per il responsabile Economia dei
dem, Renzo Liva, «è una buona notizia e una premessa indispensabile per riaprire le attività con percorsi
sicuri e partecipati, spero che il metodo del confronto e del lavoro comune fra imprenditori e sindacati
insegni qualcosa anche alla giunta Fedriga».

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Vida: firmeremo le intese a giorni, se non a ore
Maurizio Cescon - «Gli accordi con i sindacati per la sicurezza sul lavoro nell'emergenza coronavirus?
Stiamo definendo i protocolli, li firmeremo a giorni, se non a ore». Il vice presidente di Confindustria Udine
Cristian Vida, imprenditore nel settore alimentare, assicura che i rapporti con Cgil, Cisl e Uil sono ottimi e
che i risultati si vedranno quanto prima.Dottor Vida c'è attesa per le direttive che riguarderanno le realtà
industriali della provincia di Udine, fatta da migliaia di imprese e decine di migliaia di dipendenti.«Siamo in
dirittura d'arrivo con i nuovi protocolli. Ma non vorrei che si dimenticasse che Confindustria Udine è stata la
prima in assoluto, il 6 marzo scorso, a siglare un patto. Molti giorni prima del lockdown generale, che è del
23 marzo. Avevamo già capito che l'emergenza era molto seria. E queste regole sono state rispettate, se
non rafforzate, nelle aziende che poi hanno ripreso la produzione. A giorni firmeremo i protocolli per la fase
2 con le sigle sindacali»...
Via al patto per le fabbriche sicure. Agrusti: così possiamo ripartire (Piccolo)
Piercarlo Fiumanò - «Mai cercato decisioni unilaterali. Nella gravità di questa emergenza era fin troppo
chiara la necessità di un accordo», dice Michelangelo Agrusti, numero uno di Confidustria Alto Adriatico. La
pandemia è riuscita nel miracolo. Sindacati e industriali ormai parlano con una voce sola. A Trieste, Gorizia
e in generale nella Venezia Giulia si applicherà il patto per la fabbrica contro la pandemia. L'accordo
celebrato ieri a Pordenone sancisce una doppia missione: garantire il passaggio alla fase 2 della ripresa
produttiva in sicurezza e accendere i motori della ripartenza economica dopo i mesi della paralisi e della
stagnazione da coronavirus. E se un marchio storico come Gucci ha chiamato il virologo Roberto Burioni a
ridisegnare gli spazi del rientro in fabbrica, Confindustria Alto Adriatico firma con i rappresentanti di Cgil,
Cisl e Uil questa intesa per monitorare l'applicazione delle regole di sicurezza nelle aziende al tempo del
Covid-19. Regole imposte sia a livello nazionale che in Friuli Venezia Giulia non solo nelle grandi fabbriche
(Fincantieri ed Electrolux hanno già riaperto i cancelli) ma in tutto il sistema delle piccole e medie imprese e
dei subappalti. Anche in regione entra così nel vivo la fase 2 dell'emergenza Coronavirus con la ripartenza di
alcune attività produttive dal 4 maggio. Determinante ovviamente sarà il rispetto dei protocolli di sicurezza
messi a punto dalle autorità sanitarie e dal governo (dal termoscanner alla sanificazione degli ambienti, alla
dotazione dei dispositivi di sicurezza a partire da guanti e mascherine). Ma anche da quelli che devono
assicurare le Regioni e in questo senso il Fvg con una task force è al lavoro in queste ore per chiarire i
contenuti del protocollo. A Trieste, informa Confindustria Alto Adriatico, attualmente ha ripreso l'attività
l'85% delle aziende associate anche se a regime ridotto frenato dalla paralisi della logistica e delle catene di
fornitura. Dal 4 maggio dovrebbero ripartire via via anche le imprese edili e manifatturiere.

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Mensa di Fincantieri a Monfalcone aperta all'indotto, gli spogliatoi no (Piccolo)
Giulio Garau - Passi avanti su mensa e trasporti sul fronte del cantiere. Con una turnazione anche i
lavoratori delle ditte esterne potranno mangiare in mensa (ticket di 6 euro, ci sarà pure un'area nei
refettori per chi si porta cibo da casa) e ci saranno autobus navetta per gli operai. Fincantieri procede nel
suo programma di ritorno alla normalità produttiva con il rientro graduale anche dell'indotto. C'è il via
libera dal nuovo vertice che si è svolto ieri in cantiere coordinato dal prefetto. Una riunione molto tesa
dove è emerso che alcuni nodi sul tavolo per il momento non possono essere ancora risolti. Resta infatti il
problema delle tute blu dell'indotto, almeno 3 mila persone su 7 mila, che non hanno gli spogliatoi. Non
possono cambiarsi in cantiere, potranno arrivare solo a piedi, in bici (anche se il piazzale per le due ruote
ora è una gimcana di transenne) o in auto. Sui bus è vietato salire con la tuta di lavoro, ma la nuova
ordinanza non c'entra c'è una vecchia regola dell'Apt. Per questo bisognerà aspettare settembre quando
partiranno i lavori per realizzare 2700 nuovi posti. Il sindaco Anna Cisint ha "strappato" delle date precise al
direttore del cantiere, Roberto Olivari: «È ufficiale, ho ottenuto la documentazione con un crono-
programma- spiega Cisint - il 4 settembre mi è stato assicurato che si chiude la gara, i lavori inizieranno il 7,
e divisi in quattro lotti si concluderanno in 340 giorni». E nel frattempo come si gestirà la questione, alla
luce anche dell'ordinanza che vieta a chi è in tuta di utilizzare mezzi pubblici, entrare in negozi o uffici? «È
un problema che ho ben presente - aggiunge il sindaco - per questo ho espresso tutte le mie perplessità a
Fincantieri. Scriverò anche una nuova lettera al prefetto per dire che nell'attesa della realizzazione dei
nuovi spogliatoi resta questo nodo». Un tema rovente a dir poco quello delle tute blu e il sindaco non
ammette critiche o attacchi: «Che nessuno osi dire che io sono contro le tute blu o il terlis - attacca -
proprio io che sono di Panzano e che ho perso mio padre, cantierino a causa della polvere dell'amianto
sulla tuta che portava a casa. La tuta blu nella storia dei cantieri è semprestata un simbolo del valore del
lavoro di tecnici e maestranze. Non ho mai pensato di fare nulla contro gli operai, quell'ordinanza è per la
tutela della loro salute e di quella dei cittadini all'esterno. Non sono loro che voglio mettere alle strette ma
Fincantieri. E il risultato ottenuto oggi (ieri ndr) è un grande risultato finalmente con risposte sugli
spogliatoi». Cisint sulla stessa linea dei sindacati, insiste: «I lavoratori devono essere messi nelle condizioni
di lavarsi e cambiarsi in cantiere». Una posizione ribadita ieri dal sindaco ma anche dai sindacati durante
una riunione molto complessa, divisa in varie stanze, spesso con difficoltà nell'audio (erano tutti in
teleconferenza), ma soprattutto con momenti di tensione. A tentare di trovare una via d'uscita condivisa il
prefetto, Massimo Marchesiello che ha dovuto giostrarsi con da una parte la Fincantieri che aveva una
nutrita squadra capeggiata dal direttore del cantiere Olivari. Dall'altra il sindaco Anna Cisint che su certi
temi non intende mollare un centimetro. Poi il sindacato con Cgil, Cisl, Uil e le Rsu con le Rls. E ancora
l'azienda sanitaria, la Regione con l'assessore Graziano Pizzimenti e l'Apt con la presidente Caterina Belletti.
Da lunedì 27 entreranno almeno mille persone, ci sono già 120 esterni e dal 4 maggio iniziano ad arrivare le
ditte dell'indotto e la macchina organizzativa di sicurezza dovrà funzionare al meglio per evitare i contagi.
«Fincantieri ha confermato che realizzerà 2.700 spogliatoi, ma fino al 2021 non cambierà nulla - commenta
il segretario della Cgil di Gorizia Thomas Casotto - gli operai in tuta potranno arrivare solo a piedi, in bici o
con l'auto e non potranno cambiarsi. E c'è l'ordinanza che contrasta e dà poca manovra. Un corto circuito
dannoso. Fincantieri ha fatto molti passi avanti indubbiamente, ma non basta. C'è il rischio dell'aumento
dei contagi, noi abbiamo fatto precise domande. Ci hanno detto che risponderanno alle Rsu. Vogliamo
fidarci. Ma se ci saranno dubbi e se mancheranno le informative noi siamo pronti a fermare il cantiere».
«Lo scambio di informazioni è un punto centrale per controllare che tutto il sistema di sicurezza funzioni -
aggiunge il segretario della Uil, Claudio Cinti - se c'è qualcosa che non va interverremo. Saremo vigili.
Positivo il fatto che alcune questioni da noi sollevate sono state accolte da Fincantieri, la mensa, i trasporti.
Resta il nodo spogliatoi, c'è un impegno a realizzarli». Anche Gioacchino Salvatore della Cisl conferma
«Vigileremo. Le aziende ora devono aprire ma in condizioni di massima sicurezza. Il problema non riguarda
il personale Fincantieri, ma le maestranze dell'appalto. Non possiamo rischiare di fermare tutto per nuovi
contagi. Bisogna pensare a una nuova figura, un rappresentante della sicurezza dei lavoratori che vigili e
abbia voce in capitolo anche sugli operai dell'indotto».

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Fiom e Fim contro l'ordinanza: «Si criminalizzano le tute blu»
«Un'ordinanza inapplicabile, si tratta solo dell'ennesimo grave atto di criminalizzazione di tutti i lavoratori
e, indirettamente, dello stabilimento Fincantieri». La Fiom di Monfalcone e le Rsu Fim-Cisl contestano
l'ordinanza anti-tute blu emessa dal sindaco Anna Cisint. La Fiom in particolare la definisce non
applicabile.«Non a tutti i lavoratori del territorio è consentito di lavarsi e cambiarsi d'abito nei luoghi di
lavoro -insidte la Fiom - da sempre il sindacato unitariamente si è battuto per conquistare il diritto agli
spogliatoi ed alle mense, ma ad oggi ancora non tutti i luoghi di lavoro ne sono provvisti». Non è applicabile
dunque una ordinanza a coloro che non hanno di fatto possibilità di ottemperarla, aldilà di questioni e
cavilli giuridci, che pur intendiamo approfondire e dare massimo supporto ai lavoratori coinvolti. «C'è un
problema sostanziale - aggiunge la Fiom - vale per l'indotto di Fincantieri e di altre grandi aziende del
territorio che ricorrono in maniera massiccia all'appalto, laddove i lavoratori dell'appalto non hanno
strutture nelle quali potersi lavare, cambiare , consumare il pasto». La Fiom Cgil di Gorizia ritiene «doveroso
ed improcastinabile garantire a tutte le lavoratrici ed i lavoratori il diritto a mense e spogliatoi, altrimenti
strumenti come questa ordinanza rischiano di colpire i più deboli, di non a tutelare adeguatamente il
territorio ,dall'emergenza Covid 19, come si propone di fare, ed infine intaserà i tribunali di ricorsi dei
lavoratori colpiti da tali provvedimenti». Secondo il sindacato una fase delicata come questa «deve essere
governata dal buon senso e deve garantire effettivamente territorio, cittadini e lavoratori, in un equilibrio
non sempre facile, ma che riteniamo doveroso e possibile»...

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Le lavatrici prodotte sono state 1.764 in 6 ore (M. Veneto)
Giulia Sacchi - Rispettosi delle regole e al contempo felici di rientrare in fabbrica e ritrovare anche parte dei
colleghi dopo un mese di stop per l'emergenza coronavirus: ieri sono tornati operativi 450 dei 900
dipendenti dello stabilimento Electrolux di Porcia, tra operai e addetti ai laboratori e uffici collegati alla
produzione. Un unico turno, il B, ha lavorato dalle 5.30 alle 11.30. Le lavatrici prodotte sono state 1.764:
quattro linee attive, di cui tre hanno lavorato a pieno regime. Mascherine indossate, misurazione della
temperatura prima di entrare in fabbrica, gel igienizzante per mani e distanza di un metro e mezzo tra gli
addetti: queste sono alcune delle misure di sicurezza previste.Ma niente di totalmente nuovo per i
dipendenti della multinazionale svedese, che già il mese scorso aveva adottato diversi accorgimenti per
fronteggiare l'emergenza: l'Electrolux di Porcia, insomma, è stata antesignana, mettendo in campo azioni
finalizzate alla sicurezza dei lavoratori e delle loro famiglie ben prima che si parlasse di pandemia. Unica
vera novità per i dipendenti che ieri sono tornati in fabbrica è la segnaletica orizzontale realizzata
dall'azienda nel mese di fermo per consentire il rispetto delle distanze anche nelle aree destinate per
esempio alle pause. Sì quindi al distanziamento sociale, come imposto dalla normativa, ma cercando
comunque di non azzerare la possibilità per gli addetti di scambiarsi un saluto mentre si sorseggia un caffè:
un nuovo modello di socialità, insomma, si sta delineando pure in fabbrica. «Per noi dell'Electrolux di Porcia
non è cambiato molto rispetto a un mese fa: l'azienda aveva già adottato, sulla base anche delle
preoccupazioni dei sindacati, diverse misure per fronteggiare l'emergenza sanitaria e tutelare i lavoratori -
spiega la Rsu Fim, Elisabeth Fanella -. Eravamo per esempio già abituati all'utilizzo delle mascherine: l'unica
novità è la segnaletica a terra per il rispetto della distanza di un metro e mezzo. Le aree in cui sono
installate le macchinette sono state "ridisegnate", con spostamenti di divanetti e altri arredi, per consentire
il cosiddetto distanziamento sociale. La socialità, comunque, seppure diversa rispetto a prima, è garantita:
resta la possibilità, con le dovute cautele, di scambiare qualche parola mentre si mangia qualcosa o si beve
un caffè. I lavoratori sono felici di essere rientrati: sono soddisfatta e fiera della diligenza dimostrata nel
seguire alla lettera le regole».Una posizione condivisa anche dalle Rsu Massimo Tomè (Uilm) e Walter
Zoccolan (Fiom). «Siamo ripartiti in sostanza da dove eravamo rimasti: lo stabilimento di Porcia era già
avanti sul fronte delle misure di sicurezza - dichiarano -. Nelle settimane di chiusura, l'azienda ha
perfezionato le azioni messe in campo prima del blocco, puntando per esempio sul miglioramento delle
regole di comportamento che i dipendenti devono tenere anche nelle aree relax e negli spogliatoi. Sono
state delimitate pure le postazioni». Sino a domani opererà solamente il turno B, da lunedì a giovedì della
prossima settimana invece l'A, con circa 300 operai. Resta da definire come si opererà a maggio. «Queste
prime settimane sono di rodaggio: è stato previsto un ritorno soft - commenta Zoccolan -. Da maggio
dovremmo riprendere col doppio turno: dobbiamo comunque ancora confrontarci sulla questione con
l'azienda. Rispetto ai volumi il quadro allo stato attuale non sembra così nero come prospettato, con
l'ipotesi di un calo del 40 per cento. Non possiamo pensare di realizzare il budget preventivato a inizio
anno, ma sembra che la situazione possa essere meno drammatica».A Porcia, da inizio mese è operativo il
reparto di ricerca e sviluppo: l'azienda aveva cambiato il codice Ateco (consente di capire quali imprese
possono proseguire con l'attività e quali necessitino dello stop) del settore, svincolandolo dalla produzione
e dalle norme governative che regolavano quest'ultima in relazione all'emergenza.
«Accordo pilota frutto d'un cambio culturale»
«L'accordo per gestire l'emergenza sottoscritto da sindacati ed Electrolux Italia è un modello: si deve
puntare a esportarlo in altre realtà». Ne sono convinti i sindacalisti Gianni Piccinin (Fim), Maurizio Marcon
(Fiom) e Roberto Zaami (Uilm), che già al momento della sigla dello scorso venerdì hanno messo in
evidenza il fatto che si tratta di un'intesa pilota, che è bene replicare anche altrove. Secondo le forze sociali,
Electrolux ha compreso la necessità del cambio culturale imposto dalla situazione...

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Turni di giorno: così la Siap ha ripreso con 70 dei 420 addetti (M. Veneto)
Giulia Sacchi - In pochi giorni la Siap di Maniago ha raddoppiato il personale presente nello stabilimento,
sempre con massima attenzione alle misure di sicurezza: ieri nella fabbrica del Gruppo Carraro ha operato
una settantina dei 420 dipendenti. Un turno attivo, quello a giornata. Operativi anche i nove addetti del
trattamento termico, che lavorano suddivisi in tre turni: per questa parte di produzione è previsto il ciclo
continuo. Da lunedì si punta ad aumentare l'organico: una novantina di maestranze, organizzate su due
turni, mattutino e pomeridiano. Anche gli impiegati stanno tornando pian piano attivi nel sito: si continua
con smart working e graduali reinserimenti, a rotazione, in ufficio. Importante la ripresa, e non soltanto per
Siap, per evitare di perdere clienti, che per le commesse potrebbero rivolgersi ai competitor esteri che non
hanno chiuso.Se le imprese non riavviano l'attività, le ricadute sociali sono pesanti: un tema al centro del
dibattito. La ripartenza, tra l'altro, è fondamentale pure per l'indotto. Siap ha messo in evidenza
disponibilità e flessibilità dei dipendenti, che hanno risposto prontamente alla richiesta dei vertici aziendali
di rientrare in fabbrica. L'impresa maniaghese ha nuovamente sottolineato il rapporto di proficua
collaborazione con le forze sociali nella gestione di questa fase di emergenza.Un aspetto sul quale si sono
soffermati pure i sindacalisti Gianni Piccinin (Fim) e Roberto Zaami (Uilm), i quali hanno auspicato che
confronto e condivisione possano proseguire anche in futuro. Ci sono questioni ancora da risolvere come
quella relativa alla gestione della mensa, oggetto di discussione tra le parti. Intanto ieri l'assemblea degli
azionisti del Gruppo Carraro, leader mondiale nei sistemi di trasmissione per veicoli off-highway e trattori
specializzati, ha approvato il bilancio d'esercizio 2019: il fatturato consolidato è di 548,8 milioni di
euro.«L'esercizio che lasciamo alle spalle evidenzia la validità delle scelte intraprese per l'ottimizzazione
della nostra struttura al fine di mantenere adeguati livelli di redditività in ogni condizione di mercato -
commenta Enrico Carraro, presidente del Gruppo -. Pur a fronte di un calo dei volumi, l'esercizio 2019
registra un buon risultato in termini di marginalità e profitto netto». «In relazione alla contingenza legata al
Covid-19, a livello globale alcune delle nostre produzioni sono ancora ferme, così come quelle di molti
nostri partner, ma stiamo lavorando, spesso di concerto con clienti e fornitori, per ripartire quanto prima e
in massima sicurezza - ha aggiunto -. Il 2020 si stava configurando per il Gruppo come un anno ottimo, con
alcuni mercati in forte crescita e l'introduzione di numerosi nuovi prodotti: ora lo scenario è cambiato. A
fronte del pesante impatto che il Covid-19 avrà su economia globale e nostre attività, siamo consapevoli di
operare in settori strategici tra cui agricoltura e infrastrutture. Un fattore molto positivo che, scontata
un'importante riduzione di fatturato nel primo periodo, ci lascia presagire una ripresa già dalla seconda
parte dell'anno».

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Dipiazza scrive al premier: ripartire prima del 4 maggio (Piccolo)
Andrea Pierini - Il governatore Massimiliano Fedriga, pur ricordando come la decisione spetti a Roma, si è
già espresso per una riapertura delle attività prima del 4 maggio. Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza
scrive al premier Giuseppe Conte con lo stesso obiettivo. I sindacati reclamano però sicurezza.In una lettera
a Palazzo Chigi, Dipiazza sottolinea che «Trieste e il Friuli Venezia Giulia», realtà «virtuosa» nel
contenimento del Covid-19, «sono già pronte per riprendere in modo graduale la fase di riapertura». Le
basi ci sono, Dipiazza le elenca: i protocolli approvati tra sindacati e parti datoriali; i dati del contagio; il
senso di responsabilità mostrato dalla popolazione. A preoccupare il primo cittadino è poi la possibile
ripartenza dei Paesi vicini, ai cui effetti quest'area di confine è esposta: «Il primo obiettivo da salvaguardare
resta sicuramente la salute, ma è anche vero che senza economia non c'è nemmeno la salute». A
preoccupare il primo cittadino è poi la possibile ripartenza dei Paesi vicini, ai cui effetti quest'area di
confine è esposta: «Il primo obiettivo da salvaguardare resta sicuramente la salute, ma è anche vero che
senza economia non c'è nemmeno la salute».Fedriga intanto, in un'intervista su Rai News 24, ricorda che
«stiamo collaborando con un gruppo di lavoro delle varie direzioni regionali per dare le linee guida anche in
vista del 4 maggio, al fine di avere le migliori misure da prendere per garantire la sicurezza dei lavoratori.
Sono comunque convinto che le aziende siano pronte», aggiunge: «In Fvg ci sono alcune aree in cui il 60%
delle imprese è già aperto grazie ai codici Ateco e ai permessi dati dalle diverse Prefetture». Certo «è chiaro
serve un sistema che si muove, il problema non sta solo in ciò che avviene sul posto di lavoro ma anche
nella mobilità, dalla casa al posto di lavoro»: di qui l'esigenza d'un sistema «per evitare che si possano
creare situazioni pericolose dal punto di vista sanitario».Dai sindacati arriva la richiesta di responsabilità
verso la salute dei lavoratori. «A Trieste, prima di ripartire - scrive Michele Piga, segretario provinciale Cgil -
l'Azienda sanitaria e il vicepresidente regionale Riccardo Riccardi devono dichiarare chiusa l'emergenza
sanitaria, vista la condizione di stress del sistema con mille operatori in sorveglianza e oltre cento
contagiati. A questo si aggiunge la situazione critica nelle case di riposo. Per ripartire - dice Piga - serve che
siano garantite la salute e sicurezza degli operatori, dei pazienti in ospedale e nelle strutture per anziani, e
la ripresa delle attività nei distretti, oltre a un adeguato servizio di vigilanza nei luoghi di lavoro».Luciano
Bordin, segretario provinciale Cisl, evidenzia come «le scelte sono legate a quelle nazionali. I protocolli si
stanno firmando, serve però una riflessione sul trasporto pubblico locale. Dobbiamo riaprire bene,
pensando anche alle difficoltà dei genitori. Il voler spingere a tutti i costi su una riapertura non ragionata
comporta il rischio di riportarci indietro». Antonio Rodà, Uilm di Trieste e Gorizia, condivide la necessità di
riaprire, «ponendo però la sicurezza dei lavoratori al primo posto. Le aziende non sono mai state luoghi di
contagio: serve però il controllo delle misure, in particolare nei luoghi dove il sindacato non è presente in
modo importante».

Bini al Governo: chi esporta deve poter ripartire lunedì (M. Veneto)
Il Friuli Venezia Giulia non si arrende e, in particolare per quanto riguarda alcune filiere produttive,
continua a chiedere al Governo l'autorizzazione alla ripartenza di determinati settori in anticipo rispetto alla
data preventivata di lunedì 4 maggio. La scorsa settimana era stato Massimiliano Fedriga a rivolgersi
direttamente a palazzo Chigi - pur attraverso il collega dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, mentre ieri
ci ha pensato l'assessore alle Attività produttive Sergio Bini.«Alcune filiere del Friuli Venezia Giulia sono
pronte a ripartire prima del 4 maggio e questo risulta tanto più vitale quanto più queste filiere operano con
il mercato estero» è infatti l'appello rivolto al Governo da Bini attraverso la Commissione nazionale Attività
produttive che ieri mattina ha riunito in videoconferenza tutti i competenti assessori regionali del Paese -
ma senza la presenza di alcun esponente di Governo - per la presentazione di un documento unitario che
sarà portato oggi al vaglio della Conferenza delle Regioni guidata, appunto, da Bonaccini...

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A Trieste contagiato un ospite su tre sui 904 esaminati nelle case di riposo (Piccolo)
Marco Ballico - Poco meno di un ospite su tre nelle 65 case di risposo di Trieste definite prioritarie da Asugi,
perché più di altre a rischio di contagio da coronavirus, è stato sottoposto a tampone. Un campione che ha
dato esito positivo nel 33% dei casi, e limitatamente a 16 strutture (49 non registrano al momento
infezioni). L'aggiornamento, alla data del 21 aprile, arriva dall'Azienda sanitaria, che ha voluto fare il punto
sulla campagna a tappeto avviata nelle residenze che trovano spazio nei condomini, con inevitabile
contatto tra anziani ospiti e cittadini. Una questione delicata, l'ennesima che riguarda l'assistenza ai non
autosufficienti nelle settimane con il Covid-19. Tanto più dopo la morte di un condomino della casa di
riposo "La Primula", un paziente oncologico che abitava nello stesso edificio e che aveva contratto il virus
prima dell'evacuazione forzata degli ospiti a seguito della massiccia diffusione del contagio. Proprio in
quell'occasione il vicegovernatore Riccardo Riccardi aveva informato che in città era stato avviato uno
screening ad ampio raggio nelle strutture private per anziani promiscue, operazione che sta procedendo, è
a un terzo del percorso e che ieri è stata fotografata via comunicato stampa da Asugi. Al 21 aprile, su 94
residenze censite (con 3.611 ospiti) l'attività si è concentrata sulle 65 strutture considerate prioritarie
(3.090 ospiti) sulla base del rischio determinato appunto dalla promiscuità con altri residenti e dalla
tipologia di pazienti. In queste 65 case di riposo sono stati effettuati tamponi a 904 persone (il 30% degli
ospiti) secondo criteri clinici di priorità, rende noto l'Azienda. Di questo campione, 301, quindi uno su tre,
ha avuto un tampone positivo nel decorso clinico. Ma, essendo i tamponi ripetuti nel tempo, la rilevazione
più recente evidenzia 264 riscontri positivi (29,2%), 633 negativi (70%), con lo 0, 8% di risultati incerti. I
tamponi, altra informazione, sono stati a volte ripetuti alle stesse persone, per un totale di 1.269, di cui 868
negativi (68,4%) e 378 positivi (29,8%). Una distribuzione non omogenea, avverte peraltro Asugi, giacché 49
residenze sono per ora esenti da contagio, alcune hanno percentuali bassissime di ospiti con tampone
positivo e altre sono invece maggiormente colpite. In queste ultime si sta concentrando «il massimo
supporto da parte degli operatori dell'Azienda», chiamati a erogare assistenza adeguata all'incrementato
fabbisogno. «In questi giorni - si legge ancora nella nota - sarà completata la ricognizione diagnostica e
verrà aumentato il numero di ospiti sottoposti a tampone fino alla copertura dell'intero numero dei
residenti». Sotto monitoraggio anche gli operatori attivi negli immobili esaminati (1.051 il totale dei
tamponi sin qui effettuati). Al momento risultano esserci un centinaio di positività tra i sanitari (non viene
precisato se anche di dipendenti Asugi) nelle stesse 16 strutture con casi di coronavirus tra gli ospiti. Una
situazione che rimane dunque d'emergenza e si lega alla ricerca di una soluzione per accogliere le persone
provenienti proprio dalle residenze inadeguate a isolare gli ospiti e precarie nell'organizzazione
dell'assistenza. L'opzione nave ospedale per gli ammalati resta in piedi, ma nemmeno ieri è arrivato il passo
avanti deciso. Nel tardo pomeriggio, mentre non si raggiungeva una sintesi tra Asugi e albergatori, Riccardi
parlava di «approfondimento in corso», ma non dava certezze: «Questione molto complessa, stiamo
verificando tutti gli aspetti». Sull'ipotesi nave non concordano i sindacati dei pensionati. Roberto Treu della
Cgil e Magda Gruarin della Uil si dicono perplessi in particolare «sui tempi necessari per sistemare e
adeguare spazi, servizi e attrezzature: di fronte all'emergenza in atto, perdere altri giorni non sarebbe certo
indolore». Sui tamponi a tappeto interviene anche la segretaria del Pd di Trieste Laura Famulari: «Messo di
fronte a una realtà fuori controllo, Riccardi ha finalmente permesso che si faccia quanto gli veniva richiesto
da tempo e da soggetti diversi. Su tutto questo il sindaco Dipiazza non ha detto una parola, assistendo
indifferente alla strage dei nostri anziani». Nel Pordenonese, intanto, la Procura della Repubblica ha aperto
un'indagine sui decessi registrati nella casa di riposo di Castions di Zoppola e nell'hospice di San Vito al
Tagliamento, trasformato in reparto Covid-19. «Grande rispetto per il lavoro della magistratura», è il
commento del vicepresidente Fvg Riccardi
Salta l'accordo con gli alberghi «Chiesti tempi troppo stretti»
Alla Mater Dei 17 i positivi fra anziani e personale
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Case di riposo: dolore e inchieste, la strage silenziosa (M. Veneto)
Christian Seu - Erano lì, quei ricordi. Custoditi con orgoglio da menti ingabbiate in corpi che si sono rivelati
tanto, troppo fragili. Lo spettro della solitudine che s'allunga improvvisamente, perché gli abbracci con i cari
sono rigorosamente vietati. E più s'allunga, più spaventa, fino a inghiottire pensieri, memorie. Esistenze
intere. Li abbiamo persi lì, i nostri nonni, in quelle case di riposo che li hanno accuditi per mesi, a volte
decenni. In queste settimane abbiamo imparato che sono morti con il coronavirus e non per il coronavirus,
l'ultimo dei nemici a fare capolino. Arriverà il momento in cui saranno accertate le responsabilità, se ce ne
saranno state: la magistratura si sta muovendo a Pordenone, come a Trieste e così a Udine. Toccherà ai pm
verificare se nella drammatica trasformazione delle residenze anziani in cluster di contagio ci sono state
omissioni o procedure non in adatte a fronteggiare un evento tanto dirompente.Alcune strutture sono
riuscite a mettersi al riparo dal mostro, sbarrando gli ingressi quando il Covid-19 non si chiamava neppure
così e il coronavirus pareva un affare della Cina. Altri hanno dovuto alzare bandiera bianca, fare i conti con
la rivoluzione degli spazi, assistere al contagio dei propri operatori. E piangere i morti, tra i più fragili. In
Friuli un decesso su due si è registrato in casa di riposo, dove hanno perso la vita 61 anziani, assommando
quelli deceduti alla Rovere Bianchi di Mortegliano (19), alla Micoli Toscano di Castions di Zoppola (16), alla
Matteo Brunetti di Paluzza (12), alla Chiabà di San Giorgio di Nogaro (8), alla Muner De Giudici di
Pradamano (5) e alla Asp Carnia di Tolmezzo (1). A queste si aggiungono le decine di morti a Trieste, dove la
situazione è aggravata dal tipo di strutture, ricavate in condomini riconvertiti tra gli anni Ottanta e Novanta.
Proprio nel capoluogo regionale si era registrato il primo decesso da coronavirus in Fvg: era il 7 marzo
quando Rosa Costante, 87 anni, ospite della casa di riposo "Serena", perdeva la vita a Cattinara. Cinque
giorni dopo la prima croce a Mortegliano, con la scomparsa della 103enne Agata Della Negra. Che ha perso
poche ore dopo anche la Come ci è arrivato il virus nelle Rsa? In un paio di casi, in Friuli, il fil rouge del
contagio è quello degli operatori, che hanno pagato a loro volta, contando nelle loro fila decine di
contagi.C'è chi resiste, nelle case di riposo friulane. In condizioni non facili, perché l'isolamento imposto
dalla necessità di bloccare il coronavirus fuori dalla porta ha annullato i contatti sociali per i nonnini che si
trovano nelle case di riposo: improvvisamente la carezza di un figlio, il sorriso di un nipote, ma anche la
chiacchierata con il vicino di letto sono diventati utopie, rinunce necessarie anche se difficilmente
comprensibili per chi ha i capelli color argento e i giorni migliori alle spalle. Così, mentre gli operatori
sanitari e i medici scomparivano dietro mascherine e scafandri, i parenti hanno ricominciato a riapparire,
anche se solo sullo schermo di uno smartphone, o di un tablet.Per quello forse ci hanno toccato così tanto
le immagini degli anziani affacciati sulla porta della casa di riposo di Mortegliano, scortati dagli infermieri,
che facevano ciao con la mano ai parenti bardati di tutto punto e lasciati a distanza di metri, dietro le
transenne. Una scintilla di speranza, l'anelito di normalità di chi ne ha viste tante e ora, dopo un mese di
quarantena dolorosa, vuol provare ad andare avanti. Con il cuore che pulsa anche per chi - l'amico, il
compagno di stanza, il collega di riabilitazione- non ce l'ha fatta.
Troppi morti e contagiati nelle case di riposo, ora indaga anche Udine
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Accompagnati o soli, gli anziani a passeggio in fasce orarie
Giacomina Pellizzari - Nella fase due qualche misura specifica per gli anziani potrebbe anche scattare. Se
durante l'emergenza, pur essendo i soggetti più colpiti dal coronavirus, i nonni alla pari di tutti gli altri,
possono uscire per la passeggiata nell'ambito dei 500 metri di distanza da casa, nella fase due potrebbe non
essere più così. La proposta che prevede rientri al lavoro scaglionati per gli ultra cinquantenni, potrebbe
autorizzare anche la passeggiata degli anziani solo in certe fasce orarie della giornata.Nell'attesa di capire
cosa succederà dal prossimo 4 maggio, oggi possiamo ribadire che, in assenza di urgenze o motivi di salute,
gli anziani sono autorizzati a muoversi solo a piedi, non in automobile, nell'ambito dei 500 metri da casa.
Ovviamente possono andare a fare la spesa o in farmacia anche se i volontari della Protezione civile
continuano a consegnare spese e farmaci a domicilio. Chi ha l'orto di proprietà può seminare l'insalata o
curare il giardino anche se i medici continuano a consigliare prudenza soprattutto alle persone di una certa
età con altre patologie. Sono loro i più fragili, sono quelli a cui viene raccomandato di non uscire.Gli anziani
si sentono soli perché figli e nipoti non possono andare a trovarli. Nella fase due non sarà più così: se il
contagio si manterrà a livelli bassi si potrà tornare a trovare i nonni.Oggi agli anziani disabili, per
comprovate necessità e motivi di salute, sono concesse brevi uscite purché siano accompagnati e rispettino
il distanziamento sociale. È sufficiente portare con sé il certificato della legge 104/1992 e
l'autocertificazione per l'accompagnatore. L'auspicio è che tutte le restrizioni vengano meno. Lo chiede il
segretario regionale dello Spi-Cgil, Roberto Treu: «Isolare a casa gli anziani più a lungo - afferma - sarebbe
una misura controproducente e discriminatoria nei confronti di una parte consistente della popolazione.
Una prolungata assenza di attività fisica e sociale avrebbe conseguenze gravi sul benessere psicofisico degli
anziani». Non a caso Treu sollecita «il riconoscimento della legittimità di spostarsi da un paese all'altro,
l'accesso agli interventi straordinari messi in campo nel Paese dove si lavora, il riconoscimento del
certificato di inabilità al lavoro rilasciato dal medico di famiglia del paese di residenza per l'equiparazione
della quarantena o dell'auto-isolamento obbligatorio». L'obiettivo è consentire alle badanti di tornare a
lavorare in sicurezza.

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Sono 150 i sanitari infetti e 1.300 quelli "vigilati" negli ospedali di Trieste (Piccolo Trieste)
Diego D'Amelio - Sono 150 i medici e infermieri colpiti dal coronavirus negli ospedali di Trieste, dove un
dipendente ogni tre si trova ormai in "sorveglianza attiva". Il regime è applicato per chi ha avuto contatti a
rischio con pazienti positivi in assenza di adeguati dispositivi di sicurezza: se asintomatico, il professionista
continua a lavorare, comunicando ogni giorno le proprie condizioni di salute all'Asugi. La situazione ha
spinto il direttore generale Antonio Poggiana a dichiarare gli ospedali di Cattinara e del Maggiore "zona
grigia", prevedendo che ogni nuovo ingresso in ospedale sia trattato con le precauzioni da usare per un
paziente Covid positivo. Si vuole così evitare quanto successo ai 15 sanitari colpiti alla Medicina d'urgenza
di Cattinara, che ieri sera ha intanto riaperto a regimi ridotti. L'Azienda sanitaria ha fissato per la prossima
settimana un incontro con i sindacati per ufficializzare il dato dei dipendenti ammalati, ma i numeri sono
stati comunicati dal Servizio prevenzione ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. La situazione
appare anche più seria di quella denunciata dai sindacati nei giorni passati, quando la Cgil parlava di un
centinaio di positivi a Trieste, con numeri più che doppi rispetto a quelli delle Aziende sanitarie di Udine e
Pordenone. La cifra è invece 150 e sono 1.300 (su 3.500 fra medici, infermieri, tecnici e oss) i professionisti
in sorveglianza attiva, dunque a rischio contagio ma non sottoposti a tampone: i protocolli prevedono
d'altronde che, in assenza di sintomi, si continui a lavorare e si venga sottoposti al test nel tredicesimo
giorno dalla comunicazione del rischio all'Azienda sanitaria. L'incontro della prossima settimana chiarirà gli
ulteriori incrementi, nella speranza che dia esito negativo il secondo giro di tamponi effettuati sul personale
di Ortopedia, dopo l'emergere di una donna positiva ricoverata nel reparto dopo un tampone falso
negativo. Per evitare nuovi pericoli del genere, davanti anche alle insistenze dei sindacati, l'Asugi ha deciso
di trattare «come potenzialmente infetti tutti i pazienti, compresi quelli con tampone negativo, tenuto
conto della bassa sensibilità del tampone: circa il 70%, che scende ulteriormente se non eseguito
correttamente», come può capitare in una fase di emergenza dove la raccolta del materiale biologico dei
pazienti non è affidata alle sole mani di specialisti. Così recita una circolare interna, in considerazione che
«anche se sporadicamente, continuano a verificarsi casi di pazienti Covid positivi nonostante la negatività
dello screening effettuato in Pronto Soccorso». Per questo motivo sono state riviste la settimana scorsa le
modalità di utilizzo dei dispositivi di protezione e si è richiesto ai responsabili di vigilare meglio sui
comportamenti degli operatori. Vale per tutti, ma in particolare per il reparto di Medicina d'urgenza, primo
ad accogliere i pazienti che per varie ragioni si presentano al Ps in condizioni serie. La struttura era stata
chiusa dopo l'esplosione di un focolaio da 15 sanitari e 4 pazienti, ma da ieri sera ha ripreso l'attività a ritmo
ridotto. Questione di carenza di operatori, come spiega il vicepresidente Fvg Riccardo Riccardi, che
annuncia la ripartenza precisando che «l'attività sarà proporzionata al personale disponibile e, a causa dei
lavori in corso, al momento verranno allestiti da 6 a 8 posti letto con un paziente per le stanze piccole e due
per quelle di dimensioni maggiori. L'operatività del reparto sarà garantita dalla presenza di due medici, tre
infermieri e un operatore socio sanitario durante i turni di mattino e pomeriggio, e di un medico, tre
infermieri e un oss durante la notte». Da lunedì il reparto Infettivi del Maggiore sarà trasferito inoltre al
tredicesimo piano di Cattinara, realizzato nelle scorse settimane con un esborso di 2,5 milioni cui
aggiungere tecnologie e arredamento. Gli spazi erano stati pensati per la terapia intensiva e sub intensiva,
ma fortunatamente i posti già disponibili coprono necessità ormai sensibilmente diminuite. Al tredicesimo
troveranno ospitalità 19 posti letto sui 33 a disposizione, mentre gli altri rimarranno per la subintensiva
polmonare. La ratio dello spostamento non è stata chiarita e, più in generale, la decisione di avere reparti
Covid sia al Maggiore che a Cattinara è stata criticata dai rappresentanti di medici e dipendenti dell'Azienda
sanitaria, che ha messo a punto percorsi specifici per evitare che il nuovo reparto possa contribuire a
espandere le infezioni all'interno del nosocomio. Attenzione sull'uso di ascensori e montalettighe, uno dei
quali sarà utilizzato esclusivamente per il trasporto di ammalati di coronavirus e deceduti, con sanificazione
dopo ogni utilizzo e divieto di accesso per altre motivazioni. Il personale degli Infettivi può però raggiungere
il nuovo reparto utilizzando gli ascensori in uso per gli utenti. Una completa separazione appare dunque
difficile per come è strutturato l'ospedale. Sempre a Cattinara, rende noto la Regione, l'emergenza
coronavirus rallenta ma non arresta le attività chirurgiche, con 336 interventi eseguiti durante l'epidemia,
rispetto ai 577 dello stesso periodo dell'anno precedente. Priorità è stata data alle patologie tumorali e
altre urgenti, mentre «è allo studio la riorganizzazione delle attività nell'ottica del graduale ritorno
all'attività ordinaria».

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Test in Casa di riposo e Centro disabili. Otto positivi fra Monfalcone e Medea (Piccolo)
Stefano Bizzi, Tiziana Carpinelli - Appena è arrivato il responso dei tamponi i cinque lavoratori del Centro
residenziale Santa Maria della Pace di Medea risultati positivi al Covid-19 sono stati messi in quarantena.
Parallelamente l'Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina ha disposto il tampone per tutti gli ospiti
dell'istituto gestito dai Padri Trinitari. A confermare la situazione è stato ieri pomeriggio lo stesso rettore
del centro, padre Rocco Cosi. La struttura per l'assistenza, l'educazione, la riabilitazione e l'integrazione
sociale delle persone disabili e autistiche non autosufficienti o non autonome è considerata una vera e
propria eccellenza a livello regionale e non soltanto, ma non per questo è risultata immune al contagio.
Nell'ambito delle attività di controllo sulle strutture d'assistenza territoriale, venerdì scorso i tamponi sono
stati eseguiti su 106 dipendenti e cinque operatori socio-sanitari sono risultati positivi. La notizia ha subito
creato inquietudine tra i colleghi e i familiari degli ospiti. Tutti sono asintomatici e, a ieri pomeriggio, non
risultavano comunque persone che presentassero sintomi riconducibili al contagio da Covid 19. «Le cinque
persone positive sono a casa - sottolinea padre Rocco Cosi -. A gestirle è l'Azienda sanitaria. Abbiamo avuto
una riunione con la stessa l'Asugi e ci è stata illustrata l'evoluzione della situazione. I familiari degli ospiti
sono stati tutti informati della cosa e ora si faranno i tamponi anche sui ragazzi. A quel punto sapremo di
cosa stiamo parlando esattamente». Il direttore della struttura tiene in ogni caso a sottolineare che i test
sono stati 106 e ribadisce: «Tutti stanno bene, compresi i ragazzi che sono felici e trascorrono la vita
normalmente». Al momento non è chiara l'origine del focolaio: chi abbia contagiato chi. Di certo però c'è
che i rischi non possono essere eliminati al 100%.

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CRONACHE LOCALI

Casa di riposo Sant'Anna, nessun positivo tra i 91 degenti (M. Veneto Udine)
Sara Palluello - Sono tutti negativi al Coronavirus i 91 degenti della residenza per anziani "Sant'Anna", di via
Achille Tellini. Erano stati sottoposti al tampone lunedì. Lo ha fatto sapere l'equipe infermieristica della
struttura, gestita da @Nord Consorzio di Cooperative - Cooperativa Sociale, contattando telefonicamente le
famiglie degli ospiti nell'impegno di tenerli costantemente aggiornati e partecipi sulla quotidianità dei loro
cari. Venerdì scorso i controlli erano stati eseguiti anche ai 53 operatori sociosanitari che lavorano nella
struttura: anche in quel caso avevano dato esisto negativo. La seconda buona notizia che fa tirare un
sospiro di sollievo, in un momento in cui le case di riposo sono le strutture più colpite da morti e contagi
per Covid-19. La residenza - coordinata da Adina Bruma - fin dall'inizio dell'emergenza sanitaria ha messo in
campo tutte precauzioni necessarie, adottando misure ordinarie e straordinarie per blindare la diffusione
del virus. Operatori e infermieri hanno continuato a lavorare a ritmi serrati, in continua e costante
condivisione degli obiettivi con l'Azienda sanitaria e la Regione, verificando la bontà dei protocolli, con
l'intento di aumentare al massimo la protezione di lavoratori ed ospiti. Per tutti sono stati organizzati
momenti formativi e informativi sulle migliori modalità di prevenzione della contaminazione, nonché
protezione dal virus. Le Direzioni di struttura hanno condiviso con le proprie équipe le necessarie
riorganizzazioni degli spazi, per consentire il mantenimento delle distanze di sicurezza, al fine di evitare
ogni tipo di assembramento. Anche le pause e il cambio della divisa sono state ripensate per assicurare il
rispetto delle norme di sicurezza. Sant'Anna ha però rivolto alla Regione, alla Protezione Civile e alla
Prefettura richieste di approvvigionamenti straordinari di mascherine Ffp2, camici, soprascarpe e schermi
protettivi (come nelle strutture ospedaliere), perché continuano ad essere di difficile reperimento.

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Fase 2 dei buoni spesa: arrivano via mail (M. Veneto Udine)
Alessandro Cesare - Con l'avvio della fase 2 nella distribuzione dei buoni spesa, il Comune punta sul digitale.
La giunta, infatti, ha accantonato i ticket cartacei scegliendo quelli virtuali, che i beneficiari potranno
ricevere direttamente a casa tramite e-mail. La decisione è stata formalizzata qualche giorno fa
dall'amministrazione comunale, che ha ordinato al "Gruppo Pellegrini spa" di Lorenteggio, nel milanese,
buoni per un valore complessivo di 321.900 euro. In tal modo sarà avviata la "fase 2", con l'allargamento
della platea di coloro che potranno usufruire del bonus. Una questione, quella dell'ampliamento dei
beneficiari, come l'uso di mail, che nei giorni scorsi è stata motivo di polemica tra il Pd e la maggioranza.
Fino al 19 aprile, nelle sedi delle ex circoscrizioni, sono stati consegnati 1.340 buoni spesa cartacei, per un
valore complessivo di 336.050 euro. Il numero più elevato ha riguardato il quartiere di "Udine Centro" con
333 buoni per 80.550 euro. Per agevolare ancora di più i cittadini in difficoltà, come informa l'assessore
Giovanni Barillari, il Comune ha scelto la versione digitale, evitando alle persone di doversi spostare per
raggiungere le sedi delle ex circoscrizioni. Senza contare l'impegno sul campo dei servizi sociali, ma anche di
Polizia locale e volontari dell'Associazione nazionale carabinieri, che ora non sarà più necessario. Il nuovo
servizio gestito dalla ditta "Gruppo Pellegrini spa" consentirà anche di modificare l'elenco dei punti vendita
dove spendere i buoni: resteranno sempre 25, ma rispetto al vecchio elenco saranno compresi anche
qualche esercizio di prossimità e i negozi della catena Lidl al posto dei Panorama. Dalla prossima settimana
quindi, partirà la distribuzione dei buoni spesa 2.0, con la raccolta delle nuove domande che è già iniziata
lunedì (sono 500 le richieste pervenute fino a ieri). Rispetto alla prima fase, ora potranno fare richiesta
anche i titolari di altri sostegni pubblici e i nuclei famigliari con persone disabili a carico.«Siamo molto
soddisfatti di come si è svolta questa prima fase relativa all'assegnazione e alla distribuzione dei buoni -
commenta l'assessore Barillari -. Il fatto di aver garantito l'accesso a tale beneficio dapprima a fasce di
popolazione prive di altre forme di sostegno economico, ha permesso a oltre mille nuclei familiari della
nostra città di ricevere i buoni spesa. Se confrontiamo i dati relativi a Udine con quelli, ad esempio, del
capoluogo di regione, è evidente l'efficacia della risposta in termini di percentuale dei fondi erogati rispetto
a quelli ricevuti dallo Stato. Infatti, nella nostra città, sono già stati consegnati 336.000 euro in buoni spesa
su un totale di 526.000 euro ricevuti dallo Stato (pari al 64 %), rispetto ai 150.000 euro su 1.078.000 euro
dati a Trieste (14%). Il merito è ovviamente di tutto il personale amministrativo e professionale dei servizi
sociali - evidenzia l'assessore - che non ha badato a orari di lavoro in queste settimane».Sulla scelta della
modalità digitale, Barillari chiude così: «Non era possibile attivarla in tempi rapidi e quindi abbiamo deciso,
per iniziare la distribuzione prima di Pasqua, di utilizzare, in prima battuta, i ticket cartacei».

I precari della scuola: «Assumeteci in ruolo» (M. Veneto Pordenone)
Chiara Benotti - Assunzioni in ruolo con percorso abilitante e dignità professionale: è questa la richiesta di
44 precari della scuola nel Friuli occidentale. Il loro contratto di lavoro scadrà fra otto settimane e il futuro
professionale è un'incognita. «Come tutti i docenti - recita la lettera aperta con 44 firme di insegnanti
pordenonesi - stiamo contribuendo alla didattica a distanza, per garantire il diritto allo studio. Siamo
supplenti da anni e molti hanno un contratto a scadenza in giugno: dopo ci sarà il buio delle incognite».Le
spese di gestione della didattica online come i computer, stampanti e scanner sono a carico dei precari.
«L'ansia è per l'incertezza sul posto di lavoro 2020-21 - spiegano i supplenti -. Ci sono molte strade per la
stabilizzazione dei lavoratori precari nella scuola: chiediamo di essere ascoltati dal ministro dell'istruzione
Lucia Azzolina».La loro proposta è quella della stabilizzazione professionale con percorsi abilitanti per chi
somma almeno tre anni di servizio.«Abbiamo molti anni di servizio e di esperienza maturata sul campo -
indicano - con la passione professionale. In attesa dell'inizio della "fase 2" dell'emergenza Covid 19, che si
prospetta non facile, siamo preoccupati per la continuità didattica dei nostri studenti: sono il nostro unico
pensiero fisso».I precari vantano una media di dieci anni di supplenze e garantiscono la tenuta del sistema
scuola: in settembre ci saranno circa duecento nuove cattedre vacanti in provincia di Pordenone, con i
pensionamenti.

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