Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore

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Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
preghiera è fare silenzio
interiore per accogliere la
parola del Signore

  nel silenzio il mistero della tua
              Presenza

da Altranarrazione
 eccomi in preghiera. In perfetta
 solitudine, in perfetta intimità,
 questo momento è solo per il
 Signore
 Taci scoraggiamento per i peccati commessi.
 Ascolta la Misericordia di Dio che risolleva
 da qualsiasi abisso.
 Taci distrazione. Ascolta il silenzio di Dio
 che ti insegna a percepire nel profondo.
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
Taci programmazione di attività. Ascolta la
creatività di Dio che sa aprire strade nel
deserto.
Taci esigenza di utilità. Ascolta la gratuità
di Dio che ti invita a trovare nel dono di se
stessi il senso dell’esistere.
Taci abitudine. Ascolta la novità di Dio che
rinnova il mistero della sua presenza.
Taci legalismo. Ascolta la Giustizia di Dio
che conosce e compatisce le nostre fragilità.

 e adesso in perfetto silenzio per
       accogliere il Signore

La Parola di Dio è delicatezza, non si
sovrappone ad altre voci.
È pazienza, sa attendere il suo turno.
È mitezza, pacifica l’anima, sollecita lo
sguardo ad allargarsi e ad andare oltre i
motivi razionali di conflitto e contrarietà.
È profezia, non consente di soprassedere alla
pratica della giustizia.
È consolazione, dona la forza per non
soccombere davanti alla sofferenza.
È speranza, propone alternative di senso al
vuoto scavato dalla superbia dell’uomo.
È guarigione, riesce a sanare le ferite che
resistono ai rimedi umani.
È contraddizione, smaschera le falsità degli
idoli.

Ti adoro, ti amo, Signore ed esulto
  perché capovolgi le logiche del
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
mondo

E.   Bianchi   invita   alla
insurrezione    contro    la
cattiveria e la barbarie

  “è tempo di un insurrezione delle
             coscienze”
               intervista a Enzo Bianchi
di Maria Laura Giovagnini

pubblicato su
“Io Donna”
14 settembre 2019
  Sopra una quercia c’era un vecchio gufo. Più sapeva e più
              taceva, più taceva e più sapeva».
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
Scolpita sulla pietra, la frase accoglie chi arriva a Bose, la
 comunità di monaci e monache di chiese cristiane diverse in
  provincia di Biella diventata un centro di spiritualità di
                   livello internazionale.
 «Parole di saggezza popolare che ho scoperto in Puglia – in
 una casa abbandonata in mezzo alla campagna – e ho fatto
 copiare: è nel silenzio che la parola diviene autorevole e
 intelligente, sennò è chiacchiera» spiega Enzo Bianchi, che
 ha fondato il monastero nel 1965.
 Però ai nostri tempi si addice di più una presa di posizione.
 «È l’ora di un’insurrezione delle coscienze.
 Dobbiamo assumerci responsabilità, impegnarci
 in una concreta resistenza alla cattiveria,
 al disprezzo, altrimenti la barbarie andrà al
 potere. La storia ci insegna che la violenza
 verbale può diventare violenza fisica» spiega
 lui, che aggiunge: «Qui mi chiamano Enzo, in giro c’è chi mi
 chiama fratel Enzo o padre Enzo… Dipende da cosa sentono in
 me». E certo non si sottrae, come dimostrano i suoi impegni
 pubblici di settembre , dove parlerà di umanità, di luce e
 tenebre…

Già, che significa “restare umani” oggi?
Significa coltivare la fraternità, la mitezza, l’accettazione
della diversità, la cura e l’aiuto, il perdono e la
misericordia. Ogni persona – di qualunque sesso, etnia,
religione – è davvero mio fratello o mia sorella. Abbiamo la
stessa dignità e gli stessi diritti, dobbiamo esser rispettati
nella rispettiva unicità. All’interno della visione cristiana,
l’uomo per eccellenza è proprio Gesù: la sua figura è lo
specifico della nostra religione rispetto alle altre. “Dio” è
una parola assolutamente insufficiente, si presta a
connotazioni molto differenti.
Da cosa ha origine questo rischio di barbarie?
La crisi economica ha portato a un’invidia, a una guerra fra
poveri, che ha fatto aumentare la diffidenza. Poi la paura è
stata fomentata anche per ragioni politiche, utilitaristiche e
ha incattivito tanta gente che fino a qualche anno fa si
sarebbe vergognata di certe espressioni, di certi
atteggiamenti.
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
Lei invoca spesso la “sapienza del cuore”. In epoche
storiche tanto complesse, non sarà assolutamente
insufficiente?
Il cuore deve sempre essere accompagnato dalla ragione, che ci
dà la possibilità di discernere, pesare il bene e il male e
deve quindi avere il primato: cosa sarebbe la religione senza
l’uso della ragione? Solo emozione che potrebbe infiammarsi
fino all’intolleranza, al fanatismo .
Come si spiega che tanti cattolici siano attratti da
politici razzisti o ultra nazionalisti?
Con la schizofrenia tra religiosità e Vangelo, assai più
attestata di quanto si possa immaginare. Una volta c’erano da
una parte gli atei e da una parte i religiosi. Oggi fra i
religiosi ci sono quelli che seguono il Vangelo e quelli che
chiamo “cristiani del campanile”. Il Vangelo divide, non
unisce affatto. I peccati commessi per debolezza vengono
perdonati (bisogna accoglierli senza disprezzare se stessi o
essere coperti di imbarazzo), ma non quelli per malvagità.
Magari si sarebbe più convincenti suggerendo qualche
vantaggio egoistico del “restare umani”…
Una certa gioia, serenità di fondo. Da anziano (ormai ho 76
anni), guardando al mio passato, capisco che ciò che conta è
l’aver amato e l’essere stato amato. Tutto il resto sfiorisce.
Ecco, il vero senso della vita è: amare ed essere amati.
L’unica cosa che ci salva.
Sta venendo meno la speranza nell’aiuto divino, non le pare?
Sì, ma perché c’è meno speranza nell’aiuto umano. Se non si
riesce ad aver fiducia, a credere in chi si vede, come si può
sperare in un Dio invisibile? Però, se manca la speranza,
l’esistenza diventa solo un duro mestiere senza possibilità di
felicità.
Mestiere durissimo, pensando a tutto il dolore che ci tocca.
Il dolore resta un enigma pure per il cristiano, che può
limitarsi a dire: finché siamo qui su questa terra insieme,
cerchiamo di vivere quella gioia e quella pienezza che ci è
consentita pur con le contraddizioni della malattia, del male
e della morte. Non si tratta di dare un significato alla
sofferenza, bensì di dare significato alla vita persino quando
si soffre.
A proposito di terra, a Bose c’è un’altra iscrizione che
colpisce: «Dio perdona sempre, gli uomini talvolta
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perdonano, la terra si vendica e non perdona mai…
…e conclude: «Ama la terra come te stesso». È nostra madre, da
cui Dio ci ha creati, dobbiamo rispettarla e renderla
addirittura più bella.
Non a caso lei è fedele da sempre all’orto fuori dalla sua
cella.
Un orto fu persino il regalo (originalissimo) chiesto a 11
anni per l’ammissione alle scuole medie…
Non solo l’orto… Amo il bosco (sono nato nel verde del
Monferrato), amo la tavola, gli amici, la compagnia e tutto
questo lo vivo nella mia fede cristiana ma senza dissociazione
tra le due cose, anzi: l’una potenzia l’altra. Sovente la
spiritualità oppone anima a carne, cielo a terra… Noi siamo
l’insieme, non possiamo dimenticare una delle dimensioni.
Da dove le arriva questa visione “concreta”?
Sono per carattere aderente alla realtà e, probabilmente, per
vicende personali: mia madre è morta quando avevo otto anni,
sono rimasto con mio padre in una condizione di povertà e
precarietà… Quel che mi ha sempre sorretto è stato sentire il
Vangelo come una stella polare che poteva guidarmi. La fede
cristiana è stata il dono più grande di mamma, molto
religiosa.
Però non si è mai identificato nella chiesa di Roma, ha
mantenuto apertura e curiosità
Credo sia il risultato di aver avuto una madre cattolica e un
padre comunista che mi ripeteva: «Enzo resta libero, gira,
ascolta tutti, incontra tutti. Fa’ la fame ma compra libri!»
Non ho mai considerato nessuno nemico o avversario. Ho avuto
la fortuna di conoscere, giovanissimo, il patriarca ecumenico
di Costantinopoli, Atenagora. Sono stato segnato dall’incontro
con Frère Roger, il priore di Taizé. Ho passato mesi alla
periferia di Rouen con l’abbé Pierre, facendomi straccione con
lui e con i suoi ultimi… Mi considero privilegiato.
E adesso, lo stato d’animo?
Fondamentalmente sereno, benché la vecchiaia spaventi.
Proprio stamattina ho visitato un coetaneo con l’Alzheimer e
sono rimasto turbato: perdere l’autosufficienza è il timore
più profondo. E poi c’è la paura della morte, parte integrante
della nostra identità umana. Ci sembra ingiusta, ci
interroghiamo sul dopo… Questo rende fragili. In compenso,
dalla vecchiaia sto imparando la pazienza. Con me stesso e con
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
gli altri.
Qualche rimpianto?
Il rimpianto è una tentazione, ma non ne soffro. Se arriva, so
spegnerlo presto.

i tanti oppositori a papa
Francesco perchè dà fastidio

                         Francesco

un papa che dà fastidio

                                             di: Victor Codina
[…] Attualmente vi è un forte gruppo che si oppone alla Chiesa
di Francesco. Laici, teologi, vescovi e cardinali, che
vorrebbero le dimissioni del papa o quantomeno che egli
scompaia presto dalla scena della Chiesa in attesa di un nuovo
Conclave a cui spetterebbe il compito di cambiare l’attuale
corso della Chiesa.

Non voglio fare un’indagine storico-sociologica in questa
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
sede, né condurre un programma televisivo stile western
contrapponendo i buoni ai cattivi. Quindi preferisco non
nominare gli oppositori che stanno spennando vivo Francesco.
Piuttosto, vorrei discutere lo sfondo teologico di questa
opposizione sistematica a Francesco, per comprendere in fin
dei conti di cosa ne va con questa controversia.

Le critiche mosse a Francesco hanno due dimensioni: una
teologica e l’altra più di carattere socio-politico; sebbene,
come vedremo in seguito, queste due linee spesso convergono
tra di loro.

La critica teologica
La critica teologica prende le mosse dalla convinzione che
Francesco non sia un teologo, ma viene dal sud globale, dalla
fine del mondo. Questa mancanza di professionalità teologica,
in forte contrasto con l’acume di Giovanni Paolo II e
ovviamente di Benedetto XVI, sarebbe la spiegazione di quelli
che i suoi oppositori considerano essere le imprecisioni o
addirittura gli errori dottrinali di Francesco.

Secondo questa visione, la mancanza di competenza teologica di
Francesco spiegherebbe la pericolosa posizione sulla
misericordia di Dio nella sua bolla Misericordiae Vultus del
2015, la sua tendenza filo-comunista a supportare il popolo e
i movimenti popolari, e la sua nozione di pietà popolare come
luogo teologico nella sua esortazione apostolica Evangelii
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
Gaudium del 2013.

La sua inadeguatezza in ambito della teologia morale si rende
manifesta nel suo aprire le porte di accesso ai sacramenti
della penitenza e dell’eucaristia, in alcuni casi (dopo un
discernimento personale ed ecclesiale), a cattolici separati e
risposati – secondo l’esortazione post-sinodale Amoris Laetita
del 2016.

La sua enciclica Laudato Si’, sempre del 2016, «sulla cura
della nostra casa comune», palesa una mancanza di competenza
scientifica ed ecologica. E la sua enfasi eccessiva sulla
misericordia divina in Misericordiae Vultus è scandalosa
poiché diminuisce la grazia e la croce di Gesù.

Davanti a queste accuse vorrei ricordare l’affermazione
classica di s. Tommaso che distingue tra la sede magisteriale,
propria dei teologi e dei professori universitari, e la sede
pastorale assegnata ai vescovi e pastori della Chiesa. Il
cardinal J. H. Newman riprese questa tradizione, affermando
che sebbene talvolta ci possano essere tensioni fra queste due
sedi, alla fine vi è convergenza fra di loro.

Questa distinzione si applica a Francesco. Sebbene egli abbia
studiato e insegnato teologia pastorale presso il San Miguel
di Buenos Aires come Jorge Mario Bergoglio, ora le sue parole
appartengono alla sede pastorale del vescovo di Roma.

Non aspira a ricoprire il compito che gli è stato assegnato
come teologo, ma come pastore. Come si è detto con un certo
umorismo di lui, bisogna passare dal Bergoglio della storia al
Francesco della fede. Quello che veramente infastidisce i suoi
detrattori è che la sua teologia deriva dalla vita reale:
dalla realtà dell’ingiustizia, povertà e distruzione della
natura; e dalla realtà del clericalismo ecclesiale.

Va bene se abbraccia bambini e persone malate; ma diventa del
tutto insopportabile se va a Lampedusa, se si aggira tra i
rifugiati e migranti in campi profughi come quello di Lesbo.
Preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore
Dà fastidio alla gente quando dice che non dovremmo costruire
muri contro i rifugiati, ma ponti di dialogo e ospitalità. Dà
fastidio quando, seguendo i passi di Giovanni XXIII, dice che
la Chiesa deve essere povera ed esistere per i poveri; che i
pastori devono puzzare come le pecore; che la Chiesa si deve
smuovere e uscire da se stessa per raggiungere le periferie
del mondo; e dà molto fastidio quando dice che i poveri sono
un luogo teologico, una fonte della rivelazione.

Dà fastidio quando afferma che il clericalismo è la lebbra
della Chiesa, e quando enumera le quattordici tentazioni della
Curia vaticana – che vanno dalla pretesa di essere
indispensabili e necessari alla brama di ricchezza, fino a
vivere doppie vite e soffrire di un Alzheimer spirituale.

E aumenta l’irritazione quando aggiunge che queste sono anche
le tentazioni delle diocesi, delle parrocchie e delle comunità
religiose. Dà fastidio sentire che la Chiesa dovrebbe essere
concepita come una piramide inversa, con i laici al di sopra e
il papa e i vescovi di sotto; come disturba sentirlo dire che
la Chiesa è un poliedro e sinodale. Questo significa che noi
tutti dobbiamo percorrere lo stesso sentiero insieme, che
dobbiamo ascoltarci gli uni gli altri e dialogare tra di noi
[…].

Irrita i gruppi conservatori il fatto che Francesco abbia
ringraziato Gusatvo Gutiérrez, Leonardo Boff, jon Sobrino e
José María Castillo per il loro contributo teologico,
annullando la sospensione a divinis di Miguel d’Escoto e di
padre Ernesto Cardenal. Si sono infuriati quando Hans Küng gli
ha scritto riaffermando la necessità di ripensare
l’infallibilità e Francesco gli ha risposto chiamandolo «caro
confratello», e dicendo che avrebbe preso in considerazione le
osservazioni di Küng ed era disponibile ad aprire un dialogo
sull’infallibilità.

E molti sono disturbati dal fatto che Francesco abbia
canonizzato s. Óscar Romero, vescovo salvadoriano martire,
bollato da molti come comunista e utile marionetta nelle mani
della sinistra – dopo che la sua causa era rimasta bloccata
per anni.

Dà fastidio che Francesco dica «chi sono io per giudicare?».
Dà fastidio quando afferma che la Chiesa è femminile e che se
le donne non vengono ascoltate la Chiesa diventa più povera e
faziosa. […]

Ovviamente, il problema non è che Francesco non sia un
teologo, ma piuttosto che la sua teologia sia pastorale.
Francesco muove dal dogma al kerygma, dai principi teorici al
discernimento e alla mistagogia pastorale. E la sua teologia
non è colonialista, ma proviene dal sud globale del mondo per
                             dare fastidio al nord.

Critiche socio-politiche
Scendendo in un confronto critico con coloro che accusano
Francesco di essere un terzo-mondialista e un comunista,
dobbiamo affermare che il suo messaggio è in perfetta
continuità con la tradizione profetico-biblica e con la
dottrina sociale della Chiesa.

Quello che disturba è la sua veggenza profetica: Francesco
dice no a un’economia dell’esclusione e dell’ineguaglianza;
no a un’economia che uccide e fa vittime; no a un’economia
senza volto umano; no a un sistema sociale ed economico
ingiusto che ci imprigiona in strutture sociali ingiuste; no
alla globalizzazione dell’indifferenza; no all’idolatria del
denaro; no al denaro che governa piuttosto che servire; no
all’ineguaglianza che produce violenza; no a chiunque tenti di
nascondersi dietro Dio per giustificare la violenza; no
all’insensibilità sociale che ci anestetizza davanti alla
sofferenza degli altri; no alle armi e all’industria militare;
no al traffico umano; no a ogni forma di morte che sia
provocata.

Francesco non fa altro che realizzare il comandamento «non
uccidere», difendendo il valore della vita umana dall’inizio
alla fine, e ripropone oggi la domanda di Dio a Caino «dov’è
tuo fratello?».

Di Francesco disturba anche la sua critica al paradigma
antropocentrico e tecnocratico, che distrugge la natura,
inquina l’ambiente, erode la biodiversità ed esclude i poveri
e le popolazioni indigene da una vita umana degna di sé. Le
multinazionali non apprezzano quando egli critica le imprese
di disboscamento, estrazione petrolifera, idroelettriche,
minerarie, che distruggono l’ambiente, danneggiano le
popolazioni indigene di quelle terre e minacciano il futuro
della nostra casa comune. Irritante è anche la sua critica ai
leader politici incapaci di prendere decisioni coraggiose.

L’annuncio dell’imminente sinodo per l’Amazzonia (ottobre
2019), che amplificherà il bisogno di proteggere l’ambiente e
di salvare le popolazioni indigene delle aree amazzoniche dal
genocidio, ha già cominciato a essere molto scomodo. Alcuni
alti prelati della Chiesa hanno detto che l’instrumentum
laboris è eretico e panteista, negando fra l’altro la
necessità della salvezza in Cristo.

Altri commentatori si sono focalizzati esclusivamente sulla
proposta di ordinare uomini indigeni sposati per celebrare
l’eucaristia nelle parti più remote dell’Amazzonia, ma non
hanno detto assolutamente nulla sulla denuncia profetica che
questo documento preparatorio fa contro la distruzione causata
dalle estrazioni portata avanti in Amazzonia. Come nulla hanno
detto sulla questione della povertà e dell’esclusione delle
popolazioni indigene, che sicuramente non sono state mai
minacciate in un maniera tale come ora.

Edificare la Chiesa

Indubitabilmente, vi sono delle convergenze fra le critiche
teologiche e quelle socio-politiche, con gruppi ecclesiali
reazionari pattiziamente allineati con potenti gruppi politici
ed economici, specialmente nel nord del mondo.

L’opposizione a Francesco è un’opposizione al Vaticano II, e
alla riforma evangelica della Chiesa voluta da Giovanni XXIII
[…].

Francesco ha ancora molto da fare per arrivare a una riforma
evangelica della Chiesa. Non sappiamo quale sarà la sua
traiettoria futura, né sappiamo cosa accadrà al prossimo
Conclave.

I papi vanno e vengono, ma il Signore Gesù è sempre presente e
anima la Chiesa fino alla fine dei tempi. È lo stesso Gesù che
era visto come un mangione e beone, amico dei peccatori e
delle puttane, dei posseduti dai demoni, dei pazzi – quel Gesù
eversivo e blasfemo. Noi crediamo che lo Spirito del Signore,
che discese sulla Chiesa nascente nel giorno di Pentecoste,
non abbandonerà mai la Chiesa e, alla lunga distanza, non
permetterà il trionfo del peccato sulla santità.

Nel frattempo, come Francesco chiede sempre, da quando è
apparso per la prima volta sul balcone di San Pietro come
vescovo di Roma a oggi, preghiamo il Signore per lui.
Preghiamo che non perda la speranza e che possa rafforzare la
fede dei suoi fratelli e sorelle. E se non possiamo pregare, o
siamo non credenti, mandiamoli comunque i nostri migliori
pensieri, auspici ed energia – come dice Francesco «me mande
buena onda».

 estratto dalla traduzione dall’inglese dell’articolo Why do
 some Catholics oppose Pope Francis?, pubblicato il 13
 settembre sulla piattaforma online rivista dei gesuiti
 statunitensi America.

morto il cardinale Etchegaray
che da giovane era stato
cappellano degli zingari
con gli zingari la
    scuola di Etchegaray
  da MondoeMissione.it
Redazione

   Il cardinale delle «missioni impossibili» –
scomparso in queste ore – aveva imparato l’arte
  del dialogo da giovane prete come cappellano
degli zingari in Francia. E nel 1969 volle i
loro violini alla sua ordinazione episcopale a
                  Notre Dame

Con il cardinale Roger Etchegaray – scomparso ieri sera
all’età di 97 anni – se ne va un grande artigiano della pace
e del dialogo interreligioso. In queste ore, ricordando
alcuni dei viaggi più delicati compiuti per conto di
Giovanni Paolo II, molti lo hanno chiamato l’uomo delle
«missioni impossibili», alludendo ai suoi incontri in Paesi
come l’Iraq, il Vietnam e la Cina. C’è però un aspetto della
vita di questo porporato francese di orgini basche che vale
la pena di sottolineare: dove aveva imparato l’arte del
dialogo Roger Etchegaray? Un contributo importante era
venuto dagli anni in cui da giovane sacerdote a Bayonne era
stato l’assistente della pastorale degli zingari. Con loro –
amava ripetere – ho imparato che davvero «il vento non si sa
da dove viene, né dove va, come dice il Vangelo».

 Per questo vogliamo ricordarlo con una pagina
 tratta dal suo libro «Tiro avanti come un
 asino» (Edizioni San Paolo, 2007), in cui il
 cardinale stesso ricordava uno degli amici
 zingari incontrati durante quegli anni in
 Francia.

Coucou Doerr. Bisognava vivere tra la «gente itinerante» per
conoscere e apprezzare quel pezzetto d’uomo che diventò per
me un caro amico. Che gioia e che soddisfazione per me! Di
tutti gli zingari incontrati quando, giovane prete a
Bayonne, ero il loro cappellano, Coucou è la persona che
m’ha più colpito per la dignità e la fedeltà della sua vita
nomade.

Abbiamo fatto insieme il primo pellegrinaggio dei gitani a
Lourdes nel 1957, e mi pare ancora di vederlo, alla testa
del gruppo di musicisti. Siamo stati insieme a Pomezia,
vicino a Roma, nel 1965 per rispondere a un invito di massa
del papa Paolo VI (il primo storico incontro di un Papa con
gli zingari, che si tenne il 26 settembre 1965, pochi giorni
prima del discorso di Montini all’Onu a New York ndr). Ero
vicino a lui, nel 1967, al circo d’Inverno, presso
Bouglione, per vederlo mentre suonava il violino con i
piedi. Venne come mio ospite per la mia ordinazione
episcopale nel 1969 a Notre-Dame di Parigi, che applaudì
spontaneamente questo virtuoso della musica zigana. E a
Marsiglia l’ho rivisto più volte in occasione della festa di
Santa Marie del Mare.

Dove vai, zingaro? Con questo titolo, sotto la guida del
padre Leury, gesuita deportato, che aveva dato conforto al
popolo nomade in via di estinzione nei campi nazisti, Cocou,
più trovatore che letterato, firmò un libro originale su
tutto ciò che, dalla sua roulotte, attraverso le strade
d’Europa, aveva osservato, odorato, sulla natura, sugli
uomini e su Dio.

Questi «figli del vento» fanno pensare a ciò che Gesù diceva
precisamente del vento: non si sa «da dove viene, né dove
va» (Gv 3,8). Nonostante tutti gli sforzi compiuti sul piano
sociale, umanitario e anche religioso, è ancora un mondo
sconosciuto che si accampa alle porte delle nostre città e
delle nostre chiese. Quando si sedentarizzano, diventano un
popolo minacciato da un’integrazione che rispetta poco i
suoi valori culturali: non si chiudono in gabbia i piccioni
viaggiatori…

A tutti voi, buon cammino. «Lacio drom!». Gesù è sempre la
Via che non abbiamo mai finito di percorrere.

cardinale Roger Etchegaray
le beatitudini declinate oggi
    BEATITUDINI PER UNA NOTTE DI
            SOLIDARIETA’

 Beati i poveri in spirito, sono loro i re di
                    domani
   Beati quelli che scelgono di stare con i
        piccoli e gli ultimi della fila
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia
Beati quelli che hanno fame e sete di dignità e
             di diritti per tutti
Beati quelli che scelgono sempre l’umano contro
                  il disumano
 Beati quelli che salvano vite, dalla morte, da
              ogni forma di morte
 Beati quelli che costruiscono ponti e non muri
Beati quelli che: avevo fame e mi avete dato da
                    mangiare
        ero straniero e mi avete accolto
ero senza terra e mi avete dato un paese buono
Beati quelli che hanno il cuore dolce, perché
         saranno i signori di domani
   Beati quelli che sanno ancora piangere,
che provano dolore per il dolore di un bimbo,
      una donna, un figlio della terra…
Beati quelli che sanno provare stupore e rabbia
         di fronte agli orrori del mondo
    Beati quelli che si prendono cura di una
         esistenza con la loro esistenza
Beati quelli che sentono il morso del più: più
      passione, più umanità, più diritti
    Beati i coraggiosi: quelli che “meglio
          trasgressivi che complici”
   Beati quelli che non sono muti e inerti
 Beati gli oppositori, che si oppongono alla
                    legge
    quando la legge si oppone all’umanità
     Beati quelli che sono in minoranza,
               controcorrente,
   che non si accodano al pensiero dei più
  Beati quelli che la vita non la vedono in
            funzione del loro io,
    ma il loro io in funzione della vita.
  Loro hanno in dono la vita indistruttibile
                 fra Ermes Ronchi
contro il fondamentalismo
biblico il vescovo Spong e la
sua rivoluzione teologica

      la rivoluzione teologica del
             vescovo Spong
di Augusto Cavadi

–
Se qualche adulto prova ancora piacere a leggere l’Iliade o
l’Orlando furioso è perché, sin da ragazzo, queste opere gli
sono state presentate come poemi, creazioni di fantasia pregne
di significati morali e di insegnamenti esistenziali.

La Bibbia – Antico e Nuovo Testamento o, come si preferisce
dire per rispetto verso gli Ebrei, Primo e Secondo Testamento
– non ha avuto la stessa sorte.

Indubbiamente chi l’ha redatta, mettendo per iscritto secolari
tradizioni orali, non intendeva fare opera di storia né di
scienze naturali, quanto esprimere – attraverso miti, poemi,
leggende, fiabe, epopee, omelie – alcune convinzioni di fede
del suo popolo.

Ma quando la Bibbia è uscita dall’alveo medio-orientale – ed
è stata ascoltata, letta, tradotta dai “Gentili”, da Greci e
Latini – il registro linguistico originario è stato
inesorabilmente frainteso: Adamo, Eva, Abramo, Mosé…non più
figure simboliche, ma personaggi storici dalla fisionomia e
dalle vicende francamente inverosimili.

Da un secolo a oggi la teologia sta cercando di uscire
dall’equivoco bimillenario, da un “letteralismo” imbarazzante
che costringe i nostri contemporanei mediamente istruiti a una
scelta dolorosa: o credere (rinunziando a ciò che le scienze
umane e naturali, oltre che la logica, insegnano) o gettare
alle ortiche la Bibbia (salvando la propria integrità
intellettuale).

Certo, de-mitizzare il Primo Testamento è stato relativamente
facile; non altrettanto agevole l’operazione per il Secondo
Testamento. Il vescovo episcopaliano John Shelby Spong, con
notevole coraggio (ha dovuto sopportare non solo reazioni
accademiche ed ecclesiastiche, ma perfino aggressioni
fisiche), si è impegnato su questa strada, pubblicando –
accanto ad altri titoli interessanti – Letteralismo biblico:
eresia dei Gentili. Viaggio in un cristianesimo nuovo per la
porta del Vangelo di Matteo, ed. it. a cura di don Ferdinando
Sudati, Massari, Bolsena (Vt) 2018 (ed. or. 2016), pp. 398,
euro 20,00.
Spong non nega certo che il germe dei Vangeli sia stata
un’esperienza storica, solo ne circoscrive attentamente i
contorni: nel primo secolo della nostra era alcuni ebrei
furono affascinati dalla personalità e dal messaggio di un
maestro nomade, Jeshua di Nazareth, e per qualche anno si
misero al suo seguito.

Le autorità religiose ebraiche lo percepirono però come un
pericoloso sovversivo dell’ordine (teologico-morale-politico-
sociale) costituito e lo fecero condannare a morte
dall’autorità romana occupante la Palestina. I discepoli
caddero in un profondo sconforto ma le esperienze mistiche
attestate da alcuni di loro li convinsero che il maestro non
era precipitato nel nulla della morte, che al contrario era
stato accolto e reso immortale dall’abbraccio del Dio vivente.

Pochi decenni dopo la crocifissione (51- 64) è Paolo, con le
sue lettere, a formulare e diffondere la fede in Gesù; poco
dopo è Marco (intorno al 72) che riprende la predicazione
paolina e la struttura in un racconto più ampio e articolato:
il primo dei quattro vangeli ritenuti, nel IV secolo, gli
unici “canonici”. Ancora poco dopo un decennio (intorno
all’84) Matteo riprende, a sua volta, il testo di Marco e lo
amplifica, arricchendolo di dettagli: secondo quale criterio?

Spong, sulla scia del biblista Michael Douglas Goulder (1927 –
2010), sostiene che i capitoli del vangelo secondo Matteo
seguono molto fedelmente la scansione della liturgia in vigore
nelle sinagoghe.

Da ebreo che si rivolge ad ebrei, sa che la sua ricostruzione
teologico-liturgica non sarà presa alla lettera, avendo come
scopo esplicito non tanto rendicontare storicamente la vita di
Gesù (che egli, personalmente, potrebbe non aver neppure
conosciuto), quanto attestare la fede della sua comunità.

Essa si è infatti convinta che, dopo la distruzione del Tempio
di Gerusalemme del 70 d. C., la “gloria” di Dio, la “presenza”
di Jahvé, risplenda nella persona del Nazareno, visto come il
nuovo Mosé.

Matteo esprime questa fede costruendo un racconto che
ripercorre, tappa dopo tappa, la vicenda di Mosé: bambino
salvato dall’eccidio dei neonati ebrei, fuggito in Egitto,
rimasto quaranta anni (che diventano giorni) nel deserto,
promulgatore sul monte della Legge (che diventa la nuova
Legge, il “discorso della montagna”)…

La tesi di Spong è di una semplicità disarmante (anche se,
alle orecchie dei lettori ingenui, risulta allarmante): non
sono le ‘profezie’ veterotestamentarie ad essere puntualmente
avveratesi in Gesù, ma è la vicenda di Gesù che è stata
costruita letterariamente sulla base delle ‘profezie’
veterotestamentarie.
Se è così, l’autore invita a non cercare in questo vangelo
(come in nessun’altra pagina biblica) una veridicità storica,
quanto ad accoglierne – se lo si vuole accogliere – il
significato intenzionato da Matteo stesso: che in Gesù il
messaggio biblico tracima rispetto alle barriere etniche di un
popolo autoproclamatosi eletto e si rivolge all’umanità
intera. “Andate in tutte le nazioni, dice il Cristo risorto.”
– e qui non si pensa certo alla rianimazione miracolosa di un
cadavere, quanto a una dimensione inedita e incomparabile in
cui Gesù, “primogenito di molti fratelli”, è entrato dopo la
crocifissione – “Andate da coloro che avete definito oltre i
confini dell’amore di Dio. Andate da coloro che avete deciso
che sono reietti. Andate da coloro che avete giudicato
inadeguati. Andate dai non circoncisi, dagli impuri, dai
perduti, dai non battezzati e dai diversi. Andate oltre il
livello delle vostre esigenze di sicurezza. Andate da coloro
che vi minacciano. […] Proclamate loro la buona notizia
dell’amore infinito di Dio, un amore che ci abbraccia tutti.
Con il potere di questa esperienza, permettete alle vostre
paure di dissolversi; e insieme a quelle paure scomparse, dite
addio anche alle vostre insicurezze, ai vostri pregiudizi, ai
vostri confini. Nella comunità umana c’è posto per tutti.
Imparate a mettere in pratica questa verità. Non ci sono
emarginati per l’amore di Dio. Questo è ciò che il grande
Mandato significa”.

Un annunzio che, per essere credibile, deve intrecciare parole
e gesti, teorie e opere: le comunità cristiane o diventano
segni efficaci dell’amore invisibile del Padre (impegnandosi a
dare la vista ai ciechi, il pane agli affamati, la libertà
agli oppressi) o non hanno né senso né valore.
www.augustocavadi.com

il vescovo Camara sarà presto
beato
dom Hélder Câmara sarà
     presto beatificato
di Paolo Zambaldi

 Morto 20 anni fa, il 27 agosto 1999, dom Hélder Pessoa
 Câmara, che fu vescovo di Olinda e Recife, una delle
 personalità più profetiche della Chiesa brasiliana, sarà
 presto dichiarato beato. La sua causa, è in Vaticano dallo
 scorso 16 dicembre, dove è giunta con tutti i documenti
 necessari, in particolare quelli del processo diocesano.
 «Sappiamo già che esiste un miracolo che potrebbe essere
 attribuito all’intercessione di Dom Helder – ha dichiarato
 dom José Alberico, sacerdote della diocesi di Olinda Recife –
 ma ora è necessaria la massima riservatezza in materia».
In Brasile molti si aspettano che la cerimonia
per la beatificazione di dom Helder avvenga
durante il 18° Congresso Eucaristico Nazionale
previsto per i giorni dal 12 al 15 novembre del
2020 per la cui preparazione dom Alberico è
stato nominato segretario generale. «Sarà il
riconoscimento della Chiesa cattolica a
qualcuno che ha vissuto e incarnato le grandi
virtù cristiane della carità e dell’amore», ha
detto il docente di teologia dell’Università
Cattolica di Pernambuco, Degislando Nobrega.
«La santità ha a che fare con la profonda
intimità con Dio che traboccava nella sua
vita». «Un uomo che non ha mai conosciuto
l’odio, e ha agito solo attraverso il dialogo,
un prete che, come nel periodo della dittatura
militare brasiliana, ha sempre operato in
difesa dei bisognosi e anche in difesa della
libertà di espressione». Perché dom Hélder si è
schierato a fianco del popolo contro i
militari, sentendosi in dovere di accogliere
perseguitati politici e denunciare casi di
tortura e carcerazioni arbitrarie, rischiando
la morte quando persone mascherate più volte
sono andate a mitrgaliare il portone di casa
sua.
Per una lettura più ampia della personalità e
dell’opera di dom Hélder Câmara, può essere
utile la lettura, a questo link, di un capitolo
del libro Hélder Câmara. Il dono della profezia
(Edizioni Gruppo Abele, 2016, pp. 206,
edizioni@gruppoabele.org), scritto da Marcelo
Barros, benedettino brasiliano, biblista e
teologo della liberazione. Mentre, in
brasiliano, sono disponibili circa 132mila
documenti riguardanti il vescovo, digitalizzati
dall’Istituto Hélder Câmara.

Eletta Cucuzza, Adista, 27.08.2019

le dodici tesi di Shelby
Spong – per un radicale
rinnovamento della teologia e
della vita cristiana
la fine del teismo e
     del Dio tribale nelle
       tesi di John Shelby
              Spong
Paolo Zambaldi

–
    Tra i vari contributi, tutti uniti dall’idea della necessità
    di superare le forme tradizionali delle religioni, fino a
    oggi presenti nella nostra cultura, in direzione di una
    religione dell’amore, spiccano le 12 tesi di John Shelby
    Spong (1931) vescovo episcopaliano di Newark. Un Appello ad
    una forte e radicale riforma della religione cristiana.”

TESI UNO – Il teismo come modo di
definire Dio è morto. Non possiamo più
percepire Dio in modo credibile come un
essere dal potere soprannaturale, che
vive nell’alto dei cieli ed è pronto a
intervenire periodicamente nella storia
umana, perché si compia la sua divina
volontà. Pertanto, oggi, la maggior parte
di ciò che si dice su Dio non ha senso.
Dobbiamo trovare un nuovo modo di
concettualizzare Dio e di parlarne.
TESI DUE – Dal momento che Dio non può
essere concepito in termini teistici, non
ha senso cercare di intendere Gesù come
l’incarnazione di una divinità teistica.
I concetti tradizionali della cristologia
sono, pertanto, finiti in bancarotta.

TESI TRE – Il racconto biblico di una
creazione perfetta e compiuta, dalla
quale noi, gli esseri umani, “siamo
caduti” con il peccato originale è
mitologia pre-darwiniana e non senso
post-darwiniano.

TESI QUATTRO – La nascita verginale,
intesa in senso biologico letterale,
rende impossibile la divinità di Cristo
così come è stata tradizionalmente
compresa.

TESI CINQUE – Le storie di miracoli del
Nuovo Testamento non possono più essere
interpretate, nel nostro mondo post-
newtoniano,      come      avvenimenti
soprannaturali operati da una divinità
incarnata.

TESI SEI – L’interpretazione della croce
come sacrificio per i peccati è pura
barbarie:   è   basata   su  concezioni
primitive    di  Dio   e   deve  essere
abbandonata.

TESI SETTE – La risurrezione è un’azione
di Dio, Gesù è stato elevato nella
direzione del significato di Dio. La
risurrezione,    pertanto,    non    può
consistere in un risuscitare fisico
all’interno della storia umana.

TESI OTTO – Il racconto dell’ascensione
di Gesù presuppone un universo a tre
livelli (cielo, terra, inferno) e,
pertanto, non può essere tradotto nei
concetti di un’era post-copernicana.

TESI NOVE – Non c’è alcun criterio,
eterno e rivelato,scritto nella Bibbia o
su tavole di pietra, che debba dirigere
per sempre il nostro agire etico.

TESI DIECI – La preghiera non può essere
una petizione rivolta a una divinità
teistica perché agisca nella storia umana
in un determinato modo.
TESI UNDICI – La speranza della vita dopo
la morte deve essere per sempre separata
dalla moralità del premio e del castigo
come sistema di controllo della condotta
umana.    Pertanto    la   Chiesa    deve
abbandonare la sua dipendenza dalla colpa
come motivazione del comportamento.

TESI DODICI – Tutti gli esseri umani sono
fatti a immagine di Dio e devono essere
rispettati per quello che sono. Pertanto
nessuna descrizione esteriore dell’essere
di ciascuno basata sulla razza, l’etnia,
il genere e l’orientamento sessuale, né
alcun credo basato su parole umane
elaborate dalla religione in cui si è
stati educati possono essere usati come
giustificazione     di   rifiuto   o   di
discriminazione.

“non   possiamo   …              dirci
cristiani”    contro               una
blasfema interpretazione del
vangelo

         un fallimento la
         sequela di Gesù?
          di p. Felice Scalia, gesuita

         pubblicato su HOREB    n. 1 del 2019   (82)
                 RISVEGLIARE PASSIONI GIOIOSE

La liturgia e tanta esegesi biblica vedono nel Servo di Jhwh
di Isaia il volto, il compito, i sentimenti profondi del
Cristo di Dio Gesù di Nazareth.
Al capitolo 49,4 l’inviato da Dio dice: «Inutilmente mi sono
affaticato, ho consumato tutte le mie forze senza risultato».
E più avanti (53,3) è lo stesso popolo che conferma questo
fallimento: «Noi l’abbiamo rifiutato, disprezzato, come un
uomo pieno di sofferenze e di dolore. Come uno che fa ribrezzo
a guardarlo, che non vale niente, non lo abbiamo tenuto in
considerazione».
Non vogliamo affatto leggere la storia della salvezza soltanto
sulla base di queste nere affermazioni. Il Regno di Dio non è
una quercia o un cedro del Libano – diceva Gesù – è un semino
gettato in terreno problematico se non addirittura ostile. È
un pugnetto di lievito che vuole tempo per
fare lievitare la pasta. È una sciabolata di luce
all’orizzonte, che squarcia le tenebre ed annunzia un’aurora
ancora lontana.
Dalla risurrezione del Cristo non sono mai mancati sulla Terra
uomini “nuovi”, “risorti”, “rinati”, che a prezzo del loro
sangue hanno voluto modellare la propria esistenza sulla
Parola del Maestro. Tuttavia ci sono momenti nella storia in
cui sembra che l’umanità sia nella condizione di quell’uomo
della parabola che, liberato dal demonio, si vede invaso da
una legione di spiriti peggiori del primo e la sua condizione
da ardua si fa pessima, forse irrimediabile (cf. Lc 11,24-26).
Ebbene pare che noi stiamo vivendo uno di questi momenti.
Papa Francesco parlando durante il suo viaggio alle
Repubbliche Baltiche nell’ottobre scorso, affermava con
semplicità:
  «Credo che il Signore stia chiedendo un cambiamento alla sua
  chiesa”, cioè di portare avanti il Vaticano II e di “entrare
  con Dio” negli inferi concreti e nel caos di questo tempo
  difficile. Il Papa ci autorizza dunque a non farci sconti nel
  guardare la realtà ed a porci interrogativi radicali.
  Siamo al fallimento della “vicenda Gesù di Nazareth”? Siamo
  ad un post-cristianesimo? E chi ha condotto a tale esito? La
  stessa “utopia gesuana” o quei suoi seguaci che egli chiamava
  la “sua chiesa”?»

Ai discepoli di Gesù è andata bene…
Qualcuno ha definito Gesù di Nazareth, un “fallito di
successo”. Fa pensare questa definizione se la si legge non
nell’ottica della “metastorica” Risurrezione, ma della fin
troppo tragica e concreta storia da Lui vissuta nell’arco dei
suoi tre decenni di vita tra noi. Una carriera (“Un cammino” –
se preferiamo) che finisce sul Golgota, non è proprio un
successo.Non pretendiamo in questa sede di dire una parola
definitiva su questo argomento, ma come possiamo dimenticare
che forse non arrivano neppure alle dita di una mano quelli
che, durante la sua vita terrena, lo hanno davvero compreso,
accolto, seguito, nei suoi “sogni” radicali di palingenesi per
fare uscire l’umanità dagli orrori della violenza sistemica
del suo e del nostro tempo?
È nota la lontananza del suo parentado che non solo non lo
comprende, ma emette una condanna psichiatrica nei suoi
riguardi: “È fuori di testa”, è pericoloso e da rinchiudere in
casa per l’onore della nostra onesta famiglia. Lo registra
Marco al 3,21 del suo Vangelo. Luca ci fa sapere che neppure
Maria capiva molto quel figlio strano, eccentrico, insieme
ubbidiente e sempre un passo oltre l’ordinarietà della vita e
della saggezza comune. Lei “conservava e meditava nel suo
cuore” quello che succedeva e sentiva, ma tanti altri non ci
perdevano tempo.Quel nazareno dunque chi è? Lo strambo di
Galilea, un senza fissa dimora, che fa, autorizzato da
nessuno, il predicatore errante. Forse, anzi probabilmente,
anzi con sicurezza, quel Gesù è un diavolo alleato col capo
dei diavoli – si vocifera tra le persone per bene (cf. Lc
11,14ss). Vestito di luce come pare agli ingenui, miscuglio di
sovversione, blasfemia, empietà, ipocrisia, populismo, come
appare ai saggi anziani, ai capi religiosi e culturali, ai
sacerdoti, ed allo stesso Sommo Sacerdote in carica.
Che ne ha fatto della sua vita quel ragazzino che a 12 anni
nel Tempio pareva promettere tanto? Un miracolo di niente, un
capolavoro di fallimento, così grave, da lasciare questo mondo
come un maledetto, appeso ad una croce.Se questa catastrofe
nasce nel seno dei legami di sangue e nell’establishment del
potere, ci si aspetterebbe almeno che tra gli amici scelti da
lui stesso, qualche successo lo avesse registrato. Non è
andata così. Anche con le affezioni elettive Gesù sembra una
frana: avventato, imprudente, ancora una volta populista, se
li sceglie tra “teste calde galilee” i suoi Apostoli, tra
simpatizzanti per il movimento terrorista del tempo, lo
“zelotismo”, tra ex vessatori del popolo, tra noti peccatori e
teste dure, pietrose, se non ottuse. Tutti costoro lo seguono
e – Pietro in testa – dichiarano di “avere lasciato tutto per
stargli dietro”. Ma davvero hanno lasciato tutto?
Sono andati oltre quella simpatia che ci fa seguire qualcuno
“come un bambino, naso in aria, segue l’aquilone”? Hanno
capito qualcosa di quella radicalità di “rivoluzione-
conversione” che il Maestro proponeva e che chiamava “venuta
del Regno di Dio”? No. Erano disposti ad andarsene via anche
essi, i suoi amici, dopo la crisi di Cafarnao raccontata da
Giovanni 6,22ss, se solo avessero saputo dove andare. E fino
alla fine litigavano come bambini per i primi posti in quel
“Regno di David” (non di Dio) che pur doveva prevedere primi
ministri,      reggenti,      ciambellani,       cortigiani,
plenipotenziari; cioè prestigio personale e rigida gerarchia.
Gesù stesso riconosce che con i suoi presunti amici non c’è
niente da fare. Si arrende e dice:
“Vi manderò lo Spirito che vi farà capire ogni cosa, io non ci
sono riuscito” (cf. Gv 14,23-29).
Sappiamo bene che in un’ottica di fede la sua Risurrezione è
il riscatto personale e perfino l’assicurazione divina che le
Parole del Figlio, nonostante l’insuccesso, anzi in forza di
quel fallimento, sono le uniche strade di Vita che il Padre ci
indica. «Quando sono debole è allora che sono forte» (2Cor
12,10) – scrive Paolo rifacendosi al Maestro. Quando gli
uomini ripudiano la Luce è proprio allora che la Luce rimane
aspirazione decisiva per non cadere nei burroni. E quando il
Giusto viene chiamato “malfattore”, è proprio in quel momento
che gli uomini dimostrano l’abisso in cui si trovano e la
necessità di quanto ha detto il Crocifisso. È risaputo: la
resistenza alla guarigione è un fenomeno che le scienze umane
notano almeno da qualche secolo. Noi stiamo bene nelle tenebre
e ci rifiutiamo di uscirne perché – nota Gesù – “non vogliamo
che le nostre opere vengano alla luce” (cf. Gv 3,19).
Ne segue che se con la morte di Gesù, non tutto del Galileo è
andato in fumo, e se quel pugno di discutibilissimi Apostoli
non hanno lasciato questo mondo da seguaci falliti di un
Fallito, insomma se sono sopravvissuti alla delusione di
“avere abbandonato tutto” per un signor nessuno che li aveva
imbrogliati, lo si deve al fatto che l’esperienza del Risorto
fece risorgere la loro fede e la loro speranza, e lo Spirito
della Pentecoste diede quel coraggio per portare il “Lieto
Annunzio” a gran parte del mondo di allora.
E a noi cristiani del nostro tempo, come sta andando?
È andata dunque più che bene ai Dodici. Il problema che qui ci
assilla è un altro: a noi, ai discepoli dei Discepoli, come
sta andando? In altre parole, il Cristo è al sicuro nella
gloria del Padre. Indiscutibile. Ma il Cristianesimo? Ma la
sua Chiesa? Ma il mondo che la Chiesa dovrebbe evangelizzare?
Dove è andato a finire quel fuoco che Gesù era venuto a
portare nel mondo se oggi le uniche passioni che abbiamo sono
“fredde”, “tristi”, legate come sono alla sopraffazione, allo
scempio di vite umane, alla vittoria sui deboli, alla
solitudine dei narcisisti, al disprezzo per tutto ciò che non
è moneta e potere?
La storia si ripete come fosse determinata da una invincibile
coazione a ripetere. Nota Papa Francesco, facendo riferimento
alla situazione di alcune carceri del nord Africa: «Noi oggi
ci strappiamo le vesti per quello che hanno fatto i comunisti,
i nazisti e i fascisti…, ma oggi? Non accade anche oggi?
Certo, lo si fa con guanti bianchi e di seta!».
Se mi è lecito riferire una brutta esperienza, mi permetto di
ricordare un paio di incontri avuti con ecclesiastici di
rilievo. Nel loro volto un grande dolore, come una cocente
inguaribile delusione. “Il cattolicesimo si è sgretolato” – mi
confidava uno. Ed aggiungeva “Sgretolato nella dottrina, nella
cultura, nella disciplina, nel suo diritto, nell’arte, nella
stima goduta, nella sua prassi, nei suoi vertici…” L’altro
uomo di Chiesa, con una espressione che non dimenticherò mai,
mi confidava fissandomi negli occhi: “Siamo diventati tutti
atei”.
Prendendo quasi a simbolo questi due incontri, mi pare che il
primo interlocutore esprima con sofferenza il decadimento di
una “chiesa-istituzione” che non riesce più a cantare che
“Christus vincit, regnat, imperat”, dando decoro, potere e
prestigio anche ai preti suoi plenipotenziari. Si tratta
di quella parte di Chiesa, clericale e non, che osteggia Papa
Francesco, reo di volere mettere il Vangelo della gioia e
della fraternità al centro della Chiesa e del mondo. Quel
Francesco che distingue bene la Parola che è Gesù, dalle
nostre tante parole che creano strutture ed organizzazioni.
Che non identifica tante nostre tradizioni umane, con la
Tradizione evangelica.
C’è avvilimento in tutto questo, come se 2000 anni di
cristianesimo sfociassero in una vita che si mostra col volto
livido della insensatezza umana e religiosa.
Il secondo interlocutore mi fa ancora pensare. Può il
cristianesimo essere una via lunga ma sicura per l’ateismo?
Può l’Angelo di Luce che è il Cristo, rivelarsi un agente
segreto del Mistero delle tenebre? Questo affermava la cricca
di scribi e farisei omicidi. Può l’Amico appassionato degli
uomini essere il loro vero nemico con la sua smania di volere
tutti liberi ed eguali? Proprio di questo accusava il Gesù
tornato nella Siviglia del XVI secolo, durante un crudele
“spettacolo” di esecuzione capitale, il
“Grande Inquisitore” di Dostoevskij.
Domande inquietanti che nessuno può prendersi il lusso di
sottovalutare.
È un dato di fatto che oggi il cosiddetto Occidente
cristianizzato, anche quello laico che – a detta di Benedetto
Croce – “non può non dirsi cristiano”, ha rinnegato il Cristo
ed il suo Vangelo. Peggio, presenta come verità evangelica la
sua interpretazione atea della proposta cristiana.
Annunzia infatti al mondo che il Cristo ed il cristianesimo
sono archeologia o folklore, perché non hanno nulla da dire
alla vita. Ufficialmente, per tradizione, dobbiamo continuare
a dire che tutti siamo fratelli e figli dello stesso Padre,
che la legge è uguale per tutti, ma a patto che nella realtà
dura della stessa vita consideriamo “scarto” i popoli
“canaglia”, i malati terminali, i rom, gli omosessuali, i
diversi da noi, i non-occidentali, i poveri che non consumano
e non producono, quanti si oppongono alla rapina del loro
territorio e della loro dignità, quanti pretendono di avere
diritti inviolabili alla vita ed alla pace, quanti sentono il
bisogno lancinante di credere che un mondo “altro” è
possibile.
Questa “anti-buona-notizia” imposta con la forza o col
condizionamento, come è ovvio, è pensata su misura dei forti e
dei prepotenti, non di tutta l’umanità. Dopo esserci gloriati
dell’“Età dei diritti” (le varie “Carte” dal 1789 al 1948),
affermiamo a chiare lettere che ci sono uomini e sottouomini,
alcuni nati per essere “salvati” e la maggior parte nati per
essere “sommersi”. In poche parole: basta con questa fede
nell’Amore come orizzonte dei nostri rapporti interpersonali e
sociali; pieghiamoci al fatto incontrovertibile che solo la
Forza domina, il Potere, il Denaro. Dunque nessun Dio diAmore
esiste, forse – se proprio lo vogliamo – ci sarà un Dio
beffardo che ci ha scaraventato nel mondo per gioco, come
gladiatori nel Colosseo. Più probabilmente veniamo dal caso e
corriamo verso il nulla.
Verso una blasfema interpretazione del Vangelo
Quell’ecclesiastico che mi sussurrava stravolto “Siamo
diventati tutti atei”, non parlava dell’umanità ma della
Chiesa, dei battezzati, di quelli che convolano a giuste nozze
davanti ad un prete, che al petto, in casa o sulle loro
cattedrali mantengono una Croce, che vanno a Messa e “fanno la
comunione”. Lasciando da parte tutto l’Est europeo,
convertitosi al Denaro ed al Consumo appena ha potuto,
restringendoci alla nostra Italia, fa pensare che un politico
abbia potuto proclamare il suo oscuro vangelo di xenofobo e
razzista, impugnando con una mano proprio il Vangelo e con
l’altra la corona del Rosario. Quasi a dire: se volete essere
cristiani e mariani, e se insieme ci tenete alla vostra
sopravvivenza, respingete i migranti, fateli marcire in Libia,
fateli affogare nel Mediterraneo, perché questi non sono le
vittime del vostro egoismo, non sono vostri fratelli nella
sventura, sono solo i vostri nemici. Aggiungendo: smettetela
di odiare le armi, di bandire la pena di morte, anzi armate la
vostra famiglia, insegnate ai vostri figli a sparare, ferite,
uccidete anche, qualsiasi estraneo che nella vostra casa o nel
vostro negozio ritenete pericoloso.
Dobbiamo aggiungere il peggio del peggio: questa “moderna” e
blasfema interpretazione del cristianesimo non ci sarebbe mai
stata, non avrebbe avuto il consenso che ha tra i pii
frequentatori di chiese e processioni, se non fosse stata
sostenuta da preti, vescovi, qualche cardinale e tanti laici
lanciati a cavalcare la paura seminata da decenni di
televisione spazzatura.
Se quando nacque il “crimine” della clandestinità, la nostra
gerarchia ecclesiastica avesse avuto il coraggio di spendere
una sola parola a favore dei disperati di Africa e Medio-
Oriente; se avesse chiarito che quegli sventurati in fuga
dalle loro case, erano le nostre vittime, e non i nostri
carnefici… forse non saremmo arrivati a questo ennesimo,
cinico“pacchetto sicurezza”.

“Lasciare tutto” e ritornare al Vangelo
Nel decennio caldo del riarmo atomico (dalla fine degli anni
’70 a tutti gli anni ’80), mentre il mondo protestava ed i
grandi del mondo giocavano ad organizzare vertici che non
portavano a niente, ci fu una “strana” e saggia lettera aperta
che il Presidente Usa inviò al Cremlino. Nella sostanza ecco
il suo incipit: «È possibile, Signor Presidente, che un capo
di Stato dimentichi il bene del popolo e cerchi il proprio
prestigio personale?».
Forse una domanda simile sarebbe salutare tra i cristiani ed i
responsabili della Chiesa. È possibile che il Vangelo di
Cristo sia piegato a fini personali di tranquillità accidiosa
personale, di carriera e ricchezza, e da annunzio di
liberazione nella verità dell’amore si trasformi in
rassegnazione per tutti i vinti della terra, ed in
giustificazione per l’arbitrio (a volte criminale) dei
potenti?
La storia ci dice che questo non è solo possibile, ma
crudamente reale. Stravolgendo un “avvenimento” come la venuta
del Cristo, in dottrina sul mistero di Dio, ammettendo nella
Chiesa la “potestas dominandi” (gabellandola per “sacra
potestas”), dimenticando l’unico potere ammesso da Gesù,
quello di “servire”, giustificando la guerra, alleandosi col
potere politico, si corre inevitabilmente verso la divisione
dicotomica dell’unico popolo di Dio in “ecclesia docens et
ecclesia discens”, in “spirituales” e “carnales”, mentre sul
versante puramente umano si va dritti verso la divisione del
mondo in amici e nemici, verso il ripudio della legge del
Cristo, “Amatevi come io vi ho amato”, verso la negazione del
Dio Amore. Non ci sentiamo per questo autorizzati a dire che
il cristianesimo è fallito. Non siamo tra quelli che
assolutizzano i fatti. Noi crediamo ancora nella Verità. E la
Verità dei fatti descritti è che abbiamo bisogno di una
“metanoia”, di una “conversione” così radicale che a buon
diritto ci ricorda la “rivoluzione”. Siamo ad un punto di non
ritorno – dicono gli scienziati riguardo alle mutazioni
climatiche. Siamo al fallimento ed al disincanto radicale –
dicono i profeti di sventura. Noi diciamo solo che quando una
strada è sbarrata abbiamo bisogno, per andare avanti, di
tornare indietro e riprendere la via abbandonata, proprio lì
dove l’avevamo lasciata.
Detto in altro modo: ora che abbiamo tutto, sentiamo il
bisogno, la nostalgia di “Altro”.
Ritornare al Vangelo, lasciare “tutto” (ogni bagaglio
ingombrante che ci ha fatto rinnegare il Cristo) metterci
dietro il Maestro, dargli credito, questo solo può dare
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