PER IL DIRITTO ALLA SALUTE - Gruppo Sinistra Ecologia Libertà Camera dei Deputati 23-25 gennaio 2015 - A cura di: Walter Gori

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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE - Gruppo Sinistra Ecologia Libertà Camera dei Deputati 23-25 gennaio 2015 - A cura di: Walter Gori
Gruppo Sinistra Ecologia Libertà
Camera dei Deputati
23-25 gennaio 2015

                         PER IL DIRITTO

                            ALLA SALUTE

        A cura di: Walter Gori

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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE

                                               INDICE

Premessa                                                                       pag. 1
PROPOSTA DI LEGGE “Disposizioni in materia di obiezione di coscienza
relativa all'interruzione volontaria di gravidanza”                            pag. 2
PROPOSTA DI LEGGE “Disposizioni in materia di consenso informato
e di dichiarazioni anticipate di volontà per i trattamenti sanitari”           pag. 6
PROPOSTA DI LEGGE “Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita”                                                        pag. 11
PROPOSTA DI LEGGE “Disposizioni per il riconoscimento dell'endometriosi
come malattia sociale e istituzione del Registro nazionale dell'endometriosi
e della Giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi”                 pag. 18

MOZIONE sul Servizio Sanitario Nazionale                                       pag. 21
MOZIONE sulla Procreazione medialmente assistita                               pag. 27
MOZIONE Legge 194/78 – interruzione volontaria di gravidanza
e obiezione di coscienza                                                       pag. 30
MOZIONE Libertà di scelta delle donne e politiche per il diritto
alla salute riproduttiva in ambito europeo                                     pag. 33
MOZIONE sulle Malattie rare                                                    pag. 37
MOZIONE sulla Celiachia                                                        pag. 40

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Premessa

I documenti parlamentari che trovate nei due Dossier “Per il diritto alla Salute” e “Per un nuovo
Welfare”, sono chiaramente, e inevitabilmente, solo una minima parte del lavoro che in questa
legislatura stiamo cercando di portare avanti alla Camera con costanza, quotidianamente, attraverso
interventi, Interrogazioni, Risoluzioni, Mozioni, Ordini del giorno, emendamenti ai singoli
provvedimenti che abbiamo in esame.
Si è quindi deciso di selezionare solamente alcuni principali Atti parlamentari, quali Proposte di
legge e Mozioni, presentati in questi quasi due anni di legislatura, e che riteniamo quelli più
significativi, riguardo ai temi della Salute e delle Politiche sociali.
Riguardo in particolare al Dossier “Per un nuovo Welfare”, abbiamo ritenuto utile integrare i testi
delle nostre Proposte di legge e delle Mozioni in materia di politiche sociali, con il recente lavoro
emendativo che abbiamo svolto riguardo al disegno di legge delega del Governo di riforma del
Terzo Settore e del Servizio civile, perché detta delega è proprio in questi giorni all’esame della
Commissione Affari sociali della Camera, ed è un tema particolarmente importante che riguarda la
revisione della legislazione sul volontariato, la cooperazione sociale, l’associazionismo non-profit,
le fondazioni e le imprese sociali.

Marisa Nicchi

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XVII LEGISLATURA

                             CAMERA DEI DEPUTATI                           N. 2553

                                      PROPOSTA DI LEGGE

                           d'iniziativa dei deputati
   NICCHI, COSTANTINO, DURANTI, MELILLA, RICCIATTI, PANNARALE, PIRAS,
                              SANNICANDRO

 Disposizioni in materia di obiezione di coscienza relativa all'interruzione volontaria di gravidanza

                                     Presentata il 18 luglio 2014

Onorevoli Colleghi! La fotografia attuale vede un Paese dove l'interruzione volontaria della
gravidanza, soprattutto in alcune regioni, è diventata quasi impossibile. La legge n. 194 del 1978 ha
previsto espressamente all'articolo 9, quarto comma, l'obbligo per gli enti ospedalieri e le case di
cura autorizzate ad assicurare comunque e in ogni caso l'espletamento delle procedure e gli
interventi di interruzione della gravidanza, assegnando inoltre alle regioni il controllo e la garanzia
della piena attuazione della legge, anche attraverso la mobilità del personale.
La legge n. 194 del 1978 prevede, accanto a scelte individuali, delle responsabilità pubbliche.
L'obiezione di coscienza è infatti un diritto della persona ma non della struttura. Al personale
sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quello che è un diritto del
singolo non è (non dovrebbe essere) un diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha
anzi l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie.
Di fatto però, nessuno ha controllato che la legge venisse effettivamente e pienamente applicata.
Recentemente il Comitato europeo dei diritti sociali ha ufficialmente riconosciuto che l'Italia viola i
diritti delle donne che – alle condizioni prescritte dalla legge n. 194 del 1978 – intendono
interrompere la gravidanza e questo per l'elevato e crescente numero di medici obiettori di
coscienza.
Nel nostro Paese, i dati ufficiali parlano di un 69,3 per cento dei ginecologi del Servizio sanitario
nazionale (SSN) obiettore di coscienza: in pratica quasi sette medici ginecologi su dieci sono
obiettori.
Le percentuali regionali dei ginecologi obiettori non scendono mai al di sotto al 51,9. I dati medi
aggregati per nord, centro, sud e isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari
rispettivamente al 63,9 per cento, 72 per cento, 77,1 per cento e 74,7 per cento. Le punte più alte di
ginecologi obiettori risultano in Molise (87,9 per cento) e in Campania (88,4 per cento).
Peraltro è ben noto che i dati presentati dalla relazione annuale al Parlamento sullo stato di
attuazione della legge n. 194 del 1978 in realtà sono sottostimati e non fotografano lo stato reale
della sua applicazione nel territorio nazionale, che risulta spesso ben più grave di quella riportata
nei dati ufficiali.
Ricordiamo, in tal senso, i dati resi noti dalla Libera associazione italiana dei ginecologi per
l'applicazione della legge n. 194 del 1978 (LAIGA) il 14 giugno 2012, risultanti da un attento
monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella regione Lazio, dai quali emerge una
situazione reale ben più grave di quanto riportato nella relazione del Ministro della salute: nel Lazio
in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi, che invocano un'obiezione «di
struttura», e le cliniche accreditate, la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema)
noi si eseguono interruzioni di gravidanza. Nella medesima regione ha posto obiezione di coscienza
il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In 3 province su 5 (Frosinone, Rieti e Viterbo) non è

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possibile eseguire aborti terapeutici, il che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi
centri della capitale, sempre più congestionati, o in altre regioni, o all'estero.
In questa situazione molte strutture ospedaliere, per garantire l'applicazione della legge, devono
ricorrere a medici esterni convenzionati con il SSN ed assunti esclusivamente per le interruzioni di
gravidanza (medici SUMAI), o a medici «a gettone», con un significativo aggravio per il SSN.
La principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere
sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per
la funzionalità dei vari enti ospedalieri e quindi del SSN, sia per le donne che ricorrono
all'interruzione volontaria di gravidanza.
Tutto questo comporta l'allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi per la salute delle
donne e con maggiori rischi professionali per i pochi non obiettori, costretti loro malgrado ad una
cattiva pratica clinica.
A fronte di tante difficoltà, cresce la preoccupazione per il pericolo di un ritorno a forme di
clandestinità, denunciate da più parti e che il Ministero della salute di fatto ignora, riportando in
proposito, nella relazione annuale sullo stato di applicazione della legge n. 194 del 1978, stime che
risalgono al 2005.
Oggi lo Stato si dimostra di fatto non in grado di gestire le difficoltà organizzative delle strutture
sanitarie obbligate all'applicazione della legge n. 194 del 1978.
La proposta di legge che sottoponiamo alla vostra attenzione tenta di dare una risposta efficace
all'evidente sempre maggiore incapacità del SSN di applicare pienamente la legge n. 194 del 1978 e
di garantire e tutelare le donne che decidono di fare ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza.
Intendiamo, in sintesi, affermare il principio che l'interruzione di gravidanza deve essere comunque
garantita.
L'articolo 1 prevede che ogni regione e provincia autonoma debba individuare le strutture sanitarie
pubbliche nelle quali istituire la struttura semplice del reparto di ostetricia e ginecologia,
denominata «Servizio di fisiopatologia della riproduzione». La struttura, di alta specializzazione,
svolge i compiti relativi alla diagnostica prenatale, assicura l'espletamento delle procedure e
l'effettuazione degli interventi di interruzione volontaria della gravidanza e si occupa delle
interruzioni di gravidanza oltre il novantesimo giorno.
La responsabilità del Servizio di fisiopatologia della riproduzione è affidata a un medico specialista
in ginecologia e ostetricia, che non ha sollevato obiezione di coscienza. Tutto il personale sanitario
deve essere non obiettore; l'eventuale successiva obiezione comporta il decadere dell'incarico.
Il comma 6 prevede l'istituzione di un registro regionale e delle province autonome dei medici
ginecologi con l'indicazione, per ciascuno di essi, se abbiano o no sollevato obiezione di coscienza,
al fine di assicurare alle donne il diritto di scegliere consapevolmente il medico a cui rivolgersi.
L'articolo 2 ribadisce comunque l'obbligo previsto dalla legge n. 194 del 1978, per le strutture
sanitarie nazionali, di assicurare l'espletamento delle procedure e l'effettuazione degli interventi di
interruzione della gravidanza richiesti, secondo elevati standard di efficacia, efficienza e
soddisfazione dell'utente relativamente ai servizi, alle procedure e agli interventi erogati.
Per quanto concerne le strutture sanitarie private accreditate le regioni dovranno verificare la
permanenza, la sospensione o la revoca dell'accreditamento in caso di inadempienze nell'attuazione
della legge n. 194 del 1978.
Per quanto riguarda, invece, le strutture sanitarie pubbliche, si prevede che la loro inadempienza
agli obblighi di legge diventi elemento di valutazione e di verifica per la conferma dell'incarico del
direttore generale e del contratto previsto per i dirigenti responsabili di struttura complessa.
L'articolo 3 interviene sulle procedure concorsuali per il conferimento degli incarichi di direzione di
struttura complessa per l'area di ginecologia e ostetricia. Si prevede che il non aver sollevato
obiezione di coscienza ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, costituisce titolo di
preferenza a parità di merito e di titoli ai fini del punteggio attribuito ai candidati, nonché ai fini
della determinazione finale da parte del direttore generale.

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Art. 1.
                    (Istituzione del Servizio di fisiopatologia della riproduzione).

1. Fermo restando l'obbligo di attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, da parte delle
strutture sanitarie di cui alla medesima legge, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, entro sessanta giorni dal termine di cui al comma 2, previa intesa in sede di Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, e secondo i criteri di cui al medesimo comma 2, individuano le strutture sanitarie
pubbliche nelle quali istituire il Servizio di fisiopatologia della riproduzione, quale struttura
semplice all'interno dell'area di ginecologia e ostetricia. Il Servizio di fisiopatologia della
riproduzione svolge i compiti relativi alla diagnostica prenatale e assicura l'espletamento delle
procedure e l'effettuazione degli interventi di interruzione volontaria della gravidanza. In
particolare, il Servizio di fisiopatologia della riproduzione si occupa delle interruzioni di gravidanza
oltre il novantesimo giorno di gestazione, definite interruzioni terapeutiche di gravidanza, che
richiedono competenze specifiche e alta specializzazione, in modo da assicurare alle pazienti
l'utilizzo delle tecniche e delle metodiche più sicure e avanzate.
2. I Servizi di fisiopatologia della riproduzione sono istituiti in modo da servire un bacino ottimale
di utenza, individuato da ciascuna regione e provincia autonoma entro trenta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge. Deve comunque essere garantito almeno un Servizio di
fisiopatologia della riproduzione per ciascun comune capoluogo.
3. La responsabilità del Servizio di fisiopatologia della riproduzione è affidata a un medico
specialista in ginecologia e ostetricia con funzione apicale, che non ha sollevato obiezione di
coscienza ai sensi dell'articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194.
4. L'obiezione di coscienza eventualmente sollevata dal medico responsabile del Servizio di
fisiopatologia della riproduzione, di cui al comma 3 del presente articolo, ai sensi dell'articolo 9
della legge 22 maggio 1978, n. 194, è considerata a tutti gli effetti come una notifica di dimissioni
dall'incarico se il medico precedentemente non era in organico nella struttura sanitaria; è
considerata come rinuncia all'incarico e come richiesta di ritorno alle mansioni precedentemente
svolte se il medico era già dipendente della struttura sanitaria.
5. La funzionalità del Servizio di fisiopatologia della riproduzione è assicurata dalla presenza di
personale sanitario e ausiliario non obiettore di coscienza ai sensi dell'articolo 9 della legge 22
maggio 1978, n. 194, al quale sono estese, in caso di obiezione, le disposizioni del comma 4 del
presente articolo.
6. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuna regione e le
province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a istituire un registro dei medici ginecologi
con l'indicazione, per ciascuno di essi, se abbiano o no sollevato obiezione di coscienza ai sensi
dell'articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194. Il registro, aggiornato almeno ogni sei mesi, è
pubblicato nei siti istituzionali delle regioni, delle province autonome e delle aziende sanitarie locali
ed ospedaliere dei rispettivi territori.
7. Con decreto del Ministro della salute, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri e le modalità
attuative delle disposizioni del comma 6.
                                                   Art. 2.
   (Verifica dell'attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, da parte delle strutture sanitarie).

1. Nel rispetto dell'articolo 9, quarto comma, primo periodo, della legge 22 maggio 1978, n. 194, le
strutture sanitarie pubbliche e private autorizzate sono tenute in ogni caso ad assicurare
l'espletamento delle procedure e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza
richiesti, secondo le modalità previste dalla medesima legge e secondo elevati standard di efficacia,
efficienza e soddisfazione dell'utente relativamente ai servizi, alle procedure e agli interventi

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erogati.
2. Le regioni, nell'esercizio dei poteri di vigilanza, e il Ministro della salute nell'esercizio del potere
di alta vigilanza di cui all'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni, oltre alle attività di controllo di cui al medesimo articolo 10 e avvalendosi
dei propri servizi ispettivi, verificano il rispetto e le modalità di attuazione delle disposizioni del
comma 1 del presente articolo, da parte delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate
autorizzate. È fatta salva la periodicità dei controlli sulla permanenza degli ulteriori requisiti
richiesti previsti dalla vigente normativa nazionale e regionale per l'esercizio delle attività sanitarie
da parte delle strutture sanitarie pubbliche e private.
3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuna regione, con
proprio atto normativo, provvede a definire i criteri e le modalità di sospensione e di eventuale
revoca dell'accreditamento delle strutture sanitarie private o comunque del servizio di ostetricia e
ginecologia inadempienti, o che abbiano erogato un servizio sanitario non efficiente e inadeguato in
relazione agli obblighi di cui al comma 1.
4. L'inadempienza da parte di una struttura sanitaria pubblica nell'attuazione della legge 22 maggio
1978, n. 194, rappresenta elemento di verifica per la conferma dell'incarico del direttore generale e
del contratto previsto per i dirigenti responsabili di struttura complessa, di cui all'articolo 8-octies,
comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nonché, per i direttori generali,
elemento ai fini della verifica e della valutazione di cui all'articolo 3-bis, comma 5, del medesimo
decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni.

                                                 Art. 3.
                        (Criteri di nomina dei direttori di struttura complessa).

1. Relativamente alle procedure per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura
complessa di cui all'articolo 15, comma 7-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, con
riguardo all'area di ginecologia e ostetricia, i candidati devono dichiarare in forma scritta se sono
obiettori di coscienza ai sensi dell'articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194.
2. Con riferimento all'area di ginecologia e ostetricia e ai fini del conferimento dell'incarico di
direzione di struttura complessa di cui al comma 1 del presente articolo, il non aver sollevato
obiezione di coscienza ai sensi dell'articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194, costituisce, in
virtù del mero riconoscimento dell'attività professionale svolta anche in supplenza, titolo di
preferenza a parità di merito e titoli ai fini del punteggio attribuito ai candidati dalla commissione di
cui all'articolo 15, comma 7-bis, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nonché
ai fini della determinazione finale da parte del direttore generale. Il titolo di preferenza di cui al
precedente periodo è valido, nell'ambito della suddetta area di ginecologia e ostetricia, anche ai fini
della nomina dei responsabili di unità operativa complessa a direzione universitaria, di cui al citato
articolo 15, comma 7-bis, lettera c), del decreto legislativo n. 502 del 1992.

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XVII LEGISLATURA

                             CAMERA DEI DEPUTATI                           N. 2264

                                      PROPOSTA DI LEGGE

                             d'iniziativa dei deputati
      NICCHI, PIAZZONI, AIELLO, DI SALVO, COSTANTINO, DURANTI, FAVA,
     LACQUANITI, LAVAGNO, MELILLA, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO,
                         QUARANTA, RICCIATTI, ZAN

     Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di volontà per i
                                        trattamenti sanitari

                                      Presentata il 2 aprile 2014

Onorevoli Colleghi! Dopo lo scontro che ha caratterizzato il dibattito sul «fine vita», anche a
seguito della tristemente famosa vicenda della morte di Eluana Englaro, e che ha visto impegnate le
Camere per buona parte della scorsa legislatura, è improcrastinabile superare finalmente posizioni
che nel nostro Paese impediscono da troppi anni l'approvazione di una legge moderna e laica sulle
scelte di fine vita.
Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un breve messaggio del 18 marzo
scorso, inviato al consigliere generale dell'Associazione Luca Coscioni, Carlo Trailo, nel corso di
una conferenza stampa per chiedere alle Camere l'avvio di un'indagine conoscitiva su come si
muore in Italia, ha voluto sottolineare come «il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle
scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee su questa materia (....).
Drammatici nella loro obbiettiva eloquenza sono d'altronde i dati resi noti da diversi istituti che
seguono il fenomeno della condizione estrema di migliaia di malati terminali in Italia».
In questo ambito è indispensabile approvare una legge che rispetti la libertà individuale, che dia la
possibilità di decidere senza prevedere limitazioni stringenti ovvero, imporre dogmi o verità
unilaterali. Che consenta, giuridicamente, di decidere quando mettere la parola «fine» a un'esistenza
compromessa irreparabilmente dalla malattia e dal dolore. Che rispetti le volontà di tutti e non
imponga terapie obbligatorie: così com’è giusto prevedere che coloro che, in base alla loro fede,
desiderano ricorrere a tutti gli atti medici e presìdi terapeutici per allungare artificialmente la loro
vita siano in pieno diritto di farlo, così questo diritto dovrebbe valere anche nel caso opposto.
Perciò è necessaria in Italia una legge che abbia a cuore certamente la salute, ma anche il rispetto
del malato in ogni fase della sua vita.
Peraltro una riflessione andrebbe fatta sul nesso tra democrazia, laicità e libertà.
La democrazia è tale se si ha rispetto della libertà e quando, davanti alla contrapposizione di due
tesi o a un conflitto di valori, come nel caso del tema del fine vita, non ricorre alla
«criminalizzazione» di una dei due ma, al contrario, li aiuta a «convivere», nel rispetto reciproco.
Democrazia, e quindi laicità, è il riconoscimento delle diverse sensibilità, è passione per il
confronto tra convincimenti culturali, morali e religiosi che devono coesistere liberamente e che
sono necessari per lo sviluppo democratico del Paese.
Se andiamo indietro nel tempo, troviamo le leggi sul divorzio e sull'aborto, anch'esse eticamente
delicate, che pur dividendo il Paese, sono state approvate e sono leggi di uno Stato laico, che non
impongono nulla a nessuno, ma che si sono limitate a riconoscere libertà, diritti e opportunità solo a
chi voglia avvalersene.
È proprio questo concetto di laicità che la nostra proposta di legge prende come «stella polare».
In tema di bioetica è in atto da anni un intenso dibattito legato ai concetti di consenso informato,
dichiarazioni anticipate di trattamento e alleanza terapeutica tra medico e paziente. Temi fortemente

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connessi al diritto costituzionale alla salute e alle sue implicazioni sulle problematiche del fine vita.
Il dibattito è fondato sul riconoscimento del diritto alla tutela della salute, sempre nel rispetto
dell'autodeterminazione del singolo, riconosciuto da numerose norme nazionali e sovranazionali.
Tra queste basti ricordare la Convenzione europea di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell'uomo e
sulla biomedicina, resa esecutiva dalla legge 28 marzo 2001, n. 145, che, al comma 1 dell'articolo 5
stabilisce che «un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la
persona interessata abbia dato consenso libero e informato». Per quanto concerne invece
l'ordinamento italiano, si deve anzitutto richiamare il dettato Costituzionale e in particolare, oltre
l'articolo 2, anche il disposto dell'articolo 13 che sancisce l'inviolabilità della libertà personale da
cui deriva il principio del consenso informato quale presupposto di ogni trattamento sanitario.
L'articolo 32, secondo comma, stabilisce, infatti, che «Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e che «La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Queste parole, non a caso,
furono formulate dall'Assemblea costituente perché venisse posto al legislatore un limite
invalicabile.
Se in base al principio di autodeterminazione riconosciuto dal citato articolo 32 nessuno può
imporre un trattamento medico a un paziente che non lo voglia, così deve essere in caso di perdita
della facoltà di intendere e di volere attraverso un atto di living will, cioè di volontà lasciata da
vivente.
La morte è l'unica cosa certa che capita all'essere umano ed è giusto che ciascuno affermi il modo di
finire la propria vita in armonia con il proprio concetto di esistenza.
Vale la pena rammentare che Aldo Moro collaborò alla stesura della parte finale del citato articolo
32, secondo comma, della Costituzione, relativa ai limiti posti alla legge, che può determinare
trattamenti sanitari obbligatori, ma sempre nei «limiti imposti dal rispetto della persona umana», e
che nella seduta della Commissione per la Costituzione del 28 gennaio 1947 ebbe a dichiarare che
quel limite era necessario perché il legislatore non cadesse nella tentazione dell'onnipotenza. Il
limite del rispetto della persona umana è una della dichiarazioni più forti della Costituzione poiché,
come detto, pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro
dell'esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte
all'indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o
da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell'interessato.
Nell'ambito della libertà della persona e dei diritti costituzionalmente riconosciuti deve quindi
valere il diritto al rifiuto o all'interruzione dei trattamenti sanitari, che non può essere disatteso nel
nome di un supposto dovere pubblico di cura, a meno di non voler affermare l'idea di uno Stato
illiberale, ripudiata dai Costituenti.
Unicamente in tale direzione può volgere una corretta lettura del dettato costituzionale, secondo cui
la Repubblica tutela la salute come fondamentale «diritto dell'individuo e interesse della
collettività», laddove l'intervento sociale si colloca in funzione del rispetto della persona e della sua
sfera di autodeterminazione.
L'articolo 1 della proposta di legge riguarda il dovere del medico e il diritto del paziente di essere
informato in modo esplicito ed esaustivo. Questo diritto e dovere di informazione circa la
condizione sanitaria del paziente è propedeutico al consenso informato, ossia al diritto del
medesimo paziente di scegliere, autonomamente e liberamente, se accettare o rifiutare i trattamenti
sanitari. Il trattamento sanitario è quindi subordinato all'esplicito ed espresso consenso
dell'interessato.
L'articolo 2 riguarda la facoltà del soggetto di redigere una dichiarazione anticipata di volontà, che
rimane valida anche nel caso sopravvenga una perdita della capacità naturale valutata irreversibile
sulla base delle conoscenze attuali, indicante i trattamenti sanitari cui vuole o non vuole essere
sottoposto. L'eventuale rifiuto del trattamento sanitario, valido anche per il tempo successivo a una
sopravvenuta perdita della capacità naturale di intendere e di volere, è vincolante e deve essere
rispettato dai sanitari. In caso di assenza della medesima dichiarazione, si ha riguardo alla volontà

                                                                                                        7
manifestata dal fiduciario o, in mancanza di questo, dagli altri soggetti previsti dall'articolo. Si
dispone, infine, che l'indicazione della redazione della dichiarazione anticipata di volontà sia
riportata nel fascicolo sanitario elettronico.
Gli articoli 3 e 4 regolamentano i casi in cui il giudice tutelare può provvedere alla nomina di un
fiduciario qualora la persona, in stato di incapacità naturale, non abbia nominato nessun fiduciario
nella propria dichiarazione anticipata di volontà. Si provvede inoltre a regolamentare i casi in cui vi
sia divergenza tra le decisioni del fiduciario e le proposte dei medici curanti.
L'articolo 5 prevede l'istituzione, presso ogni comune, di un apposito registro finalizzato a
raccogliere le dichiarazioni anticipate di volontà dei propri residenti.

                                        PROPOSTA DI LEGGE

                                                Art. 1.
                         (Consenso informato in merito ai trattamenti sanitari).

1. Il medico ha l'obbligo di informare il paziente, salvo espresso rifiuto di quest'ultimo su tutti gli
aspetti della sua condizione sanitaria e sull'evoluzione della sua malattia. In particolare ha il dovere
di informarlo in modo corretto, completo e pienamente comprensibile sulla diagnosi e sulla
prognosi della sua malattia, sui vantaggi e sui rischi delle procedure, sull'efficacia, sugli effetti e
sulle possibili alternative alle procedure diagnostiche e terapeutiche proposte.
2. Ogni trattamento sanitario è subordinato all'esplicito ed espresso consenso dell'interessato che sia
maggiorenne e capace di intendere e di volere, prestato in modo scritto, libero e consapevole sulla
base delle informazioni ricevute. Per trattamento sanitario si intende ogni trattamento praticato, per
scopi connessi alla tutela della salute, a fini terapeutici, diagnostici, palliativi, estetici. Il paziente ha
sempre diritto di scegliere, autonomamente e liberamente, se accettare o rifiutare, anche
parzialmente, i trattamenti sanitari considerati dei medici appropriati alla sua patologia.
3. L'eventuale rifiuto al trattamento sanitario, valido anche per il tempo successivo a una
sopravvenuta perdita della capacità naturale di intendere e di volere, è vincolante e deve essere
rispettato dai sanitari anche se dalla mancata effettuazione dei trattamenti proposti derivi un
pericolo per la salute o per la vita del paziente e rende gli stessi sanitari esenti da responsabilità
civile e penale.
4. In caso di ricovero ospedaliero il consenso o il rifiuto, anche parziale, di cui al presente articolo,
deve essere annotato nella cartella clinica e sottoscritto dal paziente.
5. Il consenso al trattamento sanitario può essere revocato in qualsiasi momento, anche
parzialmente.
6. Nel caso di paziente minore di età, il consenso è accordato o rifiutato dagli esercenti la potestà
genitoriale o la tutela. Il consenso ai trattamenti sanitari del soggetto, interdetto o inabilitato,
legalmente rappresentato o assistito, è accordato o rifiutato dal tutore o dal curatore, unitamente al
paziente stesso ove non sussistano specifici motivi ostativi al coinvolgimento di quest'ultimo,
avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psico-fisica del paziente.
7. Il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita della persona
incapace di intendere e di volere sia in pericolo per il verificarsi di un evento acuto.

                                                 Art. 2.
                                  (Dichiarazioni anticipate di volontà).

1. Ogni persona maggiorenne ha la facoltà di redigere una dichiarazione anticipata di volontà, che
rimane valida anche nel caso che sopravvenga una perdita della capacità di intendere e di volere
temporanea o irreversibile, indicante i trattamenti sanitari cui vuole o non vuole essere sottoposta.
In particolare può, tra l'altro, esprimere la propria volontà:

                                                                                                             8
a) di rifiutare qualsiasi forma di rianimazione o di continuazione dell'esistenza dipendente da
apparecchiature e di non essere sottoposta ad alcun trattamento terapeutico;
b) di non essere sottoposta all'alimentazione forzata e all'idratazione forzata;
c) di poter fruire, in caso di gravi sofferenze, degli opportuni trattamenti analgesici, anche qualora
gli stessi possano accelerare l'esito mortale della malattia in atto.
2. La dichiarazione anticipata di volontà può contenere l'indicazione di una persona maggiorenne di
fiducia alla quale è attribuita la facoltà di esercitare i diritti e le facoltà, in caso di incapacità
dell'interessato, che competono allo stesso ai sensi della presente legge, nonché di monitorare il
rispetto da parte dei sanitari delle direttive espresse dallo stesso interessato.
3. La dichiarazione anticipata di volontà, modificabile e revocabile, in qualsiasi momento,
formulata con atto scritto, deve essere redatta presso il proprio comune di residenza per
l'inserimento nel Registro comunale di cui all'articolo 5, che provvede immediatamente a
trasmetterla, anche per via telematica, al medico di base della persona di cui al comma 1, che è
tenuto a conservarla. Copia della dichiarazione anticipata di volontà, deve essere allegata, in caso di
ricovero in una struttura sanitaria, alla cartella clinica.
4. La dichiarazione anticipata di volontà è vincolante per i sanitari.
5. Nel caso in cui la persona da sottoporre a trattamento sanitario versi in uno stato di incapacità di
accordare o di rifiutare il proprio consenso, si ha riguardo alla volontà espressa dalla stessa nella
dichiarazione anticipata di volontà. In caso di assenza della medesima dichiarazione, si ha riguardo
alla volontà manifestata dal fiduciario o, in mancanza di questo, dall'amministratore di sostegno o
dal tutore, ove siano stati nominati, o, in mancanza di questi, nell'ordine: dal coniuge non separato
legalmente o di fatto, dal convivente, dai figli, dai genitori o dai parenti entro il quarto grado. In
assenza dei soggetti di cui al periodo precedente, la ricostruzione della volontà del soggetto acquista
valore e può essere utilizzata se confermata anche mediante l'acquisizione di prove testimoniali, dal
giudice tutelare al quale può ricorrere chiunque nell'interesse della persona capace di accordare o
rifiutare il proprio consenso.
6. L'esistenza di dichiarazione anticipata di volontà è comunicata dal paziente, dai prossimi
congiunti o dal fiduciario ai medici curanti e, in caso di ricovero, è allegata alla cartella clinica del
paziente. In ogni caso la struttura sanitaria è tenuta a chiedere al comune di residenza del paziente o
al suo medico di base, l'esistenza della suddetta dichiarazione anticipata di volontà depositata presso
il registro di cui all'articolo 5. In caso affermativo la struttura ne chiede immediatamente copia.
7. L'indicazione della redazione della dichiarazione anticipata di volontà è riportata nel fascicolo
sanitario elettronico di cui all'articolo 12 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con
modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni.

                                               Art. 3.
                                 (Mancata indicazione del fiduciario).

1. Qualora una persona si trovi in stato di incapacità naturale, temporanea o irreversibile, e nelle
dichiarazioni di cui all'articolo 2 non abbia nominato un fiduciario, il giudice tutelare, su
segnalazione dell'istituto di ricovero e cura, ovvero di chiunque sia venuto a conoscenza dello stato
di incapacità, provvede a tale nomina.

                                                 Art. 4.
                                             (Controversie).

1. Nel caso vi sia divergenza tra le decisioni della persona nominata ai sensi dell'articolo 2, comma
2, ovvero dell'articolo 3, e le proposte dei sanitari, è possibile il ricorso senza formalità, da parte dei
soggetti in conflitto o di chiunque vi abbia interesse, al giudice tutelare del luogo ove ha dimora
l'incapace. Il giudice, qualora siano state presentate le dichiarazioni anticipate di volontà di cui
all'articolo 2, decide in conformità alle stesse.

                                                                                                          9
Art. 5.
                    (Registri comunali delle dichiarazioni anticipate di volontà).

1. Ciascun comune, entro sessanta giorni dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2,
istituisce un registro comunale finalizzato a raccogliere le dichiarazioni anticipate di volontà dei
propri residenti di cui all'articolo 2 e le loro eventuali modifiche previste ai sensi del comma 3 del
medesimo articolo 2.
2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro
della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono definiti i criteri e le modalità per
l'istituzione dei registri di cui al presente articolo e per la trasmissione da parte del comune delle
dichiarazioni anticipate di volontà ai medici di base interessati.

                                                                                                       10
XVII LEGISLATURA

                              CAMERA DEI DEPUTATI                             N. 1535

                                       PROPOSTA DI LEGGE

                                     d'iniziativa dei deputati
                            NICCHI, PIAZZONI, AIELLO, DI SALVO

                       Norme in materia di procreazione medicalmente assistita

                                       Presentata il 9 agosto 2013

Onorevoli Colleghi! La legge 19 febbraio 2004, n. 40, è stata definita da più parti come una «legge
cattiva», oltre che una cattiva legge, in quanto volta a qualificare la procreazione come un privilegio
da concedere a pochi.
Una legge ingiusta, che ci ha allontanato dall'Europa per il suo anacronismo e per i contenuti
profondamente lesivi del diritto alla libera scelta e alla salute delle donne. Ma è innanzitutto una
legge che si preoccupa principalmente di ribadire alcuni princìpi etici di parte, disinteressandosi
persino dell'effettiva possibilità della loro applicazione.
Il rispetto del principio della laicità dello Stato prevede che si dovrebbe definire un impianto di
norme laico e moderno, intendendo la laicità come principio regolativo, principio che prescrive
l'estraneità dei giudizi e dei contenuti etici nell'esercizio dei poteri e delle funzioni dello Stato e, in
particolare, nell'elaborazione delle leggi.
I soggetti esclusi dal ricorso alla procreazione assistita sono numerosi: le donne sole, le coppie
omosessuali, quelle affette da problemi di sterilità o di infertilità da causa non documentata, quelle
fertili cui la fecondazione assistita sia consigliata per ragioni di tutela della salute della madre o del
nascituro. A costoro è negato non solo il diritto di procreare, ma anche quello di avvalersi di uno
strumento che la legge stessa qualifica come «terapeutico».
La legge n. 40 del 2004, basandosi su un impianto etico univoco, si è tradotta in una normativa
discriminatoria dei comportamenti delle persone: divieto della fecondazione eterologa, divieto di
accesso alle tecniche per la donna singola, divieto di congelamento degli embrioni, divieto di
diagnosi preimpianto anche in caso di coppie portatrici di malattie genetiche. Divieti irragionevoli
che violano la stessa libertà di autodeterminazione in ordine alle scelte procreative e che nella
pratica sono stati e sono notevolmente aggirati in questi anni da parte di chi ha le disponibilità
economiche, costringendo molte persone a quel «turismo procreativo» nei Paesi in cui le norme
sono meno restrittive, per ottenere ciò a cui non hanno diritto nel nostro Paese. E questo a ulteriore
dimostrazione che la legge sulla procreazione medicalmente assistita è una cattiva legge.
Ricordiamo che sulla legge n. 40 del 2004 nel giugno 2005 è stato promosso un referendum i cui
quesiti proponevano l'abrogazione totale o delle parti più inaccettabili del testo. Referendum che,
com’è noto, non ha raggiunto il previsto quorum.
Ricordiamo, inoltre, che il 28 agosto 2012 la Corte europea di Strasburgo ha giudicato incoerente la
legge n. 40 del 2004 ritenendo, in particolare, illegittimo il divieto di ricorrere alla diagnosi
preimpiantatoria nel caso in cui entrambi i genitori siano portatori di una grave malattia genetica.
Finora le pronunzie giurisprudenziali emesse dalla Consulta e da vari tribunali italiani ed europei
contro il contenuto della legge n. 40 del 2004 sono state ben 17 e hanno abolito il divieto della
crioconservazione degli embrioni e il limite massimo di tre embrioni per ciascun ciclo di
fecondazione.
Anche riguardo al divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge n. 40 del 2004, la Corte
costituzionale, nel 2012, ha restituito gli atti ai tribunali che l'avevano investita del caso. Il tribunale

                                                                                                         11
di Milano ha quindi risollevato il dubbio di incostituzionalità davanti alla Consulta che ora
dovrebbe pronunciarsi nel merito.
La proposta di legge che sottoponiamo alla vostra attenzione privilegia l'interesse della tutela della
salute e mira a creare condizioni per garantire un adeguato controllo sanitario. Una volta garantita la
libertà di accesso alla fecondazione medicalmente assistita, è opportuno valutare come primario
interesse il diritto del nascituro a un'identità certa, nonché a un patrimonio genetico non manipolato.
Va impedito, inoltre, il disconoscimento del figlio o della figlia, una volta che sia stato dato il
consenso alla fecondazione medicalmente assistita, e va riconosciuto e attestato il desiderio anche
maschile di coinvolgimento nel progetto procreativo.
La presente proposta di legge disciplina inoltre il ricorso alle tecniche di fecondazione
medicalmente assistita, alle quali possono avere accesso tutte le donne che hanno compiuto la
maggiore età e in età potenzialmente fertile e alla cui richiesta può associarsi il coniuge ovvero il
convivente che ha intenzione di assumere la paternità del nascituro (articolo 1).
All'articolo 2 è prevista l'esigenza che vengano adeguatamente informati, anche in forma scritta,
coloro che intendono sottoporsi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, sia sul grado
di invasività delle tecniche medesime sia in relazione ai possibili effetti collaterali, affinché possano
esprimere le proprie volontà in modo informato (è anche prevista la possibilità di revoca). L'articolo
3 dispone in merito alla definizione dello stato giuridico del nato e al divieto di disconoscimento di
paternità.
Le linee guida sono regolate da un apposito decreto del Ministro della salute, secondo quanto
previsto dall'articolo 4.
L'articolo 5 definisce i requisiti delle strutture autorizzate.
L'articolo 6 istituisce il Registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche
di fecondazione medicalmente assistita presso l'Istituto superiore di sanità.
Le modalità per la donazione dei gameti sono stabilite dall'articolo 7, che introduce limiti di età (per
le donne trentacinque anni e per gli uomini quaranta) e prevede l'accertamento dell'idoneità dei
donatori, al fine di escludere ogni possibile patologia infettiva o malattia ereditaria.
L'articolo 8 reca norme per la raccolta e la conservazione di gameti e di embrioni.
L'articolo 9 prevede la possibilità di diagnosi preimpianto a fini di prevenzione e terapeutici.
Le disposizioni sui divieti sono contenute nell'articolo 10.
L'articolo 11 riguarda la surrogazione di maternità.
La sperimentazione sugli embrioni umani è in generale vietata, mentre la ricerca clinica su di essi è
consentita a condizione che si perseguano finalità cliniche o terapeutiche. L'articolo 12 vieta
comunque la produzione di embrioni umani per fini di ricerca o sperimentazione, ogni forma di
selezione a scopo eugenetico, nonché interventi di manipolazione e di scissione e la fecondazione di
gameti umani con gameti di specie diversa.
L'articolo 13 prevede l'obbligo per il Ministro della salute di presentare ogni anno una relazione alle
Camere sullo stato di attuazione della legge.
Le sanzioni penali e amministrative sono disciplinate dagli articoli 14 e 15, mentre la tutela della
riservatezza dei dati personali, in merito sia alla donazione che alle persone che accedono alla
procreazione, è regolata dall'articolo 16, che prevede anche la deroga alla normativa generale nei
casi di grave e comprovato pericolo per la salute del nato.
L'articolo 17, infine, dispone l'abrogazione della legge n. 40 del 2004.

                                      PROPOSTA DI LEGGE

                                                Art. 1.
                   (Accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita).

                                                                                                      12
1. L'accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita è consentito alle donne
maggiorenni e in età potenzialmente fertile che, dopo che sono state fornite le informazioni di cui
all'articolo 2, comma 1, dichiarano la volontà di fare ricorso ad esse, ai sensi dell'articolo 2, comma
3.
2. Alla dichiarazione di volontà può associarsi, purché maggiorenne, il coniuge ovvero il convivente
che intende riconoscere il nascituro e assumere nei suoi confronti gli obblighi previsti dal codice
civile, purché gli siano state fornite le informazioni di cui al citato articolo 2, comma 1.

                                                 Art. 2.
                               (Informazioni e dichiarazione di volontà).

1. Prima del ricorso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita e in ogni fase della loro
applicazione il medico, anche avvalendosi della figura professionale dello psicologo, informa in
maniera dettagliata e in forma scritta i soggetti di cui all'articolo 1 sui metodi e sui possibili effetti
sanitari collaterali conseguenti all'applicazione delle tecniche stesse, sulle loro probabilità di
successo e sui rischi ad esse connessi, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna,
per il nascituro e per colui a cui è riconosciuta la paternità. Le informazioni indicate dal presente
comma e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna devono
essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da assicurare la formazione di una
volontà consapevole e validamente espressa.
2. Ai soggetti di cui all'articolo 1 devono essere prospettati con chiarezza i costi economici
dell'intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate.
3. La volontà dei soggetti di accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita è
dichiarata per scritto dal soggetto o dai soggetti coinvolti, al medico responsabile della struttura
autorizzata interessata, secondo modalità definite mediante regolamento adottato con decreto del
Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 17, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
La dichiarazione di volontà può essere revocata dalla donna in qualsiasi momento antecedente a
quello del trasferimento dell'ovulo fecondato nell'utero.

                                                Art. 3.
                           (Disposizioni concernenti la tutela del nascituro).

1. I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita sono figli
legittimi o acquistano lo stato di figli riconosciuti della madre o, ai sensi del codice civile, della
coppia che ha dichiarato la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 2,
comma 2.
2. Non sono ammesse l'azione per il disconoscimento di paternità, ai sensi dell'articolo 235 del
codice civile, né l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ai sensi dell'articolo
263 del medesimo codice, fatto salvo quanto disposto dal comma 3, finalizzate a contestare lo stato
di figlio legittimo o riconosciuto ai sensi del comma 1.
3. L'azione di cui all'articolo 235 del codice civile è ammessa qualora ricorrano le circostanze
previste dal numero 3) del primo comma del medesimo articolo. In tale caso, è ammessa la
presentazione di prove idonee a dimostrare che il concepimento non è avvenuto a seguito
dell'applicazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita in relazione alle quali è stata
sottoscritta la dichiarazione di volontà di cui all'articolo 2. L'azione di cui all'articolo 263 del codice
civile è consentita qualora ricorrano le circostanze di cui al secondo periodo del presente comma.

                                                  Art. 4.
                                              (Linee guida).

                                                                                                        13
1. Il Ministro della salute, nel rispetto dei princìpi della presente legge, avvalendosi dell'Istituto
superiore di sanità (ISS) e previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce, con proprio
decreto, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le linee
guida concernenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di fecondazione medicalmente
assistita. Le linee guida sono vincolanti per tutte le strutture autorizzate.
2. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, in rapporto all'evoluzione
tecnico-scientifica del settore, con le procedure di cui al comma 1.

                                                 Art. 5.
                                        (Strutture autorizzate).

1. Le tecniche di fecondazione medicalmente assistita sono applicate presso strutture pubbliche e
private autorizzate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano e iscritte nel
Registro di cui all'articolo 6.
2. Con regolamento emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive
modificazioni, su proposta del Ministro della salute, previo parere della Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e delle Commissioni
parlamentari competenti, sono definiti:
a) i requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture di cui al comma 1;
b) le caratteristiche del personale delle strutture di cui alla lettera a);
c) i criteri per la determinazione della durata delle autorizzazioni e dei casi di revoca delle stesse,
anche in relazione al permanere dei requisiti di cui alla lettera a);
d) le modalità di svolgimento dei controlli periodici sulle strutture di cui alla lettera a) e sulla
qualità dei servizi ivi erogati;
e) i protocolli di ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni preimpianto, nel rispetto di quanto
previsto all'articolo 12.

                                                 Art. 6.
                                 (Registro delle strutture autorizzate).

1. Con decreto del Ministro della salute, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, è istituito presso l'ISS il Registro nazionale delle strutture autorizzate
all'applicazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita e dei centri di raccolta e
conservazione dei gameti, di cui all'articolo 8, di seguito denominato «Registro».
2. L'iscrizione nel Registro e obbligatoria ai fini dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività.
3. L'ISS raccoglie e diffonde, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le
informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di
fecondazione medicalmente assistita.
4. Le strutture iscritte nel Registro sono tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e
all'ISS i dati necessari ai fini della relazione di cui all'articolo 13.
                                                    Art. 7.
                                           (Donazione di gameti).

1. La donazione di gameti avviene previo consenso informato e validamente espresso per iscritto
del donatore. La donazione è volontaria e gratuita e può essere effettuata da ogni persona di età non
inferiore a diciotto anni e di età non superiore, per la donna, a trentacinque anni e, per l'uomo, a
quaranta anni.
2. I responsabili dei centri di raccolta e conservazione di gameti di cui all'articolo 8 provvedono ad
accertare l'idoneità del donatore allo scopo di escludere la trasmissione di patologie infettive o di
malattie ereditarie secondo protocolli definiti con decreto del Ministro della salute, da adottare entro

                                                                                                      14
tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. I dati personali relativi al donatore sono riservati, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 16.
4. Non è consentito l'utilizzo di gameti di uno stesso donatore per più di otto gravidanze portate
positivamente a termine.
5. Nessun rapporto giuridico si costituisce tra il nato e il donatore.

                                              Art. 8.
   (Centri di raccolta e conservazione di gameti e di embrioni preimpianto. Conservazione degli
                                      embrioni per impianto).

1. La donazione di gameti è effettuata esclusivamente presso centri pubblici di raccolta e
conservazione di gameti oppure presso centri privati appositamente autorizzati dalle regioni,
nell'ambito della programmazione regionale, e iscritti nel Registro.
2. Il Ministro della salute, avvalendosi dell'ISS, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce:
a) i criteri per la determinazione della durata delle autorizzazioni e dei casi di revoca delle stesse;
b) i requisiti tecnico-scientifici e organizzativi dei centri;
c) le modalità di conservazione dei gameti;
d) gli indirizzi per lo svolgimento di attività di informazione sulle donazioni nonché sulle modalità
attraverso le quali queste ultime sono promosse e realizzate.
3. La conservazione degli embrioni preimpianto derivanti dalle tecniche di fecondazione
medicalmente assistita è consentita per un massimo di cinque anni nei centri di cui al presente
articolo. Entro tale termine, i soggetti di cui all'articolo 1 che non desiderano utilizzare gli embrioni
medesimi per una gravidanza possono:
a) richiedere al centro la distruzione degli embrioni;
b) consentire l'utilizzazione degli embrioni, al fine di rendere possibile la gravidanza di un'altra
donna, previa rinuncia scritta al riconoscimento del nascituro;
c) autorizzare l'uso degli embrioni nell'ambito di ricerche cliniche e sperimentali, nel rispetto delle
disposizioni dell'articolo 12.
4. Nel caso di cui al comma 3, lettera b), è assicurata la riservatezza dei soggetti coinvolti.
5. I centri di cui al presente articolo sono tenuti a fornire all'ISS le informazioni necessarie per le
finalità previste dall'articolo 13 nonché ogni altra informazione necessaria allo svolgimento della
funzione di controllo e di ispezione da parte delle autorità competenti.

                                                Art. 9.
                                        (Diagnosi preimpianto).

1. Sono consentite la diagnosi preimpianto degli embrioni e la loro eventuale selezione a fini di
prevenzione e terapeutici. Il consenso alla diagnosi preimpianto deve essere espresso per iscritto dai
soggetti di cui all'articolo 1.
                                                Art. 10.
                                               (Divieti).

1. Sono vietati:
a) il prelievo di gameti e di embrioni preimpianto per destinarli all'applicazione di tecniche di
fecondazione medicalmente assistita senza il consenso esplicito dei soggetti di cui all'articolo 1;
b) ogni forma di remunerazione diretta o indiretta, immediata o differita, in denaro o in qualsiasi
altra forma, per le cessioni di gameti o di embrioni preimpianto. Sono altresì vietate ogni forma di
intermediazione commerciale finalizzata alla cessione di gameti o di embrioni preimpianto nonché
qualunque forma di promozione commerciale delle tecniche di fecondazione medicalmente
assistita;

                                                                                                         15
c) l'importazione o l'esportazione di gameti e di embrioni preimpianto;
d) la miscelazione di liquido seminale proveniente da soggetti diversi;
e) l'applicazione di tecniche di fecondazione medicalmente assistita in strutture diverse da quelle
autorizzate ai sensi dell'articolo 5 e la donazione e la raccolta di gameti presso strutture diverse dai
centri di cui all'articolo 8;
f) i processi di clonazione umana a fini riproduttivi.

                                                Art. 11.
                                      (Surrogazione di maternità).

1. Il ricorso alla surrogazione di maternità è ammesso solo sulla base di un accordo tra le parti a
titolo gratuito. La maternità del nato a seguito del ricorso a tale tecnica è attribuita alla madre
surrogata.
                                                 Art. 12.
                                    (Ricerca sugli embrioni umani).

1. La ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni umani è consentita a condizione che si
perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e solo presso le strutture pubbliche che ne fanno
richiesta, sulla base dei protocolli approvati dal Ministro della salute di cui all'articolo 5, comma 2,
lettera e).
2. Sono comunque vietati:
a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione;
b) ogni forma di intervento che, attraverso tecniche di manipolazione, sia diretto ad alterare il
patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne le caratteristiche
genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità terapeutiche, nei limiti di cui al comma 1;
c) gli interventi di scissione precoce dell'embrione o di ectogenesi sia a fini riproduttivi sia a fini di
ricerca;
d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o
chimere.

                                                 Art. 13.
                                               (Relazioni).

1. L'ISS predispone, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una relazione annuale per il Ministero
della salute in base ai dati raccolti ai sensi degli articoli 6, comma 4, e 8, comma 5, sull'attività
svolta dalle strutture e dai centri autorizzati ai sensi della presente legge, con particolare riferimento
alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati.
2. Il Ministero della salute, sulla base dei dati indicati al comma 1, presenta entro il 30 giugno di
ogni anno una relazione alle Camere sull'attuazione della presente legge.
                                                   Art. 14.
                                             (Sanzioni penali).

1. Chiunque applica le tecniche di fecondazione medicalmente assistita a soggetti che non
soddisfano le condizioni di cui all'articolo 1 è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la
multa da 12.911 euro a 25.823 euro.
2. Chiunque contravviene ai divieti di cui all'articolo 10, comma 1, lettere a) e d), è punito con la
reclusione da quattro a otto anni e con la multa da 25.823 euro a 103.291 euro.
3. Chiunque contravviene ai divieti di cui all'articolo 1, comma 1, lettere b) e c), è punito con la
reclusione da quattro a otto anni e con la multa da 51.646 euro a 154.937 euro.
4. Chiunque contravviene al divieto di cui all'articolo 10, comma 1, lettera f), è punito con la
reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da 51.646 euro a 154.937 euro.

                                                                                                        16
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