Prime valutazioni sulle Olimpiadi invernali Torino 2006 - "GHIACCIO - NEVE - CITTA'"
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“GHIACCIO – NEVE – CITTA’” Prime valutazioni sulle Olimpiadi invernali Torino 2006 Torino 8 febbraio 2006 1
Indice Premessa …………………………………………………………………… 3 SEZIONE I Aspetti generali Considerazioni di riferimento .……………………………………………… 4 I Villaggi olimpici…………………………………………………………… 5 Strutture esistenti e strutture nuove………………………………………….. 5 Gli impianti delle discipline sciistiche: i casi principali…………………….. 6 Gli impianti con gli impatti maggiori (in generale) ………………………... 7 Innevamenti artificiali (in generale). ………………………………………... 8 Il braciere olimpico………………………………………………………….. 8 SEZIONE II Obiezioni di carattere tecnico in base alla normativa vigente Lo studio di impatto ambientale …………………………………………. 9 La risorsa acqua e l’innevamento artificiale ……………………………… 10 I trampolini per il salto con gli sci di Pragelato …………………………… 11 L’area boscata di Pourrieres e la Bergeria del Myes………………………. 14 La pista da bob di Cesana San Sicario e la questione amianto/asbesto …… 17 Sezione III Procedure e regolameti La Scelta della Host City ………………………………………………….. 19 La sede dei giochi …………………………………………………………. 19 La normativa olimpica …………………………………………………….. 20 Il ruolo dell’Agenzia per lo Svolgimento dei Giochi Olimpici …………… 22 La Natura giuridica del TOROC. Il problema dei diritti di accesso. ……… 25 La Valutazione Ambientale Strategica (VAS) ……………………………. 26 L’approvazione dei progetti. Le procedure. ………………………………. 30 Altre procedure ……………………………………………………………. 33 Le opere connesse e le opere di accompagnamento ………………………. 35 Le opere temporanee ……………………………………………………… 37 Le richieste del WWF…………………………………………………. 38 2
Premessa Questo dossier non è un bilancio delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Troppo presto per poterlo fare. Non sono infatti a disposizione numerosi dati (come ad esempio quelle delle cosiddette opere connesse) e non si sa come alla luce di fatti terranno alcuni piani ambientali (da quello della mobilità a quello dei rifiuti). Abbiamo però cercato di tracciare alcune prima valutazioni e provato approfondire una serie di questioni a valenza ambientale che sono già emerse in tutta la loro evidenza. Da un alto infatti vi sono elementi positivi che hanno caratterizzato la realizzazione di questo evento sportivo: - gli impianti hanno una destinazione d’uso post-olimpica; - il villaggio olimpico è coerente con il piano regolatore ed è costruito secondo i principi di bioarchitettura; - la localizzazione di gran parte delle strutture è in aree urbane dunque già antropizzate con poche cubature aggiuntive e con la dismissione di numerose aree industriali abbandonate da anni; - il Piano degli Inerti ha ridotto al minimo il prelievo di materiale da cave ed il movimento terra nei siti olimpici; - i bacini per l'innevamento artificiale, su richiesta ed indicazione dell'Osservatorio Ambientalista, sono stati ridotti al minimo necessario; - il Piano dei Trasporti prevede per tutto l’evento, l’accesso ai siti olimpici esclusivamente con mezzi pubblici di cui molti a basso impatto ( metano, elettrici, ferrovia) ad eccezione dei residenti dotati di apposito pass. - la gestione dei rifiuti è stata organizzata per incentivare la raccolta differenziata in tutte le strutture olimpiche con un’attenzione particolare all’acquisto dei prodotti “usa e getta” (catering per la famiglia olimpica). Da un altro si sono certamente verificati diversi problemi che vogliamo evidenziare anche allo scopo di fare tesoro di questa esperienza per “passare il testimone” ai prossimi organizzatori dei giochi olimpici senza che si ripetano gli stessi errori. Alcuni di questi sono infatti a richieste o interpretazioni regolamentari che, se modificate, potrebbero in futuro portare a Giochi più sostenibili. Il documento, anche al fine di una sua maggior leggibilità, è stato articolato in un capitolo introduttivo e in tre sezioni: la prima sezione è relativa ad un quadro generale dell’evento; nella seconda sono stati invece affrontati una serie di profili problematici che, laddove possibile, sono stati oggetto di una valutazione critica puntuale; la terza è invece relativa alle questioni di carattere amministrativo-giuridico, è andata ad analizzare puntualmente sia la normativa CIO per quanto concerne l’assegnazione dei Giochi, sia le procedure disegnate dalla legislazione nazionale per l’approvazione e la realizzazione delle opere olimpiche. 3
SEZIONE I Il quadro generale Considerazioni di riferimento Le Olimpiadi rappresentano certamente uno degli eventi più complessi del mondo. Il numero maggiore di atleti, specialità, arbitri, giornalisti, sponsor rende necessaria la predisposizione di strutture importanti e l’adeguamento di servizi, il tutto per le poche settimane in cui gli occhi di tutto il mondo si concentrano sul luogo scelto per l’Olimpiade. Un’occasione di promozione dunque per la comunità locale che ospita i Giochi, ma anche un occasione per creare servizi che poi rimangono a beneficio dei residenti. Perché questo però avvenga occorre avere l’attenzione di creare strutture che siano dimensionate al contesto nelle quali rimarranno anche dopo i Giochi Olimpici, occorre stabilire bene sin dall’inizio, dalla progettazione, la destinazione finale di queste affinché i milioni di metri cubi che necessariamente un Olimpiade richiede non siano “usa e getta”, non necessitino di ingenti nuovi investimenti per la loro riconversione, siano tecnologicamente avanzate e al tempo stesso a basso impatto ambientale, non siano soprattutto occasione per rendere edificabili aree ad altro destinate dalle pianificazioni territoriali. Sono queste indicazioni generali in considerazione che i Giochi Olimpici possono svolgersi ovunque nel mondo. Occorre però domandarsi se oggi sia giusto continuare con la logica che vede necessariamente le città candidate doversi fare carico di tutto l’apparato olimpico e, quindi, inevitabilmente dovere affrontare la realizzazioni di impianti o la predisposizione di strutture in grado di ospitare anche diverse decine di migliaia di persone. Meglio sarebbe, un po’ come avviene per i mondiali di calcio, affidare anche le Olimpiadi ad una Nazione e consentire a questa di organizzare impianti ed ospitalità in modo più diluito sul territorio del Paese. E’ ovvio che questo da solo non basta a evitare speculazioni possibili, ma certo argina il rischio di strutture inutili, permette meglio di valorizzare l’esistente, in linea di massima consente di agire all’interno dei piani regolatori e non di derogare a questi. Ragionamento questo che non vale solo per le società più avanzate quale la nostra, ma anche in Paesi in via di sviluppo o per quelli che ni questo decennio stanno vivendo uno sviluppo accelerato: comunque dividere gli impatti in più luoghi, scegliendo quelli più idonei alle tipologie degli impianti, ripartire l’ospitalità, ragionare su scala più grande come quella di una città, indubbiamente aiuterebbe. Occorre ricordare che alcuni sostengono anche l’esatto inverso di questa tesi, cioè meglio concentrare tutto in un solo luogo e concentrare a questo gli impatti conseguenti ottimizzando servizi e strutture, spostamenti e trasporti di spettatori. In realtà essendo molto diversi i contesti è difficile sostenere in assoluto l’una o l’altra cosa, ma indubbiamente riteniamo che il regolamento olimpico debba oggi adeguarsi per rendere possibile entrambe le opzioni. Questa premessa sta ad indicare che laddove si interviene in un contesto urbano, in previsione di piano regolatore, utilizzando al meglio l’esistente o quanto si era già comunque previsto di fare, in linea generale (dando per scontata qualità ed efficienza anche ambientale degli impianti) la scelta è da preferire rispetto ad altre. Questo aspetto è ancor più importante per quanto riguarda le Olimpiadi Invernali che, sebbene richiamino un minor numero di atleti e giudici, hanno un impatto potenziale più diretto sui sistemi naturali. In passato le Olimpiadi Invernali hanno contribuito a sventrare montagne, disboscare grandi aree per lasciare spazio agli impianti; anche recentemente i mondiali di sci allo Stelvio non sono certo stati un esempio. Intervenendo spesso in ambiti di piccole o medie comunità, gli impianti olimpici invernali e le strutture necessarie all’evento sono spesso “fuori scala” rispetto al contesto territoriale. La scelta di organizzare dunque un Olimpiadi Invernale in una città, come Torino, diminuisce in partenza i potenziali impatti che l’evento comporta. Basti 4
pensare che contestualmente alla candidatura di Torino erano state ipotizzate quelle di Tarvisio e Cortina e la differenza che gli impatti ambientali avrebbero prodotto è riscontrabile anche sul piano intuitivo. Il vantaggio della scelta olimpica di Torino, come abbiamo accennato, deriva dall’inserimento dell’evento in un area metropolitana e in un bacino turistico consolidato. Questo ha consentito di poter ampiamente utilizzare strutture esistenti, di realizzare le strutture nuove all’interno di processi di ristrutturazione e riqualificazione urbana (anche se rispetto alle aspettative il ricorso alle deroghe del PRG è stato superiore a quanto non ci si aspettasse), di poter destinare gli impianti a nuove attività . Vediamo i casi più significativi. I Villaggio Olimpici La scelta di non avere un solo villaggio olimpico ha aiutato a diminuire il peso delle cubature in un unico punto e a consentito di utilizzare al meglio strutture già esistenti. Nel tentativo di fare in modo che l’esistente fosse maggiormente utilizzato, gli ambientalisti hanno più volte sollevato perplessità sull’opportunità di nuove strutture delle dimensioni previste (soprattutto al Sestriere): ciò nonostante però, e anche al di là delle critiche espresse, WWF compreso, il rapporto tra nuovo e riutilizzo, tra utilizzo delle aree e destinazioni finali degli edifici nuovi costruiti, alla fine non risulta essere negativo. A Torino: realizzata nella vecchia area dei mercati generali, all’interno di previsioni edificatorie comunque previste dal piano regolatore di Torino, occupa un area di circa 100mila mq che ospiterà 2.500 atleti, sale mediche, due ristoranti ed un centro commerciale. Realizzato secondo i principi della bioarchitettura (dalle pennellature solari termiche alle vetrate con esposizione a Sud, dall’utilizzo dei sistemi di illuminazione al riutilizzo dell’acqua piovana), suddiviso in 39 edifici, avrà una destinazione successiva a residenze e a servizi. A Bardonecchia: è stata recuperata ed ammodernata una vecchia struttura originariamente destinata a colonia estiva e successivamente ad albergo, ospiterà 700 atleti e numerosi servizi, dopo i giochi rimarrà, per quanto dichiarato,come struttura recettiva e per servizi destinati alla comunità locale. A Sestriere: il villaggio atleti è suddiviso in tre strutture di cui due già esistenti (una del Club Med ed un’altra della Valtur) , complessivamente ospiterà circa 2.000 persone con i relativi servizi. Dopo i giochi le strutture Med e Valtur ritorneranno alle finzioni originali, mentre la struttura appositamente realizzata sarà destinata a residenze. Strutture esistenti e strutture nuove Stadio Olimpico: la struttura esistente dello stadio comunale è stata risistemata, sono state realizzate le coperture delle tribune ed in via transitoria la capacità dei posti è stata portata con tribune mobili da 26.000 a 35.000. Palasport Olimpico: un nuovo impianto realizzato su 5 livelli nell’area antistante lo stadio comunale, ospiterà le gare di hokey ma è stato pensato per fornire successivamente una grande flessibilità degli spazi per ospitare gli eventi più diversificati, da quelli sportivi alle convention, dai concerti alle mostre; la realizzazione del Palasport è stata legata alla riqualificazione dell’intera area dello stadio comunale e delle sue pertinenze, riqualificazione oggetto di un bando internazionale. Anche questa destinazione ha giustificato una richiesta di variante al Piano regolatore che è stata criticata dalle Associazioni ambientaliste, sia per il timore che la nuova opera riducesse la dotazione 5
di zona delle aree destinate a servizi, sia per il timore che la futura gestione del Palasport creasse un’eccessiva pressione sul quartiere. Torino Esposizioni: la struttura già esistente, opera di Luigi Nervi, ospiterà parte delle gare di hockey su ghiaccio grazie alla realizzazione di una pista e di tribune amovibili (per circa 4.500 posti). Palavela: rientra per la verità tra le strutture nuove, ma in realtà è realizzato in spazi già destinati ad una struttura similare (cioè il Palavela realizzato per le esposizioni in occasione del primo centenario dell’unità d’Italia nel 1961), la ristrutturazione totale consentirà un utilizzo sia fieristico, che convegnistico. Oval Lingotto: un nuovo impianto prossimo al centro Fiere di Torino, nei pressi della stazione Lingotto, ospiterà il pattinaggio di velocità ed ha una superficie di 26.500 mq. La struttura è stata progettata in modo da essere usufruita in futuro per le attività fieristiche, le tribune (8.500 posti) sono provvisorie e quelle che si prevede possano rimanere dopo l’evento olimpico (per circo 2000 posti) saranno comunque amovibili. In questo casa, come in altri meno significativi, va avanzata un’osservazione rispetto alla parte economica se dovesse corrispondere a verità la notizia secondo cui questa struttura, pagata con fondi pubblici, verrà poi lasciata ad un ente privato. Stadio del Ghiaccio: è stato ristrutturato il vecchio palazzetto del Ghiaccio di Torino. La grandezza è però stata pressoché raddoppiata. La destinazione post olimpica rimane invariata. Palazzetto Polifunzionale del Ghiaccio: impianto nuovo realizzato a Pinerolo (che ha 35.000 abitanti) occupa circa 6.000 mq ed ospiterà le care di curling; dopo le olimpiadi sarò gestito come Palaghiaccio dal Comune di Pinerolo Va detto che la gran parte delle strutture realizzate o ammodernate in funzione olimpica, soprattutto quelli realizzati a Torino, è collocata in aree mediamente ben servite dal trasporto pubblico e comunque compatibili anche per le destinazioni post olimpiche individuate. Gli impianti per le discipline sciistiche: i casi principali A Bardonecchia: per svolgere le gare di snowboard, half pipe e slalom gigante parallelo, si è intervenuti in località Melezet adeguando una pista esistente e realizzandone una più breve; entrambe sono dotate di impianti per l’innevamento artificiale. Delicati sono stati gli interventi per la presenza del torrente Dora di Melezet soprattutto in relazione ai punti di arrivo delle gare. A Cesana San Sicario: per svolgere il Biathlon è stata utilizzata per i servizi una vecchia colonia, realizzati invece gli anelli di competizione destinati dopo le olimpiadi allo sci di fondo nella stagione invernale e al bici cross in quella estiva. A San Sicario Fraiteve: per svolgere le gare di sci alpino, super G e combinata femminile si è intervenuti su strutture esistenti, ciò nonostante inevitabili gli impatti per gli adeguamenti visto che la pista più lunga è di 3.135 metri, che viene attraversato un bosco, che sono previste tribune per circa 6.000 spettatori. A Pragelato: per svolgere lo sci di fondo sono stati realizzati due anelli, tribune per 5.400 posti a sedere in buona parte rimuovibili, la destinazione post olimpica rimane legata alle specialità sportive per cui sono stati creati gli impianti. 6
A Sauze d’Oulx: per svolgere le competizioni Freestyle sono state realizzate due nuove piste di cui una destinata ai salti, entrambe arrivano in uno stadio dalla capacità di oltre 7.000 spettatori. Anche questo è un nuovo impianto, ma non è chiara la destinazione post-olimpico soprattutto per le imponenti strutture destinate al pubblico; si segnala inoltre che l’impianto ha un impianto di illuminazione visibile da molto lontano. A Sestriere: per svolgere le gare di sci alpino si è intervenuti adeguando in buona parte impianti esistenti (Sestriere è una rinomata stazione sciistica che ha già ospitato i Campionati del Mondo nel 97), ma certamente importanti sono le strutture realizzate all’arrivo delle piste ed in particolare lo Stadio Nasi e quello Sises (solo quest’ultimo potrà ospitare 8.000 spettattori). Gli impianti con gli impatti maggiori Sin dall’inizio gli impianti più controversi sono stati quelli del bob e del salto. In questa sede accenniamo solo alle problematiche che verranno invece verranno affrontate successivamente in modo più specifico A Cesana Pariol si trova la pista destinata al bob, allo skeleton e allo slittino, è lunga 1.435, 19 curve e un dislivello di 114 metri. Sperando che ci siano state tutte le attenzioni necessarie per la presenza nella zona di filoni di asbesto, che avrebbero dovuto dissuadere dalla scelta della localizzazione, va detto che quello realizzato è comunque un impianto che potrà essere utilizzato per gli sport per cui è nato, quindi rimarrà sempre e comunque sovradimensionato per le esigenze di quel territorio e a poco valgono le rassicurazione di chi sostiene che diversificando i punti di partenza l’impianto può essere utilizzato anche per tracciati destinati a seconda i vari livelli di capacità ed esperienza. Queste critiche sono state poste sin dall’inizio dal WWF e dalle Associazioni Ambientaliste che proposero di utilizzare le strutture di Alberville o, in alternativa, l’utilizzo di strutture rimovibili. Non accolte queste ipotesi, la posizione dell’impianto è stata dunque confermata nell’attuale sito, dopo la valutazione di due possibili alternative, sebbene gli organizzatori sostengono che questa è stata determinata anche dall’analisi dei valori ambientali presenti (quali i S.I.C. presenti nella valle) e alla pericolosità derivante proprio dalla presenza di asbesto. A Pragelato si trova l’impianto di salto dal trampolino. Si tratta di una struttura che occupa 14.000 mq ed è formata da un grande trampolino, da uno normale, da tre trampolini scuola e da tribune per 7.500 spettatori. L’impianto risulta essere sovradimensionato anche rispetto le esigenze olimpiche e, al di là delle aspettative della competente federazione sportiva, è difficile pensare che questo possa fingere da promozione di uno sport che nel nostro Paese non ha certo grande diffusione. Al di là di questo, due osservazioni di merito ambientali non hanno ricevuto risposte soddisfacenti: l’area del torrente Chisone che viene inevitabilmente investita dall’impianto anche nella zona di esondazione naturale, l’inserimento paesaggistico dell’opera che in quel contesto risulta sproporzionata e non sufficientemente mitigata. Il WWF e le altre Associazioni Ambientaliste hanno contestato sia la scelta della localizzazione che la V.I.A. presentata (considerata inadeguata e oggetto per altro di dure ed argomentate osservazioni). Innevamenti artificiali Sicuramente tra gli elementi critici va sottolineato il problema dell’innevamento. Anche questo tema verrà sfrontato successivamente in modo più puntuale, ma è opportuno (al di là dell’analisi 7
puntuale) contestualizzare la problematica. Com’è noto la questione riguarda l’intero sistema alpino ed è importante sotto il profilo ambientale non solo per l’aspetto del consumo di acqua, ma anche per le differenti caratteristiche che la neve artificiale ha sul territorio. Un metro cubo di neve artificiale pesa infatti 350 kg contro i 70 – 100 di quella naturale e da ciò ne consegue che il suolo è sottoposto ad una pressione anomala, è meno isolato termicamente ed è sottoposto all’azione delle eventuali sostanze che possono essere addizionate all’acqua per il mantenimento della neve artificiale. Dall’analisi dei documenti relativi alla Valutazione Ambientale Strategica prodotta per i Giochi risulta che, considerando le aree interessate dalle discipline, si passa da una superficie di 1840 ettari oggi innevati artificialmente ad una di oltre 3.500, conseguentemente i consumi di acqua passerebbero dagli 712,000 cubi annui a poco meno di 2 milioni di metri cubi potenziali (dipende cioè dall’utilizzo delle strutture). Si tratta senza dubbio di dati ed impatti significativi ma, senza che questo possa in alcun modo suonare come una giustificazione, la questione degli innevamenti artificiali o viene posta complessivamente come problematica che investe l’intero sistema alpino, o la situazione puntuale certo aggrava un dato già complessivamente preoccupante, ma purtroppo lo sposta di poco. Si consideri infatti che sulle Alpi italiane sono presenti 4693 km di piste da sci di 60% ad innevamento artificale; a queste devono aggiungersi 2981 km di piste per il fondo, di cui 304 ad innevamento artificiale. Il braciere olimpico A fronte di una serie di sforzi tesi a cercare una possibile via della sostenibilità dei Giochi, sforzi che vanno riconosciuti anche se solo alla fine sarà possibile vedere sei i vari piani predisposti avranno funzionato (Piano di Gestione Rifiuti, Piano inerti, Piano Mobilitò Sostenibile, Paino delle Acque ecc. e anche su questi elementi tratteremo più avanti), appare una sorta di beffa, di monumento allo spreco il braciere olimpico. Qualche dato aiuta a capire: il solo braciere olimpico, una ciminiera di 57 m con fiamme alte 5 m, brucerà nel nulla ben 8000 m3 di metano all’ora per un totale di quasi 3 milioni di m3 nei 15 giorni olimpici. In buona sostanza il solo braciere olimpico brucia il gas che serve in un anno a un paese di 3500 abitanti. Proprio perché riteniamo che il fuoco olimpico dia un simbolo importante, proprio perché in quanto simbolo deve rappresentare non solo lo spirito olimpico ma anche il modo in cui i Giochi vengono organizzati e svolti, una maggiore attenzione a questo aspetto sarebbe stata necessaria. Poteva essere l’occasione per richiamare al mondo la necessità di avere meno sprechi, di utilizzare le risorse in modo più razionale, di richiamare l’importanza del protocollo di Kyoto dalla cui applicazione dipendono molti degli equilibri del nostro pianeta. 8
SEZIONE II Obiezioni di carattere tecnico in base alla normativa vigente. Lo studio di impatto ambientale Uno nodi più critici sotteso alla candidatura di Torino a Host City dei XX Giochi Invernali è rappresentato sicuramente dallo Studio di Impatto Ambientale, come definito dall’art.11 della più volte citata LR n.40/98, vale a dire come “insieme coordinato degli studi e delle analisi ambientali, volto ad individuare e valutare gli impatti specifici e complessivi delle diverse alternative, per definire la soluzione progettuale e localizzativi ritenuta più compatibile con l’ambiente, nonché i possibili interventi di mitigazione e compensazione ambientale”. Sulla base del carteggio prodotto, già dagli anni 2001-02 le più importanti associazioni di tutela e di protezione ambientale, tra cui il WWF, avevano sollevato numerose obiezioni, sia di carattere formale che sostanziale. In primis, lo studio di cui trattasi era stato redatto unicamente in base alle legge Merloni n.109/94 s.m.i., nonché del relativo regolamento di attuazione DPR n.554/99, con la conseguenza di tralasciare completamente tutti i profili relativi alla Valutazione di Impatto Ambientale che, come è noto, a livello comunitario è normata dalla Direttiva 85/337/CEE, come modificata dalla Direttiva 97/11/CEE, a livello statale, dal DPR 12.4.1996 s.m.i e, a livello regionale, dalla più volte citata LR n.40/98. Tale circostanza viene ad assumere una rilevanza notevole laddove si consideri che il rapporto tra procedure di VIA e VAS, nonostante i chiarimenti apportati dal legislatore con l’approvazione della legge olimpica, presenta tutt’oggi gravi difetti di coordinazione. Sembra infatti opportuno ricordare come, in sede di approvazione del primo DDL, e poi, soprattutto, con la DGR 10 marzo 2000, la Regione Piemonte aveva affermato di essere l’unica Regione dotata di una legge regionale che regolamentasse la VAS, salvo poi esplicitare che la normativa di riferimento fosse quella di cui all’art.20 della più volte citata LR n.40/98 (“Compatibilità ambientale di piani e programmi”). Normativa che, anche ad un’analisi superficiale, imponeva da un lato che i piani e i programmi e le loro varianti sostanziali dovessero risultare corredati di una relazione di accompagnamento, elaborata dal medesimo ente preposto alla loro adozione e contenente un’analisi che i piani o i programmi erano destinati a spiegare sull’ambiente, dall’altro che gli stessi, sulla base di un’analisi di compatibilità ambientale, potessero prevedere casi di esclusione automatica dalla VIA. Si trattava, e si tratta quindi, di una procedura che riprende, in larga parte, quella disegnata dal precedente art.11 relativamente alla “fase di verifica”, in cui l’autorità competente, anche in base alle osservazioni pervenute dai soggetti interessati, si pronuncia in merito alla necessità o meno di sottoporre un determinato a valutazione. Tuttavia, una disposizione di questo tenore non poteva evidentemente essere mutuata dalla VIA, proprio perché la VAS non contiene una fase di valutazione e un giudizio di compatibilità ambientale, che si conclude con un provvedimento con cui l’autorità competente rende il giudizio di compatibilità ambientale, come invece è previsto per la VIA al successivo art.12,. Tanto è vero, che il legislatore, avvedutosi dell’errore, già con la legge olimpica si era preoccupato di chiarire che la VAS dovesse essere disciplinata tramite un procedimento diverso, da disegnarsi con delibera di Giunta Regionale, che prevedesse, in ogni caso, un solo momento di valutazione e di approvazione. La VAS, quindi, nelle intenzioni del legislatore, non doveva – correttamente, ad avviso di chi scrive - servire a fare da screening, al fine di decidere quali 9
opere, quali piani e quali progetti sottoporre a VIA e quali no. Tanto è vero che già nel 2000, la Giunta Regionale, andava ad approvare la DGR 14 dicembre 2000 “Procedure e contenuti per la Valutazione di Impatto Ambientale del piano degli interventi per i Giochi Olimpici Invernali Torino 2006”, contemplando misure quali il deposito delle copie degli elaborati presso Comuni e Province affatto tipiche della VIA. Il legislatore ha peraltro lasciato largamente irrisolta la natura del rapporto tra VIA e VAS (gerarchico-piramidale, sussidiario o, come sembra più corretto, complementare) né, di conseguenza, si era preoccupato di chiarire se eventuali effetti incompiuti in sede di VAS, sarebbero poi stati risolti successivamente in sede di VIA. La risorsa acqua e l’innevamento artificiale Le problematiche afferenti le risorse idriche sono assai complesse ed impattanti, anche alla luce della circostanza che nell’ultimo decennio, la Regione Piemonte è stata attraversata da lunghi periodi di siccità come da rovinose alluvioni, e coinvolgono una molteplicità di aspetti, quali quello dell’innevamento artificiale, delle risorse idropotabili, dei depuratori, del deflusso dei corsi d’acqua, della sopravvivenza dell’ecosistema fluviale e della difesa dello stesso dall’inquinamento delle acque. E’ opportuno sottolineare fin da subito come l’art. 1 della legge 5 gennaio 1994 n.36 (“Disposizioni in materia di risorse idriche”), come modificata dal D.lgs. 11 maggio 1999 n.152, stabilisce, che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorchè non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà”, che “qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale” e, da ultimo, che “gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici”. In sede di Consulta Ambientale presso il TOROC, le più importanti associazioni ambientaliste, tra cui il WWF, avevano pertanto sottolineato il palese contrasto sia col dettato normativo, sia, in ogni caso, sotto il profilo dell’interesse pubblico, la previsione di estendere, spesso tramite il meccanismo delle opere di accompagnamento, come risultava già dai primi Studi di Fattibilità, i bacini sciabili oltre a quanto strettamente funzionale allo svolgimento dei Giochi, laddove si consideri, ad esemp io, che laddove le superfici ad innevamento programmato ammontavano, al momento della candidatura, a 1,8 milioni di mq, già nella VAS se ne ipotizzavano 3,5 milioni, per arrivare ai 5,5 milioni previsti negli Studi di Fattibilità. Parimenti, destava non poca preoccupazione la previsioni di ridurre la dimensione complessiva degli invasi, in sede di Studi di fattibilità, rispetto a quanto previsto dalla VAS, poiché, così facendo, si sarebbero aumentate le portate derivate, con la conseguenza di concentrare le captazioni unicamente nei mesi invernali. Il problema delle risorse idriche si pone con forza anche e soprattutto rispetto alle pratiche di innevamento artificiale, proprio a cagione delle quantità di acqua richieste per l’innevamento. Si pensi, a mero titolo di esempio, che con 1000 litri di acqua, quindi un metro cubo, è possibile produrre 2 – 2,5 metri cubi di neve e che, per un innevamento di base di minimo 30 cm, di una pista di appena un ettaro, occorrono almeno un milione di litri di acqua, destinati ad aumentare per gli innevamenti successivi. A tutto questo si aggiunga che, come è facilmente intuibile, l’acqua per l’innevamento artificiale viene normalmente prelevata dalle acque torrenti o dai laghi naturali ed artificiali in un periodo in cui le precipitazioni sono normalmente scarse (novembre/dicembre) e in cui i corsi d’acqua raggiungono infatti i livelli di magra. Vanno inoltre sottolineate una serie di problematiche collaterali, quali l’altissimo consumo di energia, i cambiamenti climatici che lasciano verosimilmente presumere che le località sciistiche situate a quote più basse nei prossimi anni saranno destinate a perdere di redditività. In ogni caso, è indubbio che la costruzione di sistemi di tubazione sotterranee di un impianto di innevamento, come anche dei bacini di captazione delle acque, siano destinati a provocare inevitabilmente gravi ricadute da un punto di vista paesaggistico, cui vanno ad aggiungersi le ripercussioni sulla fauna, atteso che l’innevamento artificiale costituisce notoriamente un grave fattore di disturbo, specie nelle ore notturne, dovute al rumore e all’inquinamento luminoso, comportandone molto spesso un cambiamento nella scelta degli habitat. Ad ogni buon conto, e qui viene in essere il punto nodale della questione, sono gli effetti di lungo della neve artificiale sulla vegetazione a destare le maggiori preoccupazioni. A titolo di esempio, e senza nessuna pretesa di completezza, secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Journal of Applied Ecology, il livellamento del terreno causato dalle macchine sta causando una significativa perdita di 10
biodiversità nelle Alpi. In particolare, i ricercatori dell'Istituto Federale Svizzero per lo studio della neve e delle valanghe dell'Università di Zurigo e dell'Università di Potsdam, dopo aver esaminato le specie vegetali presenti presso 12 impianti sciistici svizzeri, hanno concluso che sui tracciati sciabili è assente ben l'11% delle specie vegetali rispetto a quelle presenti nelle aree limitrofe dove non viene praticata l’attività sciistica. Le specie più colpite, sempre secondo lo studio citato, sarebbero soprattutto quelle legnose. Sotto altro profilo, l’Istituto Federale per lo Studio della Neve e delle Valanghe (SNV) di Davos, nel 2001, dopo aver condotto, uno studio triennale, teso ad esaminare gli effetti dell’innevamento artificiale e degli additivi sulla vegetazione alpina e sul suolo, è giunto a conclusioni simili, riferendo come il manto nevoso artificiale, fosse in media più spesso di circa 70 cm rispetto a quello naturale, contenendo circa il doppio dell’acqua. Circostanza, questa, che da un lato favoriva il permanere della neve di almeno due settimane in più, ritardando in tal modo la crescita delle piante, dall’altro che gli ecosistemi particolarmente sensibili, tra cui si annoverano in particolare le zone umide e i biotopi, venivano sostanzialmente distrutti dalle variazioni del bilancio idrico, senza considerare che la trasformazione dei pendii in zone umide aumentava, come è logico, il pericolo di frane. Non di meno, va considerato che le scelte localizzative dei bacini di accumulo per l’innevamento programmato, già in sede di VAS, avevano suscitato fortissime perplessità, dal momento che gli stessi risultavano ubicati in prossimità di laghetti, cave, torbiere e aree umide della Val Chisone e della Val di Susa, in cui erano presenti comunità vegetali e animali di altissimo pregio, inserite nelle Liste Rosse Regionali e/o protette sulla base di Convenzioni Internazionali o Direttive Comunitarie. Il problema è stato superato, peraltro solo parzialmente, in sede di localizzazione definitiva, in cui è stato previsto un utilizzo assai più limitato delle aree umide di pregio, ma in cui comunque, sin dal 2002, si sono rese necessarie attività di monitoraggio, in ragione dell’alta sensibilità delle specie interessate e, in molti casi, dell’irreversibilità degli impatti provocati dalla realizzazione dei bacini. Le superfici convertite in bacino, che sono state quindi impermeabilizzate, presentano complessivamente un’estensione notevole, e hanno comportato, come è logico, una varazione d’uso delle aree su cui insistono rispetto all’epoca pre- olimpica davvero significative. Basti pensare, a titolo di esempio e senza nessuna pretesa di completezza, che solo in area San Sicario, per i due bacini Rogies e Italsider, sono stati impermeabilizzati 18.765 mq di terreno, con il taglio di circa 70 alberi d’alto fusto. Alla luce di quanto sin qui esposto, e considerato che la Regione Piemonte è una zona notoriamente fragile da un punto di vista idrogeologico, la scelta di prevedere, tra le opere di accompagnamento, bacini innevati e nuove sciovie in aree non interessate dagli eventi olimpici e anzi da queste decisamente distanti (es. comprensorio di Domodossola), si può concludere nel senso sia della inopportunità sia, sulla base del disposto della Legge Galli, della illegittimità, di una previsione in questo senso. Su questo specifico punto, merita probabilmente un breve cenno la più recente giurisprudenza della III^ Sezione della Corte di Cassazione Penale, che riconosciuta ai beni ambientali la qualifica di “beni di pubblica utilità” ha ipotizzato nella condotta posta in essere da chi vi crei nocumento una chiara ipotesi di danneggiamento aggravato, ai sensi dell’art.635, comma 3 c.p. I trampolini per il salto con gli sci di Pragelato Tra le opere olimpiche realizzate per i Giochi Invernali di Torino 2006, i trampolini per il salto e la pista per il bob, in ragione del loro carattere estremamente impattante, nonché delle scarse possibilità di utilizzo post-olimpico, rappresentano senza dubbio quelle più controverse e più contestate sotto una molteplicità di profili, sia di mero diritto che fattuali. Già dalla prima stesura del dossier Olimpico, tutte le maggiori associazioni preposte alla tutela ambientale, tra cui il WWF, avevano sollecitato gli organismi competenti al fine di evitare la costruzione dei manufatti (la cd. alternativa zero) e perseguire soluzioni alternative. In particolare, tra le prime proposte avanzate, si annoverava quella di far svolgere le gare su strutture preesistenti, in località alpine non distanti, individuando in Albertville, già sede dei Giochi Invernali del 1992, e dotata di una struttura presente e in pristino, la località più indicata. E’ appena il caso di ricordare, come descritto in premessa che, per quanto attiene l’organizzazione dei Giochi Invernali, l’art.38 comma 2 dello Statuto Olimpico prevede espressamente che il CIO possa autorizzare lo svolgimento di talune competizioni in un paese confinante, quale appunto era la Francia, per motivi geografici e topografici, in merito alla sussistenza dei quali le associazioni avevano fornito solidissime prove. 11
Vediamo in dettaglio. Innanzitutto, va considerato che il Comune di Pragelato risulta collocato in un’area decisamente isolata da un punto di vista naturalistico, e su cui gravano una molteplicità di vincoli, di natura idrogeologica e paesaggistica, cui vanno ad aggiungersi la presenza di quattro Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e di numerosi corridoi ecologici. Questo era il quadro generale che si presentava ante-VAS. E’ di palese evidenza, pertanto, che progetti afferenti la costruzione di cinque trampolini per il salto, anche a voler prescindere da considerazioni di carattere economico, pur rilevanti, attese le scarse prospettive di riutilizzazione in epoca post-olimpica, comportano inevitabilmente impatti rilevantissimi da un punto di vista paesaggistico. Da considerare inoltre, e a prescindere dalle realizzazioni definitive, l’altissimo impatto della cantieristica sugli habitat, a causa della propagazione delle polveri, delle sostanze inquinanti e del rumore, delle movimentazioni di terra. In alternativa, era stata altresì avanzata la proposta di realizzare delle strutture removibili, che permettessero la rapida ricostituzione degli habitat dopo i Giochi anche perché, in questo senso, non sembravano convincenti le argomentazioni contrarie, invero apodittiche, secondo cui una proposta del genere avrebbe messo a repentaglio la possibilità da parte di Torino di aggiudicarsi le Olimpiadi. E questo anche alla luce delle circostanza che da un lato, anche per le altre città candidate erano state avanzate soluzioni dello stesso tenore, dall’altro è che le considerazioni ambientali, lungi dall’essere avulse da quelle di carattere sportivo, nell’ultimo decennio hanno portato a ritenere le Olimpiadi svoltesi a Lillehammer, o i Campionati Mondiali di Sci di S. Moritz come i modelli “sostenibili” a cui ispirarsi per l’organizzazione degli avvenimenti sportivi futuri. Ad ogni buon conto, già al momento della presentazione dei primi Studi di Fattibilità, l’opzione zero, pur essendo esplicitamente prevista a livello normativo, non veniva neppure considerata, al pari di quella relativa alla realizzazione di trampolini removibili. Al contrario, in aggiunta alla realizzazione dei due trampolini olimpici richiesti dalla normativa CIO, si optava per la realizzazione di tre ulteriori trampolini di “allenamento”, realizzazione genericamente supportata, a livello motivazionale, dalla volontà di diffondere tra i giovani la pratica sportiva del salto con gli sci in epoca post-olimpica. Sul punto, è appena il caso di osservare come, a fronte di un impatto su un ben più ampio contesto paesistico, si concludeva nel senso della compressione dell’interesse pubblico generale alla tutela dell’ambiente, a favore di uno scenario di sviluppo di una pratica sportiva di nicchia ancora tutta da dimostrare (del tutto assente un’analisi costi/benefici dal punto di vista economico e tecnico della soluzione avanzata come progetto definitivo), genericamente motivata in ordine all’esigenza “di dare completezza alla dotazione impiantistica sportiva, resa necessaria dall’accettazione dell’incarico ricevuto dal CIO”, e anzi in presenza di indicatori che suggerivano di concludere nel senso opposto. Fatte queste doverose premesse di carattere generale, e sottolineata la sostanziale mancanza di un’indagine sugli elementi costitutivi del paesaggio finalizzata alla riqualificazione complessiva del territorio, sia della previsione di opere significative di recupero e mitigazione paesistico-ambientale, va sottolineato come la zona di intervento sia gravata sia da vincolo idrogeologico di cui alla LR 9 agosto 1989 n.45 (“Nuove norme per gli interventi da eseguire in terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici”), sia da vincolo paesaggistico-ambientale, secondo quanto previsto dal D.lgs. 30 ottobre 1999 n.490 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”) (oggi D.lgs. 22 gennaio 2004 n.42). Allo stesso tempo, va opportunamente considerato come la zona interessata dall’intervento, non solo è gravata da vincolo idrogeologico, ma che, in 12
particolare, l’area destinata all’atterraggio dei trampolini e al parterre, risulta chiaramente collocato sul fiume Chisone in zona esondabile. In questo senso, i timori avanzati da tutte e le maggiori associazioni di protezione ambientale in merito alla soluzione di arginare il torrente, al fine di togliere lo spazio per l’esondazione, oltre all’artificializzazione dell’ambiente alpino, consistevano nel pericolo che si sarebbe verificato un aumento della velocità, e quindi della pericolosità del corso d’acqua, vista anche la mancanza di altre aree esondabili nelle vicinanza, in una situazione in cui il torrente scorre nell’abitato di Pragelato e in cui l’alluvione del 2000 ha provocato danni ingentissimi ancora ben visibili in area Sucheres Basses. Si può quindi concludere che dal punto di vista del Rischio Idrogeologico in Alta Val di Susa, le trasformazioni d’uso del suolo sono state significative e, su alcuni versanti, hanno comportato la modifica dell’assetto geomorfologico del territorio, con disboscamenti che, per quanto possano essere stati selettivi, hanno avuto un impatto molto significativo sulla vegetazione, fattore notoriamente nevralgico per la protezione del suolo dall’erosione superficiale cagionata dagli agenti atmosferici. Ma l’elemento di maggior criticità, era rappresentato senza dubbio dalla circostanza che l’area interessata dall’intervento risultava collocata a margine di quattro Siti di Importanza Comunitaria (SIC) (ITI 110069, ITI 110054, ITI 110068 e ITI 110012), protetti ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE, recepita dallo stato italiano con il Regolamento di esecuzione DPR 8 settembre 1997 n.357, modificato dal DPR 12 marzo 2003 n.120. Come è noto, la Direttiva Habitat ha l’obiettivo di contribuire alla salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche negli Stati Membri, tenuto conto delle diverse esigenze economiche, sociali, culturali di ciascuno. In particolare, l’art.6, comma 2, sancisce l’obbligo, gravante sugli Stati membri, di evitare il degrado degli habitat naturali e di specie all’interno delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC), nonché la perturbazione delle specie per le quali le zone sono state oggetto di designazione, nella misura in cui tale perturbazione possa avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi sottesi alla Direttiva stessa. Il successivo comma 3, sancisce che “qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo.” Entrambe le disposizioni trovano applicazione anche nei confronti dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC) designati ai sensi dell’art.4 della Direttiva, nonché nei confronti delle Zone Speciali di Conservazione (ZPS), designate ai sensi della Direttiva Uccelli 79/409/CEE. Come aveva fatto notare, assai efficacemente, l’Osservatorio Ambientalista Torino 2006 già nel maggio del 2002, pur essendo il progetto definitivo assai meno impattante di quelli realizzati per le precedenti edizioni dei Giochi Olimpici Invernali, la previsione di estesi scavi e notevole movimentazione terra, con sostituzione del substrato naturale con uno molto compattato su sarebbe poi stato realizzato l’impianto sportivo di trampolini destava molte preoccupazioni. Tali lavori infatti sembravano destinati a danneggiare irrimediabilmente l’ecosistema dei SIC, ed in particolare del SIC IT1110069. L’attività progettuale di captazione con pozzo per l’innevamento artificiale (bacino pari a 30.000 mc.) si valutava avrebbe inciso pesantemente sull’area delle “Sorgenti del Chisone”, designata quale SIC grazie proprio alle sue caratteristiche idrologiche (presenza di sorgenti di acque dure) e alla flora autoctona, rara per il settore nord-occidentale delle Alpi e sull’area boscata. Si temeva inoltre la messa in pericolo della presenza della popolazione del Gallo forcello (Tetrao tetrix), nel SIC IT1110054. Diversi studi a disposizione delle maggiori 13
associazioni ambientaliste avevano infatti concluso che l’impatto del turismo invernale avrebbe influito in modo assai negativo sulla specie, dovuto alla sottrazione di habitat, al disturbo diretto e alla mortalità causata dai cavi aerei, quale prima causa antropica della riduzione della specie. Si paventavano inoltre ulteriori conseguenze negative anche sulle popolazioni stabili e migratorie di uccelli. In ogni caso, come previsto dall’art.6 della Direttiva Habitat, nonché dall’art. 5 del DPR n.357/97, come modificato dall’art.6 del DPR n.120/03, per la realizzazione delle opere, atteso che queste avrebbero potuto spiegare incidenza significative sui siti interessati, l’autorità competente – in questo caso la Regione Piemonte – provvedeva ad effettuare la prescritta valutazione di incidenza, che si concludeva positivamente, lasciando peraltro aperte le questioni relative alla vincolistica nonché all’eventuale danneggiamento dei beni ambientali. Osservazioni al progetto Trampolino di salto con gli sci Area boscata tra Loc. Pourrieres e la Bergeria del Meys (Dx. orografica) Premessa L’opera in oggetto si inserisce in contesto alpino sensibile, in alta Val Chisone, ad oltre 1500 m.s.l.m. L’aggettivo sensibile, in questo caso, vuole sintetizzare in un’unica espressione, per l’ampio territorio dell’alta Val Chisone e della confinante alta Valle di Susa, un ampio comprensorio di circa 600 kmq, per un’altimetria che non scende sotto i 750 m.s.l.m., di straordinaria importanza naturale. Tanto importante da giustificare, nella seconda metà degli anni ’90, tramite il progetto Bioitaly del Ministero dell’Ambiente, l’individuazione da parte della Regione Piemonte di 28 Siti di Importanza Comunitaria (SIC), ora ridotti a 19 per alcuni accorpamenti all’inizio degli anni 2000 e di 2 Zone di Protezione Speciale (ZPS). A questo tipo di classificazione territoriale naturalistico-ambientale vanno considerate, in aggiunta e completamento, 4 aree protette a carattere regionale. Tutte queste aree significano, così tutte vicine, concentrate e sovrapposte tra di loro (per le loro unicità e competenze di tutela) 37.031 ha di territorio identificato come SIC, 14.209 ha come ZPS, 18.076 ha come aree protette regionali. A chiunque osservi la cartografia di quest’angolo di Piemonte e voglia spendere pochi minuti per sovrapporre i vari tematismi poco fa menzionati, apparrà subito evidente che si tratta di una frazione delle Alpi Cozie, appunto, sensibile. Va da sé che una grande opera, o un’opera di grande impatto risulterà facilmente sconsigliabile. Se ciò non dovesse dimostrarsi abbastanza chiaro, allora, quest’opera indispensabile, giustificata da motivi imperativi di rilevante interesse pubblico (art. 6, comma 4, Direttiva 92/43/CEE) andrà studiata con accortezze davvero speciali. Va poi considerato che “Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” (art. 6, comma 4, Direttiva 92/43/CEE. Le caratteristiche del SIC e i fattori di pressione Il Sito di Importanza Comunitaria (identificato alla fine del 1995) IT1110068 “Area boscata tra Località Pourrieres e la Bergeria del Meys (destra orografica)” ad oggi non esiste più in quanto nel 14
febbraio del 2002 è stato accorpato (insieme ad altri) al SIC IT1110012 “Val Troncea”: oggi esiste il SIC IT1110080 “Val Troncea”, che è l’area Natura 2000 di riferimento per l’opera in esame. Va ricordato che l’area della Val Troncea identificata come SIC è parimenti cartografata dall’agosto del 2000 anche come ZPS. L’individuazione di un’area come ZPS implica l’entrata immediata del sito nella rete Natura 2000, facendolo sottostare ai pertinenti art. del DPR 357/1997. Nonostante gli accorpamenti, dettati da ragioni di ottimizzazione delle risorse nella gestione dei siti, le caratteristiche ambientali dell’area originale non sono mutate, almeno non tutte. Gli habitat di Allegato I in Direttiva sono sulla carta ancora ambienti di riferimento, così come pure le specie floro-faunistiche tra cui spicca il lupo (Canis lupus), specie prioritaria in Allegato II e in Allegato IV della Direttiva 92/43/CEE. Tutte le Classi sono rappresentate, persino i poco studiati invertebrati. Sono rappresentate specie botaniche in Allegato IV e, certamente, sono molto ben rappresentati gli Uccelli con numerose specie in Allegato I della Direttiva 79/409/CEE. A tragico ed inascoltato monito, sulla scheda del SIC della Val Troncea, spiccano per la loro attualità i rischi per la conservazione (datati, come il SIC, fine 1995), che succintamente si riepilogano in “Ulteriore frammentazione degli habitat forestali ed incremento del disturbo alla fauna con l'ampliamento degli impianti di risalita, delle piste di discesa già insistenti sulla zona e con apertura di altre piste ad uso agro-silvo-pastorale” e con “La presenza di stazioni turistiche in prossimità della sorgente e del primo tratto del Chisone causano l'incremento di captazioni idriche per usi civili". Il competente Settore della Regione Piemonte annotava, inoltre, dopo la Valutazione di Incidenza del 2001 al progetto del trampolino, ancora tra i fattori di pressione “Presenza di un bacino di captazione per l’innevamento artificiale delle piste – trampolino e fondo – delle Olimpiadi 2006)”. In questo caso siamo chiaramente in presenza di qualcosa che non ha funzionato, e le ragioni del mal funzionamento sono facilmente da ricondurre ad interessi economici che, non si stupisce certo la Scrivente di questo, non hanno assolutamente tenuto in considerazione le peculiarità naturalistiche della zona, se non come sforzo coatto obbligatorio per adeguamento (mal riuscito) alla normativa di tutela ambientale. Posto quindi che i motivi imperativi di rilevante interesse pubblico siano riconducibili alla necessità (?) e/o opportunità di realizzare i giochi olimpici; posto che tali motivi possano sostenere in toto quanto richiesto dal comma 4 dell’art. 6 della Direttiva Habitat, rimane il fatto che lo strumento di analisi chiamato Valutazione di Incidenza, previsto dalla stessa Direttiva Habitat, deve poter garantire alle competenti autorità nazionali le condizioni per poter dare “…il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa” (art. 6, comma 4 Direttiva 92/43/CEE). Se così fosse effettivamente avvenuto, se la Valutazione di Incidenza avesse sviscerato tutte le peculiarità naturalistico-ambientali presenti nel sito; se avesse identificato con precisione gli impatti dell’opera sulle peculiarità di habitat o di specie di quel sito; se avesse tenuto conto su area vasta, “singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti” (art. 6, comma 3 Direttiva 92/43/CEE), dell’impatto di quest’opera, appunto, congiuntamente ad altre realizzazioni riconducili ad un'unica fonte (le Olimpiadi); se avesse studiato attentamente misure di mitigazione e di compensazione adeguate da non pregiudicare l’integrità del sito, perché mai la Regione Piemonte avrebbe dovuto annotare che sul sito gravava la presenza di un bacino di captazione a servizio del trampolino (e di altre opere)? La Valutazione di Incidenza dell’opera Il problema è prima ancora di ordine culturale piuttosto che tecnico. Nella cultura progettuale italiana delle infrastrutture è ancora così poco frequentato il senso di importanza che riviste la mitigazione tecnico-naturalistica delle opere. 15
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