Rassegna stampa 18 gennaio 2016 - Anica

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Rassegna stampa 18 gennaio 2016 - Anica
Rassegna stampa
   18 gennaio 2016

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INDICE

ANICA - ANICA CITAZIONI
   18/01/2016 BorsaItaliana.it 07:30                                        7
   Economia e finanza: gli avvenimenti della settimana -3-

ANICA - CINEMA
   17/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale                               9
   «Una natura crudele sul set L'Oscar? È nelle mani di Dio»

   18/01/2016 Corriere Economia                                             11
   Valsecchi: «Zalone pronto per andare all'estero»

   18/01/2016 La Repubblica - Nazionale                                     13
   Se il cinema francese cerca una via d'uscita dalla maledizione

   17/01/2016 La Repubblica - Nazionale                                     14
   Alejandro González Iñárritu

   18/01/2016 La Stampa - Nazionale                                         16
   "Il cinema sudamericano ora non ha più paura"

   18/01/2016 Il Messaggero - Nazionale                                     18
   Rocky torna sul ring ma solo grazie a YouTube

   18/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale                               19
   Lezione di cinema con Castellitto «Zalone? Mi fa ridere chi lo elogia»

   17/01/2016 Corriere della Sera - La Lettura                              21
   La rivoluzione del piccolo principe

   17/01/2016 La Repubblica - Nazionale                                     24
   Da Al Capone a Chapo Guzmán quando al boss piace la fiction

   17/01/2016 La Stampa - Nazionale                                         28
   "L'Oscar? Per me conta di più l'ambiente"

   17/01/2016 La Stampa - Nazionale                                         30
   "The Danish girl" bandito in Qatar Nudo e transgender restano un tabù

   17/01/2016 La Stampa - Torino                                            31
   FilmLab sogni da Oscar con i soldi dell'Europa
16/01/2016 La Stampa - Nazionale                                                 32
C'era una volta E ora c'è di nuovo il West

17/01/2016 Il Messaggero - Roma                                                  34
L'addio ad "Accattone" tra ricordi e polemiche ma il cinema non c'è

17/01/2016 Il Messaggero - Nazionale                                             35
Di Caprio a Roma lancia la corsa all'Oscar: «I premi sono solo un bonus»

17/01/2016 Il Messaggero - Nazionale                                             37
«È tutto vero, pochi gli effetti speciali»

16/01/2016 Il Messaggero - Nazionale                                             38
Diario di due solitudini

16/01/2016 Il Messaggero - Nazionale                                             39
«Grande Citti il suo volto era storia»

17/01/2016 Avvenire - Nazionale                                                  41
STEVE JOBS I tormenti di un mito

18/01/2016 Libero - Nazionale                                                    43
«Rifiutai il posto fisso. Così nacque Lino Banfi»

17/01/2016 Il Fatto Quotidiano                                                   46
Oscar, il Titanic di Leo

17/01/2016 Il Fatto Quotidiano                                                   48
Il divo va a caccia di Oscar (e intanto fa impazzire i fan)

16/01/2016 Il Fatto Quotidiano                                                   50
Evviva Checco Zalone, ma per favore niente paragoni con Alberto Sordi

18/01/2016 L'Unità - Nazionale                                                   51
Verdone e Albanese raccontano da Fazio la loro commedia degli equivoci,
"L'abbiamo fatta grossa"

17/01/2016 L'Unità - Nazionale                                                   53
Ciao amico nostro Accattone, quanto ci mancherai

16/01/2016 L'Unità - Nazionale                                                   54
Radar: Valsecchi e Nesbitt di TaoDue raccontano in che modo si produce un film
da record come "Quo Vado?"

16/01/2016 Il Manifesto - Nazionale                                              56
Ritratto emotivo di Caracas , da Leone d'oro

17/01/2016 Il Tempo - Nazionale                                                  58
«Ozpetek mi ha copiato» Il regista in tribunale
17/01/2016 Il Tempo - Nazionale                                             59
   DiCaprio: «Ecco il nostro neorealismo»

   17/01/2016 Corriere delle Alpi - Nazionale                                  60
   Nelle sale il primo film per non vedenti

   17/01/2016 Il Centro - Nazionale                                            61
   Rocky diventa saggio ma rimane sempre "nato per combattere"

   17/01/2016 Il Tirreno - Nazionale                                           63
   Batman sfida Superman e gli alieni rinascono per l'Independence Day

   16/01/2016 Pagina99                                                         65
   il Qatar si prende la fabbrica dei film

   16/01/2016 Pagina99                                                         67
   la saga è un business che va da qui all'eternità

   16/01/2016 Pagina99                                                         69
   horror Tarantino altro che magnifici sette

ANICA - TELEVISIONE
   17/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale                                  72
   Malinconico e disilluso, Coliandro torna e riconquista i fan

   16/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale                                  73
   «Mr. Robot», la serie tv dell'anno che attacca i guru dell'informatica

   18/01/2016 La Repubblica - Nazionale                                        75
   Nella bottega del nuovo immaginario

   16/01/2016 Avvenire - Nazionale                                             78
   DON MATTEO Detective dell'anima

   16/01/2016 Il Giornale - Nazionale                                          80
   Superfilm al lunedì su Canale 5

   17/01/2016 Libero - Nazionale                                               81
   RITORNO AL PASSATO Da «Shannara» a «Beowulf» passando per «Narnia», la tv
   saccheggia il fantasy. Preparate spade e mantelli

ANICA WEB - ANICA WEB
   17/01/2016 www.repubblica.it 19:25                                          83
   Cinema, l'omaggio di Hollywood a Mario Martone
15/01/2016 www.ilfoglio.it 01:00                                                       84
Il soft power cinese è sbarcato a Hollywood per arrivare allo status di "economia di
mercato"
ANICA - ANICA CITAZIONI

1 articolo
18/01/2016 07:30
Sito Web                                             BorsaItaliana.it

                                                                                                                       La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
  Notizie Radiocor - Finanza
  Economia e finanza: gli avvenimenti della settimana -3-

  MARTEDI' 19 gennaio ------------------- ECONOMIA - Verona: conferenza stampa di presentazione 'Motor
  Bike Expo 2016', fiera dedicata a moto speciali, custom ed accessori. Ore 12,00. PalaExpo, viale del
  Lavoro, 8 - Bologna: incontro di Nomisma e UniCredit in occasione della presentazione del libro di Franco
  Mosconi 'La nuova politica industriale tra Unione Europea, Stati-Nazione, Regioni'. Ore 17,30. UniCredit,
  via Zamboni, 20 - Roma: Missione esplorativa del Comitato economico e sociale europeo - Roma:
  conferenza stampa Anem, Associazione Nazionale Esercenti Multiplex, Anica, Cinetel e Direzione
  Generale Cinema sui dati del mercato cinematografico 2015. Ore 12,00. Partecipano, tra gli altri, Riccardo
  Tozzi, Presidente Anica; Michele Napoli, Presidente Cinetel; Luigi Cuciniello, Presidente Anec; Carlo
  Bernaschi, Presidente Anem. Presso Agis, Via di Villa Patrizi, 10. - Roma: In occasione del 25 anniversario
  della legge Antitrust, Lectio Magistralis di Giuliano Amato, Giudice Costituzionale. Ore 16,00. Partecipa, tra
  gli altri, Giovanni Pitruzzella, Presidente dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato. Presso
  Auditorium dell'Autorita' Garante, via Monteverdi n.35. - Londra: conferenza stampa di presentazione del
  World Economic Outlook. Ore 10,00. Bank of England. - Davos: incontro stampa e Webcast
  PricewaterhouseCoopers International per la presentazione dei risultati annuali. Ore 18,45. Partecipa, tra
  gli altri, Dennis Nally, Chairman of PricewaterhouseCoopers International. - Strasburgo: il presidente della
  Commissione Ue, Jean Claude Juncker partecipa all'audizione su strategia Ue. Ore 9,00. red (RADIOCOR)
  18-01-16 07:55:46 (0025)PA 5 NNNN

ANICA - ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016                                                  7
ANICA - CINEMA

35 articoli
17/01/2016                                                                                           diffusione:298071
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                                                                                                                          La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 Il divo
 «Una natura crudele sul set L'Oscar? È nelle mani di Dio»
 DiCaprio: dopo «Revenant» farò un documentario sul clima
 Valerio Cappelli

 ROMA «La conquista della natura, la capacità di sopravvivenza... È il film più difficile che abbia mai fatto»,
 dice Leonardo DiCaprio che sente profumo di Oscar. Ma un'impresa è anche riuscire a parlarci. A parte il
 metal detector, è come prendere l'aereo: check in all'hotel 45 minuti prima dell'incontro, poi bisogna
 mettersi in fila superando il muro del popolo dell'autografo e quello delle guardie del corpo. Infine appare
 l'attore, sereno, sorridente, bravissimo a parlare di quello che vuole lui (l'ambiente), tema che rimbalza dal
 suo nuovo titanico progetto, centrato sul cacciatore di pellicce Hugh Glass aggredito da un orso che,
 abbandonato dai compagni, perde il figlio e vuole vendicarsi di chi lo ha tradito (Tom Hardy).
 Alla quinta nomination personale, l'Oscar per Revenant-Redivivo (nelle sale da ieri in 500 copie per la Fox)
 non dovrebbe sfuggirgli. Il regista è Alejandro González Iñárritu, reduce dalle quattro statuette del 2015 per
 Birdman : ora le candidature sono dodici («Non mi hanno ispirato i cowboy ma Kurosawa, Coppola... Penso
 a Dersu Uzula e Apocalypse Now »).
 Come migliore attore il favorito è DiCaprio, lui lo sa e non può nascondersi, ma l'argomento, naturalmente,
 lo sfiora soltanto: «Mentre giravo questo film, non pensavo che avrei potuto vincere l'Oscar. È una cosa
 fuori dal mio controllo. E non è un riconoscimento a motivarmi. Volevo fare un'opera d'arte che resti nel
 tempo. Siamo sorpresi, contenti e compiaciuti per come è stato accolto, la gente e i colleghi hanno
 apprezzato lo sforzo e una certa spiritualità... È un capitolo della mia vita. Gli ho dedicato un anno intero».
 Più tardi a Tv2000, l'emittente di una società che fa capo alla Conferenza Episcopale Italiana, dirà: «Se per
 l'Oscar è la volta buona? È nelle mani di qualcun altro, magari nelle mani di Dio».
 Hanno girato nel gelo, in condizioni proibitive. Storia di silenzi e pochi dialoghi in una terra di nessuno quasi
 priva di leggi. «Non è un film ma un viaggio epico nella vita di un esploratore prima dell'epopea del West,
 un periodo storico quasi inesplorato al cinema e in letteratura. La vita di Glass è stata tramandata per
 generazioni intorno al focolare domestico. Semmai è un film di fantascienza. Spero che possa aiutare
 Hollywood a capire che questo tipo di cinema coraggioso si può fare».
 Tutti vogliono sapere i dettagli della lunga, crudissima scena dell'attacco che il protagonista subisce
 dall'orso. Iñárritu dice e non dice: «Ho usato laddove era possibile elementi veri e naturali, mi piaceva
 esaltare l'aspetto fisico. Allo stesso tempo ho utilizzato la tecnologia in modo intelligente e sottile.
 Qualunque trucco è presente. È stata una esperienza unica». E DiCaprio spiega perché: «Siamo entrati in
 quel mondo primordiale con stile neorealista, è una sorta di docu-drama. Il paesaggio grandioso e bello, la
 crudeltà della natura e i sentimenti più profondi e intimi si compenetrano al mio respiro che appanna
 l'obiettivo e al sangue che lo sporca. Lo spettatore ha la sensazione di essere una mosca che gira intorno
 alla scena».
 Si scivola su ciò che più sta a cuore all'attore, il clima, tema accarezzato dal film: «C'è l'avidità dell'uomo
 che saccheggia l'ambiente naturale, lo sfruttamento delle risorse prima che si scatenasse la febbre dell'oro.
 Non riusciamo a imparare le lezioni della Storia. Ci siamo resi conto di come cambia il paesaggio con solo
 pochi gradi di differenza. Sto producendo un documentario sui cambiamenti climatici, ed è l'unico progetto
 che ho».
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Mentre giravo questo film non pensavo che avrei potuto vincere È una cosa fuori dal mio controllo
 Il successo di questa storia estrema può far capire a Hollywood che deve puntare su un certo cinema
 coraggioso

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016                                                             9
17/01/2016                                                                                  diffusione:298071
Pag. 35                                                                                        tiratura:412069

                                                                                                                 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 Ho voluto realizzare un'opera d'arte Assieme al regista sono entrato in un mondo primordiale con stile
 neorealista
 Le nomination precedenti
 Foto: Prima nomination per il film di Hallström
 Foto: La seconda volta grazie a Scorsese
 Foto: Il terzo tentativo con la pellicola di Zwick
 Foto: Quarta candidatura ancora con Scorsese
 Foto: Leonardo DiCaprio, 41 anni. Grazie a «Revenant» è arrivato alla sua quinta nomination personale
 all'Oscar

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016                                                   10
18/01/2016
Pag. 1 N.2 - 18 gennaio 2016

                                                                                                                        La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
  Film & Affari
  Valsecchi: «Zalone pronto per andare all'estero»
  m. silvia sacchi e stefania ulivi

  A pagina 11
  Che Quo vado? sarebbe stato un successo Pietro Valsecchi lo aveva messo in conto. Non aveva
  immaginato, invece, che avrebbe battuto tutti i record. Valsecchi, con la sua Taodue, è il produttore di
  Checco Zalone, l'autore e attore pugliese che sta facendo scrivere fiumi di inchiostro e infiammando i salotti
  televisivi per lo straordinario successo di Quo vado?: uscito il 1° gennaio, distribuito da Medusa, in meno di
  due settimane ha superato i 52 milioni di incasso realizzati nel 2013 da Sole a catinelle, diventando il primo
  incasso di sempre per un film italiano. Ora la corsa è sul campione assoluto, Avatar , avanti di circa dieci
  milioni di euro.
  «Sono anch'io sorpreso da questi incassi che si stanno incredibilmente avviando verso i 70 milioni», dice
  Valsecchi parlando con Corriere Economia . Un'idea il produttore ce l'aveva, ma l'aveva tenuta segreta:
  «Avevo previsto che avrebbe incassato 52 milioni di euro. Come Sole a catinelle ». Quo vado? è andato
  oltre. E il successo adesso rischia di smentire anche la legge non scritta della non esportabilità dei
  campioni del box office italiano. «Il film sta suscitando interesse all'estero per l'eccezionalità del risultato
  che polverizza gli incassi dei blockbuster Usa - anticipa Valsecchi -. In alcuni Paesi uscirà il film originale e
  per
  quanto riguarda i diritti di remake stiamo trattando con Paesi tra cui Spagna, Francia e Inghilterra, non solo
  per una cessione dei diritti ma per entrare in coproduzione».
   Scenari
  Sono soldi. Quanto faccia la differenza lo dice il grafico che riportiamo in pagina. Il bilancio di Taodue, la
  società fondata da Valsecchi e dalla moglie Camilla Nesbitt, oggi proprietà di Mediaset tramite Rti,
  evidenzia i grandi risultati in termini di fatturato e di utile netto dovuti nel 2013 a Sole a catinelle . Il 2016
  darà un bis. I 50 milioni di giro d'affari del pre-consuntivo 2015 diventeranno 85 quest'anno grazie a Quo
  vado ?, mentre gli utili lordi passeranno da 10 a 30 milioni.
  E ora si pone un tema che riguarda il futuro e che fa intravedere sul mercato possibili scenari nuovi. Perché
  Valsecchi ha già detto che nel giro di cinque anni lascerà la guida di Taodue. Mentre, in parallelo, Zalone
  sta iniziando a costruirsi una propria organizzazione societaria dove tra gli azionisti figura anche Filippo
  Valsecchi, figlio diciannovenne di Pietro e Camilla. Finirà che i fondatori di Taodue andranno insieme a
  Zalone? «No - risponde il produttore -. Quella di Filippo è una scelta personale vista l'amicizia che lo lega a
  Zalone e che non coinvolge, e non coinvolgerà, me e Camilla».
  Perché di una cosa Valsecchi si dice sicuro ed è che le imprese e la loro gestione non si passano dai
  genitori ai figli come se fossero beni immobili. Insomma, quando lascerà la guida di Taodue lo farà in favore
  di chi dentro la società di produzione ha dimostrato di saper fare. E non andrà «in soccorso» degli eredi (la
  figlia Virginia, peraltro, lavora per la concorrente Freemantle Media).
  «I miei figli - dice - faranno la loro strada, non credo sia un bene caricarsi di eredità pesanti. All'interno del
  gruppo di lavoro Taodue ci sono risorse molto valide che spero potranno prendere in mano le redini della
  società. Io resterò a dare una mano dall'esterno». Magari mentre si dedica alla scrittura. Ha già pubblicato
  un romanzo, Prima famiglia , potrà arrivarne un secondo. «Scrivere è continuare la mia passione di
  narratore di storie che ho portato per 30 anni sugli schemi di cinema e tv; non è una nuova vita ma nuova
  declinazione di ciò che ho sempre fatto».
   Il presente
  Ma intanto c'è il presente da mandare avanti. In azienda, «io mi occupo prevalentemente della parte
  artistico/creativa e mia moglie Camilla di quella economico-gestionale, ma la divisione dei compiti non è

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18/01/2016
Pag. 1 N.2 - 18 gennaio 2016

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  così netta. Credo molto nell'intuito e nella sensibilità femminile e senza di lei non avrei mai costruito quello
  che ho costruito».
  Quello che intendono «continuare a fare con ancora maggiore determinazione è scovare nuovi talenti, che
  si stanno affacciando in particolare dal web, e aiutarli a sviluppare le loro potenzialità. Il 21 gennaio esce il
  film d'esordio del trio The Pills Sempre meglio che lavorare : sono ragazzi abituati a sketch da 5 minuti che
  abbiamo portato a raccontare una storia da film». Nel frattempo la linea editoriale di Taodue «oltre alla
  commedia, che è il genere principe del cinema italiano insieme al cinema d'autore, insiste anche sul
  "racconto della realtà"». Come dimostrano le operazioni Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti e quella
  legata al film, postumo, di Claudio Caligari Non essere cattivo. Rientra nel dna della Taodue che fin dagli
  inizi si è confrontata con il cinema d'autore (da Bellocchio a Placido): siamo intervenuti in questo progetto
  insieme a Raicinema grazie all'entusiasmo e alla passione di Valerio Mastandrea».
   In Puglia
  E Zalone? Nome d'arte di Pasquale Luca Medici, 38 anni, il comico pugliese negli ultimi due anni ha
  costituito la società di produzione Tartare, di cui Valsecchi junior è socio al 50% ed è amministrata da
  Reginaldo Mamma, che è anche amministratore unico della Eat Movie costituita nel 2013 dalla famiglia
  Valsecchi al completo, genitori (in minoranza) e figli (in maggioranza). E ha fondato la Officina 5.1 con due
  produttori cinematografici e un project manager. Risale, invece, a qualche anno prima (2009) una società di
  produzioni per quello che potremmo definire un impegno sociale di Zalone: Mzl, costituita con la madre
  Antonietta. Lo scopo sociale è, infatti, «la realizzazione di nuove iniziative produttive nei territori del
  Mezzogiorno».
  Ma com'è il contratto che lega Checco a Taodue? Valsecchi non risponde. «A chi mi chiede quanto
  guadagna Zalone dico: lo sappiamo in tre: io, Zalone e l'Erario».
   © RIPRODUZIONE RISERVATA
   Pietro Valsecchi amministraore delegato di Taodue 50% 95% 5% Antonietta Capobianco MZL TARTARE
  FILM 50% Filippo Valsecchi I NUMERI DI TAODUE, dati in milioni di euro 25% OFFICINA 5.1 25% Fabio
  Volpentesta 25% Pietro Morana 25% Giuseppe Saponari RTI 100% Taodue Fatturato Risultato operativo
  Utile netto 85 30 50 10 47,601 7,947 4,779 75,380 25,874 17,369 2016 (1)(2) 2015 (3) 2014 2013 (4)
  Pparra (1) Stima; (2) l'anno di «Quo vado?»; (3) pre-consuntivo; (4) l'anno di «Sole a catinelle»

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 R2 SPTETTACOLI
 Se il cinema francese cerca una via d'uscita dalla maledizione
 In sala e online "Made in France" e "Taj Mahal" "I drammi che abbiamo vissuto non ci fermano"
 ARIANNA FINOS

 PARIGI ANDARE al cinema, in Francia, è diventato un atto di resistenza. «Dopo gli attacchi del 13
 novembre gli ingressi sono calati solo per due settimane a Parigi. Tornare in sala è stato uno scatto di
 orgoglio nazionale», sostiene Frédérique Bereyziat, giovane manager di Unifrance, l'agenzia per la
 promozione delle opere francesi all'estero. Alcuni film, però, in sala non ci sono più arrivati.
   Eclatante il caso di Made in France di Nicolas Boukhrief, film precursore su un attacco orchestrato da
 jihadisti delle banlieue parigine sugli Champs Elysées con altre azioni simultanee. In locandina la tour Eiffel
 sorretta da un kalashnikov. Durante il montaggio c'era stata la strage di Charlie Hebdo. L'uscita era slittata
 al 18 novembre, poi rinviata al 20 gennaio. Ora regista e produttore hanno deciso che il film si vedrà solo
 online, su e-cinema, dal 29 gennaio.
  Anche i distributori di Jane got a gun con Natalie Portman hanno rinviato, mentre è uscito Taj Mahal, film di
 produzione francese sull'attacco terroristico in India del 2008, ed è arrivata in sala anche la commedia
 L'Hermine con Fabrice Luchini.
  Per il direttore esecutivo di Unifrance Isabelle Giordano la situazione drammatica in Francia «è uno stimolo
 in più per i cineasti, Olivier Assayas è già al lavoro». «Ognuno di noi vuole raccontare quel che accade -
 dice la regista franco israeliana Shirel Amitay - ma in questo clima, nella paura di urtare le sensibilità altrui,
 è la libertà di espressione a entrare in crisi. Il mio Rendez-vous at Atlit è stato boicottato in Israele perché
 considerato troppo pro Palestina, e dalla destra francese perché israeliano». Racconta l'attrice Ariane
 Ascaride: «Mia figlia ha perduto quattro amici alla terrazza di quel Caffè. Sì, un modo per reagire è tornare
 a uscire. Ma l'arte e la cultura sono le armi più forti: ho fatto un film come Les Heritiers, storia vera di
 studenti delle banlieue che attraverso un lavoro sull'Olocausto vincono un premio, scoprono che l'arte può
 cambiare il rapporto con il mondo. Nelle banlieue da trent'anni vedono i loro genitori privi un ruolo sociale.
 Diventano una massa senza punti di riferimento, facili prede dei lupi che propongono loro un
 riconoscimento».
   IL CASO LOCANDINA Tante le polemiche scatenate dalla prima versione della locandina di "Made in
 France" (nella foto a destra)

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 LA DOMENICA L'incontro. Revenant
 Alejandro González Iñárritu
 MARIA PIA FUSCO

 L'infanzia in Messico, la voglia di viaggiare (a diciassette anni imbarcato per un giro del mondo), di scoprire
 nuove prospettive dalle quali osservare. E la scelta di farlo attraverso il cinema "ma solo perché con la mia
 vera passione, la musica, avevo fallito". Il premio Oscar con "Birdman" (e ora con dodici candidature per
 "Revenant") si racconta in un albergo romano assediato dalle fans per la presenza di Leo DiCaprio: "Quello
 che voglio veramente fare con il mio lavoro non è documentare la realtà, per quello penso che vada assai
 meglio la televisione.
  Quello che cerco io è la nostra metafisica. In altre parole è il mistero e non la verità" ROMA L'INCONTRO
 È IN UNA SALA di un grande albergo romano, presidiato all'esterno da gruppi di giovani e meno giovani
 donne con il cellulare in agguato per cogliere un sorriso, un saluto, almeno uno sguardo. No, non di
 Alejandro González Iñárritudi ma di Leonardo DiCaprio e del suo appeal che soprattutto sul pubblico
 femminile resiste dai tempi di Titanic - tanto più che quest'anno rischia davvero di portarsela a casa la
 statuetta come attore protagonista. Revenant - Redivivo, ne ha già collezionate dodici di candidature. E se
 a vincere fosse anche il regista allora sarebbe un vero evento nella storia del cinema, un bis dopo il trionfo
 dell'anno scorso con Birdman. E dunque non è con Leonardo DiCaprio ma con Alejandro González Iñárritu
 che abbiamo un appuntamento. Attacca subito: «Leo è una vera star, ma è anche un grande attore, un
 professionista. Ha lavorato nelle condizioni più difficili, addosso pesanti costumi di scena, strisciando su
 terreni ghiacciati, in luoghi bui e inospitali. Pochi attori avrebbero accettato di affrontare prove così difficili.
 Abbiamo girato per nove mesi nella Colombia britannica, potevamo lavorare un'ora e mezzo al giorno, sia
 per la luce che per la temperatura proibitiva. Leo non ha mai perso entusiasmo, si è immerso nella natura
 con tutto se stesso. Trovo geniale che qualcuno da qualche parte abbia scritto
 "NationaLeoGraphic"».Quanto agli Oscar: «Certo, Leo ed io siamo molto contenti dell'accoglienza e
 dell'attenzione dell'Academy, ma francamente non abbiamo fatto il film pensando all'Oscar. L'impegno era
 quello di realizzare qualcosa che emozionasse il pubblico di oggi ma che avesse un valore anche per il
 futuro».
  Revenant - Redivivo, si sa, racconta una storia di sopravvivenza, la leggenda di Hugh Glass, un cacciatore
 di pelli che nel 1823, durante una spedizione nella natura incontaminata alla frontiera tra Stati Uniti e
 Canada, aggredito da un grizzly, ferito e sanguinante, fu abbandonato, solo e senza risorse. Riuscì a
 sopravvivere e a percorrere oltre 300 chilometri per raggiungere il compagno che lo aveva tradito e che ne
 aveva ucciso il figlio adolescente, Hawk, che aveva avuto da una donna indiana. Forse meno conosciuta è
 la storia dell'uomo che l'ha portato sul grande schermo.
  Alejandro González Iñárritu è nato a Città del Messico cinquantatré anni fa.
  Si trasferì negli Usa, a Los Angeles, dopo il successo del suo primo film, Amores perros (2000. Ed è
 proprio nel personaggio di Hawk che Iñárritu si identifica. «Hawk è un misto di razze e malgrado l'affetto del
 padre resta comunque un outsider, segnato dal colore della pelle. Anch'io ho la pelle scura, vivo a Los
 Angeles da quindici anni ormai e sin dall'inizio ho imparato a capire che significhi essere un outsider. Poi,
 grazie al mio lavoro, ho avuto la fortuna e il privilegio di essere stato accettato e persino premiato. Ma
 milioni di miei concittadini messicani vengono maltrattati, respinti, a volte brutalizzati. L'ignoranza, la non
 conoscenza del diverso, genera sempre ostilità e paura. E non a caso sono questi i sentimenti che si
 avvertono nel film: tra le diverse tribu di indiani, tra gli indiani e gli americani, tra i diversi gruppi di
 cacciatori».
  Certo, il film è ambientato nei primi anni dell'Ottocento, quando l'America si stava formando come nazione,
 «ma è anche un film politico che parla dell'oggi, di un mondo che sta affrontando ovunque il problema

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 dell'emigrazione e dell'arrivo del diverso, e dunque della paura, del nemico. Con questo non voglio dire che
 tocchi al cinema raccontare la realtà del mondo, documentarla.
  Personalmente trovo più interessante un cinema che cerchi il mistero della vita, la percezione più che la
 realtà». Influenze? «Il neorealismo italiano mi ha influenzato molto, ma oggi cerco storie più metafisiche,
 qualcosa che mi provochi un'emozione inspiegabile, come un quadro, un pezzo di jazz. È più il percorso
 spirituale dell'essere umano che mi attrae che la verità di una vicenda, ed è questo il modo con cui ho
 affrontato il personaggio di Hugh Glass». Non a caso per Revenant - Redivivo cita come riferimenti film
 come Apocalypse Now o Aguirre, autori come Kurosawa e Tarkovski. «Spero che vada in questo senso
 anche il gusto del pubblico, che è molto cambiato negli ultimi tempi. Basta pensare al cinema italiano, un
 cinema che faceva il giro del mondo e oggi mi dicono che gli italiani vogliano soprattutto commedie. Eppure
 avete Nanni Moretti, Sorrentino e Garrone...».
  Iñárritu non è uno di quegli autori che sognavano il cinema fin da bambino - «anche se mio padre mi
 portava spesso a vedere i migliori film che uscivano in Messico» - ma ha vissuto avventurose esperienze
 giovanili. A diciassette anni si imbarcò su una nave, per due anni girò il mondo e non smentisce la
 circostanza che sia stato costretto a lasciare il Messico da un potente signore, decisamente contrario al
 fatto che il ragazzo frequentasse assiduamente sua figlia. Al ritorno ha studiato comunicazione. «Ho
 cominciato a lavorare alla radio, intervistavo rockstar, trasmettevo concerti, ero bravo credo. La mia vera
 passione comunque era la musica, avevo una band, suonavo la chitarra, avevo un buon orecchio, ma ero
 un pessimo esecutore: se avessi continuato sarei stato un musicista frustrato. È grazie al fallimento con la
 musica che sono passato al cinema. Lavorando per la televisione ho scoperto che mi piaceva il clima del
 set, la collaborazione tra gli attori, la troupe».
  La decisione di lasciare Città del Messico è stata favorita da una brutta rapina di cui fu vittima. «Oggi
 penso di aver fatto la cosa giusta, se fossi rimasto in Messico, immerso in una realtà che conoscevo così
 bene, favorito dalla lingua e dall'ambiente, sono sicuro che la mia creatività si sarebbe esaurita. Non è stato
 facile abituarmi agli Stati Uniti, avevo i miei pregiudizi, non sopportavo il nazionalismo di certi americani che
 credono di essere i migliori del mondo. Ci ho messo otto anni ad abituarmi».
  Difficile trovare un filo conduttore nei suo film. In 21 grammi racconta il peso dell'anima - «No, non sono un
 credente ma credo nella spiritualità che ogni essere umano può trovare» - mentre in Babel si intrecciano
 quattro diverse storie girate in quattro paesi diversi: «Mi aiutato l'esperienza giovanile dei miei giri del
 mondo, la memoria di società e culture diverso. Ma l'unico filo conduttore forse è la libertà che pretendo in
 ogni mio film: sono sempre padrone dei miei progetti, non voglio interferenze degli Studios, dal primo
 all'ultimo film il final cut è il mio. Mi assumo tutte le responsabilità, anche dei miei errori naturalmente, non
 posso dare colpe a nessuno».
  I prossimi impegni di Inarritu «mi riguardano come padre. Ho due figli adolescenti. È vero che spesso li
 porto con me, siamo come un circo viaggiante. Ma negli ultimi tempi li ho trascurati, devo rifarmi».
 Foto: HO COMINCIATO ALLA RADIO, INTERVISTAVO ROCKSTAR E TRASMETTEVO CONCERTI.
 AVEVO ANCHE UNA BAND MA ERO UN PESSIMO ESECUTORE SAREI STATO UN MUSICISTA
 FRUSTRATO
 Foto: I GUSTI DEL PUBBLICO CAMBIANO. MI DICONO CHE GLI ITALIANI AMINO SOPRATTUTTO LE
 COMMEDIE. EPPURE AVETE AVUTO IL NEOREALISMO. E AVETE AUTORI COME MORETTI,
 GARRONE, SORRENTINO
 Foto: MI MANCA IL MIO PAESE, LA PARTE CHE È RIMASTA LÌ.
  MI MANCA LA GENTE, LA CORDIALITÀ E LA SEMPLICITÀ LATINA, CON LA DISPONIBILITÀ AL
 SORRISO L'ASSENZA DELLA COMPETITIVITÀ CHE INVECE IN AMERICA TI INCULCANO FIN DALLA
 SCUOLA

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 Colloquio
 "Il cinema sudamericano ora non ha più paura"
 Esce "Ti guardo", il film Leone d'oro di Lorenzo Vigas "Finalmente possiamo trattare temi tabù per i regimi"
 FULVIA CAPRARA

 Quando, dalla Mostra di Venezia, lo hanno chiamato dicendogli soltanto che doveva essere presente alla
 cerimonia di premiazione, Lorenzo Vigas, figlio dell'artista Oswaldo, nato a Merida, in Venezuela nel 1967,
 ha capito che per il suo straordinario film d'esordio Ti guardo doveva esserci un riconoscimento. Non
 immaginava si trattasse del Leone d'oro, e neanche che il secondo premio (Leone d'argento) andasse a un
 altro autore sudamericano, Pablo Trapero, argentino, regista del Clan, storia vera della famiglia Puccio,
 potente organizzazione criminale della provincia di Buenos Aires che negli Anni 80 gestiva il traffico legato
 ai rapimenti. Alla sceneggiatura di Ti guardo (dal 21 nelle sale), ha lavorato lo scrittore e regista messicano
 Guillermo Arriaga, classe 1958, lo stesso che ha affiancato Alejandro Gonzalez Inarritu nei suoi primi
 successi (Amores Perros, 21 grammi, Babel) e che, nel 2008, ha debuttato dietro la macchina da presa con
 The Burning Plain. Latini anche nei rapporti, grandi amicizie e clamorose separazioni, il Leone d'oro Vigas,
 il pluricandidato alla statuetta 2016 Inarritu (che farebbe il bis dopo Birdman), il trionfatore degli Oscar 2014
 Alfonso Cuaron (con Gravity), il Gran Premio della Giuria dell'ultima Berlinale Pablo Larrain, autore cileno di
 El Club, sono le punte di diamante di una cinematografia in stato di grazia, ricca di fermenti e promesse:
 «La nuova ondata - dice Vigas - è iniziata già da un po', e ora se ne stanno raccogliendo i frutti. I modi di
 raccontare sono diversi, come le forme e i linguaggi, ma la sostanza è uguale, e sta nella necessità di
 esprimersi in totale libertà, senza timore di dire quello che si ha voglia di dire». La ragione è storica e
 politica: «Nel mio Paese, oggi, vengono girati film su temi importanti, di cui finora non si era parlato. La
 paura dominava tutto, io stesso sono cresciuto in quel clima, ma è anche vero che, se non hai sperimentato
 la paura, non puoi imparare ad essere veramente coraggioso». Metafora di un Paese Al centro di Ti guardo
 c'è un nodo irrisolto di rapporti genitoriali, da una parte un uomo adulto, Armando (Alfredo Castro),
 traumatizzato dalle violenze di un padre indegno, dall'altra un ragazzo, Elder (Luis Silva), che il padre non
 l'ha mai conosciuto: «I legami tra i due si rafforzano proprio per la comune mancanza di punti di
 riferimento». In questo vuoto incolmabile, oltre lo sviluppo drammatico della vicenda, c'è chi ha letto la
 metafora di un Paese a lungo affascinato dalla figura del presidente Hugo Chavez, scomparso quasi tre
 anni fa: «Abbiamo sempre bisogno di personaggi maschili che ci guidino, è la nostalgia del "caudillo", ma
 anche il trionfo del machismo, in un contesto sociale che, in realtà, è basato sul più potente dei
 matriarcati». Nel film Armando è un omosessuale malinconico e solitario incapace di stabilire relazioni con
 gli altri, abituato ad adescare ragazzini nei bassifondi di Caracas. Se li porta a casa, li fa spogliare, non li
 tocca, li paga e poi li manda via. Con Elder, che è puro, violento e disperato come certi ragazzi di vita
 pasoliniani, l'equilibrio entra in crisi e niente potrà più essere come prima: «In Venezuela il film esce in
 aprile e prevedo molte polemiche perché da noi, come in tanti altri Paesi latini, l'omosessualità è ancora un
 tabù. Ma va benissimo, è giusto che la gente si confronti e discuta». Lorenzo Vigas, che nel frattempo è
 diventato padre, sta preparando il suo nuovo film The Box, capitolo conclusivo (dopo Los elefantes nunca
 olvidan e Ti guardo) della trilogia dedicata a paternità e maternità: «Ho lavorato per due anni alla
 sceneggiatura, adesso sto mettendo in piedi la squadra dei finanziatori, inizierò a girare in settembre, in
 Messico, perchè ho amici messicani, ma soprattutto perchè lì ci sono tante fosse comuni, un elemento
 importante della mia storia». c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
 Registi sul podio
 El Club
 El Clan

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 Ultimo film del cileno Pablo Larraín, vincitore dell'Orso d'argento 2015
 A Venezia, il film dell'argentino Pablo Trapero si è aggiudicato il Leone d'argento
 Mi interessa il tema del padre: è la figura che ci guida nella vita, da noi è anche nostalgia del "caudillo"
 Lorenzo Vigas Regista, 49 anni, Leone d'oro da esordiente
 Autore da Oscar
 L'anno scorso ha vinto l'Oscar con «Birdman», quest'anno «Revenant» è candidato per ben 12 Statuette: il
 cinema del messicano Alejandro González Iñárritu colleziona i massimi premi
 Nodi irrisolti È una storia di amore e di solitudine a Caracas quella di «Ti guardo» («Desde allà»), il film di
 Lorenzo Vigas Nella foto, i due attori principali, Alfredo Castro e Luis Silva in una scena Il film esce nelle
 sale italiane il 21 gennaio

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 LA SAGA
 Rocky torna sul ring ma solo grazie a YouTube
 NEL SETTIMO EPISODIO SLY ALLENA IL FIGLIO DI APOLLO CREED NE VIENE FUORI UN MATCH DI
 VITA MOLTO COMMOVENTE
 Francesco Alò

 Il settimo Rocky non vede più Sylvester Stallone dentro il ring. Il personaggio del pugile di Philadelphia
 creato dall'attore e sceneggiatore italo americano nel lontano 1975, dopo aver visto l'incontro di boxe tra il
 leggiadro Muhammad Alì e lo sgraziato incassatore bianco Chuck Wepner, è con Rambo la maschera più
 celebre indossata da Mr. Stallone. Eppure, per la settima fatica (lontana 10 anni dal sesto Rocky Balboa ),
 Stallone ha deciso di farsi da parte, anche come sceneggiatore, fidandosi di una generazione di ragazzini
 cresciuti vedendo e rivedendo i suoi film di boxe e redenzione. Ecco nascere allora l'inaspettato Creed -
 Nato per combattere , pellicola affidata nel ruolo da protagonista a un ventinovenne. E' l'attore nero Michael
 B. Jordan (già visto in Chronicle e Fantastic 4 ) qui nei panni di Adonis Johnson Creed, figlio di quell'Apollo
 mitico ex rivale di Balboa poi grande amico fin dal primo Rocky, vincitore di Miglior Film, Regia e Montaggio
 agli Oscar del 1976. Adonis è cresciuto senza padre (Apollo muore nel 1985 in Rocky IV per mano del
 russo Ivan Drago) ed ha bisogno di un allenatore. Incontrerà un vecchio Balboa che scarica i barattoli di
 pomodori fuori del suo ristorante in una gelida Philadelphia. Adonis viene da Los Angeles e non ha radici.
 Rocky parla da solo al cimitero con le lapidi della moglie Adriana (l'urlo del suo nome alla fine del primo
 Rocky è una delle battute più ricordate della Storia del Cinema) e del cognato Paulie. Chiaro che i due
 dovranno fare squadra e chiaro che arriveranno incomprensioni e litigi. Rocky cercherà di allenare la mente
 del giovane Adonis insegnandogli ad essere il pugile di una comunità (come è sempre stato l'uomo del
 popolo Balboa), mentre Adonis dovrà prendersi cura del vecchio mentore e dei suoi acciacchi senili. Forse
 all' orizzonte si stagliano due match decisivi per i due. Uno per la vita, l'altro per il titolo di campione. Poteva
 essere una mera operazione di marketing ma in realtà il regista appena trentenne Ryan Coogler ha
 dimostrato di poter modellare un nuovo capitolo di Rocky per le generazioni dei nati a fine anni '80 come lui
 e il protagonista Jordan. Gli incontri storici Balboa-Creed di Rocky e Rocky II ? Adonis li studia su YouTube
 (idea geniale). Le scalinate della corsa di fine allenamento, la palestra di Mickey (il primo allenatore di
 Balboa interpretato dal veterano Burgess Meredith) e la statua di bronzo del campione con le braccia
 alzate? Tutte location storiche di Philadelphia che Coogler integra dentro un film che è insieme omaggio al
 passato e nuovo vibrante inizio. Incassi stellari, eserciti di maschi in lacrime (padri e figli potrebbero uscire
 dalle sale abbracciati e singhiozzanti) e nuovo successo per l'ormai settantenne Stallone, vincitore del
 Golden Globe e strafavorito per Miglior Attore Non Protagonista agli Oscar del 28 febbraio. Pareva un
 incontro truccato. In realtà questo settimo film della saga è un match di boxe e vita realmente commovente.
 Creed DRAMMATICO USA, 133' di Ryan Coogler, con Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa
 Thompson, Phylicia Rashad, Andre Ward, Tony Bellew

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 Lezione di cinema con Castellitto «Zalone? Mi fa ridere chi lo elogia»
 «È un grande comico, non il sociologo d'Italia. La sinistra sale sul carro del vincitore»
 Valerio Cappelli

 «Col passare del tempo, mi diverte sempre di più far recitare gli altri». Sergio Castellitto, il regista. Sta
 scrivendo il suo nuovo film, senza titolo ma la storia c'è tutta, e la protagonista sarà Jasmine Trinca.
 Di cosa si tratta?
 «È un film sull'ossessione del nostro tempo: il denaro a tutti i costi come unica possibilità per raggiungere
 questa cosa che si chiama felicità. Il denaro non è più una conseguenza del lavoro o del sacrificio ma di un
 colpo di fortuna, o di furbizia. Mi colpisce la patologia del gioco d'azzardo. È la storia di una donna di 35
 anni che sta cercando di costruirsi un'attività commerciale e raggiungere l'indipendenza economica, per
 affrancarsi dallo strisciante stalking del marito, da cui è separata. Una specie di Ken Loach ambientato a
 Centocelle. Il soggetto è di mia moglie, Margaret Mazzantini. Il cinema si scrive quasi sempre con qualcun
 altro, ci è parso naturale. Ci diciamo tutto, anche se una cosa non ci piace, la franchezza è una forma
 d'amore».
 Lei ha detto che a un certo punto bisogna smettere di fare l'attore, e che se lo fai bene dopo un po' lo
 disprezzi.
 «Sono contento del mio psicoterapeuta, In Treatment su Sky. Io? Mai fatta analisi: mi confesso in pubblico
 da 35 anni. Quanto all'intolleranza, sono sempre irritato quando i miei colleghi dicono di fare questo
 mestiere per comunicare. Lo si fa per una intenzione nevrotica. Un modo per voler essere accettati, perché
 il mondo si accorga di te. Ma resto attore, sul set quando dirigo mi accorgo di fare gli stessi movimenti di chi
 recita. La più bella definizione resta quella di Artaud: l'attore è un atleta dell'anima».
 È difficile mantenere negli anni l'adrenalina del set?
 «Ogni mestiere incontra lo stereotipo di se stesso, non si continua a fare delle cose ma a ri-fare. Ho
 cominciato come regista perché come attore avevo perso la spinta studentesca, non sentivo più il panico,
 che ho visto fino all'ultimo in Mastroianni, infatti era unico. Il panico non è paura: è benzina, è energia.
 Come attore ho recitato in 70 film, tra cinema e tv. Mi diverte l'idea di partecipare a opere prime, di
 mescolare esperienza e inesperienza. Con Alba Rohrwacher farò Skin di Mauro Mancini, una storia forte,
 sul razzismo».
 Il 25 terrà una master class al cinema Savoy di Roma, per il ciclo moderato da Mario Sesti, in cui
 ripercorrerà la sua carriera.
 «Ricordo L'uomo delle stelle di Tornatore, la scena in cui il mio personaggio, il ciarlatano che invita a fare
 provini, viene picchiato, mio figlio Pietro si avventò sulla tv per difendermi... In quell'incontro, che apre un
 ciclo con Matteo Garrone, Radu Mihaileanu, Rocco Papaleo, Franco Battiato, mostro anche le clip dei film
 che mi hanno influenzato, Orizzonti di gloria di Kubrick, La grande guerra di Monicelli».
 Lei è un attore...
 «Un attore cerniera. Ho lavorato con i miei coetanei, Tornatore, Archibugi. Con i maestri, Ferreri, Monicelli,
 Scola. Poi con Bellocchio e Amelio, fratelli maggiori. Mi sono formato negli Anni 90, quando il nuovo cinema
 faticava. Non sono un intellettuale, ma un artigiano che crede che il cinema sia un gesto poetico che costa
 tanti soldi».
 Che idea si è fatto dell'incasso di Checco Zalone?
 «Non so quanto c'entri il cinema. Mi sembra un evento rave, quando tutti si riuniscono sul campo.
 Premesso che mi fa molto ridere, e che di fronte al successo bisogna inchinarsi e domandarsi perché, mi fa
 altrettanto ridere la sinistra che dopo anni di snobismo sale sul carro del vincitore, eleggendo Zalone a
 sociologo d'Italia, quando è solo un grande comico che è riuscito a prendere il pubblico dei cinepanettoni e

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 quelli che non li andavano a vedere, che era la sinistra. Non penso che il suo successo farà bene al cinema
 italiano, ma è meglio dei film assistiti che hanno dissipato milioni di euro disprezzando l'idea di cinema che
 riportasse a casa il proprio denaro. Però il cinema è un'altra cosa, la società me la spiega meglio Irrational
 Man di Woody Allen».
 È la vigilia della Berlinale. Fare il giurato ai festival, che tipo di esperienza è?
 «L'ho fatto a Montreal, a Marrakech, a Roma come presidente di giuria. Non leggevo mai le critiche, col
 senno di poi mi accorgevo che i nostri commenti erano quasi all'opposto dei critici, e simili a quelli del
 pubblico. Sono stato giurato a Cannes, presidente era Sean Penn, l'anno in cui vinsero Gomorra e Il divo .
 Gli altri giurati mi chiamavano per gioco il mafioso. Si creano tensioni. Il nazionalismo nelle giurie in un
 modo o nell'altro è qualcosa che scatta».
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Record
 Checco Zalone con «Quo vado» diretto da Nunziante ha incassato oltre 55 milioni di euro: il suo è il film
 italiano più visto di sempre I festival Nelle giurie scatta il nazionalismo A Cannes i colleghi mi chiamavano
 «mafioso» Regista Mi diverte sempre di più far recitare gli altri Sto scrivendo un film sull'ossessione dei
 soldi
 Foto: In posa
 Sergio Castellitto è nato a Roma, il 18 agosto 1953. Qui l'attore-regista è in posa davanti al poster di «In
 Treatment»,
 la serie Sky incentrata
 su uno psicoterapeu-ta e le sue settimanali sedute con i suoi pazienti

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Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016         Corriere della Sera - La Lettura

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  Orizzonti Antropologia Metafore La fiaba di Saint-Exupéry, adesso trasposta in un film, contiene una forte
  critica dell'utilitarismo dominante E indica un'alternativa: il rilancio della creatività e dei legami sociali, la
  capacità di porre un limite ai desideri individuali
  La rivoluzione del piccolo principe
  adriano favole

  Viviamo tempi in cui appare difficile capire le dinamiche della politica e dell'economia, che pure intrecciano
  quotidianamente le nostre esistenze. In queste situazioni, il linguaggio scientifico e analitico arranca e
  segna il passo e il parlare per metafore della favola si rivela a volte più adeguato. Sono rimasto
  piacevolmente colpito dalla versione cinematografica realizzata da Mark Osborne de Il piccolo principe di
  Antoine de Saint-Exupéry, un libro che rileggo periodicamente da molti anni. Il libro e il film sono
  ovviamente due prodotti diversi, ma trovo che quest'ultimo abbia saputo calare nella contemporaneità i
  profondi messaggi antropologici del testo, amplificandoli senza troppo mortificarli.
   Il piccolo principe è prima di tutto un'incisiva critica all'utilitarismo che informa oggi le nostre vite, ben al di
  là dell'economia. Non a caso, settant'anni dopo la pubblicazione del libro, l'«uomo d'affari» a cui il piccolo
  principe diceva: «Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se
  possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle!» - ha in
  realtà conquistato l'intero mondo. Le stelle, imprigionate, ora producono energia per il suo pianeta terra.
  Elevata (nel film) a principio unico di quella che è ormai una non-società tutta centrata sull'individuo, la
  ricerca dell'interesse diventa hybris incontrollata, desiderio irrefrenabile di ricchezza, potere, devozione e
  riconoscimento. È come se si fosse realizzata una sintesi diabolica dei diversi personaggi incontrati dal
  piccolo principe nel suo pellegrinaggio etnografico tra i pianeti: il «re», per il quale «il mondo è molto
  semplice. Tutti gli uomini sono dei sudditi»; il «vanitoso» dal buffo cappello; lo stesso «uomo d'affari».
  Utilitarismo e desideri sfrenati producono solitudine. Il piccolo principe è una favola poetica sulla solitudine:
  è solo il protagonista del libro nel suo pianeta; è straordinariamente sola la protagonista del film nel
  «progetto di vita» che le ha costruito attorno la madre; sono soli gli abitanti dei pianeti e degli asteroidi; solo
  l'aviatore nel deserto e nella sua bizzarra casa; sola la volpe, almeno fino all'incontro con il bambino
  dell'asteroide B 612; sola la rosa nella campana di vetro.
  Da lettore antropologo, l'aspetto che mi ha sempre colpito di questa grandiosa metafora dei nostri tempi è
  che non soltanto è incisiva nella capacità di «svelarne» gli aspetti più profondi, ma al tempo stesso
  nell'indicare delle possibilità alternative. Si tratta in primo luogo di praticare l'ascolto, di disporsi a
  comprendere l'Altro anche quando appare bizzarro, buffo come l'uomo del lampione («Però è meno
  assurdo del re, del vanitoso, dell'uomo d'affari e dell'ubriacone. Almeno il suo lavoro ha un senso») e
  persino arrogante. Il relativismo culturale del piccolo principe è ben lontano dall'accettazione incondizionata
  di qualunque modello di umanità, ma è fondato sull'attitudine alla comprensione e al riconoscimento della
  dignità e del senso, quale pre-condizione per attuare un dialogo e agire sulla realtà per trasformarla.
  Soltanto sforzandosi di capire il pensiero degli altri (la bizzarra richiesta di una pecora per ripulire dai
  germogli di baobab un asteroide grande poco più di una casa...) si pongono le condizioni per creare legami.
  La fiducia nell'interdipendenza percorre la favola (nella scatola con i tre fori c'è la pecora).
   Come si esce dalla non-società individualista, dalla «scuola dell'essenziale», metafora dell'utilitarismo che
  priva la vita di ogni colore e sfumatura poetica? In primo luogo rimettendo al centro i «legami». L'episodio
  della volpe è la chiave di volta della favola di Saint-Exupéry. «Che cosa cerchi?», chiede la volpe. «Cerco
  gli uomini, disse il piccolo principe». «Che cosa vuol dire addomesticare?», chiede quest'ultimo. «È una
  cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"... Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te
  unica al mondo». I legami sono quelli tra gli esseri viventi come gli uomini, gli animali, le piante certo, ma
  anche quelli con gli oggetti. La casa dell'aviatore (nel film) è un trionfo di oggetti d'affetto che rimandano a

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Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016         Corriere della Sera - La Lettura

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  storie di vita e a incontri, è il caos della vita che si oppone al freddo raggelante delle case di solitudine tutte
  uguali in cui vivono gli abitanti della città.
  Creatività, fantasia, visione prospettica sono gli altri ingredienti per uscire dalla non-società in cui siamo
  precipitati. Il piccolo principe è anche una favola tutta protesa verso la morte o meglio verso la mortalità. È
  in fondo il vivere-per-la-morte di cui hanno parlato molti filosofi, l'accettazione e consapevolezza del limite
  che scardina la hybris del possesso e del potere ed esalta le relazioni e la creatività. Le favole ci
  salveranno dal mostro che imprigiona le stelle? Alain Caillé, fondatore e animatore del movimento
  convivialista e antiutilitarista, ne è convinto e infatti ha affidato a un racconto (più volte rappresentato anche
  a teatro), ispirato al De trinitate di Sant'Agostino, la conclusione del suo ultimo libro Le convivialisme en dix
  questions (Le Bord de l'Eau, 2015). Una novella «utopica e convivialista» che racconta come gli uomini,
  dopo aver sfiorato l'annientamento ecologico e sociale, nel 2030 trovano un accordo per limitare, senza
  negarli, i desideri di ricchezza, potere, riconoscimento ideologico, religioso ed etnico. Abbandonato il sogno
  di una crescita illimitata e messi da parte i desideri sfrenati che creavano diseguaglianze, il mondo diviene
  un luogo di pace e benessere condiviso.
  Utopie «da bambini»? Forse, eppure è curioso notare che il pensiero economico deve molto a un'altra
  favola che si colloca, per così dire, all'origine dell'utilitarismo moderno e delle sue (i)perversioni
  contemporanee: La favola delle api , scritta a più riprese da Bernard de Mandeville all'inizio del Settecento.
  In un alveare ricco e prospero, in cui crescevano parallelamente la ricchezza e l'ingiustizia sociale che
  produceva pochi ricchi e molti lavoratori affaticati; in un alveare in cui dominavano il vizio, il lusso, la
  corruzione e lo spreco, Giove - impietosito dalle richieste del popolo - decise di diffondere l'onestà e la
  giustizia. Avvenne così una profonda trasformazione: crollarono i prezzi delle merci, i furfanti furono
  smascherati, i politici corrotti vennero cacciati, tutti ora vivevano contenti di poche cose. E tuttavia l'alveare,
  attaccato dai nemici e indebolito dalla «decrescita», si contrasse rapidamente fino a divenire piccola cosa,
  una manciata di api che se ne andarono a vivere nel cavo di un albero.
    La riscoperta dei legami sociali, la consapevolezza della finitudine, i piccoli prìncipi e i desideri contenuti
  del convivialismo ci precipiteranno nel cavo di un albero? Personalmente non ne sono affatto convinto.
  Riprendiamoci per intanto le rose, le volpi e le relazioni sociali.
    © RIPRODUZIONE RISERVATA
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    La pellicola
  Dal libro di Antoine de Saint-Exupéry Il piccolo principe è tratto l'omonimo film d'animazione, diretto dal
  regista Mark Osborne e distribuito nelle sale italiane dal 1° gennaio. Aviatore e scrittore, Saint-Exupéry
  (1900-1944) nel 1943 pubblicò negli Stati Uniti Il piccolo principe , un bestseller oggi tradotto in 250 lingue
    Il racconto
  S'intitola Conte sur la possibilité d'un désir convivial («Racconto sulla possibilità di un desiderio conviviale»)
  lo scritto in cui il sociologo Alain Caillé immagina l'avvento di un modello basato non sul profitto, ma sulla
  condivisione. Il testo conclude il recente libro di Caillé Le convivialisme en dix questions («Il convivialismo
  in dieci domande»), edito
  da Le Bord de l'eau
    Il tema
  Adriano Favole ha trattato alcuni aspetti della visione convivialista in un articolo su «la Lettura» #214
  intitolato La non-società
  Il messaggio Al centro del racconto l'attitudine a comprendere l'altro quale condizione per attuare
  un dialogo, agire sulla realtà e trasformarla
  La concezione opposta Nella «Favola delle api» di Mandeville si teorizza invece che l'egoismo dei singoli
  sia fonte di felicità e benessere per l'alveare

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