Rassegna stampa 18 gennaio 2016 - Anica
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Rassegna stampa 18 gennaio 2016 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE ANICA - ANICA CITAZIONI 18/01/2016 BorsaItaliana.it 07:30 7 Economia e finanza: gli avvenimenti della settimana -3- ANICA - CINEMA 17/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 9 «Una natura crudele sul set L'Oscar? È nelle mani di Dio» 18/01/2016 Corriere Economia 11 Valsecchi: «Zalone pronto per andare all'estero» 18/01/2016 La Repubblica - Nazionale 13 Se il cinema francese cerca una via d'uscita dalla maledizione 17/01/2016 La Repubblica - Nazionale 14 Alejandro González Iñárritu 18/01/2016 La Stampa - Nazionale 16 "Il cinema sudamericano ora non ha più paura" 18/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 18 Rocky torna sul ring ma solo grazie a YouTube 18/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 19 Lezione di cinema con Castellitto «Zalone? Mi fa ridere chi lo elogia» 17/01/2016 Corriere della Sera - La Lettura 21 La rivoluzione del piccolo principe 17/01/2016 La Repubblica - Nazionale 24 Da Al Capone a Chapo Guzmán quando al boss piace la fiction 17/01/2016 La Stampa - Nazionale 28 "L'Oscar? Per me conta di più l'ambiente" 17/01/2016 La Stampa - Nazionale 30 "The Danish girl" bandito in Qatar Nudo e transgender restano un tabù 17/01/2016 La Stampa - Torino 31 FilmLab sogni da Oscar con i soldi dell'Europa
16/01/2016 La Stampa - Nazionale 32 C'era una volta E ora c'è di nuovo il West 17/01/2016 Il Messaggero - Roma 34 L'addio ad "Accattone" tra ricordi e polemiche ma il cinema non c'è 17/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 35 Di Caprio a Roma lancia la corsa all'Oscar: «I premi sono solo un bonus» 17/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 37 «È tutto vero, pochi gli effetti speciali» 16/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 38 Diario di due solitudini 16/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 39 «Grande Citti il suo volto era storia» 17/01/2016 Avvenire - Nazionale 41 STEVE JOBS I tormenti di un mito 18/01/2016 Libero - Nazionale 43 «Rifiutai il posto fisso. Così nacque Lino Banfi» 17/01/2016 Il Fatto Quotidiano 46 Oscar, il Titanic di Leo 17/01/2016 Il Fatto Quotidiano 48 Il divo va a caccia di Oscar (e intanto fa impazzire i fan) 16/01/2016 Il Fatto Quotidiano 50 Evviva Checco Zalone, ma per favore niente paragoni con Alberto Sordi 18/01/2016 L'Unità - Nazionale 51 Verdone e Albanese raccontano da Fazio la loro commedia degli equivoci, "L'abbiamo fatta grossa" 17/01/2016 L'Unità - Nazionale 53 Ciao amico nostro Accattone, quanto ci mancherai 16/01/2016 L'Unità - Nazionale 54 Radar: Valsecchi e Nesbitt di TaoDue raccontano in che modo si produce un film da record come "Quo Vado?" 16/01/2016 Il Manifesto - Nazionale 56 Ritratto emotivo di Caracas , da Leone d'oro 17/01/2016 Il Tempo - Nazionale 58 «Ozpetek mi ha copiato» Il regista in tribunale
17/01/2016 Il Tempo - Nazionale 59 DiCaprio: «Ecco il nostro neorealismo» 17/01/2016 Corriere delle Alpi - Nazionale 60 Nelle sale il primo film per non vedenti 17/01/2016 Il Centro - Nazionale 61 Rocky diventa saggio ma rimane sempre "nato per combattere" 17/01/2016 Il Tirreno - Nazionale 63 Batman sfida Superman e gli alieni rinascono per l'Independence Day 16/01/2016 Pagina99 65 il Qatar si prende la fabbrica dei film 16/01/2016 Pagina99 67 la saga è un business che va da qui all'eternità 16/01/2016 Pagina99 69 horror Tarantino altro che magnifici sette ANICA - TELEVISIONE 17/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 72 Malinconico e disilluso, Coliandro torna e riconquista i fan 16/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 73 «Mr. Robot», la serie tv dell'anno che attacca i guru dell'informatica 18/01/2016 La Repubblica - Nazionale 75 Nella bottega del nuovo immaginario 16/01/2016 Avvenire - Nazionale 78 DON MATTEO Detective dell'anima 16/01/2016 Il Giornale - Nazionale 80 Superfilm al lunedì su Canale 5 17/01/2016 Libero - Nazionale 81 RITORNO AL PASSATO Da «Shannara» a «Beowulf» passando per «Narnia», la tv saccheggia il fantasy. Preparate spade e mantelli ANICA WEB - ANICA WEB 17/01/2016 www.repubblica.it 19:25 83 Cinema, l'omaggio di Hollywood a Mario Martone
15/01/2016 www.ilfoglio.it 01:00 84 Il soft power cinese è sbarcato a Hollywood per arrivare allo status di "economia di mercato"
ANICA - ANICA CITAZIONI 1 articolo
18/01/2016 07:30 Sito Web BorsaItaliana.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Notizie Radiocor - Finanza Economia e finanza: gli avvenimenti della settimana -3- MARTEDI' 19 gennaio ------------------- ECONOMIA - Verona: conferenza stampa di presentazione 'Motor Bike Expo 2016', fiera dedicata a moto speciali, custom ed accessori. Ore 12,00. PalaExpo, viale del Lavoro, 8 - Bologna: incontro di Nomisma e UniCredit in occasione della presentazione del libro di Franco Mosconi 'La nuova politica industriale tra Unione Europea, Stati-Nazione, Regioni'. Ore 17,30. UniCredit, via Zamboni, 20 - Roma: Missione esplorativa del Comitato economico e sociale europeo - Roma: conferenza stampa Anem, Associazione Nazionale Esercenti Multiplex, Anica, Cinetel e Direzione Generale Cinema sui dati del mercato cinematografico 2015. Ore 12,00. Partecipano, tra gli altri, Riccardo Tozzi, Presidente Anica; Michele Napoli, Presidente Cinetel; Luigi Cuciniello, Presidente Anec; Carlo Bernaschi, Presidente Anem. Presso Agis, Via di Villa Patrizi, 10. - Roma: In occasione del 25 anniversario della legge Antitrust, Lectio Magistralis di Giuliano Amato, Giudice Costituzionale. Ore 16,00. Partecipa, tra gli altri, Giovanni Pitruzzella, Presidente dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato. Presso Auditorium dell'Autorita' Garante, via Monteverdi n.35. - Londra: conferenza stampa di presentazione del World Economic Outlook. Ore 10,00. Bank of England. - Davos: incontro stampa e Webcast PricewaterhouseCoopers International per la presentazione dei risultati annuali. Ore 18,45. Partecipa, tra gli altri, Dennis Nally, Chairman of PricewaterhouseCoopers International. - Strasburgo: il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker partecipa all'audizione su strategia Ue. Ore 9,00. red (RADIOCOR) 18-01-16 07:55:46 (0025)PA 5 NNNN ANICA - ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 7
ANICA - CINEMA 35 articoli
17/01/2016 diffusione:298071 Pag. 35 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il divo «Una natura crudele sul set L'Oscar? È nelle mani di Dio» DiCaprio: dopo «Revenant» farò un documentario sul clima Valerio Cappelli ROMA «La conquista della natura, la capacità di sopravvivenza... È il film più difficile che abbia mai fatto», dice Leonardo DiCaprio che sente profumo di Oscar. Ma un'impresa è anche riuscire a parlarci. A parte il metal detector, è come prendere l'aereo: check in all'hotel 45 minuti prima dell'incontro, poi bisogna mettersi in fila superando il muro del popolo dell'autografo e quello delle guardie del corpo. Infine appare l'attore, sereno, sorridente, bravissimo a parlare di quello che vuole lui (l'ambiente), tema che rimbalza dal suo nuovo titanico progetto, centrato sul cacciatore di pellicce Hugh Glass aggredito da un orso che, abbandonato dai compagni, perde il figlio e vuole vendicarsi di chi lo ha tradito (Tom Hardy). Alla quinta nomination personale, l'Oscar per Revenant-Redivivo (nelle sale da ieri in 500 copie per la Fox) non dovrebbe sfuggirgli. Il regista è Alejandro González Iñárritu, reduce dalle quattro statuette del 2015 per Birdman : ora le candidature sono dodici («Non mi hanno ispirato i cowboy ma Kurosawa, Coppola... Penso a Dersu Uzula e Apocalypse Now »). Come migliore attore il favorito è DiCaprio, lui lo sa e non può nascondersi, ma l'argomento, naturalmente, lo sfiora soltanto: «Mentre giravo questo film, non pensavo che avrei potuto vincere l'Oscar. È una cosa fuori dal mio controllo. E non è un riconoscimento a motivarmi. Volevo fare un'opera d'arte che resti nel tempo. Siamo sorpresi, contenti e compiaciuti per come è stato accolto, la gente e i colleghi hanno apprezzato lo sforzo e una certa spiritualità... È un capitolo della mia vita. Gli ho dedicato un anno intero». Più tardi a Tv2000, l'emittente di una società che fa capo alla Conferenza Episcopale Italiana, dirà: «Se per l'Oscar è la volta buona? È nelle mani di qualcun altro, magari nelle mani di Dio». Hanno girato nel gelo, in condizioni proibitive. Storia di silenzi e pochi dialoghi in una terra di nessuno quasi priva di leggi. «Non è un film ma un viaggio epico nella vita di un esploratore prima dell'epopea del West, un periodo storico quasi inesplorato al cinema e in letteratura. La vita di Glass è stata tramandata per generazioni intorno al focolare domestico. Semmai è un film di fantascienza. Spero che possa aiutare Hollywood a capire che questo tipo di cinema coraggioso si può fare». Tutti vogliono sapere i dettagli della lunga, crudissima scena dell'attacco che il protagonista subisce dall'orso. Iñárritu dice e non dice: «Ho usato laddove era possibile elementi veri e naturali, mi piaceva esaltare l'aspetto fisico. Allo stesso tempo ho utilizzato la tecnologia in modo intelligente e sottile. Qualunque trucco è presente. È stata una esperienza unica». E DiCaprio spiega perché: «Siamo entrati in quel mondo primordiale con stile neorealista, è una sorta di docu-drama. Il paesaggio grandioso e bello, la crudeltà della natura e i sentimenti più profondi e intimi si compenetrano al mio respiro che appanna l'obiettivo e al sangue che lo sporca. Lo spettatore ha la sensazione di essere una mosca che gira intorno alla scena». Si scivola su ciò che più sta a cuore all'attore, il clima, tema accarezzato dal film: «C'è l'avidità dell'uomo che saccheggia l'ambiente naturale, lo sfruttamento delle risorse prima che si scatenasse la febbre dell'oro. Non riusciamo a imparare le lezioni della Storia. Ci siamo resi conto di come cambia il paesaggio con solo pochi gradi di differenza. Sto producendo un documentario sui cambiamenti climatici, ed è l'unico progetto che ho». © RIPRODUZIONE RISERVATA Mentre giravo questo film non pensavo che avrei potuto vincere È una cosa fuori dal mio controllo Il successo di questa storia estrema può far capire a Hollywood che deve puntare su un certo cinema coraggioso ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 9
17/01/2016 diffusione:298071 Pag. 35 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Ho voluto realizzare un'opera d'arte Assieme al regista sono entrato in un mondo primordiale con stile neorealista Le nomination precedenti Foto: Prima nomination per il film di Hallström Foto: La seconda volta grazie a Scorsese Foto: Il terzo tentativo con la pellicola di Zwick Foto: Quarta candidatura ancora con Scorsese Foto: Leonardo DiCaprio, 41 anni. Grazie a «Revenant» è arrivato alla sua quinta nomination personale all'Oscar ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 10
18/01/2016 Pag. 1 N.2 - 18 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Film & Affari Valsecchi: «Zalone pronto per andare all'estero» m. silvia sacchi e stefania ulivi A pagina 11 Che Quo vado? sarebbe stato un successo Pietro Valsecchi lo aveva messo in conto. Non aveva immaginato, invece, che avrebbe battuto tutti i record. Valsecchi, con la sua Taodue, è il produttore di Checco Zalone, l'autore e attore pugliese che sta facendo scrivere fiumi di inchiostro e infiammando i salotti televisivi per lo straordinario successo di Quo vado?: uscito il 1° gennaio, distribuito da Medusa, in meno di due settimane ha superato i 52 milioni di incasso realizzati nel 2013 da Sole a catinelle, diventando il primo incasso di sempre per un film italiano. Ora la corsa è sul campione assoluto, Avatar , avanti di circa dieci milioni di euro. «Sono anch'io sorpreso da questi incassi che si stanno incredibilmente avviando verso i 70 milioni», dice Valsecchi parlando con Corriere Economia . Un'idea il produttore ce l'aveva, ma l'aveva tenuta segreta: «Avevo previsto che avrebbe incassato 52 milioni di euro. Come Sole a catinelle ». Quo vado? è andato oltre. E il successo adesso rischia di smentire anche la legge non scritta della non esportabilità dei campioni del box office italiano. «Il film sta suscitando interesse all'estero per l'eccezionalità del risultato che polverizza gli incassi dei blockbuster Usa - anticipa Valsecchi -. In alcuni Paesi uscirà il film originale e per quanto riguarda i diritti di remake stiamo trattando con Paesi tra cui Spagna, Francia e Inghilterra, non solo per una cessione dei diritti ma per entrare in coproduzione». Scenari Sono soldi. Quanto faccia la differenza lo dice il grafico che riportiamo in pagina. Il bilancio di Taodue, la società fondata da Valsecchi e dalla moglie Camilla Nesbitt, oggi proprietà di Mediaset tramite Rti, evidenzia i grandi risultati in termini di fatturato e di utile netto dovuti nel 2013 a Sole a catinelle . Il 2016 darà un bis. I 50 milioni di giro d'affari del pre-consuntivo 2015 diventeranno 85 quest'anno grazie a Quo vado ?, mentre gli utili lordi passeranno da 10 a 30 milioni. E ora si pone un tema che riguarda il futuro e che fa intravedere sul mercato possibili scenari nuovi. Perché Valsecchi ha già detto che nel giro di cinque anni lascerà la guida di Taodue. Mentre, in parallelo, Zalone sta iniziando a costruirsi una propria organizzazione societaria dove tra gli azionisti figura anche Filippo Valsecchi, figlio diciannovenne di Pietro e Camilla. Finirà che i fondatori di Taodue andranno insieme a Zalone? «No - risponde il produttore -. Quella di Filippo è una scelta personale vista l'amicizia che lo lega a Zalone e che non coinvolge, e non coinvolgerà, me e Camilla». Perché di una cosa Valsecchi si dice sicuro ed è che le imprese e la loro gestione non si passano dai genitori ai figli come se fossero beni immobili. Insomma, quando lascerà la guida di Taodue lo farà in favore di chi dentro la società di produzione ha dimostrato di saper fare. E non andrà «in soccorso» degli eredi (la figlia Virginia, peraltro, lavora per la concorrente Freemantle Media). «I miei figli - dice - faranno la loro strada, non credo sia un bene caricarsi di eredità pesanti. All'interno del gruppo di lavoro Taodue ci sono risorse molto valide che spero potranno prendere in mano le redini della società. Io resterò a dare una mano dall'esterno». Magari mentre si dedica alla scrittura. Ha già pubblicato un romanzo, Prima famiglia , potrà arrivarne un secondo. «Scrivere è continuare la mia passione di narratore di storie che ho portato per 30 anni sugli schemi di cinema e tv; non è una nuova vita ma nuova declinazione di ciò che ho sempre fatto». Il presente Ma intanto c'è il presente da mandare avanti. In azienda, «io mi occupo prevalentemente della parte artistico/creativa e mia moglie Camilla di quella economico-gestionale, ma la divisione dei compiti non è ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 11
18/01/2016 Pag. 1 N.2 - 18 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato così netta. Credo molto nell'intuito e nella sensibilità femminile e senza di lei non avrei mai costruito quello che ho costruito». Quello che intendono «continuare a fare con ancora maggiore determinazione è scovare nuovi talenti, che si stanno affacciando in particolare dal web, e aiutarli a sviluppare le loro potenzialità. Il 21 gennaio esce il film d'esordio del trio The Pills Sempre meglio che lavorare : sono ragazzi abituati a sketch da 5 minuti che abbiamo portato a raccontare una storia da film». Nel frattempo la linea editoriale di Taodue «oltre alla commedia, che è il genere principe del cinema italiano insieme al cinema d'autore, insiste anche sul "racconto della realtà"». Come dimostrano le operazioni Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti e quella legata al film, postumo, di Claudio Caligari Non essere cattivo. Rientra nel dna della Taodue che fin dagli inizi si è confrontata con il cinema d'autore (da Bellocchio a Placido): siamo intervenuti in questo progetto insieme a Raicinema grazie all'entusiasmo e alla passione di Valerio Mastandrea». In Puglia E Zalone? Nome d'arte di Pasquale Luca Medici, 38 anni, il comico pugliese negli ultimi due anni ha costituito la società di produzione Tartare, di cui Valsecchi junior è socio al 50% ed è amministrata da Reginaldo Mamma, che è anche amministratore unico della Eat Movie costituita nel 2013 dalla famiglia Valsecchi al completo, genitori (in minoranza) e figli (in maggioranza). E ha fondato la Officina 5.1 con due produttori cinematografici e un project manager. Risale, invece, a qualche anno prima (2009) una società di produzioni per quello che potremmo definire un impegno sociale di Zalone: Mzl, costituita con la madre Antonietta. Lo scopo sociale è, infatti, «la realizzazione di nuove iniziative produttive nei territori del Mezzogiorno». Ma com'è il contratto che lega Checco a Taodue? Valsecchi non risponde. «A chi mi chiede quanto guadagna Zalone dico: lo sappiamo in tre: io, Zalone e l'Erario». © RIPRODUZIONE RISERVATA Pietro Valsecchi amministraore delegato di Taodue 50% 95% 5% Antonietta Capobianco MZL TARTARE FILM 50% Filippo Valsecchi I NUMERI DI TAODUE, dati in milioni di euro 25% OFFICINA 5.1 25% Fabio Volpentesta 25% Pietro Morana 25% Giuseppe Saponari RTI 100% Taodue Fatturato Risultato operativo Utile netto 85 30 50 10 47,601 7,947 4,779 75,380 25,874 17,369 2016 (1)(2) 2015 (3) 2014 2013 (4) Pparra (1) Stima; (2) l'anno di «Quo vado?»; (3) pre-consuntivo; (4) l'anno di «Sole a catinelle» ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 12
18/01/2016 diffusione:289003 Pag. 51 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato R2 SPTETTACOLI Se il cinema francese cerca una via d'uscita dalla maledizione In sala e online "Made in France" e "Taj Mahal" "I drammi che abbiamo vissuto non ci fermano" ARIANNA FINOS PARIGI ANDARE al cinema, in Francia, è diventato un atto di resistenza. «Dopo gli attacchi del 13 novembre gli ingressi sono calati solo per due settimane a Parigi. Tornare in sala è stato uno scatto di orgoglio nazionale», sostiene Frédérique Bereyziat, giovane manager di Unifrance, l'agenzia per la promozione delle opere francesi all'estero. Alcuni film, però, in sala non ci sono più arrivati. Eclatante il caso di Made in France di Nicolas Boukhrief, film precursore su un attacco orchestrato da jihadisti delle banlieue parigine sugli Champs Elysées con altre azioni simultanee. In locandina la tour Eiffel sorretta da un kalashnikov. Durante il montaggio c'era stata la strage di Charlie Hebdo. L'uscita era slittata al 18 novembre, poi rinviata al 20 gennaio. Ora regista e produttore hanno deciso che il film si vedrà solo online, su e-cinema, dal 29 gennaio. Anche i distributori di Jane got a gun con Natalie Portman hanno rinviato, mentre è uscito Taj Mahal, film di produzione francese sull'attacco terroristico in India del 2008, ed è arrivata in sala anche la commedia L'Hermine con Fabrice Luchini. Per il direttore esecutivo di Unifrance Isabelle Giordano la situazione drammatica in Francia «è uno stimolo in più per i cineasti, Olivier Assayas è già al lavoro». «Ognuno di noi vuole raccontare quel che accade - dice la regista franco israeliana Shirel Amitay - ma in questo clima, nella paura di urtare le sensibilità altrui, è la libertà di espressione a entrare in crisi. Il mio Rendez-vous at Atlit è stato boicottato in Israele perché considerato troppo pro Palestina, e dalla destra francese perché israeliano». Racconta l'attrice Ariane Ascaride: «Mia figlia ha perduto quattro amici alla terrazza di quel Caffè. Sì, un modo per reagire è tornare a uscire. Ma l'arte e la cultura sono le armi più forti: ho fatto un film come Les Heritiers, storia vera di studenti delle banlieue che attraverso un lavoro sull'Olocausto vincono un premio, scoprono che l'arte può cambiare il rapporto con il mondo. Nelle banlieue da trent'anni vedono i loro genitori privi un ruolo sociale. Diventano una massa senza punti di riferimento, facili prede dei lupi che propongono loro un riconoscimento». IL CASO LOCANDINA Tante le polemiche scatenate dalla prima versione della locandina di "Made in France" (nella foto a destra) ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 13
17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 42 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LA DOMENICA L'incontro. Revenant Alejandro González Iñárritu MARIA PIA FUSCO L'infanzia in Messico, la voglia di viaggiare (a diciassette anni imbarcato per un giro del mondo), di scoprire nuove prospettive dalle quali osservare. E la scelta di farlo attraverso il cinema "ma solo perché con la mia vera passione, la musica, avevo fallito". Il premio Oscar con "Birdman" (e ora con dodici candidature per "Revenant") si racconta in un albergo romano assediato dalle fans per la presenza di Leo DiCaprio: "Quello che voglio veramente fare con il mio lavoro non è documentare la realtà, per quello penso che vada assai meglio la televisione. Quello che cerco io è la nostra metafisica. In altre parole è il mistero e non la verità" ROMA L'INCONTRO È IN UNA SALA di un grande albergo romano, presidiato all'esterno da gruppi di giovani e meno giovani donne con il cellulare in agguato per cogliere un sorriso, un saluto, almeno uno sguardo. No, non di Alejandro González Iñárritudi ma di Leonardo DiCaprio e del suo appeal che soprattutto sul pubblico femminile resiste dai tempi di Titanic - tanto più che quest'anno rischia davvero di portarsela a casa la statuetta come attore protagonista. Revenant - Redivivo, ne ha già collezionate dodici di candidature. E se a vincere fosse anche il regista allora sarebbe un vero evento nella storia del cinema, un bis dopo il trionfo dell'anno scorso con Birdman. E dunque non è con Leonardo DiCaprio ma con Alejandro González Iñárritu che abbiamo un appuntamento. Attacca subito: «Leo è una vera star, ma è anche un grande attore, un professionista. Ha lavorato nelle condizioni più difficili, addosso pesanti costumi di scena, strisciando su terreni ghiacciati, in luoghi bui e inospitali. Pochi attori avrebbero accettato di affrontare prove così difficili. Abbiamo girato per nove mesi nella Colombia britannica, potevamo lavorare un'ora e mezzo al giorno, sia per la luce che per la temperatura proibitiva. Leo non ha mai perso entusiasmo, si è immerso nella natura con tutto se stesso. Trovo geniale che qualcuno da qualche parte abbia scritto "NationaLeoGraphic"».Quanto agli Oscar: «Certo, Leo ed io siamo molto contenti dell'accoglienza e dell'attenzione dell'Academy, ma francamente non abbiamo fatto il film pensando all'Oscar. L'impegno era quello di realizzare qualcosa che emozionasse il pubblico di oggi ma che avesse un valore anche per il futuro». Revenant - Redivivo, si sa, racconta una storia di sopravvivenza, la leggenda di Hugh Glass, un cacciatore di pelli che nel 1823, durante una spedizione nella natura incontaminata alla frontiera tra Stati Uniti e Canada, aggredito da un grizzly, ferito e sanguinante, fu abbandonato, solo e senza risorse. Riuscì a sopravvivere e a percorrere oltre 300 chilometri per raggiungere il compagno che lo aveva tradito e che ne aveva ucciso il figlio adolescente, Hawk, che aveva avuto da una donna indiana. Forse meno conosciuta è la storia dell'uomo che l'ha portato sul grande schermo. Alejandro González Iñárritu è nato a Città del Messico cinquantatré anni fa. Si trasferì negli Usa, a Los Angeles, dopo il successo del suo primo film, Amores perros (2000. Ed è proprio nel personaggio di Hawk che Iñárritu si identifica. «Hawk è un misto di razze e malgrado l'affetto del padre resta comunque un outsider, segnato dal colore della pelle. Anch'io ho la pelle scura, vivo a Los Angeles da quindici anni ormai e sin dall'inizio ho imparato a capire che significhi essere un outsider. Poi, grazie al mio lavoro, ho avuto la fortuna e il privilegio di essere stato accettato e persino premiato. Ma milioni di miei concittadini messicani vengono maltrattati, respinti, a volte brutalizzati. L'ignoranza, la non conoscenza del diverso, genera sempre ostilità e paura. E non a caso sono questi i sentimenti che si avvertono nel film: tra le diverse tribu di indiani, tra gli indiani e gli americani, tra i diversi gruppi di cacciatori». Certo, il film è ambientato nei primi anni dell'Ottocento, quando l'America si stava formando come nazione, «ma è anche un film politico che parla dell'oggi, di un mondo che sta affrontando ovunque il problema ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 14
17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 42 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato dell'emigrazione e dell'arrivo del diverso, e dunque della paura, del nemico. Con questo non voglio dire che tocchi al cinema raccontare la realtà del mondo, documentarla. Personalmente trovo più interessante un cinema che cerchi il mistero della vita, la percezione più che la realtà». Influenze? «Il neorealismo italiano mi ha influenzato molto, ma oggi cerco storie più metafisiche, qualcosa che mi provochi un'emozione inspiegabile, come un quadro, un pezzo di jazz. È più il percorso spirituale dell'essere umano che mi attrae che la verità di una vicenda, ed è questo il modo con cui ho affrontato il personaggio di Hugh Glass». Non a caso per Revenant - Redivivo cita come riferimenti film come Apocalypse Now o Aguirre, autori come Kurosawa e Tarkovski. «Spero che vada in questo senso anche il gusto del pubblico, che è molto cambiato negli ultimi tempi. Basta pensare al cinema italiano, un cinema che faceva il giro del mondo e oggi mi dicono che gli italiani vogliano soprattutto commedie. Eppure avete Nanni Moretti, Sorrentino e Garrone...». Iñárritu non è uno di quegli autori che sognavano il cinema fin da bambino - «anche se mio padre mi portava spesso a vedere i migliori film che uscivano in Messico» - ma ha vissuto avventurose esperienze giovanili. A diciassette anni si imbarcò su una nave, per due anni girò il mondo e non smentisce la circostanza che sia stato costretto a lasciare il Messico da un potente signore, decisamente contrario al fatto che il ragazzo frequentasse assiduamente sua figlia. Al ritorno ha studiato comunicazione. «Ho cominciato a lavorare alla radio, intervistavo rockstar, trasmettevo concerti, ero bravo credo. La mia vera passione comunque era la musica, avevo una band, suonavo la chitarra, avevo un buon orecchio, ma ero un pessimo esecutore: se avessi continuato sarei stato un musicista frustrato. È grazie al fallimento con la musica che sono passato al cinema. Lavorando per la televisione ho scoperto che mi piaceva il clima del set, la collaborazione tra gli attori, la troupe». La decisione di lasciare Città del Messico è stata favorita da una brutta rapina di cui fu vittima. «Oggi penso di aver fatto la cosa giusta, se fossi rimasto in Messico, immerso in una realtà che conoscevo così bene, favorito dalla lingua e dall'ambiente, sono sicuro che la mia creatività si sarebbe esaurita. Non è stato facile abituarmi agli Stati Uniti, avevo i miei pregiudizi, non sopportavo il nazionalismo di certi americani che credono di essere i migliori del mondo. Ci ho messo otto anni ad abituarmi». Difficile trovare un filo conduttore nei suo film. In 21 grammi racconta il peso dell'anima - «No, non sono un credente ma credo nella spiritualità che ogni essere umano può trovare» - mentre in Babel si intrecciano quattro diverse storie girate in quattro paesi diversi: «Mi aiutato l'esperienza giovanile dei miei giri del mondo, la memoria di società e culture diverso. Ma l'unico filo conduttore forse è la libertà che pretendo in ogni mio film: sono sempre padrone dei miei progetti, non voglio interferenze degli Studios, dal primo all'ultimo film il final cut è il mio. Mi assumo tutte le responsabilità, anche dei miei errori naturalmente, non posso dare colpe a nessuno». I prossimi impegni di Inarritu «mi riguardano come padre. Ho due figli adolescenti. È vero che spesso li porto con me, siamo come un circo viaggiante. Ma negli ultimi tempi li ho trascurati, devo rifarmi». Foto: HO COMINCIATO ALLA RADIO, INTERVISTAVO ROCKSTAR E TRASMETTEVO CONCERTI. AVEVO ANCHE UNA BAND MA ERO UN PESSIMO ESECUTORE SAREI STATO UN MUSICISTA FRUSTRATO Foto: I GUSTI DEL PUBBLICO CAMBIANO. MI DICONO CHE GLI ITALIANI AMINO SOPRATTUTTO LE COMMEDIE. EPPURE AVETE AVUTO IL NEOREALISMO. E AVETE AUTORI COME MORETTI, GARRONE, SORRENTINO Foto: MI MANCA IL MIO PAESE, LA PARTE CHE È RIMASTA LÌ. MI MANCA LA GENTE, LA CORDIALITÀ E LA SEMPLICITÀ LATINA, CON LA DISPONIBILITÀ AL SORRISO L'ASSENZA DELLA COMPETITIVITÀ CHE INVECE IN AMERICA TI INCULCANO FIN DALLA SCUOLA ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 15
18/01/2016 diffusione:189394 Pag. 28 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Colloquio "Il cinema sudamericano ora non ha più paura" Esce "Ti guardo", il film Leone d'oro di Lorenzo Vigas "Finalmente possiamo trattare temi tabù per i regimi" FULVIA CAPRARA Quando, dalla Mostra di Venezia, lo hanno chiamato dicendogli soltanto che doveva essere presente alla cerimonia di premiazione, Lorenzo Vigas, figlio dell'artista Oswaldo, nato a Merida, in Venezuela nel 1967, ha capito che per il suo straordinario film d'esordio Ti guardo doveva esserci un riconoscimento. Non immaginava si trattasse del Leone d'oro, e neanche che il secondo premio (Leone d'argento) andasse a un altro autore sudamericano, Pablo Trapero, argentino, regista del Clan, storia vera della famiglia Puccio, potente organizzazione criminale della provincia di Buenos Aires che negli Anni 80 gestiva il traffico legato ai rapimenti. Alla sceneggiatura di Ti guardo (dal 21 nelle sale), ha lavorato lo scrittore e regista messicano Guillermo Arriaga, classe 1958, lo stesso che ha affiancato Alejandro Gonzalez Inarritu nei suoi primi successi (Amores Perros, 21 grammi, Babel) e che, nel 2008, ha debuttato dietro la macchina da presa con The Burning Plain. Latini anche nei rapporti, grandi amicizie e clamorose separazioni, il Leone d'oro Vigas, il pluricandidato alla statuetta 2016 Inarritu (che farebbe il bis dopo Birdman), il trionfatore degli Oscar 2014 Alfonso Cuaron (con Gravity), il Gran Premio della Giuria dell'ultima Berlinale Pablo Larrain, autore cileno di El Club, sono le punte di diamante di una cinematografia in stato di grazia, ricca di fermenti e promesse: «La nuova ondata - dice Vigas - è iniziata già da un po', e ora se ne stanno raccogliendo i frutti. I modi di raccontare sono diversi, come le forme e i linguaggi, ma la sostanza è uguale, e sta nella necessità di esprimersi in totale libertà, senza timore di dire quello che si ha voglia di dire». La ragione è storica e politica: «Nel mio Paese, oggi, vengono girati film su temi importanti, di cui finora non si era parlato. La paura dominava tutto, io stesso sono cresciuto in quel clima, ma è anche vero che, se non hai sperimentato la paura, non puoi imparare ad essere veramente coraggioso». Metafora di un Paese Al centro di Ti guardo c'è un nodo irrisolto di rapporti genitoriali, da una parte un uomo adulto, Armando (Alfredo Castro), traumatizzato dalle violenze di un padre indegno, dall'altra un ragazzo, Elder (Luis Silva), che il padre non l'ha mai conosciuto: «I legami tra i due si rafforzano proprio per la comune mancanza di punti di riferimento». In questo vuoto incolmabile, oltre lo sviluppo drammatico della vicenda, c'è chi ha letto la metafora di un Paese a lungo affascinato dalla figura del presidente Hugo Chavez, scomparso quasi tre anni fa: «Abbiamo sempre bisogno di personaggi maschili che ci guidino, è la nostalgia del "caudillo", ma anche il trionfo del machismo, in un contesto sociale che, in realtà, è basato sul più potente dei matriarcati». Nel film Armando è un omosessuale malinconico e solitario incapace di stabilire relazioni con gli altri, abituato ad adescare ragazzini nei bassifondi di Caracas. Se li porta a casa, li fa spogliare, non li tocca, li paga e poi li manda via. Con Elder, che è puro, violento e disperato come certi ragazzi di vita pasoliniani, l'equilibrio entra in crisi e niente potrà più essere come prima: «In Venezuela il film esce in aprile e prevedo molte polemiche perché da noi, come in tanti altri Paesi latini, l'omosessualità è ancora un tabù. Ma va benissimo, è giusto che la gente si confronti e discuta». Lorenzo Vigas, che nel frattempo è diventato padre, sta preparando il suo nuovo film The Box, capitolo conclusivo (dopo Los elefantes nunca olvidan e Ti guardo) della trilogia dedicata a paternità e maternità: «Ho lavorato per due anni alla sceneggiatura, adesso sto mettendo in piedi la squadra dei finanziatori, inizierò a girare in settembre, in Messico, perchè ho amici messicani, ma soprattutto perchè lì ci sono tante fosse comuni, un elemento importante della mia storia». c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Registi sul podio El Club El Clan ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 16
18/01/2016 diffusione:189394 Pag. 28 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Ultimo film del cileno Pablo Larraín, vincitore dell'Orso d'argento 2015 A Venezia, il film dell'argentino Pablo Trapero si è aggiudicato il Leone d'argento Mi interessa il tema del padre: è la figura che ci guida nella vita, da noi è anche nostalgia del "caudillo" Lorenzo Vigas Regista, 49 anni, Leone d'oro da esordiente Autore da Oscar L'anno scorso ha vinto l'Oscar con «Birdman», quest'anno «Revenant» è candidato per ben 12 Statuette: il cinema del messicano Alejandro González Iñárritu colleziona i massimi premi Nodi irrisolti È una storia di amore e di solitudine a Caracas quella di «Ti guardo» («Desde allà»), il film di Lorenzo Vigas Nella foto, i due attori principali, Alfredo Castro e Luis Silva in una scena Il film esce nelle sale italiane il 21 gennaio ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 17
18/01/2016 diffusione:135752 Pag. 20 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LA SAGA Rocky torna sul ring ma solo grazie a YouTube NEL SETTIMO EPISODIO SLY ALLENA IL FIGLIO DI APOLLO CREED NE VIENE FUORI UN MATCH DI VITA MOLTO COMMOVENTE Francesco Alò Il settimo Rocky non vede più Sylvester Stallone dentro il ring. Il personaggio del pugile di Philadelphia creato dall'attore e sceneggiatore italo americano nel lontano 1975, dopo aver visto l'incontro di boxe tra il leggiadro Muhammad Alì e lo sgraziato incassatore bianco Chuck Wepner, è con Rambo la maschera più celebre indossata da Mr. Stallone. Eppure, per la settima fatica (lontana 10 anni dal sesto Rocky Balboa ), Stallone ha deciso di farsi da parte, anche come sceneggiatore, fidandosi di una generazione di ragazzini cresciuti vedendo e rivedendo i suoi film di boxe e redenzione. Ecco nascere allora l'inaspettato Creed - Nato per combattere , pellicola affidata nel ruolo da protagonista a un ventinovenne. E' l'attore nero Michael B. Jordan (già visto in Chronicle e Fantastic 4 ) qui nei panni di Adonis Johnson Creed, figlio di quell'Apollo mitico ex rivale di Balboa poi grande amico fin dal primo Rocky, vincitore di Miglior Film, Regia e Montaggio agli Oscar del 1976. Adonis è cresciuto senza padre (Apollo muore nel 1985 in Rocky IV per mano del russo Ivan Drago) ed ha bisogno di un allenatore. Incontrerà un vecchio Balboa che scarica i barattoli di pomodori fuori del suo ristorante in una gelida Philadelphia. Adonis viene da Los Angeles e non ha radici. Rocky parla da solo al cimitero con le lapidi della moglie Adriana (l'urlo del suo nome alla fine del primo Rocky è una delle battute più ricordate della Storia del Cinema) e del cognato Paulie. Chiaro che i due dovranno fare squadra e chiaro che arriveranno incomprensioni e litigi. Rocky cercherà di allenare la mente del giovane Adonis insegnandogli ad essere il pugile di una comunità (come è sempre stato l'uomo del popolo Balboa), mentre Adonis dovrà prendersi cura del vecchio mentore e dei suoi acciacchi senili. Forse all' orizzonte si stagliano due match decisivi per i due. Uno per la vita, l'altro per il titolo di campione. Poteva essere una mera operazione di marketing ma in realtà il regista appena trentenne Ryan Coogler ha dimostrato di poter modellare un nuovo capitolo di Rocky per le generazioni dei nati a fine anni '80 come lui e il protagonista Jordan. Gli incontri storici Balboa-Creed di Rocky e Rocky II ? Adonis li studia su YouTube (idea geniale). Le scalinate della corsa di fine allenamento, la palestra di Mickey (il primo allenatore di Balboa interpretato dal veterano Burgess Meredith) e la statua di bronzo del campione con le braccia alzate? Tutte location storiche di Philadelphia che Coogler integra dentro un film che è insieme omaggio al passato e nuovo vibrante inizio. Incassi stellari, eserciti di maschi in lacrime (padri e figli potrebbero uscire dalle sale abbracciati e singhiozzanti) e nuovo successo per l'ormai settantenne Stallone, vincitore del Golden Globe e strafavorito per Miglior Attore Non Protagonista agli Oscar del 28 febbraio. Pareva un incontro truccato. In realtà questo settimo film della saga è un match di boxe e vita realmente commovente. Creed DRAMMATICO USA, 133' di Ryan Coogler, con Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson, Phylicia Rashad, Andre Ward, Tony Bellew ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 18
18/01/2016 diffusione:298071 Pag. 39 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Lezione di cinema con Castellitto «Zalone? Mi fa ridere chi lo elogia» «È un grande comico, non il sociologo d'Italia. La sinistra sale sul carro del vincitore» Valerio Cappelli «Col passare del tempo, mi diverte sempre di più far recitare gli altri». Sergio Castellitto, il regista. Sta scrivendo il suo nuovo film, senza titolo ma la storia c'è tutta, e la protagonista sarà Jasmine Trinca. Di cosa si tratta? «È un film sull'ossessione del nostro tempo: il denaro a tutti i costi come unica possibilità per raggiungere questa cosa che si chiama felicità. Il denaro non è più una conseguenza del lavoro o del sacrificio ma di un colpo di fortuna, o di furbizia. Mi colpisce la patologia del gioco d'azzardo. È la storia di una donna di 35 anni che sta cercando di costruirsi un'attività commerciale e raggiungere l'indipendenza economica, per affrancarsi dallo strisciante stalking del marito, da cui è separata. Una specie di Ken Loach ambientato a Centocelle. Il soggetto è di mia moglie, Margaret Mazzantini. Il cinema si scrive quasi sempre con qualcun altro, ci è parso naturale. Ci diciamo tutto, anche se una cosa non ci piace, la franchezza è una forma d'amore». Lei ha detto che a un certo punto bisogna smettere di fare l'attore, e che se lo fai bene dopo un po' lo disprezzi. «Sono contento del mio psicoterapeuta, In Treatment su Sky. Io? Mai fatta analisi: mi confesso in pubblico da 35 anni. Quanto all'intolleranza, sono sempre irritato quando i miei colleghi dicono di fare questo mestiere per comunicare. Lo si fa per una intenzione nevrotica. Un modo per voler essere accettati, perché il mondo si accorga di te. Ma resto attore, sul set quando dirigo mi accorgo di fare gli stessi movimenti di chi recita. La più bella definizione resta quella di Artaud: l'attore è un atleta dell'anima». È difficile mantenere negli anni l'adrenalina del set? «Ogni mestiere incontra lo stereotipo di se stesso, non si continua a fare delle cose ma a ri-fare. Ho cominciato come regista perché come attore avevo perso la spinta studentesca, non sentivo più il panico, che ho visto fino all'ultimo in Mastroianni, infatti era unico. Il panico non è paura: è benzina, è energia. Come attore ho recitato in 70 film, tra cinema e tv. Mi diverte l'idea di partecipare a opere prime, di mescolare esperienza e inesperienza. Con Alba Rohrwacher farò Skin di Mauro Mancini, una storia forte, sul razzismo». Il 25 terrà una master class al cinema Savoy di Roma, per il ciclo moderato da Mario Sesti, in cui ripercorrerà la sua carriera. «Ricordo L'uomo delle stelle di Tornatore, la scena in cui il mio personaggio, il ciarlatano che invita a fare provini, viene picchiato, mio figlio Pietro si avventò sulla tv per difendermi... In quell'incontro, che apre un ciclo con Matteo Garrone, Radu Mihaileanu, Rocco Papaleo, Franco Battiato, mostro anche le clip dei film che mi hanno influenzato, Orizzonti di gloria di Kubrick, La grande guerra di Monicelli». Lei è un attore... «Un attore cerniera. Ho lavorato con i miei coetanei, Tornatore, Archibugi. Con i maestri, Ferreri, Monicelli, Scola. Poi con Bellocchio e Amelio, fratelli maggiori. Mi sono formato negli Anni 90, quando il nuovo cinema faticava. Non sono un intellettuale, ma un artigiano che crede che il cinema sia un gesto poetico che costa tanti soldi». Che idea si è fatto dell'incasso di Checco Zalone? «Non so quanto c'entri il cinema. Mi sembra un evento rave, quando tutti si riuniscono sul campo. Premesso che mi fa molto ridere, e che di fronte al successo bisogna inchinarsi e domandarsi perché, mi fa altrettanto ridere la sinistra che dopo anni di snobismo sale sul carro del vincitore, eleggendo Zalone a sociologo d'Italia, quando è solo un grande comico che è riuscito a prendere il pubblico dei cinepanettoni e ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 19
18/01/2016 diffusione:298071 Pag. 39 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato quelli che non li andavano a vedere, che era la sinistra. Non penso che il suo successo farà bene al cinema italiano, ma è meglio dei film assistiti che hanno dissipato milioni di euro disprezzando l'idea di cinema che riportasse a casa il proprio denaro. Però il cinema è un'altra cosa, la società me la spiega meglio Irrational Man di Woody Allen». È la vigilia della Berlinale. Fare il giurato ai festival, che tipo di esperienza è? «L'ho fatto a Montreal, a Marrakech, a Roma come presidente di giuria. Non leggevo mai le critiche, col senno di poi mi accorgevo che i nostri commenti erano quasi all'opposto dei critici, e simili a quelli del pubblico. Sono stato giurato a Cannes, presidente era Sean Penn, l'anno in cui vinsero Gomorra e Il divo . Gli altri giurati mi chiamavano per gioco il mafioso. Si creano tensioni. Il nazionalismo nelle giurie in un modo o nell'altro è qualcosa che scatta». © RIPRODUZIONE RISERVATA Record Checco Zalone con «Quo vado» diretto da Nunziante ha incassato oltre 55 milioni di euro: il suo è il film italiano più visto di sempre I festival Nelle giurie scatta il nazionalismo A Cannes i colleghi mi chiamavano «mafioso» Regista Mi diverte sempre di più far recitare gli altri Sto scrivendo un film sull'ossessione dei soldi Foto: In posa Sergio Castellitto è nato a Roma, il 18 agosto 1953. Qui l'attore-regista è in posa davanti al poster di «In Treatment», la serie Sky incentrata su uno psicoterapeu-ta e le sue settimanali sedute con i suoi pazienti ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 20
17/01/2016 Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016 Corriere della Sera - La Lettura La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Orizzonti Antropologia Metafore La fiaba di Saint-Exupéry, adesso trasposta in un film, contiene una forte critica dell'utilitarismo dominante E indica un'alternativa: il rilancio della creatività e dei legami sociali, la capacità di porre un limite ai desideri individuali La rivoluzione del piccolo principe adriano favole Viviamo tempi in cui appare difficile capire le dinamiche della politica e dell'economia, che pure intrecciano quotidianamente le nostre esistenze. In queste situazioni, il linguaggio scientifico e analitico arranca e segna il passo e il parlare per metafore della favola si rivela a volte più adeguato. Sono rimasto piacevolmente colpito dalla versione cinematografica realizzata da Mark Osborne de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, un libro che rileggo periodicamente da molti anni. Il libro e il film sono ovviamente due prodotti diversi, ma trovo che quest'ultimo abbia saputo calare nella contemporaneità i profondi messaggi antropologici del testo, amplificandoli senza troppo mortificarli. Il piccolo principe è prima di tutto un'incisiva critica all'utilitarismo che informa oggi le nostre vite, ben al di là dell'economia. Non a caso, settant'anni dopo la pubblicazione del libro, l'«uomo d'affari» a cui il piccolo principe diceva: «Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle!» - ha in realtà conquistato l'intero mondo. Le stelle, imprigionate, ora producono energia per il suo pianeta terra. Elevata (nel film) a principio unico di quella che è ormai una non-società tutta centrata sull'individuo, la ricerca dell'interesse diventa hybris incontrollata, desiderio irrefrenabile di ricchezza, potere, devozione e riconoscimento. È come se si fosse realizzata una sintesi diabolica dei diversi personaggi incontrati dal piccolo principe nel suo pellegrinaggio etnografico tra i pianeti: il «re», per il quale «il mondo è molto semplice. Tutti gli uomini sono dei sudditi»; il «vanitoso» dal buffo cappello; lo stesso «uomo d'affari». Utilitarismo e desideri sfrenati producono solitudine. Il piccolo principe è una favola poetica sulla solitudine: è solo il protagonista del libro nel suo pianeta; è straordinariamente sola la protagonista del film nel «progetto di vita» che le ha costruito attorno la madre; sono soli gli abitanti dei pianeti e degli asteroidi; solo l'aviatore nel deserto e nella sua bizzarra casa; sola la volpe, almeno fino all'incontro con il bambino dell'asteroide B 612; sola la rosa nella campana di vetro. Da lettore antropologo, l'aspetto che mi ha sempre colpito di questa grandiosa metafora dei nostri tempi è che non soltanto è incisiva nella capacità di «svelarne» gli aspetti più profondi, ma al tempo stesso nell'indicare delle possibilità alternative. Si tratta in primo luogo di praticare l'ascolto, di disporsi a comprendere l'Altro anche quando appare bizzarro, buffo come l'uomo del lampione («Però è meno assurdo del re, del vanitoso, dell'uomo d'affari e dell'ubriacone. Almeno il suo lavoro ha un senso») e persino arrogante. Il relativismo culturale del piccolo principe è ben lontano dall'accettazione incondizionata di qualunque modello di umanità, ma è fondato sull'attitudine alla comprensione e al riconoscimento della dignità e del senso, quale pre-condizione per attuare un dialogo e agire sulla realtà per trasformarla. Soltanto sforzandosi di capire il pensiero degli altri (la bizzarra richiesta di una pecora per ripulire dai germogli di baobab un asteroide grande poco più di una casa...) si pongono le condizioni per creare legami. La fiducia nell'interdipendenza percorre la favola (nella scatola con i tre fori c'è la pecora). Come si esce dalla non-società individualista, dalla «scuola dell'essenziale», metafora dell'utilitarismo che priva la vita di ogni colore e sfumatura poetica? In primo luogo rimettendo al centro i «legami». L'episodio della volpe è la chiave di volta della favola di Saint-Exupéry. «Che cosa cerchi?», chiede la volpe. «Cerco gli uomini, disse il piccolo principe». «Che cosa vuol dire addomesticare?», chiede quest'ultimo. «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"... Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo». I legami sono quelli tra gli esseri viventi come gli uomini, gli animali, le piante certo, ma anche quelli con gli oggetti. La casa dell'aviatore (nel film) è un trionfo di oggetti d'affetto che rimandano a ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 21
17/01/2016 Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016 Corriere della Sera - La Lettura La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato storie di vita e a incontri, è il caos della vita che si oppone al freddo raggelante delle case di solitudine tutte uguali in cui vivono gli abitanti della città. Creatività, fantasia, visione prospettica sono gli altri ingredienti per uscire dalla non-società in cui siamo precipitati. Il piccolo principe è anche una favola tutta protesa verso la morte o meglio verso la mortalità. È in fondo il vivere-per-la-morte di cui hanno parlato molti filosofi, l'accettazione e consapevolezza del limite che scardina la hybris del possesso e del potere ed esalta le relazioni e la creatività. Le favole ci salveranno dal mostro che imprigiona le stelle? Alain Caillé, fondatore e animatore del movimento convivialista e antiutilitarista, ne è convinto e infatti ha affidato a un racconto (più volte rappresentato anche a teatro), ispirato al De trinitate di Sant'Agostino, la conclusione del suo ultimo libro Le convivialisme en dix questions (Le Bord de l'Eau, 2015). Una novella «utopica e convivialista» che racconta come gli uomini, dopo aver sfiorato l'annientamento ecologico e sociale, nel 2030 trovano un accordo per limitare, senza negarli, i desideri di ricchezza, potere, riconoscimento ideologico, religioso ed etnico. Abbandonato il sogno di una crescita illimitata e messi da parte i desideri sfrenati che creavano diseguaglianze, il mondo diviene un luogo di pace e benessere condiviso. Utopie «da bambini»? Forse, eppure è curioso notare che il pensiero economico deve molto a un'altra favola che si colloca, per così dire, all'origine dell'utilitarismo moderno e delle sue (i)perversioni contemporanee: La favola delle api , scritta a più riprese da Bernard de Mandeville all'inizio del Settecento. In un alveare ricco e prospero, in cui crescevano parallelamente la ricchezza e l'ingiustizia sociale che produceva pochi ricchi e molti lavoratori affaticati; in un alveare in cui dominavano il vizio, il lusso, la corruzione e lo spreco, Giove - impietosito dalle richieste del popolo - decise di diffondere l'onestà e la giustizia. Avvenne così una profonda trasformazione: crollarono i prezzi delle merci, i furfanti furono smascherati, i politici corrotti vennero cacciati, tutti ora vivevano contenti di poche cose. E tuttavia l'alveare, attaccato dai nemici e indebolito dalla «decrescita», si contrasse rapidamente fino a divenire piccola cosa, una manciata di api che se ne andarono a vivere nel cavo di un albero. La riscoperta dei legami sociali, la consapevolezza della finitudine, i piccoli prìncipi e i desideri contenuti del convivialismo ci precipiteranno nel cavo di un albero? Personalmente non ne sono affatto convinto. Riprendiamoci per intanto le rose, le volpi e le relazioni sociali. © RIPRODUZIONE RISERVATA i La pellicola Dal libro di Antoine de Saint-Exupéry Il piccolo principe è tratto l'omonimo film d'animazione, diretto dal regista Mark Osborne e distribuito nelle sale italiane dal 1° gennaio. Aviatore e scrittore, Saint-Exupéry (1900-1944) nel 1943 pubblicò negli Stati Uniti Il piccolo principe , un bestseller oggi tradotto in 250 lingue Il racconto S'intitola Conte sur la possibilité d'un désir convivial («Racconto sulla possibilità di un desiderio conviviale») lo scritto in cui il sociologo Alain Caillé immagina l'avvento di un modello basato non sul profitto, ma sulla condivisione. Il testo conclude il recente libro di Caillé Le convivialisme en dix questions («Il convivialismo in dieci domande»), edito da Le Bord de l'eau Il tema Adriano Favole ha trattato alcuni aspetti della visione convivialista in un articolo su «la Lettura» #214 intitolato La non-società Il messaggio Al centro del racconto l'attitudine a comprendere l'altro quale condizione per attuare un dialogo, agire sulla realtà e trasformarla La concezione opposta Nella «Favola delle api» di Mandeville si teorizza invece che l'egoismo dei singoli sia fonte di felicità e benessere per l'alveare ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 22
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