PRIMI VOLI - POESIE - TONINO MARIO RUBATTU
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TONINO MARIO RUBATTU PRIMI VOLI - POESIE - PREMIO INTERNAZIONALE “CITTA’ DI CATANZARO 1976” EDITORE GABRIELI -ROMA-
PRESENTA ZIONE Quando si ha l’occasione di presentare un nuovo volume di poesie, accanto ad una sensazione delicata, si avverte una forte inquietudine, derivante senza dubbio dalla responsabilità critica di ciascun uomo. Ciò si verifica, specie per gli autori validi, proprio perché più alto è l’impegno socio-culturale che le loro opere contengono. Questo discorso indubbiamente vale per Tonino Mario Rubattu e, considerando che la silloge è la prima di questo autore, l’impegno del critico diventa elevato. Rubattu non è nuovo ai premi letterari: un poeta che si è imposto per il suo stile scarno, non alterato da correnti letterarie o da discorsi metrici. Ma anche se le liriche non sono legate a questi schemi, la musicalità del verso è talmente alta che, leggendo il volume, ci sembra quasi di essere a contatto con una opera lirica, con una strofa di pentagramma che, fluidamente, chiama quella successiva. Miseria e ricchezza interiore, dolore e monotonia di cose, s’intrecciano e si congiungono quasi a creare una sottile sinfonia dove “l’armonica” è il fucile di ogni uomo e non più “al banchetto / del povero / si mangiano speranze. Di speranze non si vive ormai! Il volume, diviso in due parti, non è altro quindi che un inno all’amore, un ricercare profondo di stati d’animo (quello dei pastori sardi) e di uomini che da millenni vengono inseguiti come lepri dai cani. La seconda parte, più consistente della prima, rierca cose care al poeta e che, per questo lento interminabile fluire di secoli, non torneranno più. Da ogni lirica, da ogni verso traspare una malinconia delicata, una sensazione sottile di dolore che, a differenza di altri poeti, Rubattu pone come scudo ad ogni conflitto attuale (sia esso di natura bellica o morale) innalzando l’animo del lettore verso cieli più sereni, verso l’Eterno, o meglio, verso Dio! VINCENZO URSINI
SA R D EGN A Dal tuo cuore di basalto spicca leggera l’anima antica. Sento sulla mia pelle il bacio del tuo mare, dolci labbra di sposa innamorata e felice sussul to alle carezze delle tue onde di smeraldo. Dai pascoli di fuoco mille criniere sfidano i venti. Per l’aria, che odora d’asfodelo, corre sereno il perenne belato dei monti cui fa eco la voce dei padri. Non è notte la tua notte se ancora sento canti di pastori innamorati di caverne scavate da stelle. Non è notte la tua notte se al fuoco di allegri falò danzano ancora i baldi puledri e pudichi intrecciano promesse d’amore. No, Sardegna, non è notte la tua se ancora la reggia di stoppie offri all’amico, se ancora nel vino generoso affoghi i tuoi silenzi di pietra. No, io non credo che all’ombra delle ciminiere muterà la tua anima scolpita su infiniti spazi vuoti dal lento fluire dei secoli. --------- Poesia 1^ classificata- ex aequo al Concorso Nazionale di Poesi a “POETI DI IE RI, POETI DI OGGI - Roma, 1975
T R U D D O’ (Ragazzo Sardo) Io conosco il bimbo più strano del mondo. E’ Truddò. La notte è l’ultimo a salutare le stelle, la mattina è lì, sulla soglia di tufo, a rubare l’alba alle rondini.. Abbraccia sempre un pane scavato con dentro le ricchezze del povero. Tutti i bimbi hanno gli occhi di cielo, Truddò ha gli occhi neri. I suoi piedi, schiacciati dai ciottoli, conoscono già le amare stagioni. Tutti i bimbi sognano delizie, Truddò sogna pane, pane soltanto. Io non l’ho mai visto piangere, io non l’ho mai visto ridere. Ogni giorno lo saluto, gli accarezzo i capelli, lo guardo negli occhi e attendo il sorri so. Truddò non ride, mi fissa gelido e vince il mio sguardo. ---------- Poesia vinci trice del 1° Premio al Concorso Nazionale di Poesi a per Ragazzi “OTTO e TRE NTA” – ABANO TERME (PD) - 1972
AN CO RA! (Al tenero fiore reci so in Terra Sarda la notte di un tri ste Capodanno) Hanno ucci so! I miei fratelli hanno ucci so ancora stanotte. Le stelle stanotte han chiuso gli occhi inorridite. Stanotte il gre-gre delle rane è un lamento di morte. A nenie amorose non cedono i bimbi stanotte. Non s’odon per l’aria bisbigli d’amanti stanotte. Un nilo di sangue stanotte illima Una Terra dissacrata, la mia! Sangue! Sangue innocente di bimbo sugge la civetta stanotte. A macabra cena m’invitano ali nere di pipistrello. Han rapito. Hanno ucci so, stanotte. Ancora! Ancora i miei fratelli hanno ucci so i fratelli. Da tanto. Da troppo. PERCHE’? --------- Lirica, compresa in una Silloge di 5 poesie ( Ansia di voli, Mamma!, Ed io continuo a sperare, Natale 1973), premiata con il 1° Premio alla 2^ Rassegna “POETI NUOVI”- CAGLIARI- 1974
PA STO R E SARDO Catene di sassi ti legano alla solitudine di sempre. Avverti l’antico dolore e al vento, padrone dei monti, ne affidi lo sfogo. Il lentischio ricopre il tuo cuore. Dai fianchi scarniti stilla avaro il bianco pane dei figli. Non fendere l’aria con spari. Non serve. E’ l’armonica il tuo fucile. ---------- 4° Premio al 1° Concorso Nazionale di Poesia “Pi ermarini” – FOLIGNO - 1974
VERSO CIELI AMICI In questa mia Terra ricca solo di sa ssi E vedo i miei pastori e fichi d’India felici non c’è posto per te, tra pianure inondate di verde; speranza. le mie pecore sguazzare come fanciulli divertiti Illusione in mille limpidi torrenti; è ogni passo nel domani; i miei contadini certezza cogliere festanti le pietre e i fichi d’India. il frutto del lavoro. Già mi assale il profumo E vedo le mie spose delle tamerici in fiore….. a capo scoperto ma non sento la vita lavorare intorno a paiuoli scorrere nelle vene. grandi come i loro cuori. Dolore E poi….. (oh, incanto!) è ogni belato d’agnello, non sento più le nenie dolore struggenti e desolanti la terra bruciata, della mia terra, dolore la vita stroncata dal piombo. ma un coro di gente contenta, innamorata, Dall’alto di una rupe cantare al Cielo: vedo però il sorri so -Gloria a Dio, nostro Padre; del mio mare di velluto gloria a questa Terra, nostra Madre; e sogno….. pace e lavoro a noi, figli del loro Amore. sogno voli arditi verso cieli amici ----- ove la speranza Poesia finali sta del Concorso Letterario non è illusione. Europeo “San Benedetto” – TERNI -1973
IERI COME OGGI, COME DOMANI Rughe pensose sul sagrato uomini soli come larve in trasparenza a ricordare una vita grama spesa nei solchi a rinverdire annate avare e vino buono. Sigari e sputi e mosche. E un dolce suono di campane tra un rincorrersi beato di voci e trilli. Ieri e oggi come vita e morte e un senso d’infinito vago, impalpabile e pur sempre voluttuoso! Improvvi sa la tromba del banditore sfilaccia la tela dei ricordi e chiama alle necessità del presente: -E’ arrivato il pesce fre sco da Bore, in piazza. Angurie dolci e peperoni gialli da Peppe, in Via Parrocchia.- “Zio Toe’, zio Toe’, la tromba! Anche a me, zio Toe’… a me…a me!” e un codazzo di voci pressanti inseguono l’omino di fustagno che, all’angolo, ripete la filastrocca tra un correre all’uscio di comari indaffarate. Impassibile un vecchio dà fuoco all’ultimo mozzicone e, con occhi di fumo, rincorre una rondine sin sotto la gronda, che rinnova la vita. E pensa ai giorni trascorsi quando, puledro, volava anche lui tra i campi di grano… pensa al’oggi ai figli ai figli dei figli e alla sposa lassù, nel camposanto, in trepida attesa. Ora le campane annunciano l’inizio della messa. Il sagrato si svuota. E una pace nuova imperturbabile rischiara, nel nome di Dio, l’attesa del domani.
A SCUOLA Nei vostri occhi stampata l’atavica sarda sventura. Si nasce si vive si muore col tarlo nel cuore nell’isola del confino. Ma voi, no! No! Voi non potete ai figli dei figli ancora in silenzio lasciare vischiosi fardelli. I vostri sguardi non chiedo: vogliono! NURAGHE Nella notte dei secoli nella terra più avara sei nato gigante di sasso. Sul tuo stelo cavo non è ancora spuntata la corolla del domani. Non può la mia Terra partorire fiori.
CENT’ANNI… UN’ORA! (1871-1971 – Nel centenario della nascita di Grazia DE LEDDA) Cent’anni… un’ora per questa Terra antica. Di tanto resta soltanto il broncio del vento sull’uscio di casa e in un mare di pietre infuocate dolce resta la melodia di una voce senza tempo. Puledri sciolti desideri e sogni s’impennano e come piume leggeri volano su rocce e querce oggi… come allora. Il dolore affoga nella dimenticanza e ardente prorompe un desiderio di corsa sfrenata e corri… corri contento tra tanche verdi senza confini, calpesti incredulo l’acqua limpida di mille limpidi torrenti e cun mano soddi sfatta accarezzi erba e frutti dappertutto! sino a quando stanco felice ti sdrai all’ombra di un olivastro e canti di pastori, di cani, di cinghiali, canti di una Terra fortunata, di un popolo antico fiero e buono, canti… canti… fino a notte. Ma crudele al primo apparir della Luna la civetta ti spaventa e l’incanto si di ssolve. E’ breve la speranza sotto un cielo senza nuvole e oggi come allora, come sempre amico riaffora il pianto.
L’INCANTESIMO E’ ROTTO! (Al poeta A. Sini ed ai lavoratori licenziati in lotta del Villaggio “San Camillo” di Sassari) (1° Premio A ssoluto -su 2.500 liriche- al Concorso Nazionale di Poesi a ”Rhegium Julii “ - Reggio Calabria 1974) Terra avara è la nostra e dai basalti antico trasuda il dolore. Solo serpi ed avvoltoi danzano al sole su carogne putrefatte e rubano il sale al pane. Provammo a a correre sui monti: ci scovarono ci ucci sero ci cavarono gli occhi col pungolo dei buoi. Scendemmo in miniera oltre le radici: ci seppellirono con mille cariche di grisou. Varcammo il mare per cieli di speranza: trovammo porte chiuse cuori chiusi pugni chiusi. Tornammo allora ai nostri monti con solo lacrime nella valigia. Ci accol sero braccia straniere in Terra nostra, offrendoci corbule di pane che era nostro, solo nostro! Ancora una volta credemmo alle fate ai sortilegi amici e ci lasciammo aggiogare. Erano gli Orchi di sempre venuti dal mare. E sono gli Orchi di sempre. ……… Ma non canteremo più “muttos” di dolore! Il nostro pane non lieviterà più al canto di “sa disi sperada”! L’incantesimo è rotto. Coraggio, fratelli!
Parte 2^ - PRIMI VOLI PRELUDIO (L’alba del dolore) (A Gisella e Lina) Voci lontane nell’agonia dell sera mi parlano di sogni svaniti di speranze stracciate. Il cuore si spaventa urla e l’angoscia dell’attesa l’attanaglia in una morsa di fuoco. Carboni accesi gli occhi scavano lacrime in un mare di ricordi e un vento stizzoso le scaraventa lontano come fossero foglie secche. Intanto le ombre cedono alla notte e con esse lentamente avanza il dolore con ali di civette e d’assioli. E NASCE LA PAURA Ad ali larghe cerco la luce come falena assetata, ma ogni volo è un grido di pietra che trafigge la notte e spaventa le streghe. Il cuore ne scolora. Gli argini sussultano. E na sce la paura.
PASSI Annotta. Gli ultimi lembi di sole si sbriciolano sui ciottoli levigati di questa tri ste sera e già in alto, sui tetti, una Luna fredda, anemica, propone danze di fantasmi e d’ombre. Il viale si svuota e scheletri d’alberi allungano le braccia sull’asfalto inerte quasi ad afferrare il tempo che cancella le stagioni. Ora è già notte e nel silenzio che dilaga stancamente si perdono i miei passi avidi di quiete. ANSIA DI VOLI Avverto un fremere d’ali tra i rami del pesco come una brezza di mare. Ansia di voli nella pace antelucana, gioia di cielo d’amore. Tra poco il canto del gallo squarcerà l’ultimo silenzio e un altro giorno ancora dovremo vivere e altri sogni e altre illusioni. E la luce come ieri evocherà fantasmi e gelido ci parrà finanche il sole. …….. Vedasi nota della poesia “ANCORA!”
QUESTO SILENZIO Cos’è questo silenzio che mi scava dal profondo che mi tortura l’anima? Perché una voce un fremito un sussulto non schianta questo supplizio sensa fine! E’ dunque spiga vuota la mia vita? Lascia sse almeno un segno di sé quest’infame silenzio cui, bene o male, poter ricondurre il perché di questa mia fobia di vuoto. Per quanto ancora dovrò rincorrere fantasmi tra diste se di sabbie infuocate, lungo pendii inaccessibili, tra grovigli inestricabili? E tu, silenzio senza fondo, per quanto ancora continuerai a sorridermi beffardo e a dare a me, gabbiano assetato, polvere di sale soltanto? Albatro instancabile la mia pena veleggia al tuo fianco nell’attesa sempre più vana di una voce amica che venga ad infrangere la tua cappa di morte. POZZANGHERE Specchio di cieli rabbiosi stinti. Stracci d’un attimo lasciati sulla via che il vento aggrinzisce. Memorie di giovanili duelli in attesa del sole di giugno. Ma il sole, il sole dov’è?
I MIEI SOGNI Cavalli senza criniera sono i miei sogni. Vento senza polvere fuoco senza mani tese pioggia arida sono i miei sogni buttati su tanche brulle dove restano solo lombrichi distratti a scavare fosse profonde più della Morte ----- Poesia premiata alla 1^ Edizione del Premio Letterario Internazionale “CAMPELLO” – Spoleto 1974 OMBRE Spettri d’ombre semina la notte dell’uomo. Ombre nere ombre dense ombre lunghe intri se di sangue di fame di odio. Piange la mia chitarra e scolora le note.
IL NATAL E DEI POVERI Dio dei poveri, stanotte verrai ancora a rischiarare orizzonti perduti, a scuotere cuori di plastica neri di catrame e di smog. Dio dei poveri, quanti occhi smarriti, gonfi di pianto, anelano i tuoi vagiti! Quante mani t’invocano su calvari di strade! Vieni, o Dio dei poveri, vieni ancora nelle nostre ca se di paglia, tra coltri di ragno, col tuo pane di speranza, grande più dei sogni dei bimbi, col tuo cuore grande più grande del Mondo. Vedi, o Dio dei poveri, i ricchi stanotte han calze ricolme nei camini accesi, hanno mangiatoie dorate, traboccanti di balocchi, cassette e panettoni. Noi non abbiamo che stracci di sogni nelle calze bucate. Pure, o Dio dei poveri, se stanotte giocherai con noi, come l’altr’anno, tra tele di ragno e neve d’agnelli, saremo felici, felici sai, come gemme baciate dal sole di maggio. E salteremo sui nostri letti d’asfalto, salteremo di gioia, e i nostri quattro stracci, o Signore, saranno più lucenti dei mille broccati di tante chiese di Erodi, e le nostre piaghe ci parranno solchi profondi stanotte, le nostre lacrime sementa d’amore. O Dio dei poveri, vieni tra noi, vieni ancora, quest’anno. …… 2° Premio al Concorso Nazionale di Poesia “Rhegium Julii” – Reggio Calabria 1973) LE CALDARROSTE Schioccano al fuoco le caldarroste e l’aria ne profuma. Due fanciulli sotto il poggiolo tremando attendono avventori generosi. Grida il fochista e col lembo del pastrano scuro ripara il braciere da una pioggia leggera che lentamente spazza la via.
UOMO DEL MIO TEMPO Se vuoi sprofonderò nel silenzio. Se vuoi non suonerò più cetre di dolore. Se vuoi, uomo del mio tempo, affogherò nelle mie lacrime. Se vuoi, e lo vuoi, per sempre piegherò la testa. Ma non chiedermi di barattare la mia morte. Io non vendo silenzi. Guardami con occhi di bimbo e cederò ------ Premiata con Menzione d’Onore al 1^ Concorso “La Ginestra” – Firenze 1974 E SENTO GIA’ L A FINE Nel mare dei ricordi scavo abissi di sale. Vedo i miei sogni di bimbo putre scenti come alghe che il mare non vuole e respinge. Vedo le illusioni di ragazzo stracciate come incerte scialuppe da mari gonfi di odio. Vedo le mie speranze di Uomo, onde alte, rovinare come torri di Babele. E sento gia’ la fine.
ALL’ANGOLO DEL MONDO Ho portato il mio cuore all’angolo del mondo. Sognavo di raccattare briciole… e invece ho mietuto mani tese fremiti repressi urla soffocate. KAMPALA 1969 (Per la vi si ta di S. S. Paolo VI) Al banchetto del povero si mangia speranza. RITORNO Già s’appressa la notte. Ritorna a scoprire le angosce celate, a destare i sopiti fanta smi. Ancora cederò alla maliarda. Ancora dal suo seno con mani avide berrò silenzi d’ombre lacrime di stelle. CORRI… (A Lorella) Ciel i di cristallo sono gli occhi tuoi, perle di vita dimora di sogni grandi e innocenti. Corri verso il domani col passo leggero di chi non avverte l’andare rapace del tempo e nel tuo saltellare di bimba felice rivedo i giorni passati, stagioni beate di canti, di balli, d’amore.
MAMMA (A mia madre) Quando più tetra è la notte e più stridula aleggia la civetta, quando la luce di Dio così incerta e confusa in questo cuore vacilla al soffio ferale di mille dèmoni impietosi e tutto sembra debba crollare e farsi cenere eterna, quando con occhi di pece avanza la Morte e mi adesca a speranze di pace infinita è la Tua mano, Mamma, alta nel silenzio a ridarmi la fede di cieli migliori. E corro allora, corro a stringermi a Te come quando, bambino, sentivo i passi dell’orco mannaro dietro la schiena. E Tu, pallida, tremante, mi accogli al Tuo seno e mi stringi, mi baci… e son torrenti d’amore le Tue lacrime, palpiti di cielo i sussulti del cuore. Ed io che so del Tuo calvario di sposa e di madre mi volto allora a vedere le mie facili pene, i miei facili dolori, e mentre, intera, sento la mia fragilità di Uomo, un canto prorompe da me riconoscente e riparatore che è una preghiera all’Eterno un grido dell’anima che vince le notti del cuore. I PIDOCCHI DI SEMPRE (Il mietitore) Un diluvio di sole t’infuoca la fronte. Friggono le mani tue rosse di piaghe stringendo la falce. Ronzio d’insetti punture di vespe gola bruciata e sudore, sudore silente lievito amaro d’infinita miseria. Ansima il fido amico all’ombra della quercia generosa e, rabbioso, addenta i pidocchi di sempre.
FRATELLO VIET rugate da secoli di dolore scrivere sui muri sventrati Mille bocche di drago LIBERTA’ sputano fuoco velenoso col sangue dei mariti sul tuo corpo in cancrena. sgozzati dai figli! Mille cani famelici Non vedi che un Mondo cercano le ossa diviso della tua carcassa confuso per farne mostra testardo di sanità d’intenti. ti guida alla morte per saziare appetiti E Tu, sventurato, che fai? falsi appetiti! Dimmi che fai, fratello Viet? di amore e di giustizia. Non vedi che Tu, Surge, popolo del Viet! sì Tu, aizzi quei lupi Abbraccia il fratello del Nord. a sbranare i tuoi figli? Abbraccia il fratello del Sud. Né Nord Tu, è Sud Tu per primo Tu sei, dissa cri Te ste sso ma Viet. in nome di una libertà che Tu solo Su ritrova Te ste sso, non altri ritrova il Viet puoi darti. degli anni di gloria. Su, novello Sigfrido, O Dio! affonda la tua lama Non vedi i tuoi bimbi assetata di pace i tuoi splendidi bimbi nel fianco dei draghi giocare in pozzanghere di sangue! nel fianco dei cani nel fianco dei lupi. Non vedi le tue spose ----- Menzione d’Onore al Premio Nazionale di Poesi a “Città di Rom a” 1972
LA BALL ATA DEL GIRAMONDO (A Joan Baez, menestrella di dolore e di speranza.) (1° Premio al XII° Concorso Letterario Nazionale “Eleonora d’Arborea” – Bologna 1975); Medaglia d’oro al V° Concorso Internazionale di Poesia “Nepetia” – Amantea 1974) Per troppo tempo ho amato la bambagia, per troppo tempo ho preferito non vedere, ed ora giro il mondo, fratello, per farti conoscere ciò che non puoi ignorare. Io giro il mondo ed ho visto mille volti stanchi per strade senza nome battere i denti e piangere per fame. Io giro il mondo ed ho visto mille donne incinte battere lunghi marciapiedi e allattare i figli con lacrime soltanto. Ho vi sto bimbi nudi io che giro il mondo strappare dalla bocca di luridi maiali torsoli di mela e bucce di patate. Ho vi sto vecchi emaciati succhiati da mosche schifose ste si sulla polvere piena di sputi attendere rassegnati la fine. Io giro il mondo ed ho visto i ghetti maledetti e le baracche infami; ho visto padre e figlia abbracciati sullo ste sso letto di canne. E tu, tu che non giri il mondo, tu che hai una casa di mattoni e il fuoco acceso, tu che non mostri il petto allattando, tu padre soddi sfatto, tu sposa felice, tu giovane in camice e in toga, tu che non giri il mondo, tu, fratello dei miei fratelli, sai cos’è la lebbra? L’hai mai vista in faccia? L’hai mai toccata con le tue mani pulite? Io che giro il mondo ho gustato il bacio di un bimbo lebbroso. Io, io che giro il mondo so cos’è il profumo della lebbra. Ed ora che fai? Ti alzi! Scappi! No, fratello, non temere. Nessuno di loro sfiorerà la tua guancia paffuta, nessuno di loro ti porterà via le pantofole.
No, non fuggire! Non fuggire anche tu! Io che giro il mondo ho vi sto tanta gente scappare lontano inseguita da braccia senza mani, da mani senza dita. Ho vi sto il Mekong piangere io che giro il mondo, e triste gettare nel mare braccia di bimbi, cuori di sposa, teste mozze ancora con l’elmo. Ho voltato ad ogni angolo di strada io che giro il mondo, ed ho visto mani tese nella preghiera, volti affranti trattenere il singhiozzo. Questo il mio mondo. Questo il tuo mondo. Ed ora, fratello, ora che avverti il fetore della tua coscienza schiava di un egoismo imbelle, ora verrai con me, sì verrai! e sarai anche tu un giramondo, sì, sarai anche tu un giramondo! Io ti ho dato la chitarra. Ed ora va’, fratello, va’, va’ e suona… suona… suona… AUTUNNO Dimessamente avanza l’autunno su tappeti di foglie smunte tra ghirlande di fiori che il ricordo di care memorie non vuole appassire, tra lacrime di brina appena celate dal sorridere incerto di un sole dissanguato. Felice il contadino corona le lunghe illusioni; del suo vino a tutti racconta e nell’oblio dell’ebbrezza affossa l’incedere triste del tempo.
LA DIMENSIONE DEL TEMPO Lentamente quasi non voglia morire scorre quest’ultima parte del giorno. Di ste so sull’arenaria osservo il battere discreto dell’onda su scheletri d’alghe. In lontananza una nave bianca scivola silenziosa e per un attimo mi ruba l’adagiarsi leggero del sole. Vuota la spiaggia accoglie già le prime ombre; solo un gabbiano s’attarda in goffi saltelli… poi stende le ali e con inchini lenti e profondi pare celebri strani riti all’ultimo lembo di sole. Furtiva pudica la Luna tesse intanto un tenue velo di silenzio. Improvvi so il canto di un grillo riporta tutto nella dimensione del tempo. IL FULMINE E’ notte. La Luna s’affaccia un po’ e svelta dilegua dietro una nuvolaglia densa e minacciosa. Un grillo, uno solo, accenna la sua melodia, ma lesto desi ste. Intanto cadono le prime gocce sopite appena dal greve ululare d’un cane lontano. Immersa raccolta la campagna attende il rovescio. Improvvi so un bagliore scuote
quest’attimo immobile e, fallace, imbianca un cielo stanco fatto di nuvole. CIELO DI FEBBRAIO Già i mandorli annunciano la bella stagione. Anche il mio cuore smette l’abito del freddo inverno per nuove speranze. Ancora non vedo le rondini inseguire la vita pure avverto un lungo battere d’ali per mari lontani. Guardo il cielo di febbraio rincorrere le ultime nuvole e anch’io come pervaso da un desiderio di luce riprendo ad inseguire i sogni di sempre. CAMPANE Giorno di festa. Un suono lieve spandono per l’aria le mie dolci campane. Apro l’animo al divino e come rosa al sole tendo le braccia al cielo. Di fuori tra profumi d’aranci i passeri intrecciano primavere d’amore. vivo, vivo, mie dolci campane!
SERA A PLATAMONA Già il sole si perde ai confini della sera e dai poggi lattea s’affaccia la Luna. Alitano i canneti quasi a benedire la notte che incalza. Improvvi sa stridula una beccaccia spaventa le rane. LUCCIOL E Trascinate dal vento mille e più lucciole danzano in trasparenza nel buio della notte. Ricordi e niente più. IV NOVEMBRE Dalle stele cadenti cui pietosi ricordi han divelto le ortiche risuonano ancora adagi di morte, tri sti singhiozzi di amare stagioni. Era vita la morte era letto illibato la polvere intrisa di sangue per te, fante, educato ai fantasmi. Suonate, fanfare, suonate per loro che dal freddo alabastro ci mostrano il dito. Suonate, suonate per noi che ancora siam sordi a quel grido. Maledetta da tutti, maledetta per sempre tu sia, o guerra, sibilla di morte. ….. Pure ai tuoi piedi di gelo anc h’io oggi porto una lacrima e un fiore.
NATAL E 1973 ….. e tacerà il cannone al dolce suono delle ciaramelle come impietrito a lacrime di bimbo fatto Uomo. Su dune arse di sangue bucaneve fioriranno in una notte e un fremito conoscerà la Terra antico e sempre nuovo. Esplode l’ansia repressa in un grido di pace universale e mille soldati, come agnelli, correranno incontro a Te, Cristo-Uomo, oltre il filo spinato a deporre moschetti e mitra e bombe e odio e sofferenze. L’Uomo prevarrà. E sarà festa di cuori, d’intenti, e gioia di fratelli accomunati nel segno del più giusto e vivo Amore. “Gloria a Dio nell’lto dei Cieli e pace in Terra agli Uomini di buona volontà… … finché, nel nome Tuo, un nuovo giorno non spunti, su ali di colomba, a vincere le tenebre e la morte. PAVIA – 24 SETTEMBRE 1974 Ho sentito nella notte l’urlo nero dell’assiolo squarciare il silenzio attonito delle stelle settembrine. Ho udito il bosco trasalire come impazzito madido di sogni di rugiada. Il latrare d’un cane da lontano porta lamenti di cuccioli dispersi. E’ morto un amico. Un suono di campane mestamente cadenza ricordi affossa speranze. Una lacrima nel risveglio antelucano per un attimo irrora un pianto secco a stento repre sso. Al chiarore dell’alba gli occhi asciutti
rossi cercano l’ultima rondine estiva quasi a voler rincorrere cieli di speranza per vie nuove che il cuore sa di ritorni impossibili. MASCHERE E CLOWNS (A nonna DE NTI) Vorrei corre, correre a perdifiato, correre verso terre senza tramonti dove la luce non ha confini e guardare vicino guardare lontano e non scorgere ombre. Vorrei vedere l’anina mia nuda come il cristallo senza i falsi orpelli tessuti ad arte dall’avido ragno. Sì, vorrei saltare i freddi oceani del cuore, vorrei spezzar il duro acciaio che m’attanaglia i polsi, vorrei sputare d’un colpo solo la rabbia del mondo che mi vuole lupo fra lupi. Sì, lo potessi, tornerei ai miei sogni di bimbo e a te, nonna, chiederei ancora le belle favole d’allora. Ma quando mi dirai di lupi mannari di orchi panciuti di streghe sdentate non mi vedrai più scolorire e cercare il tuo abbraccio, perché riderò, sai! riderò sì riderò perché è buffo il mondo, tanto buffo! e noi non siamo che maschere tragiche sul vi so di stupidi clowns.
DESIDERO Quante volte vorrei poter svanire come nebbia al sole e adagiare nel nulla i miei mille perché! Uscire senza essere visto, dissolversi nel vuoto, inebriarsi d’infinito e vagare, vagare leggero tra silenzi senza ansie tra aurore senza tramonti. Chiudere gli occhi e non vedere, il cuore e non sentire e, come polvere al vento, abbandonarsi in dolci sogni d’immenso. CIELO DI SETTEMBRE Voli di rondini nel cielo settembrino, guizzi di luce come pensieri folgoranti, Stemperata di corallo l’Asinara ingigantisce la sera e una brezza di mare stancamente spande profumi di ginepro e mirto. PURE NON SO… Ho appeso al muro la chitarra per meglio ascoltare la voce del vento. I rami secchi borbattano nel camino. Tata pettina il bambolotto. Apro la porta. Il vento irrompe violenta le corde della mia chitarra. Accordi antichi risuonano ancora più forte per muri pallidi di calce quasi a ricomporre perdute sinfonie. L’agonia è lenta. …………… Pure non so se morte cerco diversa o se invece m’è caro il fingere di morir del male mio.
ED IO CONTINUO A SPERARE Mani aperte nella pace della morte stringono ancora polvere umida di pianto. Urla di bimbi affamati si spengono arcane nell’avido gracchiare dei corvi. Mille labbra spaccate dal gelo della notte odo ancora maledire la vita e cercare la mamma. E non re si sto più al tacito battere di mille singhiozzi che squa ssano il petto buttati nella solitudine amara di chi ha perso ormai la speranza. ………. Mille storie di dolore mi porta il tempo malvagio ed io continuo a sperare a sognare nuovi mondi al mio cuore che il tempo vuole di sasso.
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