DIPUTACIÓ DE BARCELONA - DOCUMENTO BASE SULLA COOPERAZIONE DECENTRATA PUBBLICA NEL MEDITERRANEO
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Direcció de Serveis de Relacions Internacionals DIPUTACIÓ DE BARCELONA DOCUMENTO BASE SULLA COOPERAZIONE DECENTRATA PUBBLICA NEL MEDITERRANEO
Indice Pagina Presentazione 3 I. Il contesto della cooperazione nel Mediterraneo 4 1. Quadro di riferimento 4 2. Il processo di Barcellona e la politica europea nel Mediterraneo 6 3. La situazione del Partenariato Euromediterraneo 7 4. La Politica Europea di Vicinato 11 5. Aspetti più importanti della situazione nei paesi partner mediterranei 14 5.1. Evoluzione socioeconomica 14 5.2. Sviluppo umano 17 5.3. Libertà civili, diritti politici fondamentali e governance 19 5.4 La decentralizzazione e il ruolo dei governi locali nei paesi partner mediterranei 22 6. Il rapporto nord - sud nel Mediterraneo 28 6.1. La frattura demografica 28 6.2. Competenza e complementarietà economica 29 6.3. La dimensione culturale 30 II. La Cooperazione Decentrata Pubblica nel Mediterraneo 31 7. Concettualizzazione, evoluzione e approcci sulla cooperazione decentrata 31 7.1. La Cooperazione Decentrata Pubblica nel seno del sistema di cooperazione allo 31 sviluppo 7.2 La Cooperazione Decentrata Pubblica negli Stati membri dell’UE 33 7.3. Verso un nuovo approccio della cooperazione decentrata 37 8. Cooperazione nel Mediterraneo 40 8.1. Introduzione 40 8.2. La Cooperazione Decentrata Pubblica dell’UE nel Mediterraneo 41 8.3. Alcuni esempi di iniziative e progetti di Cooperazione Decentrata Pubblica nel 45 Mediterraneo 9. Verso un nuovo approccio della Cooperazione Decentrata Pubblica nella 49 prospettiva della nuova Politica Europea di Vicinato nel Mediterraneo 10. Ambiti di particolare importanza per la Cooperazione Decentrata Pubblica 52 nel Mediterraneo 10.1. Governance e gestione comunale 52 10.2. Ambiente urbano e sostenibilità 54 10.3. Flussi migratori 55 10.4. Sicurezza e pace 56 10.5. Altri ambiti legati allo sviluppo locale e alla coesione sociale 57 11. Prime conclusioni e sfide per lo sviluppo della Cooperazione Decentrata 59 Pubblica nel Mediterraneo Documentazione di riferimento 73 2
Presentazione Il presente documento serve da quadro per poter favorire la riflessione nel seminario relativo alla Cooperazione Decentrata Pubblica (CDP) nel Mediterraneo nel seno del Partenariato Euromediterraneo organizzata dalla Diputació de Barcelona e dall’Associazione Arco Latino1 nel settembre 2005. Si tratta di un documento il cui scopo è di posizionare e di chiarire alcuni aspetti rilevanti per tale riflessione. Esso combina e analizza i due componenti centrali di tale riflessione. Da un lato analizza la concettualizzazione e il quadro della Cooperazione Decentrata Pubblica, in maniera più specifica il suo funzionamento e la sua storia nel bacino mediterraneo. La crescente partecipazione delle regioni, le province e gli enti locali nella cooperazione internazionale europea ha avuto e continua ad avere una grandissima importanza nel Mediterraneo. Dall’altro lato vuole chiarire il quadro di tale cooperazione, ruolo che è senza ombra di dubbio svolto dal cosiddetto “Partenariato Euromediterraneo” (Euro Mediterranean Partnership), frutto della Dichiarazione di Barcellona del 1995 e che vivrà un momento storico nell’immediato futuro, in occasione della prossima Conferenza di Barcellona del 2005. Il processo di Barcellona, e più specificamente il nuovo strumento europeo rappresentato dalla Politica Europea di Vicinato (PEV), solleva numerosi interrogativi, ma allo stesso tempo manifesta nuove e interessanti prospettive per quel che riguarda il possibile ruolo dei governi sub-nazionali europei e dei paesi partner mediterranei in questo sforzo di integrazione mediterranea. Il presente documento non ha per obiettivo quello di coprire tutti gli aspetti o le dimensioni di questo argomento, né tanto meno è sua intenzione dotare di un carattere esauriente le informazioni qui esposte; si tratta piuttosto di un documento di lavoro che possa fornire informazioni di base per poter creare un quadro idoneo per la riflessione che si desidera promuovere. Il presente documento contiene, inoltre, diversi approcci, politiche ed esperienze che hanno visto la luce in Stati membri differenti e nella stessa Commissione. È necessario evidenziare il fatto che il presente documento viene ampliato e arricchito dai documenti tematici realizzati da diversi esperti, vale a dire: Cooperazione Decentrata Pubblica e politiche di coesione sociale, a cura di Benedetta Oddo; Le politiche dell’Unione Europea sui circuiti migratori e sviluppo 1 Arco Latino è un’associazione costituita da amministrazioni locali spagnole (Diputaciones e Consejos Insulares), italiane (Province) e francesi (Départements) del Mediterraneo occidentale, comprendente un euroterritorio policentrico dell’Europa Meridionale, che si estende dall’Algarve fino alla Sicilia. Fedele al proprio impegno di dar voce alla prospettiva mediterranea e locale nel seno delle politiche dell’UE, e in occasione del X Anniversario del Processo di Barcellona, AL sta mettendo a punto tutta una serie di avvenimenti per stimolare il dibattito e la riflessione in merito alla cooperazione nel Mediterraneo e alle relazioni euromediterranee. 3
nel Mediterraneo. Il ruolo delle autorità locali e degli emigranti nel co-sviluppo, a cura di Andrea Stocchiero; La Cooperazione Decentrata Pubblica dei governi locali nel Mediterraneo al servizio della pace e della sicurezza, a cura di Jesús A. Núñez Villaverde; Metodologia, organizzazione e funzionamento delle reti internazionali delle collettività territoriali, a cura di Adda Bekkouche, e infine Capacità istituzionali, governance locale e rapporti con la società civile. La cooperazione dalle dimensioni umane, a cura dell’IEMED (Istituto Europeo del Mediterraneo). In conclusione, il documento prospetta più interrogativi che risposte, per poter così centrare questioni, dilemmi e sfide che attualmente riguardano la Cooperazione Decentrata Pubblica nel Mediterraneo, dotando così il documento di una prospettiva aperta e di una capacità di stimolo alla riflessione in merito agli argomenti esposti. I. IL CONTESTO DELLA COOPERAZIONE NEL MEDITERRANEO 1. Quadro di riferimento È necessario che il Partenariato Euromediterraneo (PEM) entri in una fase di “nuovo impulso” e di concretizzazione di molti degli enunciati che l’orientano. Sono passati già dieci anni dalla Dichiarazione di Barcellona e a tutt’oggi non esiste ancora un accordo chiaro sui suoi risultati e sulle mete da raggiungere; senza ombra di dubbio non è difficile identificare gli aspetti in cui si è progrediti in quest’ultimo decennio, ma allo stesso tempo persistono freni ed ostacoli altrettanto facilmente identificabili. Ad ogni modo ciò che maggiormente importa è la constatazione di grandi cambiamenti nella politica e nelle relazioni internazionali nonché di nuovi problemi che, in un certo qual modo, hanno dato vita a una nuova scena della politica mondiale e in particolare nel Mediterraneo, dalla cronicizzazione del conflitto nel Vicino Oriente fino ai nuovi fattori di instabilità e insicurezza, come nel caso del terrorismo internazionale. Allo stesso modo, come tendenza più recente e più vicina a noi, l’allargamento dell’UE a 25 Stati membri ha provocato la nascita di nuove frontiere che logicamente esigono nuove politiche per poter gestire le relazioni transfrontaliere. La nuova Politica Europea di Vicinato (PEV) è una realtà politica in via di sviluppo e di consolidamento. In questo quadro di grandi sfide, il cosiddetto Partenariato Euromediterraneo (PEM) dovrà trovare la propria posizione in questo nuovo contesto e prospettare un nuovo impulso in grado di apportare una prospettiva chiara di una maggior integrazione a livello mediterraneo. La conferenza di Barcellona del novembre 2005 sarà uno spazio e un’occasione decisiva per determinare l’immediato futuro del partenariato. 4
Nel presente documento vengono evidenziate diverse tendenze e difficoltà che si interpongono alla riaffermazione e alla crescita del PEM; fra le più lampanti si possono enumerare l’asimmetria istituzionale e le grandi fessure nello sviluppo socioeconomico, nonché, e ancora più importante, i pochi progressi del PEM in questi ambiti durante gli ultimi anni. Il bisogno di costruire nuovi rapporti e vincoli fra gli attori del nord e quelli del sud del Mediterraneo rappresenta attualmente una delle maggiori sfide del PEM per poter avanzare nel processo di Barcellona. In questo quadro viene posizionata la cosiddetta Cooperazione Decentrata Pubblica (CDP), vale a dire la cooperazione internazionale, più specificamente nel Mediterraneo, che ha per protagonisti gli enti locali e regionali, affiancati a loro volta da altri attori quale l’unione Europea stessa da un lato, e attori della società civile dall’altro. Per questo motivo la Cooperazione Decentrata Pubblica sarà un anello strategico di una catena di relazioni che è indispensabile intensificare per poter andare avanti nel PEM e in particolare per la nuova Politica Europea di Vicinato (PEV). È importante sottolineare tale prospettiva, in cui si inserisce la CDP come spazio di cooperazione, di una maggior integrazione sociale dell’area mediterranea nell’insieme e a partire dalla politica dell’UE e dei suoi Stati membri. Il presente documento serve inoltre per affermare che la CDP non è priva di problemi, limitazioni e minacce di maggior efficacia e definizione strategica, per poter effettivamente svolgere un ruolo strategico nel PEM. Non si tratta semplicemente di rivendicare ancora una volta il bisogno di dotare di maggiori fondi finanziari i governi locali e regionali affinché questi possano materializzare le loro politiche e i loro progetti; è qualcosa che va molto più in là. Si tratta di stabilire, prendendo come punto di partenza i problemi osservati, in che modo vengono costruite le relazioni sostenibili di cooperazione fra i diversi attori del Mediterraneo nel seno di una strategia di integrazione. È per questo motivo che nel presente documento, aperto a nuovi interventi, vengono abbozzate le idee e le proposte sollevate da diversi punti, in modo tale da poter provocare una nuova riflessione sulla Cooperazione Decentrata Pubblica (CDP) nel Mediterraneo, grazie alla quale, alla fine, sia possibile concepire nuove politiche in questo ambito. Ricapitolando, il documento esamina: 1. Gli aspetti più rilevanti del Partenariato Euromediterraneo e la sua evoluzione dalla Dichiarazione di Barcellona fino alla nuova Politica Europea di Vicinato (PEV), per poter ubicare questa riflessione nel processo politico europeo di rafforzamento delle relazioni mediterranee. Allo stesso modo si cerca anche di analizzare e di valutare i diversi strumenti finanziari, operativi e istituzionali sui quali si è basato il PEM. 5
2. Il bisogno di migliorare le definizioni e le concettualizzazioni riguardanti ciò che si intende per Cooperazione Decentrata Pubblica e il modo in cui, nei diversi Stati membri, nei governi locali e regionali, nell’UE stessa e in ambiti accademici e professionali viene trattata la CDP. La situazione legislativa e normativa esistente negli Stati membri dell’UE rispetto alla CDP; i suoi limiti e le sue potenzialità, poiché la cooperazione allo sviluppo dei diversi Stati membri continua ad essere un fattore di prima importanza nell’argomento che viene qui trattato. 3. La situazione istituzionale e la governabilità nei governi locali e regionali nei paesi del Mediterraneo meridionale, che consenta di valutare le capacità e le limitazioni degli interlocutori della CDP nel sud. A partire dai processi di decentralizzazione e dall’ambito legale vigente nei diversi paesi del Mediterraneo meridionale, fino alle capacità e al deficit esistenti nella gestione e la costruzione di relazioni internazionali di comuni e regioni. 4. Pratiche, realizzazioni e costituzione di reti in grado di esemplificare, e che consentano di disporre di riferimenti effettivi di iniziative non statali di cooperazione nel Mediterraneo, senza l’intenzione però di valutare e di sistematizzare in maniera esauriente tali esperienze. Ad ogni modo tutti questi esempi servono per mettere in luce la potenzialità e la ricchezza delle attuali iniziative di CDP e della partecipazione delle città e delle regioni europee in quest’ultima. 5. L’identificazione di ambiti o di problematiche di particolare importanza per la CDP nel Mediterraneo, volte a definire in un futuro le priorità e gli “argomenti sensibili” cui è necessario dare una risposta urgente nel bacino mediterraneo e per i quali la CDP si prospetta come la soluzione più adeguata per trattarli. Partendo quindi da questa struttura di base, il documento presenta anche determinate ipotesi in merito all’approccio che dovrebbe avere una CDP efficace ed efficiente, e soprattutto coerente con le nuove sfide del PEM e della PEV, in prospettiva di una futura zona di libero commercio e di integrazione, fattore chiave dell’analisi che contiene la prospettiva strategica delle proposte. Partendo dalle suddette riflessioni, viene presentato un insieme di conclusioni il cui obiettivo è quello di ordinare e di chiarire i principali elementi di analisi. In conclusione, poiché si tratta anche di un documento dinamico e di riferimento per stimolare il dibattito e la riflessione, viene fissata tutta una serie di proposte o di possibili linee di lavoro, volte a dare un nuovo stimolo alla CDP nel Mediterraneo. 6
2. Il processo di Barcellona e la politica europea nel Mediterraneo Il Partenariato Euromediterraneo (PEM) è il quadro generale delle relazioni fra l’UE, i suoi Stati membri e i paesi che si trovano nell’area sud-orientale del Mediterraneo. In occasione della conferenza di Barcellona, tenutasi nel 1995, i suddetti paesi adottarono un accordo esecutivo sotto forma di dichiarazione e un programma di lavoro che hanno dato vita a un triplo partenariato: un partenariato politico e di sicurezza volto al consolidamento di una zona comune di pace e di stabilità, la creazione di un’area di libero commercio, e un partenariato sociale e culturale focalizzato sullo sviluppo delle risorse umane, nonché una migliore comprensione fra culture, e uno scambio fra le società civili. L’UE ha proposto un logica di intervento che, come mai prima d’ora, pone una grande enfasi sulla liberalizzazione economica e l’apertura verso il commercio internazionale; allo stesso tempo, però, essa considera la sicurezza e i problemi socioeconomici e culturali da un punto di vista poliedrico e interdipendente. Enfatizzando l’idea di un sistema di commercio multilaterale, equo e solidale, il PEM ammette che senza un rapporto speciale e differenziale, le parti più deboli non disporranno dei mezzi adeguati per poter penetrare nei mercati settentrionali, e allo stesso tempo per proteggere le loro economie nazionali. La dichiarazione si basa su quattro punti: la supremazia approvata di comune accordo dei valori fondamentali e universali, il rifiuto di una politica internazionale che si basa esclusivamente sui rapporti di forza, un impegno nella costruzione di un’area economica comune, con la creazione di una zona di libero scambio nel 2010, considerata la condicio sine qua non, e infine il trasferimento alla società civile della posizione centrale nel processo di integrazione e di cooperazione regionale. La Dichiarazione di Barcellona definisce come obiettivi centrali del PEM l’istituzione di una zona di libero scambio entro il 2010 e la creazione di un insieme di regioni euromediterranee. Nel 2010 il Processo di Barcellona dovrà creare un progetto avanzato di regionalismo aperto, atto a rispondere in maniera efficace alle sfide che prospetta la globalizzazione e in grado di cogliere le opportunità che gli si presentano, integrando i paesi del Maghreb e del Vicino Oriente all’Unione Europea. Da un punto di vista formale, il PEM opera su due livelli complementari: il livello bilaterale serve per definire l’ambito di relazione dell’UE con ciascuno dei partner del sud, mediante accordi di partenariato, mentre il livello regionale è essenzialmente di natura multilaterale. I nove accordi di partenariato sono attualmente in vigore eccezion fatta per l’Algeria e la Siria, dove non sono ancora stati ratificati. L’agenda regionale avanza a poco a poco in parte a causa del conflitto in Medio Oriente e ad altri punti di tensione o di ostacoli quale il conflitto del Sahara, la lenta apertura della Libia o gli effetti più recenti della guerra in Iraq e il terrorismo. 7
Inoltre l’apparato burocratico della Commissione Europea, nonché la lentezza e la complessità dei suoi iter, sono divenuti un altro ostacolo per l’efficacia e l’agilità di programmi e azioni nel seno del PEM. La tendenza fondamentale del PEM è quella di estendere verso il sud la zona di pace e di prosperità conquistata all’interno dell’UE attraverso un processo di integrazione nord-sud, e soprattutto sud-sud, con l’obiettivo di superare il clima di sfiducia. Lo spirito di Barcellona per costruire una zona di libero scambio è un mezzo per raggiungere l’obiettivo a lungo termine di pace nel Mediterraneo. Con il processo di Barcellona, attraverso gli accordi di partenariato e con l’appoggio del programma MEDA, l’UE ha voluto agevolare l’apertura e la modernizzazione delle economie dei paesi partner mediterranei, rendendole maggiormente competitive di fronte alle sfide della globalizzazione. Allo stesso tempo la creazione di un’area di libero commercio euromediterranea servirà da trampolino per attrarre gli investimenti stranieri diretti verso questi paesi. 3. La situazione del Partenariato Euromediterraneo In termini generali, è chiaro che fino ad oggi non è stato possibile creare una zona di prosperità condivisa, anzi, lungi dal diminuire, in questi ultimi anni le disparità nel reddito e nel benessere fra le due rive del Mediterraneo non hanno smesso di aumentare. Ad ogni modo è difficile realizzare una valutazione globale del processo di Barcellona. È chiaro che tale processo non è stato in grado di trasformare né economicamente né politicamente la regione; l’andamento economico della regione in questi ultimi dieci anni non è stato positivo, e in termini pratici, non si è verificata neanche la riforma economica che era da aspettarsi. È comunque vero che il processo di Barcellona ha creato un quadro politico e istituzionale positivo fra i vari partner mediterranei e l’UE, e che questo potrebbe vedersi rinsaldato nel futuro. È necessario riconoscere le attuali limitazioni; i progressi osservati in tematiche di sviluppo umano non sono sufficienti o almeno non sono abbastanza coerenti per poter rispondere ai gravi problemi sociali presenti nella regione. Le riforme economiche non hanno avuto nessun impatto sulle riforme di tipo politico; il partenariato non è stato in grado di gestire efficacemente le sfide politiche, non solo per quel che riguarda la sicurezza, ma anche, e soprattutto, per l’aspetto relativo ai diritti umani. Non è così automatico il passo che va dalla prosperità economica all’inevitabile liberazione dei sistemi politici e della società civile. La Dichiarazione di Barcellona conteneva non meno di 39 ambiti di politica, cosa che ha provocato varie critiche, che consideravano la portata dell’azione troppo ampia. In 8
una succinta valutazione, è evidente che vi è stato un ragionevole rispetto per quel che riguarda gli aspetti economici e culturali, ma esso è bassissimo nel caso dell’ambito politico e di sicurezza. Per quel che riguarda il finanziamento MEDA, si è verificato un cambiamento nella seconda programmazione 2000 – 2006, la cosiddetta Regolazione MEDA II, in base alla quale vengono stabiliti meccanismi più agili. Per questa seconda programmazione il programma è stato dotato di 5.350 milioni di euro, da destinare sia a programmi bilaterali che regionali. A tale quantità viene ad aggiungersi la BEI (Banca Europea per gli Investimenti) con prestiti di pari a 6.425 milioni di euro per il periodo 2000 – 2006. Nel campo della cultura il programma EuroMed Heritage è arrivato alla sua terza fase, con un budget globale pari a 57,2 milioni di euro, mentre il programma EuroMed Audiovisual, che ha visto la luce nel 2000 con un bilancio globale pari a 35 milioni di euro, si trova nella seconda fase. La Fondazione Euromediterranea Anna Lindh per il Dialogo tra le Culture con sede ad Alessandria dispone di un cofinanziamento dell’UE pari a 5 milioni di euro provenienti da MEDA. Degno di nota è anche il programma di scambi giovanili noto con il nome di Youth Exchanges, grazie al quale è stato possibile far partecipare più di 20.000 giovani provenienti dai diversi paesi mediterranei a scambi intorno a diverse attività educative. Nel 2002 il programma europeo di scambi universitari TEMPRA è stato ampliato ai paesi partner mediterranei. Oltre a MEDA, la Commissione dispone di linee di bilancio applicate al Mediterraneo, fra le quali si possono menzionare l’Iniziativa Europea per la Democrazia e i Diritti dell’Uomo, Lotta contro l’AIDS, Donna e sviluppo, Riabilitazione da droghe, Salute riproduttiva, Aiuti alimentari, Cofinanziamento con ONG e Cooperazione decentrata. Uno dei maggiori deficit è stato l’intervento nell’ambito della sicurezza; per quanto riguarda i diritti umani, il processo di Barcellona ha dato vita a infrastrutture e a meccanismi istituzionali poco utilizzati. Non sono esistite procedure sistematiche per includere i diritti umani nell’implementazione dei programmi di riforma né di controllo della loro evoluzione nei paesi partner. A sua volta, il grado di finanziamento per le politiche destinate alla democrazia e ai diritti umani stanziato per il Maghreb e il Mashrek è limitato. Il bilancio della Commissione per la democrazia e i diritti umani, inizialmente noto con il nome di Programma MEDA Democrazia, poi come Iniziativa Europea per la Democrazia e i Diritti dell’Uomo, aveva stanziato 27 milioni di euro per i partner mediterranei fino alla fine del 1999. In seguito i fondi sono diminuiti a poco a poco dal 2001 fino ad oggi. Per quel che riguarda la riforma politica, si deve riconoscere che i progressi dei paesi partner mediterranei nel seno del processo di Barcellona sono stati di poca importanza; 9
in pratica i governi arabi non si sono dimostrati abbastanza ricettivi ai progetti proposti di democrazia e di diritti umani. Un aspetto, cui deve essere data urgentemente risposta, continua ad essere il sostegno alla creazione di posti di lavoro e alla crescita economica durevole attraverso la liberalizzazione di scambi e l’integrazione regionale. La creazione di una zona di libero scambio entro il 2010, come era stato stabilito nel processo di Barcellona, dovrebbe includere, fra i vari aspetti, la creazione di un quadro macroeconomico sano, una banca di sviluppo euromediterranea nonché uno stimolo al settore dei trasporti e dell’energia, assicurando una protezione ambientale e uno sviluppo sostenibile. Il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) ritiene che la maggior parte delle carenze del PEM siano dovute alle difficoltà esistenti, da attribuire essenzialmente alla sopravvalutazione del ruolo che esso può svolgere nello sviluppo sociale dei paesi partner mediterranei. L’Unione Europea non dovrebbe dimenticare che, contrariamente a quanto succede nel caso dei paesi partner mediterranei, essa aveva raggiunto la maturità necessaria per l’unificazione grazie alle proprie affinità culturali, politiche e sociali, esistenti fra i propri Stati membri. Il caso dei paesi partner mediterranei è totalmente diverso: nonostante la vicinanza geografica, essi sono separati da grandi differenze sociali, economiche e culturali, sia fra di loro che con l’Unione Europea. Viene messo inoltre in rilievo che fra i paesi del sud esiste senza dubbio la percezione che la cooperazione euromediterranea abbia per unico scopo quello di creare una zona di libero commercio e non uno spazio per scambi sociali e culturali. A quanto pare le aspettative iniziali provocate dal PEM sono state sostituite dalla delusione e la demoralizzazione rispetto a questa cooperazione, considerata come uno strumento del Nord. Esiste poi una preoccupazione generalizzata fra i paesi partner mediterranei per l’impatto negativo che l’allargamento dell’UE potrà avere su di loro. Fra gli ostacoli fondamentali per l’integrazione regionale dei paesi partner mediterranei è degna di nota l’assenza di una ristrutturazione politica locale grazie alla quale poter creare nuove correnti di integrazione regionale. Inoltre le complicazioni burocratiche tutt’oggi esistenti nei suddetti paesi rappresentano la maggior parte delle volte un potente fattore di demotivazione, e bloccano qualsiasi tipo di iniziativa privata. È inoltre evidente che esiste una mancanza di fiducia reciproca, nonché la diffidenza che caratterizza i rapporti fra i governi dei paesi partner mediterranei. Sfortunatamente i governi centrali e l’UE stessa informano e coinvolgono poco i governi locali e regionali, nonché le organizzazioni della società civile dei paesi partner mediterranei. Secondo EuroMeSCo, il PEM dovrebbe trattare e approfondire tematiche quali: - Le relazioni fra lo sviluppo economico e la riforma democratica - Il PEM come garanzia di sicurezza dei cittadini e di rispetto dei diritti dell’uomo 10
- Il contributo della Politica Europea di Vicinato alla promozione del PEM - La promozione dell’ownership e la corresponsabilità di tutte le parti - Il ruolo degli immigranti dell’Europa Meridionale nel PEM - Definire il ruolo della società civile nel processo di Barcellona riveduto 4. La Politica Europea di Vicinato La cosiddetta Politica Europea di Vicinato (PEV) rappresenta un cambiamento di grande respiro nella prospettiva della politica estera e di cooperazione europea, e più in particolare per quanto riguarda la politica euromediterranea. In effetti, la visione della PEV si prospetta come un approccio in grado di andare oltre la cooperazione, e capace di contenere misure significative di integrazione economica e politica con i paesi vicini. Questo fattore dovrebbe poter generare importanti benefici finalizzati a una crescente stabilità, sicurezza e benessere per entrambe le parti. Con l’adesione di nuovi paesi e la configurazione di nuove frontiere europee, le preoccupazioni dell’Unione hanno preso una nuova dimensione. L’impatto del presente allargamento sarà considerevole, e l’instaurazione di uno spazio di stabilità, di sicurezza e di sviluppo, come viene auspicato dalla PEV, dovrà beneficiare i “nuovi” paesi vicini. Pensando al PEM è necessario tenere in considerazione il fatto che l’allargamento dell’UE si è orientato verso est, e che ciò modifica la mappa geopolitica, creando nuovi confini ai quali si vuole dare una risposta attraverso la PEV. In poche parole si sta cercando di fare il possibile per evitare che linee di frattura e di disaccordo già esistenti non peggiorino, e per dare opportunità a tali paesi di partecipare alle attività dell’UE attraverso la cooperazione politica, economica, culturale e di sicurezza. La PEV si include in una prospettiva globale di approssimazione all’insieme di Stati vicini, il cui fine è quello di raggiungere una partecipazione nel mercato interno dell’UE, sulla base di un avvicinamento delle rispettive legislazioni, senza nessuna pretensione di adesione. Di fatto la PEV si configura sotto un’ottica e un’offerta nuova verso i propri paesi vicini, articolata intorno ai seguenti assi: - Ampliare il mercato interno e le corrispondenti strutture normative per poter facilitare l’ingresso dei paesi vicini - Stabilire rapporti commerciali preferenziali con i paesi vicini - Instaurare meccanismi che consentano ai lavoratori di passare da un territorio a un altro - Intensificare la cooperazione in materia di prevenzione e di lotta contro le minacce comuni in difesa della sicurezza 11
- Aumentare il coinvolgimento politico dell’Unione per quel che riguarda la prevenzione di conflitti e la gestione delle crisi - Potenziare gli sforzi per promuovere i diritti umani, per intensificare la cooperazione culturale e migliorare la comprensione reciproca - Integrarsi alle reti di trasporto, energetiche e delle telecomunicazioni, nonché allo spazio europeo di ricerca - Creare nuovi strumenti di promozione e di protezione degli investimenti - Favorire l’integrazione nel sistema commerciale mondiale Attualmente i paesi coinvolti nella PEV sono l’Algeria, l’Armenia, l’Azerbaigian, la Bielorussia, l’Egitto, la Georgia, la Giordania, l’Israele, il Libano, la Libia, il Marocco, la Moldavia, la Siria, la Tunisia, l’Ucraina e l’Autorità Palestinese. I nuovi confini dell’UE Il 12 maggio 2004, la Commissione Europea ha elaborato un Documento di Orientamento in cui vengono gettate le basi per la costruzione di una politica europea di vicinato coerente ed efficace. In esso vengono stabiliti i principi, l’estensione geografica, la metodologia di implementazione, nonché tutte le questioni relative alla cooperazione regionale e ai mezzi finanziari. Il rapporto privilegiato con i paesi vicini si costruirà sulla base di un impegno reciproco, su valori condivisi, nell’ambito del rispetto della legge, la buona governance, il rispetto dei diritti umani (ivi inclusi i diritti delle minoranze), la promozione di rapporti di buon vicinato e i principi dell’economia di mercato e dello sviluppo sostenibile. Fra i vari impegni verranno inclusi anche alcuni aspetti delle operazioni estere dell’UE che 12
prendono particolarmente in considerazione la lotta contro il terrorismo e la proliferazione di armi di distruzione di massa. La Commissione ha avviato un ciclo di colloqui di accertamento per poter cosi identificare le priorità che verranno integrate nei piani di azione. Tali misure copriranno gli ambiti fondamentali, vale a dire: dialogo politico e riforme, scambi e misure che preparino i partner alla graduale partecipazione al mercato interno, giustizia e affari interni, energia, trasporti, società dell’informazione, ambiente, ricerca e innovazione, politica sociale e contatti interpersonali. A lungo termine questi piani potranno sostituire gli attuali accordi bilaterali e prendere la forma di accordi europei di prossimità, nei quali il campo di applicazione verrà definito in funzione dei progressi ottenuti nelle priorità fissate nei piani di azione. Per la regione mediterranea le priorità verranno stabilite prendendo in considerazione il quadro strategico avviato nel contesto degli accordi di partenariato e delle conferenze ministeriali facenti parte del processo di Barcellona. La Commissione continuerà a promuovere la dimensione regionale del partenariato e offrirà un appoggio finanziario significativo. Le priorità strategiche sono l’integrazione sud-sud, la cooperazione subregionale nonché l’armonizzazione del quadro normativo e legislativo. Le attività potranno essere implementate a livello regionale, ma anche nel quadro di una cooperazione transfrontaliera fra due o più paesi vicini, sebbene non sarà per forza di cose necessario un confine in comune, poiché la variabile principale è rappresentata da un interesse comune. In questo ambito, la PEV si impegnerà a promuovere l’interconnessione e le reti di infrastrutture energetiche, e ad avviare altri metodi di cooperazione con i vicini. Verranno inoltre intensificati gli sforzi per quel che riguarda la strategia europea di sicurezza. Nel suddetto documento di orientamento del 12 maggio 2004 la Commissione stabilisce le linee direttrici di ciò che sarà il futuro strumento europeo della PEV. Dal 2007 in poi verrà dato appoggio ai progetti di cooperazione transfrontaliera e regionale in cui parteciperanno sia Stati membri dell’UE che paesi partner, articolati intorno a quattro obiettivi chiave: - Promuovere lo sviluppo sostenibile nelle regioni site nei confini comuni - Realizzare azioni congiunte nel campo ambientale, la sanità pubblica e la prevenzione e la lotta contro il crimine organizzato - Tutelare frontiere comuni sicure ed efficaci mediante azioni congiunte - Promuovere le azioni transfrontaliere “intercomunitarie” a livello locale Il progetto della PEV apre una prospettiva innovativa e indubbiamente interessante per gli obiettivi del presente documento; non esistono infatti precedenti per quel che riguarda uno strumento in grado di coprire allo stesso tempo una politica estera e una coesione sociale ed economica nel seno dell’Unione. L’articolo 191a del TCE sarà la 13
base giuridica adeguata poiché tale articolo fa riferimento alla cooperazione con paesi terzi. In riferimento diretto al Mediterraneo, è stato approvato il programma di vicinato MEDA per il periodo 2005 – 2006 per un importo di 45 milioni di euro. A partire dal 2007 i diversi bilanci in relazione con i nuovi vicini – MEDA, TACIS, EIDHR – si fonderanno in un unico strumento europeo di vicinato e partenariato, per poter cosi razionalizzare i fondi; grazie a questo nuovo strumento, esistono anche proposte per raddoppiare il finanziamento per il Mediterraneo nel 2013. È quindi chiaro che la politica di vicinato offre ai paesi partner mediterranei la possibilità di partecipare più attivamente a un ampio ventaglio di politiche dell’UE. Il pericolo è che ogni paese stabilisca le proprie priorità e indebolisca lo sforzo di costruzione di uno spazio mediterraneo; è pertanto auspicabile che la PEV non disciolga il PEM (approccio regionale), anzi, questo dovrebbe essere intensificato mediante un consolidamento istituzionale e assicurato attraverso risorse specifiche. In effetti la prossimità di “geometria variabile” corre il pericolo di evidenziare ancora di più l’eterogeneità dello spazio mediterraneo: i paesi che si avvicinano di più al mercato interno dell’UE allargata saranno quelli in un primo momento più dipendenti dall’Unione stessa, cosa che porterà i paesi che meno dipendono dall’Unione, dal punto di vista economico, ad allontanarsi relativamente ancora di più. È un’evoluzione che potrebbe vedersi accelerata e che sarà difficile da contrastare. 5. Aspetti più importanti della situazione nei paesi partner mediterranei 5.1. Evoluzione socioeconomica Potremmo qualificare i paesi partner del Mediterraneo, eccezion fatta per Israele, come paesi a medio reddito, vale a dire paesi in cui il reddito pro capite varia fra i 1.240 dollari e i 4.460 dollari. Rispetto alla metà degli anni Novanta, la loro posizione si trova leggermente al di sotto della fascia inferiore dei paesi a reddito intermedio, posizione relativa che è lievemente migliorata, ad eccezione della Tunisia e della Turchia. Reddito nazionale lordo per abitante (2003) Paesi Dollari correnti Algeria 1.890 Egitto 1.390 Giordania 1.850 Israele 16.020 Libano 4.040 Marocco 1.320 Siria 1.160 Tunisia 2.240 14
Turchia 2.790 Media dei PTM senza 2.085 Israele Paesi ad alto reddito 28.550 Paesi a basso reddito 1.920 Fonte: Banca Mondiale WDI 2005 e WDI 2004 Ad ogni modo non si intravedono nella regione euromediterranea le premesse di una convergenza nord-sud grazie alla quale l’insieme dei paesi del sud del Mediterraneo potranno erigersi a paesi con economie emergenti e dinamiche. Nel caso dei paesi partner mediterranei, molte delle condizioni non sono state raggiunte e il pericolo di un forte aumento della disoccupazione è ancora più forte, a causa dell’assenza di una prospettiva di adesione all’UE; a sua volta una situazione simile rende ancora più difficile il raggiungimento di una zona di libero commercio nella regione. È ben vero che durante il periodo 1996 – 2001 sono aumentate le importazioni dei paesi partner mediterranei verso l’UE e il loro ritmo di crescita economica è stato superiore a quello del sessennio precedente; tuttavia ciò non è stato sufficiente per migliorare i livelli di vita della popolazione: i tassi di disoccupazione hanno continuato a crescere e i livelli di povertà sono stati attenuati a stento. In più i paesi partner mediterranei hanno avuto, in generale, poco successo per quel che riguarda l’attrazione di investimenti stranieri diretti; non si sono guadagnati la fiducia degli investitori a causa della lentezza con cui avanzano le riforme politiche ed economiche e della mancanza di stabilità nella regione. Crescita economica dei paesi partner mediterranei e dell’UE (tasso medio di crescita annuale) PIL in termini reali Reddito pro capite 1990-95 1996-2001 1990-1995 1996-2001 Paesi partner 2,8% 3,1% 0,2% 1,4% mediterranei UE 1,5% 2,5% 1,1% 2,2% Fonte: BEI Anche la liberalizzazione commerciale avanza molto lentamente in questi paesi; ad eccezione della Turchia, essi possiedono tariffe doganali medie superiori al 20%, posizionandole fra le più care del mondo. Se la regione vuole seguire il treno dell’economia mondiale, essa deve assolutamente modificare il proprio ritmo di crescita, consolidando allo stesso tempo i propri risultati, generando così una stabilità macroeconomica. La difficoltà sta nel far sì che le riforme 15
e le modificazioni necessarie per aumentare la crescita e produrre occupazione, soprattutto per i giovani, non portino, a breve termine, a sconvolgimenti sociali di dimensioni tali (aumento della disoccupazione e della povertà) da mettere in pericolo tutti gli sforzi di apertura. L’UE, attraverso il processo di Barcellona, si è prefissa esplicitamente di sradicare la povertà, offrendo un sostegno allo sviluppo sostenibile, promuovendo la graduale integrazione dei paesi partner nell’economia mondiale. L’esperienza dei processi di transizione durante gli anni Novanta mette in evidenza le difficoltà esistenti per rendere compatibili liberalizzazione commerciale e riduzione della povertà. È questo, senza ombra di dubbio, il principale problema che ostacola i progressi nell’integrazione mediterranea. La comunità internazionale è d’accordo nel considerare come sfida principale della regione la creazione di 35 milioni di nuovi posti di lavoro durante i prossimi 15 anni, solo per poter mantenere il tasso di disoccupazione ai livelli attuali. Il tasso di disoccupazione esistente oggigiorno oscilla fra un 15% e un 20%. Da notare che prendendo in considerazione l’evoluzione demografica, vale a dire il flusso di persone alla ricerca di un posto di lavoro, il suddetto periodo di 15 anni (fra 15 anni la popolazione tenderà a stabilizzarsi) risulta fondamentale per poter materializzare un cambiamento nella posizione relativa dei paesi partner mediterranei e per una loro stabilizzazione dal punto di vista economico e sociale. Evoluzione demografica dei paesi partner mediterranei Popolazione Popolazione attiva 1995 2005 2010 1995 2000 2010 Algeria 27.878.420 32.877.042 35.549.120 8.666.000 10.639.000 15.514.000 Egitto 61.638.414 74.878.313 82.589.880 22.509.000 25.979.000 34.179.000 Israele 5.349.321 6.684.187 7.266.485 2.297.000 2.635.000 3.260.000 Giordania 4.249.073 5.750.139 6.384.572 1.523.000 1.884.000 2.774.000 Libano 3.150.038 3.760.703 4.000.203 1.001.000 1.153.000 1.504.000 Marocco 26.838.783 31.564.452 34.066.210 10.215.000 11.582.000 14.788.000 Autorità 2.634.571 3.815.250 4.506.321 149.000 188.000 312.000 Palestinese Siria 14.595.691 18.650.334 20.835.326 4.209.000 5.144.000 7.595.000 Tunisia 8.949.601 10.041.690 10.580.943 3.351.000 3.893.000 5.030.000 Turchia 63.070.086 73.301.553 77.966.687 27.883.000 31.521.000 37.523.000 Fonte: OIL e Nazioni Unite. Scenario medio per le previsioni I tassi di fertilità sono passati dai 6/8 figli per donna negli anni Settanta, ai 2/3 figli per donna dal 2000 fino ai nostri giorni. La Palestina è l’unica eccezione, con tassi che si aggirano sui cinque figli per donna. Di fronte a una situazione simile, ci si aspetta che la popolazione con età da lavoro crescerà più velocemente di qualsiasi altra regione del mondo, fino al 2025, con una crescita annua pari al 2,7%. 16
Tutto ciò va collegato, ovviamente, alle prospettive dei flussi migratori; prendendo in considerazione i flussi legali, la situazione porta a pensare senza ombra di dubbio a un loro aumento progressivo, con un chiaro ruolo di migrazione sostitutiva legata ai differenziali di età delle popolazioni di entrambe le sponde del Mediterraneo. La crescita dei paesi mediterranei meridionali è fondamentale per la creazione di uno spazio integrato mediterraneo, poiché presenta nuove prospettive per le aziende europee; non si deve dimenticare che attualmente l’Europa copre, in media, il 40% delle importazioni di questi paesi. Per quel che riguarda l’ingresso nei mercati, in particolar modo quelli europei, l’importanza si è spostata dai dazi alle barriere non tariffarie. I regimi preferenziali rappresentano restrizioni a beni sensibili, spesso ad alta densità di lavoro. In base alle evoluzioni più recenti la tendenza non è quella di aprirsi ai mercati del nord: i paesi sviluppati hanno reso un po’ più difficile l’ingresso nei mercati; l’UE dovrebbe quindi aprirsi preferibilmente alle produzioni mediterranee, agevolando a tale scopo gli aggiustamenti necessari. Il sistema di scambio nella regione mediterranea è estremamente asimmetrico: mentre gli scambi con i paesi partner mediterranei rappresentano meno di un 7% degli scambi esteri dell’Unione, l’UE rappresenta quasi un 50% degli scambi esteri di tali paesi. L’integrazione sud-sud è avanzata molto lentamente. L’accordo di Agadir, firmato fra il Marocco, la Giordania, la Tunisia e l’Egitto nel 2004, dovrebbe entrare in vigore nel corso del 2005. Le principali difficoltà per la sua applicazione hanno a che vedere con la similitudine delle strutture produttive dei paesi coinvolti; d’altro canto dovrebbero poter contribuire a una presenza industriale di più ampio respiro, tenendo in considerazione le limitazioni dei mercati nazionali interni. Concludendo, si può dedurre che i paesi partner mediterranei sono attualmente in ritardo per quel che riguarda il loro processo di riforma politica; non vi è un processo coerente, basato su un’agenda precisa, con risultati chiari da poter valutare. Alcuni aspetti appaiono come chiaramente prioritari per quanto riguarda le riforme, come ad esempio le agevolazioni per creare aziende, una maggiore flessibilità delle condizioni di ingresso/uscita del mercato del lavoro, un miglioramento del quadro economico per il business per poter proteggere gli investimenti, il rispetto del diritto contrattuale e l’accesso al credito, fra gli altri. 5.2. Sviluppo umano Sebbene i paesi partner mediterranei occupino diversi posti della classifica dell’Indice di Sviluppo Umano (ISU) dell’ultimo rapporto Human Development Report 2004 redatto dalle Nazioni Unite, tutti essi sono inglobati comunque all’interno della categoria di “paesi a medio sviluppo umano”. 17
Sebbene sia possibile affermare che gli stati arabi hanno fatto progressi, in generale, per quel che riguarda lo sviluppo umano nel corso degli ultimi tre decenni, tuttavia tale evoluzione non è andata di pari passo con la risoluzione dei principali problemi che a tutt’oggi contraddistinguono tali società, come ad esempio: alti tassi di analfabetismo, deterioro del settore educativo, ritardo nella ricerca scientifica e nello sviluppo tecnologico, povertà e alti tassi di disoccupazione. Indicatori demografici e sociali e indici di sviluppo umano nei paesi partner mediterranei Popolazione Crescita Popolazione Speranza di Tasso di Indice di Proiezione Paese totale annuale minore di 15 vita analfa- sviluppo demografica popolazione anni betismo (*) umano 2020 Algeria 30.841.000 1,8% 35,5% 68,9 22,9% 0,68 44.620.000 41,6% Egitto 69.080.000 1,8% 36% 66,3 32,8% 0,63 105.002.000 55,1% Israele 6.172.000 2,4% 27% 78,3 3% 0,.89 8.699.000 7,2% Giordania 5.051.000 2,9% 41% 69,7 4,6% 0,71 8.710.000 15,3% Libano 3.556.000 2% 27,3% 72,6 7,6% 0,75 4.555.000 19% Libia 5.408.000 2,1% 34,7% 70 8,7% 0,77 8.236.000 30,6% Marocco 30.430.000 1,9% 35,1% 66,6 37,4% 0,59 41.318.000 62,8% Siria 16.610.000 2,6% 39,3% 70,5 11,2% 0,70 25.077.000 38,4% Territori Palestinesi 3.311.000 3,8% 46,5% 71,4 6.884.000 Tunisia 9.562.000 1,1% 30,5% 69,5 17,7% 0,71 11.621.000 38,1% Turchia 67.632.000 1,6% 27,8% 69 6,2% 0,73 85.707.000 22,7% Rapporto sullo Sviluppo Umano nel Mondo Arabo, 2002. UNDP. (*) Le cifre corrispondono a uomini e donne Uno dei problemi più gravi per lo sviluppo dei paesi presi in esame è l’analfabetismo, nonostante i progressi realizzati dalla metà del XX secolo fino ad oggi; i tassi di analfabetismo superano quelli di paesi ancora più poveri e si calcola che 65 milioni di adulti arabi sono analfabeti, dei quali i due terzi sono donne. È interessante riportare succintamente alcune delle conclusioni del “Rapporto 2004 del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo relativo allo sviluppo umano nel mondo arabo”, nonostante le differenze che possano sussistere dal punto di vista geografico. Per quanto riguarda la disoccupazione, la regione riporta valori a due cifre nella maggior parte dei casi; si tratta di fatto di uno dei principali problemi per lo sviluppo 18
della regione. Negli ultimi decenni i tassi di disoccupazione sono aumentati progressivamente fino a raggiungere una situazione tale, da fare della sponda sud del Mediterraneo una delle regioni attualmente con il maggior numero di disoccupati al mondo. L’Algeria e i Territori Palestinesi mostrano gli indici più elevati: 34% per il 2000 e 27% per il 2001 rispettivamente. In Tunisia l’indice si trova al di sopra del 15%. Per quel che riguarda l’occupazione nel settore informale, essa rappresenta quasi la metà della popolazione urbana in paesi come il Marocco, l’Egitto e l’Algeria. Sebbene i paesi partner mediterranei mostrino un indice basso di povertà estrema, allo stesso tempo una persona su cinque vive con meno di due dollari al giorno; pertanto, anche nel caso in cui la povertà estrema non sia diffusa fra questi paesi – in parte grazie ai meccanismi di solidarietà familiare e tribale propri della cultura araba e la religione musulmana – la povertà in generale è molto estesa. La popolazione che si trova sotto la soglia della povertà rappresenta il 25% circa in paesi come l’Egitto, la Giordania e l’Algeria. La povertà è specialmente grave nei Territori Palestinesi; si calcola che tre quarti della popolazione palestinese vive con meno di due dollari al giorno. Dal 2000 fino ad oggi il numero di poveri è triplicato. Analizzando lo sviluppo umano in tale periodo, in termini generali non vi è stato nessun progresso significativo; nonostante siano in atto determinate riforme in alcune delle aree identificate nel Rapporto, tuttavia molte di esse sono ancora allo stato embrionario e frammentarie, e non sono in grado di modificare sostanzialmente il quadro generale negativo. In generale le donne soffrono gli effetti della disuguaglianza con l’uomo e sono vulnerabili alla discriminazione, sia dal punto di vista legale che nella pratica. Nonostante siano stati realizzati evidenti sforzi per modificare la situazione delle donne, i progressi pratici sono limitatissimi. A tale proposito, il Marocco emerge dal resto dei paesi grazie alla nuova legge sulla famiglia che offre risposte alle esigenze dei movimenti femministi in merito alla salvaguardia dei diritti delle donne, soprattutto in materia di matrimonio, divorzio e cura dei bambini. Per quel che riguarda il mercato del lavoro, il livello di partecipazione della donna è molto inferiore a quello del resto del mondo, se si considera il tasso di fertilità della regione, il livello educativo e la struttura di età della popolazione femminile. Il rapporto fra la popolazione attiva femminile e la popolazione attiva maschile è di 03 in Algeria, in Libia e in Siria e di 04 in Tunisia, in Egitto e in Libano. Il sottoutilizzo di questo potenziale è stato spesso citato come uno dei fattori più importanti del fiacco rendimento economico di questi paesi. 19
5.3. Libertà civili, diritti politici e governance Gli ostacoli per esercitare il diritto di associazione o manifestazione, nonché l’assenza di una vera e propria rappresentazione politica o di trasparenza nei risultati elettorali stanno a testimoniare la limitazione delle liberta civili e dei diritti politici in molti dei paesi partner mediterranei. Oltre alle differenze con gli altri paesi, anche i diritti e le libertà restano a un livello bassissimo; nei paesi arabi le libertà sono minacciate da due tipi di fattori: da un lato il carattere antidemocratico di alcuni regimi, e dall’altro la tradizione e il tribalismo, spesso coperti dalla religione. La combinazione di questi due fattori ha menomato i diritti fondamentali, ha ridotto le possibilità di avanzare della popolazione. Nonostante esistano parlamenti eletti in praticamente tutti i paesi arabi, tuttavia il diritto di partecipare in politica viene spesso limitato. In molti casi le elezioni non hanno avuto il loro ruolo di strumento di partecipazione per un’alternanza pacifica nel potere. I paesi partner mediterranei devono ancora percorrere un lungo cammino per raggiungere gli standard minimi propri di una democrazia. Sebbene la maggior parte delle costituzioni della regione preveda che i diritti politici e le libertà siano uguali per tutti, la realtà è ben lungi da quanto previsto per legge. La libertà di opinione e di associazione viene prevista dalla maggioranza delle costituzioni dei paesi arabi, ma queste ultime contengono anche diverse restrizioni al diritto di associazione, sotto il pretesto di salvaguardare l’unità e la sicurezza nazionali. A tale proposito la donna continua a subire una situazione di discriminazione in tutti i settori, sia pubblici che privati. La percentuale di donne nei parlamenti dei paesi in questione non supera il 6% di media, sebbene esistano casi estremi, come la Tunisia, con una percentuale positiva di presenza femminile pari al 22,75% o, al contrario, in Egitto, con una presenza del 2,4%. Attualmente la maggior parte delle costituzioni dei paesi qui esaminati riconosce la classica separazione fra poteri; tuttavia, in realtà, esiste una chiara egemonia del potere esecutivo sugli altri. Vi è una forte concentrazione di autorità nelle mani del Capo di Stato. I parlamenti dispongono di una debole posizione istituzionale reale, mentre la separazione fra il sistema giudiziario e quello esecutivo, oltre a quanto stabilito dalla costituzione, non è del tutto chiara. Le autorità del potere esecutivo mantengono la regola implicita di nominare la maggior parte delle cariche del corpo giudiziario. Per quanto riguarda la trasparenza, misurata essenzialmente attraverso l’accesso alle informazioni da parte dei cittadini, la maggioranza dei paesi della regione si caratterizza per il possesso di determinate restrizioni all’accesso alle informazioni ufficiali, senza poi contare le molte limitazioni se si desidera avviare un processo destinato alla pubblicazione delle medesime in maniera esauriente e dettagliata. Tale mancanza di trasparenza nei dati pubblici rende difficile nella maggior parte dei casi il 20
rilevamento e la correzione di errori, oltre a favorire l’oscurantismo nel malfunzionamento dell’amministrazione. Tuttavia alcuni dei paesi, fra cui si può menzionare la Giordania, hanno mostrato certi progressi destinati alla creazione di una funzione pubblica più trasparente. Un altro elemento importante è la bassa qualità dell’amministrazione pubblica in qualità di fornitrice di servizi. Attraverso i suoi Governance Indicators (1996-2002), la Banca Mondiale, valuta “l’efficacia del governo” mediante diversi indicatori con valori compresi fra -2,5 (minore efficacia) e +2,5 (maggiore efficacia). In questo range di valori la maggioranza dei paesi del sud del Mediterraneo, si posiziona al di sotto dello 0 o dello 0,5. Per quel che riguarda la libertà di stampa, i mezzi di comunicazione della regione si trovano in gran misura sotto il controllo dell’amministrazione. Nonostante il fatto che molti dei mezzi d’informazione siano in mani di privati, il controllo del governo è tale da non poter assicurare con sufficienti garanzie né l’indipendenza né il dibattito politico. In Algeria, in Libia, in Siria e in Tunisia il Governo controlla i mezzi di diffusione audiovisivi, oltre alle pubblicazioni nazionali e straniere; pertanto detiene il monopolio sul flusso di informazioni. Alcuni paesi, come il Marocco, hanno portato avanti una riforma volta a cambiare una situazione simile, promuovendo un completo riordino dei mezzi stampa, il cui scopo è di liberalizzare, disciplinare e promuovere i mezzi di comunicazione multimediali. Inoltre, grazie a un decreto reale e a un testo legislativo, è stata messa fine al monopolio nella trasmissione radiotelevisiva. I suddetti ostacoli alla libertà di stampa fanno dei paesi arabi le zone con i livelli più bassi per quanto riguarda la libertà d’espressione e la responsabilità. La corruzione è divenuta progressivamente un potente simbolo dell’assenza di legittimità dei governi di questi paesi; secondo dati di Freedom House, in una scala che misura il livello di corruzione in base alla percezione di diversi attori, che va da 0 (paese altamente corrotto) a 10 (paese totalmente privo di corruzione), i paesi presi qui in considerazione riportano un valore che oscilla fra il 2,5 (Libia e Autorità Palestinese) e il 6,4 (Israele), con valori intermedi del 2,7 in Algeria e in Libano, 3,2 in Egitto e in Marocco, 3,4 in Siria, 5 in Tunisia, e 5,2 in Giordania. Una delle conseguenze principali della corruzione è il suo effetto negativo sul business; la corruzione provoca incertezza e dissuade gli investitori stranieri. Nonostante il numero di organizzazioni non governative (ONG) sia cresciuto notevolmente negli ultimi anni, esse devono far fronte a molteplici problemi sia esterni (problemi burocratici, controllo, ostilità e/o invadenza dello Stato, restrizioni al loro funzionamento), che interni all’organizzazione stessa (mancanza di democrazia interna e di trasparenza nella presa di decisioni, assenza di una base sociale e finanziamento dipendente). 21
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