Popolare di Bari. Come anticipato dal nostro giornale Jacobini si è dimesso lasciando la presidenza al nipote Vito Giannelli
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Popolare di Bari. Come anticipato dal nostro giornale Jacobini si è dimesso lasciando la presidenza al nipote Vito Giannelli BARI – Il presidente della Popolare di Bari Marco Jacobini in scadenza di mandato a fine anno si è dimesso . Una decisione che arriva a tre giorni dopo la nomina del nuovo Cda. Nella stessa seduta consiliare, Gregorio Monachino, si è dimesso a sua volta dalla carica di direttore generale, venendo nominato per cooptazione nel nuovo membro del consiglio di amministrazione. La Banca ha ringraziato il presidente dimissionario Jacobini e i “componenti del cda uscente per il lavoro svolto“. Al suo posto come domenica scorsa il nostro giornale aveva anticipato è stato nominato il nipote Gianvito Giannelli. “Certo non resto incollato alla poltrona” aveva dichiarato Jacobini al termine del consiglio di amministrazione che aveva eletto il nuovo Cda. Da sempre alla guida dell’istituto di credito barese, Marco Jacobini lascia oggi la presidenza della banca in una crisi economica profonda e pesante con una perdita è di 420 milioni) , che si è salvata salvato soltanto da una Legge del Governo che grazie alla possibilità di spostare alcune poste in bilancio, ha consentito di poter evitare il “crack”. La Banca Popolare di Bari è stata fondata negli anni Sessanta da Luigi Jacobini, il padre dell’attuale presidente appena dimessosi Marco, e contava su pochi soci. Marco Jacobini entra nel 1978 in banca ed 11 anni dopo, nel 1989 arriva alla guida comando . Con il passare degli anni arrivano ai vertici anche i suo figli Luigi (attuale vicedirettore generale) e Gianluca ( condirettore generale). La banca cresce con 29 acquisizioni. Gli azionisti passano da 50 mila a 69 mila
in pochi anni. I dipendenti crescono fino agli attuali 3 mila, con centinaia di filiali in varie regioni. La Popolare di Bari aveva chiuso il bilancio con un rosso profondissimo. Attorno a tutto questo le ispezioni della Consob , quella ancora in corso di Banca d’Italia, e le inchieste della Procura di Bari, per truffa, false comunicazioni agli organi di vigilanza che vede, a vario titolo, indagati alcuni vertici dell’istituto barese e lo stesso Jacobini . La Bpb è finita infatti al centro di alcuni fascicoli aperti dalla Procura di Bari, con indagini complesse coordinate dal procuratore aggiunto Roberto Rossi, come ad esempio quelle riguardanti alcuni fidi milionari che la banca barese ha concesso ad aziende sull’orlo del fallimento. Un altro filone delle indagine è incentrato sui prestiti rilasciati a degli imprenditori con la condizione che una parte fossero destinati all’acquisto di azioni della Bpb. Nel marzo scorso la Procura barese ha fatto notificare a Marco Jacobini ed a Vincenzo De Bustis (all’epoca dei fatto direttore generale) un avviso di conclusione delle indagini per un caso riguardante proprio l’acquisto di titoli azionari. Al via il progetto di educazione finanziaria negli uffici postali di Poste Italiane ROMA – Poste Italiane ha dato il via al progetto di Educazione finanziaria negli uffici postali. Un programma di portata nazionale nel segno delle politiche di inclusione e sostenibilità con l’obiettivo di contribuire a migliorare le competenze dei cittadini in materia economico-finanziaria e aumentarne la consapevolezza nelle scelte di risparmio, investimento e conoscenza dei nuovi strumenti finanziari nell’era digitale.
Il calendario di incontri con gli esperti si è aperto il 16 maggio a Roma nell’ufficio postale di via Marmorata. Nella prima fase del progetto, che si svolgerà tra maggio e giugno, sono previsti altri sette seminari di cui altri due a Roma e uno ciascuno a Napoli, Palermo, Torino, Bologna e Treviso. Ciascun evento prevede tre giorni di sessioni didattiche della durata di 30 minuti ciascuna. Al centro degli interventi degli esperti finanziari di Poste Italiane le questioni di macroeconomia e finanza finalizzate a dare ai cittadini il giusto supporto nelle scelte di risparmio e investimento responsabili. L’iniziativa è aperta a tutti e prende spunto dagli studi di molte istituzioni internazionali e nazionali (Ocse, Banca d’Italia, Consob, Censis, S&P Global financial literacy survey) che segnalano un deficit di conoscenza degli italiani nelle materie finanziarie rispetto ad altri Paesi, con gli indicatori che collocano l’Italia tra l’ultimo e il penultimo posto tra i Paesi del G20. Il gruppo Poste Italiane in questo quadro ha deciso di offrire il proprio contributo di competenza all’interno delle strategie elaborate dal Comitato sull’educazione finanziaria, istituito nell’agosto del 2017 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con l’obiettivo di “promuovere e coordinare iniziative utili a innalzare tra la popolazione la conoscenza e le competenze finanziarie, assicurative e previdenziali e migliorare per tutti la capacità di fare scelte coerenti con i propri obiettivi e le proprie condizioni”. Il progetto Educazione finanziaria si muove quindi nel segno della tradizionale attenzione di Poste Italiane alle esigenze del cittadino
e in coerenza con la sua storica vocazione di azienda socialmente responsabile che aderisce ai principi internazionali ESG, promossi dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Consob, Savona presidente: semaforo verde.... (a rischio) dal Senato ROMA – Via libera alla nomina di Paolo Savona alla presidenza della Consob, la commissione che vigila sui mercati finanziari. E’ arrivato il parere favorevole dalla Commissione Finanze del Senato sulla proposta di nominare l’ex ministro all’Autorità , indicato dal Governo composto dalla Lega e Movimento 5 Stelle . La decisione è arrivato con 12 voti a favore , 9 contro ed un astenuto, come ha reso noto la senatrice Laura Bottici (M5s) al termine dei lavori della commissione Dopo l’ufficializzazione della votazione, Fratelli d’Italia ha chiamato in causa la presidente del Senato Elisabetta M. Casellati segnalando che “il presidente Bagnai con il voto di oggi in Commissione Finanze sul parere alla nomina del professor Savona alla presidenza della Consob si è assunto una grande responsabilità“. A sostenerlo è il senatore FdI, Andrea de Bertoldi. Secondo Fratelli d’Italia, il voto della commissione al Senato “rischia non soltanto di essere invalidato ma di esporre le future decisioni della Commissione nazionale per le società e la Borsa al rischio di ricorsi e di annullamenti, qualora venissero confermati i dubbi di compatibilità del professor Savona con la nomina a presidente Consob sulla base dei suoi incarichi pregressi. Dubbi che non sono stati fugati e che proprio l’audizione della scorsa settimana del professor Savona aveva rafforzato. Per questo avevo chiesto al presidente Bagnai di soprassedere al voto e di audire enti pubblici ed esperti della materia, al fine di verificare la sussistenza o meno di
cause di incompatibilità. Cosa che purtroppo non è avvenuta”. Savona in audizione avuta al Senato, ha ricorda come la Consob “non è l’unica istituzione che presiede alla tutela del risparmio” e la definisce una organizzazione “ben strutturata mi dicono con punte di eccellenza“. “Ritengo che il Governo e il Parlamento – continuò Savona – abbiano legali capaci di rispondere” ai dubbi sorti sulla legittimità della nomina a presidente della Consob: se dovesse arrivare un via libera “sarò orgoglioso” di assumere l’incarico, “altrimenti non brigherò, come non ho brigato per mantenerlo. Dopo aver ribadito di essere “sempre al servizio degli interessi del Paese”, Savona aveva concluso : “Non sono assolutamente attaccato all’incarico proposto, non mi resta che aspettare il giudizio“. E circa la “potenziale influenza per le mie passate esperienze” di governo, Savona ha contestato “che ci sono altri 4 membri in commissione; non potrei mai far passare una delibera che no fosse nell’interesse generale“. Infine, “quanto all’età, facendo i debiti scongiuri. me la sento“. La Procura di Bari sequestra altri documenti alla BPB. La Consob sanziona l'istituto e la quotazione in Borsa diventa sempre più lontana... BARI – L’inchiesta della Procura sulla Banca Popolare di Bari coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi si espande attraverso nuovi sequestri di documentazioni, a conferma che contrariamente a quanto sostenevano i vertici della Popolare di Bari, l’indagine giudiziaria non è assolutamente arrivata a conclusione e quindi difficilmente arriverà un’archiviazione. L’acquisizione dei nuovi documenti è stata disposta dalla Procura , che negli ultimi mesi ha approfondito i filoni investigativi relativi alle ipotesi di truffa, ostacolo alla vigilanza, falso in bilancio e maltrattamenti. Invece nel marzo scorso è stata definitivamente accantonata ed archiviata dallo stesso procuratore Rossi l’ipotesi investigativa di una regia comune che avrebbe organizzato le condotte illecite, richiesta condivisa dal gip Francesco Pellecchia che ha disposto l’archiviazione per quella ipotesi di reato e la restituzione degli atti al pm.
il procuratore aggiunto della Procura di Bari, Roberto Rossi Nel fascicolo in questione risultano indagati dall’ agosto 2017 il presidente Marco Jacobini; i due figli di Jacobini, Gianluca e Luigi; l’ex direttore generale Vincenzo De Bustis ; il dirigente dell’area contabilità e bilancio della Popolare, Elia Circelli, ed Antonio Zullo a capo dell’ufficio Rischi . L’inchiesta venne avviata a seguito della denuncia di un ex funzionario, che segnalò ai vertici dell’istituto bancario barese delle irregolarità nell’acquisizione di Banca Tercas, e per questo motivo sarebbe stato successivamente “mobbizzato” e persino licenziato dai vertici della Banca Popolare di Bari.
Fu questa la molla che lo spinse a svelare agli inquirenti i segreti della più grande banca pugliese, che a sua volta lo contro-denunciò, ma nonostante lo squallido tentativo della BPB di difendersi denunciando il proprio dipendente licenziato, l’inchiesta relativa fatti avvenuti tra il 2013 e il 2016 non si è fermata ed è andata avanti arricchendosi di ulteriori informazioni grazie alle evidenze investigative della Guardia di Finanza e da alcune consulenze acquisite. I punti su cui si è concentrata la massima attenzione dei magistrati inquirenti sono molto tecnici, ma anche collegati direttamente ai danni lamentati da migliaia di piccoli azionisti, molti dei quali hanno depositato denunce, altri sono stati ascoltati come persone informate sui fatti. Per ora all’attenzione del procuratore Rossi c’è la relazione redatta dai consulenti e dai militari della guardia di finanza insieme agli ultimi atti recentemente acquisiti. La decisione sul futuro della Popolare di Bari è racchiusa in queste carte.
I vertici della Banca Popolare di Bari lo sanno molto bene, sopratutto dopo che sono stati sanzionati dalla Consob a pagare 2,6 milioni di euro , una decisione “pesante” che può cambiare gli equilibri nel contenzioso in corso tra laPopolare e migliaia di azionisti che hanno portato negli ultimi anni la banca in tribunale per ottenere la restituzione dei propri soldi investiti, ma di fatto “bruciati” dall’acquisto di azioni della Banca rivelatesi di fatto invendibili. Il provvedimento della Consob è importante perché all’origine di quelle sanzioni ci sono motivazioni molto gravi. Il collegio della Consob ha stabilito infatti che i provvedimenti, notificati ad almeno una ventina di persone, debbano essere pubblicati sul Bollettino dell’Autorità. Le sanzioni comminate alla banca quale “responsabile in solido” ammontano a circa 1,8 milioni sui 2,6 complessivi. I fatti per i quali sono state accertate le violazioni (articoli 21 e 94 del Tuf) riguardano le modalità di determinazione del prezzo degli aumenti di capitale (per complessivo valore di 330 milioni) varati dalla banca nel 2014 e nel 2015 e le omissioni di informazioni in merito a queste modalità presenti nei prospetti informativi.
I passaggi più delicati, però chiamano in causa oltre a board, collegio sindacale, il presidente Marco Jacobini e i manager Luigi e Gianluca Jacobini, ma anche l’ex dg Vincenzo De Bustis riguardano la “profilatura” dei clienti, ai quali secondo l’Autorità sono stati venduti strumenti come titoli azionari, bond subordinati ma anche proposti finanziamenti baciati cioè finalizzati, all’acquisto delle azioni della stessa banca), nonostante la loro propensione del rischio in base alle normative vigenti al periodo risultasse bassa (a fine 2016 il 36,5% dei clienti, 29 mila, “presentava un portafoglio inadeguato“). Le contestazioni mosse dalla Consob hanno origine in buona parte a seguito di una verifica ispettiva della Banca d’Italia, disposta nel 2016 anche per alcuni accertamenti condivisi con Consob. La vigilanza
ha individuato almeno 10 finanziamenti baciati, che va chiarito non sono vietati, ma l’Autority contesta il fatto che i soggetti ai quali sono stati proposti non presentassero come scritto in precedenza un profilo di rischio adeguato. Il “punto centrale” dell’istruttoria si è soffermato sulla gestione degli ordini di vendita dei titoli della Popolare di Bari, la cui compravendita sul mercato secondario avveniva fino alla metà del 2017 attraverso un sistema di negoziazione interno, su una piattaforma gestita dall’area finanza della stessa banca. Oltre 200 esposti nel 2016 avevano segnalato in particolare, un intervento tardivo della banca nell’inserire gli ordini di vendita delle azioni. Si evidenziano “errori operativi che hanno portato a non inserire ordini di vendita inviati per corrispondenza, posta elettronica o consegnati a mano», si legge. L’istruttoria rivela «carenze procedurali ed errori operativi” oltre alla “mancanza di presidi che assicurino la certezza della data di ricezione della disposizione di vendita” che con l’inserimento tardivo degli ordini ex post fatti dagli uffici, non hanno consentito di rispettare la priorità temporale con la quale invece erano pervenuti gli ordini. “Tale circostanza assume un particolare rilievo per quegli ordini che hanno trovato esecuzione successivamente alla delibera assembleare del 24 aprile 2016, che ha ridotto il prezzo dell’azione da 9,53 a 7,5 euro” si legge nella decisione della Consob, che spiega al riguardo che la banca barese “ha riconosciuto a 5 clienti , per complessivi 41 mila euro, le perdite subite per la mancata esecuzione della vendita in aste antecedenti la diminuzione del prezzo azionario“. Viene citato il caso della società di costruzioni Debar (del costruttore barese Domenico De Bartolomeo presidente di Confindustria Bari) che è riuscita a ottenere l’inserimento ex post di un ordine del valore di 4,1 milioni: questo serviva a ridurre un finanziamento concessole dalla stessa Popolare di Bari per 5,15 milioni di euro.
La lentezza nell’esecuzione degli ordini si è manifestata quando migliaia di soci hanno cercato di liberarsi dei titoli. Il loro prezzo era stato determinato ed indicato dalla Popolare di Bari nel 2014, a 9,53 euro (nell’aumento venne applicato uno sconto del 6%, attestandosi a 8,95 euro) senza informare gli investitori degli esiti della valutazione di Deloitte. La società di consulenza aveva usato tre metodologie per valutare la banca; quella sul confronto rispetto ai multipli impliciti di altri aumenti di capitale aveva mostrato come il range di valore si attestasse tra 7 e 8 euro. Ma, osserva la Consob, di tutto questo il consiglio di amministrazione della Banca non ha tenuto conto e peraltro nulla è stato indicato nei prospetti. La lettera di dimissioni di Nava dalla Consob di Mario Nava La questione legale della mia posizione amministrativa è stata decisa e validata da ben quattro istituzioni, Commissione europea, Presidenza del Consiglio, Presidenza della Repubblica e Corte dei Conti, e non necessita miei commenti ulteriori. La questione è quindi solo politica. La Consob è indipendente, ma non può essere isolata. Consob deve poter lavorare non solo con le altre autorità indipendenti, ma anche con le istituzioni politiche. Sono stato chiamato a questo incarico in quanto esperto autorevole delle norme e dei regolamenti finanziari europei che disciplinano il mercato italiano. Sono stato chiamato con l’obiettivo di rilanciare il mercato e rilanciare l’Autorità nelle sue funzioni di vigilanza e protezione del risparmio e dell’investimento. Sono stato chiamato con l’obiettivo di integrare la Consob meglio nei vari consessi europei e internazionali. Ho accetto l’incarico con gioia e entusiasmo. Ora però queste mie caratteristiche e questi obiettivi sembrano essere considerati un insormontabile ostacolo. La richiesta di dimissioni per “sensibilità istituzionale” da parte dei quattro capigruppo di Camera e Senato dei due partiti di maggioranza sono un segnale chiaro e inequivocabile di totale non gradimento politico. Il non gradimento politico limita l’azione della Consob in quanto la isola e non permette il raggiungimento degli obiettivi sopra ricordati. Responsabilmente quindi, senza alcuna vena
polemica, e avendo come unico obiettivo l’interesse più alto dell’Italia, rimetto con dispiacere le mie dimissioni da Presidente della Consob informandone la Commissione ai sensi dell’articolo 4.3 del Regolamento Consob. Sono certo che il mio sacrificio personale rasserenerà gli animi, dimostrerà quanto tengo personalmente all’indipendenza di questa Autorità al di là dei miei interessi personali, e permetterà al Governo di indicare un Presidente con caratteristiche ad esso più congeniali. Permettetemi solo di chiudere con alcuni ringraziamenti. Voglio ringraziare il Personale della Consob che nella sua stragrande maggioranza si è dimostrato di altissimo livello e dotato di grandissima professionalità. In pochi mesi abbiamo intrapreso tantissime azioni, in tema di vigilanza, di ispezioni, di sanzioni, di tutela del consumatore, di cooperazione con la Banca d’Italia, di riforme interne, di arbitro finanziario, in materia di cooperazione internazionale e abbiamo impostato le sei priorità per il Piano operativo 2019-2021, che mi auguro sarà portato avanti con determinazione dal mio successore. Voglio ringraziare tutti gli operatori di mercato che ho incontrato in questo periodo, e che mi hanno dimostrato una grande voglia di ben fare e agire in questo paese. Voglio ringraziare il Ministro Padoan e il Presidente Gentiloni e soprattutto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la fiducia riposta in me e per il loro costante supporto e vicinanza durante questo periodo. Grazie e auguri di buon lavoro a tutti
Mario Nava CdG Nava ha compiuto tutta la sua carriera nella Commissione europea. Dal maggio del 2016 è stato direttore per il monitoraggio del sistema finanziario e gestione delle crisi presso la Direzione generale dedicata ai servizi finanziari. In precedenza, dal 2009 al 2013, fu il responsabile dell’unità Banche e Conglomerati Finanziari. Dal 2004 al 2009, guidò l’unità Infrastruttura dei Mercati Finanziari, sempre alla Commissione europea. Popolare di Bari. Il comitato degli azionisti ottiene decisione favorevole dall’ Arbitro per le Controversie Finanziarie
ROMA – Con la decisione n.138 del 5 dicembre, l’ Arbitro per le Controversie Finanziarie istituito dalla Consob ha accertato e dichiarato che la Banca Popolare di Bari ha violato alcuni obblighi nella vendita delle azioni nei confronti di una cliente, difesa dall’Avv. Antonio Pinto. Questo nonostante l’azionista avesse firmato vari documenti contenenti dichiarazioni a se sfavorevoli. Ha altresì condannato la Banca Popolare di Bari a risarcire parzialmente l’azionista per i danni subiti a causa dell’inadempimento. L’ACF ha quantificato i danni in una misura pari alla differenza fra il prezzo di acquisto e l’ultimo valore delle azioni risultante dalla quotazione attuale di 6,30 euro. Oltre ad interessi e rivalutazione monetaria. L’Acf non ha invece accolto la domanda di invalidità del contratto di acquisto e quindi l’azionista rimane titolare delle azioni. Il presidente del Comitato Canio Trione ha sottolineato che è la prima decisione ottenuta dai legali del Comitato degli azionisti della Banca Popolare di Bari , composto da sette associazioni di consumatori, Codici, Codacons, Adusbef, Adiconsum, Unc, Assoconsum e Confconsumatori. “Auspichiamo che la banca assieme al Comitato pervenga al più presto alla individuazione di soluzioni di “sistema”,che vadano incontro alle richieste dell’intera platea dei risparmiatori-azionisti della banca.
Sforzo che, ove necessario, deve coinvolgere anche le Istituzioni pubbliche.“ L’Avv. Vincenzo Laudadio (Adusbef) ha precisato che: “se la banca non dovesse ottemperare alle decisioni dell’ACF, come Comitato proporremo di fare quello che la legge ci consente, ossia chiedere a un Tribunale, con un procedimento di cognizione sommaria ex art. 702 bis c.p.c., di condannare la banca a risarcire quanto dovuto“. L’Avv. Alessandro Amato (Codacons) chiede che la banca descriva al Comitato ed agli azionisti l’operazione di cessione dei crediti deteriorati, di cui il 5 dicembre sono stati divulgati sul sito BPB alcuni termini, chiarendo meglio i contenuti dell’operazione e le conseguenze sul prossimo bilancio. Il Comitato degli azionisti della Banca Popolare di Bari inoltre ha reso noto che la Corte Costituzionale ha fissato per il prossimo 20 marzo 2018 l’udienza per la discussione sulla costituzionalità della legge di conversione 3/2015 del D.L. 33/2015 sull’obbligo di trasformazione in SPA delle Banche Popolari con attivo patrimoniale netto superiore ad 8 mld di euro e sulla relativa compressione del diritto di recesso prevista dalle suddette norme, ricorso che ha visto tra i promotori la stessa Adusbef. Multe dell’Antitrust per 15,35 milioni alle società che proponevano diamanti come investimento ROMA -L’ Autorità per la concorrenza ed il mercato, meglio nota come Antitrust ha reso noto che
“Le sanzioni irrogate sono state in un caso, pari complessivamente a 9,35 milioni (2 milioni per Idb, 4 milioni per Unicredit, 3,35 milioni per Banco BPM) e nell’altro caso pari complessivamente a 6 milioni (1 milione per Dpi 3 milioni per Banca Intesa; 2 milioni per Mps). I profili di scorrettezza riscontrati per entrambe le società hanno riguardato le informazioni ingannevoli e omissive diffuse attraverso il sito e il materiale promozionale dalle stesse predisposto in merito: al prezzo di vendita dei diamanti, presentato come quotazione di mercato, frutto di una rilevazione oggettiva pubblicata sui principali giornali economici; all’andamento del mercato dei diamanti, rappresentato in stabile e costante crescita; all’agevole liquidabilità e rivendibilità dei diamanti alle quotazioni indicate e con una tempistica certa; alla qualifica dei professionisti come leader di mercato“. L’ Autorità al termine delle due istruttorie ha sostenuto che in realtà “alla luce delle risultanze istruttorie è emerso che le quotazioni di mercato erano i prezzi di vendita liberamente determinati dai professionisti in misura ampiamente superiore al costo di acquisto della pietra e ai benchmark internazionali di riferimento (Rapaport e IDEX); l’andamento delle quotazioni era l’andamento del prezzo di vendita delle imprese annualmente e progressivamente aumentato dai venditori; e le prospettive di liquidabilità e rivendibilità erano unicamente legate alla possibilità che il professionista trovasse altri consumatori all’interno del proprio circuito“. L’Antitrust ha inoltre, accertato nelle due istruttorie che gli “istituti di credito, principale canale di vendita dei diamanti per entrambe le imprese, utilizzando il materiale informativo predisposto da Idb e Dpi, proponevano l’investimento a una specifica fascia della propria clientela interessata all’acquisto dei diamanti come un bene rifugio e
a diversificare i propri investimenti. In particolare sul ruolo delle banche, il fatto che l’investimento fosse proposto da parte del personale bancario e la presenza del personale bancario agli incontri tra i due professionisti e i clienti, forniva ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale delle due società, determinando molti consumatori all’acquisto senza effettuare ulteriori accertamenti”. L’Antitrust spiega di aver anche accertato “la violazione da parte di Idb e Dpi dei diritti dei consumatori nei contratti in merito al diritto di recesso e, per Idb, anche al foro competente in caso di controversie“. Le istruttorie, svolte con la collaborazione della Consob e con “accertamenti ispettivi” della Guardia di Finanza, sono partite da una segnalazione di alcune associazioni di consumatori . Indagati i vertici della Banca Popolare di Bari: associazione per delinquere, truffa, ostacolo all’attività della Banca d’Italia e false dichiarazioni alla Consob ROMA – Il top management della Banca Popolare di Bari che annovera 70mila soci con 3.500 dipendenti, rischia seriamente di finire sotto processo a seguito di nuova inchiesta della magistratura barese che riguarda anni di gestione irregolare, bilanci in perdita, prestiti “allegri”… ed un
bilancio appesantito dalle recenti acquisizioni della Tercas, (l’ex- Cassa di Risparmio di Teramo) con dietro le quinte una torbida storia di maltrattamenti ed estorsione ai danni di un funzionario ritenuto troppo solerte. E’ conseguenza dalla nuova indagine affidata dalla Procura ai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria e che è già arrivata a un primo passo non indifferente: per la prima volta il vertice del più grande istituto di credito pugliese è finito nel registro degli indagati e con accuse abbastanza serie. Indagati presidente Marco Jacobini, i suoi due figli , Gianluca e Luigi Jacobini (rispettivamente condirettore generale e vicedirettore generale), l’ex direttore generale Vincenzo De Bustis, precedentemente amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena e della Deutsche Bank, il dirigente dell’ufficio rischi Antonio Zullo del il responsabile della linea contabilità e bilancio Elia Circelli. Con esclusione del solo De Bustis che è accusato soltanto di “maltrattamenti“, tutti gli altri sono indagati per “associazione per delinquere, truffa, ostacolo all’attività della Banca d’Italia” e “false dichiarazioni nel prospetto informativo depositato alla Consob”. Nei confronti di Marco Jacobini e dei suoi due figli Gianluca (nella foto a lato) e Luigi anche i reati di “concorso in maltrattamenti” ed “estorsione” . La vicenda seguita dal procuratore aggiunto Roberto Rossi, si colloca un arco temporale che va dal 2013 al 2016, quando sono state svelate tutte le irregolarità nascoste nei bilanci dell’istituto di credito da una gola profonda : un funzionario incaricato di mettere a posto i documenti delle pratiche presso l’ufficio rischi, il quale sarebbe stato troppo,ligio al dovere segnalando ai vertici della Banca tutte le irregolarità emerse durante la sua attività di verifica e controllo. Queste segnalazioni, che in buona parte erano relative alla fase dell’acquisizione di Tercas, non sarebbero state gradite dal vertice
della Popolare di Bari , al punto che il ligio funzionario sarebbe stato “mobbizzato” e successivamente licenziato in tronco. Azione di forza questa che però non ha fermato il bancario ed ha sortito un effetto contrario e negativo. Infatti il funzionario si è presentato in Procura raccontando tutto quello che riteneva illecito, elencando con minuzia e nel dettaglio numeri e fatti, prima di intraprendere contro di loro un procedimento per mobbing. Lo scorso dicembre gli investigatori della Guardia di Finanza di Bari che già stavano indagando da tempo sulle attività anomali della più grande banca di Puglia, hanno reperito nuovo riscontri documentali a delle ipotesi investigative di un’un’altra indagine già aperta coordinata dai pm Lydia Giorgio e Federico Perrone Capano, emerse durante l’analisi delle documentazioni sequestrate con l’ipotesi di reato (all’epoca dei fatti, a carico di ignoti) per ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza . Nello stesso periodo in cui il funzionario svelata i retroscena delle operazioni creditizie della banca, i finanzieri hanno perquisivato le tre sedi baresi, portando via documenti utili a ricostruire “il rilascio di linee di credito, in via diretta o indiretta, con l’acquisto di azioni“. La Procura ritiene in merito alla precedente inchiesta che il vertice della Popolare di Bari per agevolare alcuni grossi azionisti, gli ordini di vendita dei titoli sarebbero stati inseriti manualmente senza rispettare l’ordine cronologico e violando così il principio della parità di trattamento dei soci: operazione questa in danno dei piccoli azionisti. Una delle contestazioni riguarda la vendita, prima che venissero deprezzate, delle 430mila azioni della Banca Popolare di Bari contenute nel portafoglio della società barese Debar. Alla quale – secondo l’accusa ipotizzata degli investigatori – sarebbe stato reso possibile di poter vendere le azioni nell’asta interna del marzo 2016, cioè poco prima dell’assemblea dell’aprile successivo, quando le stesse azioni subirono un tracollo e deprezzamento del 20 per cento scendendo da 9,53 a 7,50 euro. Anche in questa inchiesta la Procura di
Bari ipotizza il reato di ostacolo alle attività degli organi di vigilanza. Gli inquirenti stanno svolgendo accertamenti anche sulle modalità di acquisizione di Tercas, la ex Cassa di Teramo. Nel dicembre 2016 la banca era stata oggetto di una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta sul presunto ostacolo alle attività di Bankitalia. La Banca Popolare Bari avrebbe dovuto trasformarsi in spa se il Consiglio di Stato non avesse sospeso, appellandosi alla Consulta, la riforma che eliminava il principio “una testa un voto” negli istituti con oltre 8 miliardi di attivi. La 1semestrale dell’ anno la Banca controllata dalla famiglia Jacobini, non è stata una bella semestrale, che ha visto il rallentamento la dinamica delle sofferenze lorde (-0,6% nei sei mesi), mentre si confermano consistenti i livelli di copertura: 61,7% per le sofferenze, 43% per i crediti deteriorati nel loro complesso.In relazione ai dati reddituali, il margine di intermediazione, pari a 202 milioni, si contrae del 7,9% rispetto alla semestrale 2016, a causa del persistere di un contesto di tassi bassi e conseguente riduzione del margine di interesse, e del calo dell’apporto dell’intermediazione sul portafoglio titoli, mentre beneficia di una significativa crescita delle commissioni nette (+9,9%) Il Gruppo sta completando una ulteriore operazione di cartolarizzazione di posizioni a sofferenza, per un importo di circa 350 milioni, per la quale, replicando la cessione del 2016, intende avvalersi della Garanzia dello Stato (GACS). Cioè alla fine paga sempre “pantalone”… È stata altresì contabilizzata la svalutazione integrale della quota del Fondo Atlante investita nel salvataggio delle due banche venete per una cifra pari a 23,6 milioni di euro In funzione di quanto sopra, il risultato netto semestrale, inclusa la quota di pertinenza di terzi, evidenzia una perdita di 2,6 milioni (2,3 milioni al netto della quota dei terzi).
Immediatamente la stampa barese, con in testa la Gazzetta del Mezzogiorno, di cui è bene ricordare la Banca Popolare di Bari detiene in pegno il 30% delle azioni, ha alzato le barricate difensive, sostenendo che “non può crollare: se ciò accadesse, i danni per l’economia regionale sarebbero incalcolabili” , e che la Popolare di Bari “regge da sola un pezzo importante dell’economia della città di Bari e della Puglia ed ha garantito prestiti a migliaia fra imprese e famiglie“. L’istituto di credito barese con una nota con riferimento alla notizia sull’indagine in corso della magistratura barese coadiuvata dalla Guardia di Finanza si difende : “Le dichiarazioni rancorose di un dipendente licenziato per giusta causa è bene che siano oggetto di ogni approfondimento da parte della Procura, per consentire poi alla Banca Popolare di Bari di agire nei confronti dell’autore di tali inaccettabili propalazioni». “Sia chiaro per la Banca contano solo i fatti, gli atti, i numeri, la trasparenza delle procedure e, di conseguenza, la fiducia dei soci e dei clienti – prosegue la nota – E’ così fortemente auspicabile che gli accertamenti (a cui vi è ampia disponibilità a cooperare) siano rapidi, per sostituire al clamore mediatico, la certezza della correttezza dei comportamenti tenuti”.
Qualcuno non ha spiegato qualcosa alla famiglia Jacobini, e cioè che quello che conta è il rispetto delle norme di Legge, che è uguale per tutti e quindi invocare la rapidità è sintomo di debolezza ed arroganza nello stesso tempo. Le indagini hanno per legge dei loro tempi, e la Guardia di Finanza deve poter lavorare serenamente, per tutelare gli azionisti ed il mercato. che non sembrano molto entusiasti dell’operato della vertice della banca e delle loro decisioni ed iniziative. Sono molti piccoli azionisti che hanno aderito a un comitato di tutela gestito dalle associazioni dei consumatori dopo che la Banca lo scorso anno ha svalutato le azioni del 21% a 7,5 euro. Confindustria invia ai suoi vertici un elenco di domande/risposte per limitare le accuse di “Report” di Marco Ginanneschi ROMA – 19 dichiarazioni “confezionate” predisposte per rispondere ad
eventuali domande imbarazzanti sui gravi problemi economici e patrimoniali del Gruppo Sole 24 Ore, un vademecum per “istruire” i vertici confindustriali sulle accuse contenute nel servizio di Report, ( guarda QUI l’anticipazione di RAIPLAY )la trasmissione di inchiesta di Rai Tre, che andrà in onda questa sera alla 21.30 su RAITRE sullo “scandalo Sole 24 Ore” che evidenzierà pesanti responsabilità del suo primo azionista, cioè CONFINDUSTRIA, la principale associazione di industrie e imprese italiane nella foto Marcella Panucci La strategia di CONFINDUSTRIA è molto chiara: scaricare le responsabilità sul management precedente ed allontanarle da quello in carica e, soprattutto non coinvolgere CONFINDUSTRIA. Venerdì scorso Marcella Panucci, il dg di Viale dell’Astronomia, come ha scoperto “Report“, ha inviato ai componenti del Comitato di Presidenza di CONFINDUSTRIA un documento che non lascia alcuno spazio a possibili dubbi. Il documento recita testualmente: “Il seguente documento può costituire un utile supporto per rispondere a eventuali domande che potrebbero essere formulate in seguito alla messa in onda, lunedì 24 aprile, del servizio di Report sul Gruppo 24 Ore“. Che vuol dire: se vi verranno fatte da giornalisti delle domande analoghe, ecco cosa dovete rispondere. Per esempio, se qualche giornalista dovesse chiedere conto dei motivi per cui Confindustria
che è il principale azionista del Sole 24 Ore non abbia proposto misure di risanamento nel periodo in cui l’industriale lombardo Benito Benedini ricopriva la carica di presidente del Gruppo 24 Ore e Donatella Treu veniva nominata e riconfermata amministratore delegato e , soprattutto nel momento in cui le criticità patrimoniali erano già note ed inconfutabili evidenti, il documento inviato da Marcella Panucci contiene le seguenti istruzioni: “I membri del CdA del Sole 24 Ore indicati da CONFINDUSTRIA si sono sempre attivamente adoperati per garantire la continuità operativa e l’autonomia editoriale della Società, agendo sempre nell’interesse della stessa sulla base delle informazioni disponibili. Le indagini sono comunque in corso e, ove dovessero emergere responsabilità rispetto alla situazione economica del Gruppo, Confindustria valuterà le iniziative da assumere” Cioè la stessa risposta fornita a Giovanna Boursier, la giornalista di Report che ha condotto l’inchiesta, da Vincenzo Boccia attuale presidente di Confindustria. Dopodichè si passa alla vicenda più che imbarazzante relativa alle copie gonfiate e la Di Source Ltd, società di marketing prescelta per la gestione della vendita degli abbonamenti online del Sole 24 Ore . Su questo punto l’indicazione data dal direttore generale di CONFINDUSTRIA è quella di scaricare ogni responsabilità sul precedente management e di manifestare fiducia sul corso delle indagini disposte dalla magistratura “che chiarirà tutti gli aspetti legati a questa vicenda“. E se qualcche giornalista chiedesse se esistono ulteriori rapporti economici tra il Gruppo 24 Ore ed il Jordan Group, società legata alla Di Source ? La risposta indicata preconfezionata è sempre la stessa: “Non mi risulta, la magistratura chiarirà tutti gli aspetti legati a questa vicenda“. Cioè mentire
sapendo di mentire. Il Sole 24 Ore è in una profonda crisi aziendale e gestionale sulla quale sta cercando di far luce la magistratura milanese, che indaga per “falso in bilancio” e falsificazione delle copie sia digitali che cartacee le quali, invece di andare in edicola, in realtà venivano mandate direttamente al macero. Nel registro de gli indagati della magistratura al momento compaiono Roberto Napoletano sino a qualche settimana da direttore del quotidiano di CONFINDUSTRIA, l’ex amministratore delegato Treu e l’ex Presidente del consiglio di amministrazione Benedini.
L’ex direttore Napoletano è stato investito dalla polemica anche per la scrittura privata, stipulata il 3 febbraio 2015, ormai nota a tutti che in caso di licenziamento senza giusta causa gli riconosceva un trattamento “di favore” : una maxi-liquidazione accordata al giornalista in gran segreto da Benedini, tenendo all’oscuro il Cda, gli azionisti e collegio sindacale. Fra settembre e novembre 2016 si è mossa anche la Consob, tenuta a vigilare in quanto il Sole è società quotata in borsa, su segnalazione del collegio sindacale, ma, secondo l’autorità di Vigilanza, “alla luce degli approfondimenti svolti, allo stato non si ravvisano profili sanzionatori a carico dell’organo di controllo della Società“, riferisce “Report“. La ragione principale, secondo Consob, è la seguente:
“Benché la Scrittura privata sia stata conclusa dall’ex Presidente Benedini eccedendo i poteri conferiti in data 30 aprile 2013 e in violazione del Regolamento Consob n.17221/2010 in materia di operazioni con parti correlate in quanto operazione con parte correlata che derogava alla politica sulle remunerazioni dell’Emittente, non sono emersi profili di possibile rilevanza sanzionatoria in capo al Collegio Sindacale poiché risulta che entrambi gli organi sociali non erano a conoscenza del suddetto documento”. In pratica ed in poche parole, poichè si trattava di una scrittura privata, e quindi tenuta in gran segreto, la Consob non intende ritenere responsabile il Collegio sindacale né il Consiglio d’amministrazione dell’accaduto. Qualche domanda dovrebbe farsela anche il CSM, il Ministro di Giustizia, e chiedersi: come mai nonostante gli esposti di azionisti alla Procura di Milano, nessuno ha mai acceso i riflettori in passato ?
Esito indagine Consob sulla scrittura privata e la maxi-liquidazione per Napoletano CONSOB_Sole24Ore Ecco cosa diceva Roberto Napolitano: intervista del 26 novembre 2013 intervento a Capri del 20 ottobre 2015
8 anni di avvertimenti inascoltati. Il comunicato dei comitati di redazioni delle testate giornalistiche del Gruppo 24Ore Cari lettori, vi chiediamo pochi minuti di attenzione per comprendere questi 8 anni di perdite, per un totale di 353 milioni; gli otto anni peggiori della vita del Sole 24 Ore. Ecco alcuni stralci che documentano come noi giornalisti del Sole, rispettando i principi che ci guidano quotidianamente nel raccontarvi la realtà economica, politica e finanziaria, in questi 8 anni abbiamo sottolineato, in occasione dell’assemblea degli azionisti, la gravità crescente della situazione chiedendo ripetutamente all’azionista di maggioranza, ovvero a Confindustria, e all’azienda, provvedimenti coerenti con quanto emergeva dai conti, opponendoci alla versione light che veniva presentata (non abbiamo mai votato a favore del bilancio) e ai bonus elargiti ai vertici aziendali nonostante il rosso preoccupante che emergeva. 2009: -53,3 milioni Negli ultimi 10 anni, secondo le analisi di Mediobanca, la nostra società ha investito per linee esterne tramite acquisizioni 130,9 milioni di euro, al netto dell’investimento in Radio24. (…) La verità è che le acquisizioni del passato sono servite per “comprare” fatturato. Ma quei ricavi sono stati acquistati a carissimo prezzo, con valutazioni molto elevate delle aziende acquisite. Oltretutto sono state acquisite aziende procicliche nei periodi di culmine del ciclo economico: il loro arretramento era inevitabile e difatti ora pesa sui nostri conti. Eppure la società, nonostante questi pessimi risultati, si intestardisce nell’idea di crescere attraverso le acquisizioni. 2010: -40,4 milioni Per il secondo anno consecutivo, infatti, siamo qui a esprimere il nostro parere su un bilancio pesantemente in rosso. Il 2010, che doveva essere l’anno del rilancio dopo il disastroso 2009, si è chiuso al contrario con una perdita di 40 milioni di euro: il Gruppo ha così bruciato 92 milioni in due anni. Ve lo diciamo subito: noi bocciamo questo bilancio, perché esprimiamo un parere fortemente critico sulla gestione di questo Gruppo. Il verdetto dei numeri del resto è impietoso: il margine operativo lordo, positivo per quasi 50 milioni nel 2008, si è liquefatto. Le copie sono calate pesantemente, attestandosi a 265mila, un’ulteriore pesante diminuzione rispetto alle 296mila di circa un anno fa; la pubblicità non dà segni di risveglio e
continua una caduta libera anche più accentuata rispetto ai concorrenti. 2011: -9,3 milioni A questo proposito non possiamo far passare sotto silenzio la decisione di corrispondere un bonus all’attuale amministratore delegato. Non ne discutiamo la legittimità ma l’opportunità. Ci chiediamo come non si avverta lo “scandalo” di usufruire di un premio mentre i bilanci continuano ad essere chiusi in rosso e all’indomani di un accordo che prevede il taglio delle retribuzioni dei propri dipendenti, ammortizzato peraltro anche da un contributo pubblico. (…) La situazione resta assai difficile. E la crisi profonda del sistema economico, con un’ormai accertata recessione, ha immediate ricadute. Solo sul fronte del quotidiano i ricavi pubblicitari sono calati di quasi 8 milioni rispetto a un 2010 già assai critico. Va evidenziato peraltro che System, la nostra concessionaria di pubblicità, ha fatto un po’ peggio dei suoi concorrenti nel corso del 2011 e viste le prospettive scoraggianti per tutto il settore nel 2012, il futuro resta assai incerto. 2012: -48,4 milioni Due esempi a loro modo cruciali. Sui due canali che più ci stanno a cuore e che assicurano la redditività dell’attività editoriale: i ricavi diffusionali e quelli pubblicitari. Su questi ultimi pesa certo una recessione senza precedenti da cui non si intravede per ora l’uscita e ragioni specifiche che hanno colpito il Sole 24 Ore più di altre testate, la revisione della normativa sulla pubblicità legale e finanziaria. Però, sul quotidiano, le performance sono assolutamente deficitarie: a fronte di un calo degli investimenti pubblicitari sui quotidiani stimato intorno al 17%, il calo dei ricavi della raccolta del quotidiano è stato del 23% (19,5% a parità di perimetro) con un crollo di quasi 20 milioni. E non pare che questi primi 3 mesi dell’anno siano in miglioramento. Sui ricavi diffusionali, quelli che più chiamano in causa la redazione, riteniamo di avere le carte in regola. Alla prova dei fatti però e non per asserzione ideologica. Il 2012 è stato un anno di leggera flessione, intorno al 2,5, 3%. Meglio del mercato. 2013: -76,1 milioni La situazione si aggrava di anno in anno e stentiamo a intravedere elementi di ottimismo. Anzi, se per un attimo volgiamo lo sguardo all’indietro, il peso di scelte scriteriate fatte nel recente passato
continua a zavorrare i conti e a fare sentire conseguenze rilevanti anche sul 2013. Solo due esempi, entrambi tratti dalla cronaca di questi ultimi mesi di vita societaria: la vendita, conclusa per un prezzo che la stessa azienda ha qualificato come “simbolico”, di “Business Media”, un’avventura editoriale che sarebbe stato salutare non intraprendere e che, a colpi di svalutazione, si è via via ripercossa nel corso degli anni. E ancora la cessione dell’intera divisione software. Cessione che permette certo la realizzazione di una plusvalenza anche significativa, il cui impiego non può però essere limitato al rimborso di un debito che in 12 mesi è schizzato a quasi 40 milioni, ma deve corroborare anche investimenti sull’attività editoriale, e che mette in evidenza come la strategia di diversificazione che ha affascinato i vertici del gruppo, a ridosso della quotazione, fosse destituita di fondamenta. 2014: -9.8 milioni Eppure il robusto taglio dei costi (che ha toccato tutte le altre aree di lavoro aziendale) non è bastato a riportare la gestione in carreggiata. Neanche l’aumento dei ricavi editoriali (+1,4 milioni solo per il quotidiano) è stato sinora sufficiente a invertire la rotta. Perché? Ci sono stati gravissimi errori perpetrati fino a pochi anni fa – contratti di acquisto, di fornitura e di affitto ai limiti della responsabilità civile, se non oltre – che hanno prodotto effetti tuttora perduranti, anche se attenuati; altri su cui non si è ancora intervenuto a fondo. Qualche esempio: il gruppo ha una gestione duale (poteri identici tra presidente e ad) che appare incomprensibile, e ha perso da tempo figure organizzative (a cominciare dal direttore generale dell’area editrice) indispensabili per un brand così focalizzato come è oggi Il Sole 24 Ore. In una parola: esiste un oggettivo problema di governance nel gruppo. 2015: -24 milioni Nove anni di riduzione concordata dei salari – con misure di contenimento delle retribuzioni che si sono di fatto strutturalizzate – e di costante discesa dell’organico giornalistico non sono bastate a riportare in linea di galleggiamento il conto economico del Gruppo, dimostrando (se ce ne fosse ancora bisogno) che il problema di sostenibilità non è certo nella componente che produce l’output caratteristico dell’azienda e che tiene altissimo il brand commerciale dell’intera galassia Sole. Se è vero che gli ultimi sette esercizi hanno scontato la dissennata campagna di acquisizioni e di contrattualistica dello scorso decennio – campagna più volte stigmatizzata dall’assemblea dei giornalisti – è un fatto incontrovertibile che la redazione aveva chiesto da lungo tempo (già
nello stato di crisi del 2012) la “rivoluzione digitale” che solo negli ultimi due anni è stata poi sposata con convinzione – e seppur ancora con risultati parziali – dai vertici aziendali e redazionali. 2016: -92 milioni TOTALE: -353,3 MILIONI Dal manifestarsi della perdita monstre dell’anno scorso (ma ahimè coerente con l’andamento degli anni precedenti), sin dalla semestrale, la redazione ha alzato ancora il livello di guardia, testimoniando a più riprese e con più iniziative la sua estraneità non solo alla scelte di cattiva gestione via via fatte, ma anche rispetto a quanto stava e sta emergendo a più livelli, da quello amministrativo, Consob, a quello penale, indagine della procura di Milano. Solo tre esempi: la critica di una politica editoriale tesa alla massimizzazione delle copie pur con marginalità negativa; un larghissimo voto di sfiducia al direttore, ben prima della notizia della sua iscrizione tra gli indagati; uno sciopero a oltranza proclamato per chiederne in via ultimativa l’allontanamento, dopo che l’azionista era rimasto inerte per troppi mesi. Un’inerzia che però a oggi continua irresponsabilmente a protrarsi su altri punti chiave per il futuro del Sole 24 Ore. A partire dalla ricapitalizzazione. Annunciata per un importo già adesso da valutare come insufficiente e a breve a rischio di inadeguatezza, l’operazione è ancora del tutto ignota nel quando e anche nel come. Anzi, la società ha comunicato di volersi avvalere di termini più ampi di quelli statutari per l’assemblea che dovrà vararla. Sulle stesse modalità non c’è visibilità: verrà tolto il limite del 2% al possesso delle azioni, parteciperanno le banche che a loro volta ancora devono dare una risposta sulla proroga chiesta dello stand still? A tutto questo aggiungiamo un piano industriale sinora mai illustrato alla redazione, malgrado le ripetute richieste, basato su massicci tagli dei costi e su ricavi stimati piatti in 3 anni, e già, temiamo, ottimistici, visti i primi segnali che arrivano dall’andamento del 2017 e una provvisorietà degli incarichi in ruoli chiave, interim sia alla direzione del quotidiano sia alla concessionaria di pubblicità. Un’incertezza che non può protrarsi ancora e che rischia di provocare conseguenze irrimediabili. Il Cdr del Sole 24 Ore Il Cdr di Radiocor Plus Il Cdr di Radio 24
La Banca Popolare di Bari va in soccorso dei soci colpiti dal crollo delle azioni La Banca Popolare di Bari vara tre misure importanti, le prime tre da quando è scoppiato il caso delle azioni della Bpb mostrando di voler andare incontro a migliaia di azionisti che dall’aprile dello scorso anno (quando un’assemblea dei soci la banca decise di ridurre il prezzo per azione da 9,15 euro a 7,50 euro) hanno avuto difficoltà nella vendita delle loro azioni per poter tornare in possesso del denaro investito ed hanno intrapreso iniziative di tutela dei propri soldi. Queste le tre iniziative: La sospensione dei mutui a privati e aziende, un fondo di solidarietà ed mercato di scambio azionario più ampio. La Popolare di Bari non è quotata in Borsa, e pertanto la compravendita delle proprie azioni viene effettuato in un mercato interno all’istituto nel quale sinora è sempre stato ridotta le possibilità di vendere le proprie azioni. Marco Jacobini, Presidente della Banca Popolare di Bari, Il consiglio di amministrazione della banca che domenica prossima terrà la propria assemblea dei soci azionisti che si svolgerà alla Fiera del Levante per approvare il bilancio 2016 e nominare il nuovo
consiglio di amministrazione, ha deliberato per andare incontro ai propri azionisti di richiedere l’ammissione alla quotazione del proprio titolo azionario sul sistema multilaterale di negoziazione Hi- mtf (Multilateral Trading Facility: mercato per la negoziazione di strumenti finanziari), il cui controllo e proprietà è riferibile ad alcune delle principali istituzioni finanziarie, che è un mercato secondario più grande dedicato agli azionisti delle banche non quota il cui accesso è previsto entro il primo semestre dell’anno, in ottemperanza alla direttiva Consob che richiede la più ampia possibilità di scambi dei titoli sul mercato. Non appena possibile, la Banca darà pronta comunicazione dell’ammissione a Hi-mtf, segmento Order Driven, dei relativi dettagli tecnici e della data di inizio delle negoziazioni. Il progetto risale a qualche mese fa, su iniziativa della Banca Popolare di Bari e nelle ipotesi inizialmente era prevista la possibilità che altre banche tra le quali le pugliesi Banca popolare pugliese e Banca popolare di Puglia e Basilicata potessero entrare a far parte di questo mercato. In attesa di entrare nel nuovo mercato, il mercatino interno della Popolare di Bari verrà sospeso, in attesa del prossimo giugno in cui si prevede l’avvio della quotazione sul nuovo mercato. “Un passo importante – riporta un comunicato della Banca – verso una maggiore liquidabilità del titolo in virtù della più ampia potenzialità di partecipazione di soggetti al mercato“. Sulla base del confronto aperto sin dallo scorso novembre con il Comitato di tutela degli azionisti della Banca Popolare di Bari sono previste le altre due operazioni concordate. La prima è relativa allo stanziamento di un fondo sociale per andare incontro alle situazioni di disagio di famiglie e imprese. “Praticamente – spiega Antonio Pinto, presidente del comitato, – se la banca ha seguito le nostre proposte, dovrebbe essere costituita una fondazione in grado di acquistare le azioni da quegli azionisti che si trovano più in difficoltà. Noi abbiamo proposto come comitato di utilizzare la soglia del reddito Isee dei 13mila euro. Quegli azionisti che avessero un reddito sotto quella soglia potrebbero cedere le loro azioni alla nuova Fondazione e così facendo potrebbero ritornare in possesso dei soldi investiti“. Per varare questa operazione la Banca avrebbe richiesto l’ autorizzazione alla Consob e deliberato ulteriori misure “per attivare la sospensione delle rate di mutui e finanziamenti per privati e aziende e/o l’allungamento del piano di ammortamento“. La Banca ha già deliberato ulteriori misure per avviare la sospensione delle rate di mutui e finanziamenti per privati e aziende o in alternativa l’allungamento del piano di ammortamento
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