DIPUTACIÓ DE BARCELONA - DOCUMENTO BASE SULLA COOPERAZIONE DECENTRATA PUBBLICA NEL MEDITERRANEO

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DIPUTACIÓ DE BARCELONA - DOCUMENTO BASE SULLA COOPERAZIONE DECENTRATA PUBBLICA NEL MEDITERRANEO
Direcció de Serveis de Relacions Internacionals
          DIPUTACIÓ DE BARCELONA

DOCUMENTO BASE SULLA COOPERAZIONE
     DECENTRATA PUBBLICA NEL
          MEDITERRANEO
Indice
                                                                                         Pagina
Presentazione                                                                               3
I. Il contesto della cooperazione nel Mediterraneo                                          4
1. Quadro di riferimento                                                                    4
2. Il processo di Barcellona e la politica europea nel Mediterraneo                         6
3. La situazione del Partenariato Euromediterraneo                                          7
4. La Politica Europea di Vicinato                                                         11
5. Aspetti più importanti della situazione nei paesi partner mediterranei                  14
5.1. Evoluzione socioeconomica                                                             14
5.2. Sviluppo umano                                                                        17
5.3. Libertà civili, diritti politici fondamentali e governance                            19
5.4 La decentralizzazione e il ruolo dei governi locali nei paesi partner mediterranei     22
6. Il rapporto nord - sud nel Mediterraneo                                                 28
6.1. La frattura demografica                                                               28
6.2. Competenza e complementarietà economica                                               29
6.3. La dimensione culturale                                                               30
II. La Cooperazione Decentrata Pubblica nel Mediterraneo                                   31
7. Concettualizzazione, evoluzione e approcci sulla cooperazione decentrata                31
7.1. La Cooperazione Decentrata Pubblica nel seno del sistema di cooperazione allo         31
sviluppo
7.2 La Cooperazione Decentrata Pubblica negli Stati membri dell’UE                        33
7.3. Verso un nuovo approccio della cooperazione decentrata                               37
8. Cooperazione nel Mediterraneo                                                          40
8.1. Introduzione                                                                         40
8.2. La Cooperazione Decentrata Pubblica dell’UE nel Mediterraneo                         41
8.3. Alcuni esempi di iniziative e progetti di Cooperazione Decentrata Pubblica nel       45
Mediterraneo
9. Verso un nuovo approccio della Cooperazione Decentrata Pubblica nella                  49
prospettiva della nuova Politica Europea di Vicinato nel Mediterraneo
10. Ambiti di particolare importanza per la Cooperazione Decentrata Pubblica              52
nel Mediterraneo
10.1. Governance e gestione comunale                                                      52
10.2. Ambiente urbano e sostenibilità                                                     54
10.3. Flussi migratori                                                                    55
10.4. Sicurezza e pace                                                                    56
10.5. Altri ambiti legati allo sviluppo locale e alla coesione sociale                    57
11. Prime conclusioni e sfide per lo sviluppo della Cooperazione Decentrata               59
Pubblica nel Mediterraneo
Documentazione di riferimento                                                             73

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Presentazione

    Il presente documento serve da quadro per poter favorire la riflessione nel
    seminario relativo alla Cooperazione Decentrata Pubblica (CDP) nel Mediterraneo
    nel seno del Partenariato Euromediterraneo organizzata dalla Diputació de
    Barcelona e dall’Associazione Arco Latino1 nel settembre 2005. Si tratta di un
    documento il cui scopo è di posizionare e di chiarire alcuni aspetti rilevanti per tale
    riflessione.

    Esso combina e analizza i due componenti centrali di tale riflessione. Da un lato
    analizza la concettualizzazione e il quadro della Cooperazione Decentrata
    Pubblica, in maniera più specifica il suo funzionamento e la sua storia nel bacino
    mediterraneo. La crescente partecipazione delle regioni, le province e gli enti locali
    nella cooperazione internazionale europea ha avuto e continua ad avere una
    grandissima importanza nel Mediterraneo.

    Dall’altro lato vuole chiarire il quadro di tale cooperazione, ruolo che è senza ombra
    di dubbio svolto dal cosiddetto “Partenariato Euromediterraneo” (Euro
    Mediterranean Partnership), frutto della Dichiarazione di Barcellona del 1995 e che
    vivrà un momento storico nell’immediato futuro, in occasione della prossima
    Conferenza di Barcellona del 2005. Il processo di Barcellona, e più specificamente
    il nuovo strumento europeo rappresentato dalla Politica Europea di Vicinato (PEV),
    solleva numerosi interrogativi, ma allo stesso tempo manifesta nuove e interessanti
    prospettive per quel che riguarda il possibile ruolo dei governi sub-nazionali europei
    e dei paesi partner mediterranei in questo sforzo di integrazione mediterranea.

    Il presente documento non ha per obiettivo quello di coprire tutti gli aspetti o le
    dimensioni di questo argomento, né tanto meno è sua intenzione dotare di un
    carattere esauriente le informazioni qui esposte; si tratta piuttosto di un documento
    di lavoro che possa fornire informazioni di base per poter creare un quadro idoneo
    per la riflessione che si desidera promuovere. Il presente documento contiene,
    inoltre, diversi approcci, politiche ed esperienze che hanno visto la luce in Stati
    membri differenti e nella stessa Commissione.

    È necessario evidenziare il fatto che il presente documento viene ampliato e
    arricchito dai documenti tematici realizzati da diversi esperti, vale a dire:
    Cooperazione Decentrata Pubblica e politiche di coesione sociale, a cura di
    Benedetta Oddo; Le politiche dell’Unione Europea sui circuiti migratori e sviluppo

1
   Arco Latino è un’associazione costituita da amministrazioni locali spagnole (Diputaciones e
Consejos Insulares), italiane (Province) e francesi (Départements) del Mediterraneo
occidentale, comprendente un euroterritorio policentrico dell’Europa Meridionale, che si estende
dall’Algarve fino alla Sicilia. Fedele al proprio impegno di dar voce alla prospettiva mediterranea
e locale nel seno delle politiche dell’UE, e in occasione del X Anniversario del Processo di
Barcellona, AL sta mettendo a punto tutta una serie di avvenimenti per stimolare il dibattito e la
riflessione in merito alla cooperazione nel Mediterraneo e alle relazioni euromediterranee.

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nel Mediterraneo. Il ruolo delle autorità locali e degli emigranti nel co-sviluppo, a
cura di Andrea Stocchiero; La Cooperazione Decentrata Pubblica dei governi locali
nel Mediterraneo al servizio della pace e della sicurezza, a cura di Jesús A. Núñez
Villaverde; Metodologia, organizzazione e funzionamento delle reti internazionali
delle collettività territoriali, a cura di Adda Bekkouche, e infine Capacità istituzionali,
governance locale e rapporti con la società civile. La cooperazione dalle dimensioni
umane, a cura dell’IEMED (Istituto Europeo del Mediterraneo).

In conclusione, il documento prospetta più interrogativi che risposte, per poter così
centrare questioni, dilemmi e sfide che attualmente riguardano la Cooperazione
Decentrata Pubblica nel Mediterraneo, dotando così il documento di una
prospettiva aperta e di una capacità di stimolo alla riflessione in merito agli
argomenti esposti.

I. IL   CONTESTO                      DELLA          COOPERAZIONE                   NEL
MEDITERRANEO

1. Quadro di riferimento

È necessario che il Partenariato Euromediterraneo (PEM) entri in una fase di
“nuovo impulso” e di concretizzazione di molti degli enunciati che l’orientano. Sono
passati già dieci anni dalla Dichiarazione di Barcellona e a tutt’oggi non esiste
ancora un accordo chiaro sui suoi risultati e sulle mete da raggiungere; senza
ombra di dubbio non è difficile identificare gli aspetti in cui si è progrediti in
quest’ultimo decennio, ma allo stesso tempo persistono freni ed ostacoli altrettanto
facilmente identificabili. Ad ogni modo ciò che maggiormente importa è la
constatazione di grandi cambiamenti nella politica e nelle relazioni internazionali
nonché di nuovi problemi che, in un certo qual modo, hanno dato vita a una nuova
scena della politica mondiale e in particolare nel Mediterraneo, dalla
cronicizzazione del conflitto nel Vicino Oriente fino ai nuovi fattori di instabilità e
insicurezza, come nel caso del terrorismo internazionale.

Allo stesso modo, come tendenza più recente e più vicina a noi, l’allargamento
dell’UE a 25 Stati membri ha provocato la nascita di nuove frontiere che
logicamente esigono nuove politiche per poter gestire le relazioni transfrontaliere.
La nuova Politica Europea di Vicinato (PEV) è una realtà politica in via di sviluppo e
di consolidamento.

In questo quadro di grandi sfide, il cosiddetto Partenariato Euromediterraneo (PEM)
dovrà trovare la propria posizione in questo nuovo contesto e prospettare un nuovo
impulso in grado di apportare una prospettiva chiara di una maggior integrazione a
livello mediterraneo. La conferenza di Barcellona del novembre 2005 sarà uno
spazio e un’occasione decisiva per determinare l’immediato futuro del partenariato.

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Nel presente documento vengono evidenziate diverse tendenze e difficoltà che si
interpongono alla riaffermazione e alla crescita del PEM; fra le più lampanti si
possono enumerare l’asimmetria istituzionale e le grandi fessure nello sviluppo
socioeconomico, nonché, e ancora più importante, i pochi progressi del PEM in
questi ambiti durante gli ultimi anni.

Il bisogno di costruire nuovi rapporti e vincoli fra gli attori del nord e quelli del sud
del Mediterraneo rappresenta attualmente una delle maggiori sfide del PEM per
poter avanzare nel processo di Barcellona. In questo quadro viene posizionata la
cosiddetta Cooperazione Decentrata Pubblica (CDP), vale a dire la cooperazione
internazionale, più specificamente nel Mediterraneo, che ha per protagonisti gli enti
locali e regionali, affiancati a loro volta da altri attori quale l’unione Europea stessa
da un lato, e attori della società civile dall’altro. Per questo motivo la Cooperazione
Decentrata Pubblica sarà un anello strategico di una catena di relazioni che è
indispensabile intensificare per poter andare avanti nel PEM e in particolare per la
nuova Politica Europea di Vicinato (PEV).

È importante sottolineare tale prospettiva, in cui si inserisce la CDP come spazio di
cooperazione, di una maggior integrazione sociale dell’area mediterranea
nell’insieme e a partire dalla politica dell’UE e dei suoi Stati membri. Il presente
documento serve inoltre per affermare che la CDP non è priva di problemi,
limitazioni e minacce di maggior efficacia e definizione strategica, per poter
effettivamente svolgere un ruolo strategico nel PEM.

Non si tratta semplicemente di rivendicare ancora una volta il bisogno di dotare di
maggiori fondi finanziari i governi locali e regionali affinché questi possano
materializzare le loro politiche e i loro progetti; è qualcosa che va molto più in là. Si
tratta di stabilire, prendendo come punto di partenza i problemi osservati, in che
modo vengono costruite le relazioni sostenibili di cooperazione fra i diversi attori del
Mediterraneo nel seno di una strategia di integrazione.

È per questo motivo che nel presente documento, aperto a nuovi interventi,
vengono abbozzate le idee e le proposte sollevate da diversi punti, in modo tale da
poter provocare una nuova riflessione sulla Cooperazione Decentrata Pubblica
(CDP) nel Mediterraneo, grazie alla quale, alla fine, sia possibile concepire nuove
politiche in questo ambito. Ricapitolando, il documento esamina:

1. Gli aspetti più rilevanti del Partenariato Euromediterraneo e la sua evoluzione
   dalla Dichiarazione di Barcellona fino alla nuova Politica Europea di Vicinato
   (PEV), per poter ubicare questa riflessione nel processo politico europeo di
   rafforzamento delle relazioni mediterranee. Allo stesso modo si cerca anche di
   analizzare e di valutare i diversi strumenti finanziari, operativi e istituzionali sui
   quali si è basato il PEM.

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2. Il bisogno di migliorare le definizioni e le concettualizzazioni riguardanti ciò che
   si intende per Cooperazione Decentrata Pubblica e il modo in cui, nei diversi
   Stati membri, nei governi locali e regionali, nell’UE stessa e in ambiti
   accademici e professionali viene trattata la CDP. La situazione legislativa e
   normativa esistente negli Stati membri dell’UE rispetto alla CDP; i suoi limiti e le
   sue potenzialità, poiché la cooperazione allo sviluppo dei diversi Stati membri
   continua ad essere un fattore di prima importanza nell’argomento che viene qui
   trattato.

3. La situazione istituzionale e la governabilità nei governi locali e regionali nei
   paesi del Mediterraneo meridionale, che consenta di valutare le capacità e le
   limitazioni degli interlocutori della CDP nel sud. A partire dai processi di
   decentralizzazione e dall’ambito legale vigente nei diversi paesi del
   Mediterraneo meridionale, fino alle capacità e al deficit esistenti nella gestione e
   la costruzione di relazioni internazionali di comuni e regioni.

4. Pratiche, realizzazioni e costituzione di reti in grado di esemplificare, e che
   consentano di disporre di riferimenti effettivi di iniziative non statali di
   cooperazione nel Mediterraneo, senza l’intenzione però di valutare e di
   sistematizzare in maniera esauriente tali esperienze. Ad ogni modo tutti questi
   esempi servono per mettere in luce la potenzialità e la ricchezza delle attuali
   iniziative di CDP e della partecipazione delle città e delle regioni europee in
   quest’ultima.

5. L’identificazione di ambiti o di problematiche di particolare importanza per la
   CDP nel Mediterraneo, volte a definire in un futuro le priorità e gli “argomenti
   sensibili” cui è necessario dare una risposta urgente nel bacino mediterraneo e
   per i quali la CDP si prospetta come la soluzione più adeguata per trattarli.

Partendo quindi da questa struttura di base, il documento presenta anche
determinate ipotesi in merito all’approccio che dovrebbe avere una CDP efficace ed
efficiente, e soprattutto coerente con le nuove sfide del PEM e della PEV, in
prospettiva di una futura zona di libero commercio e di integrazione, fattore chiave
dell’analisi che contiene la prospettiva strategica delle proposte.

Partendo dalle suddette riflessioni, viene presentato un insieme di conclusioni il cui
obiettivo è quello di ordinare e di chiarire i principali elementi di analisi. In
conclusione, poiché si tratta anche di un documento dinamico e di riferimento per
stimolare il dibattito e la riflessione, viene fissata tutta una serie di proposte o di
possibili linee di lavoro, volte a dare un nuovo stimolo alla CDP nel Mediterraneo.

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2. Il processo di Barcellona e la politica europea nel Mediterraneo

Il Partenariato Euromediterraneo (PEM) è il quadro generale delle relazioni fra l’UE, i
suoi Stati membri e i paesi che si trovano nell’area sud-orientale del Mediterraneo. In
occasione della conferenza di Barcellona, tenutasi nel 1995, i suddetti paesi adottarono
un accordo esecutivo sotto forma di dichiarazione e un programma di lavoro che hanno
dato vita a un triplo partenariato: un partenariato politico e di sicurezza volto al
consolidamento di una zona comune di pace e di stabilità, la creazione di un’area di
libero commercio, e un partenariato sociale e culturale focalizzato sullo sviluppo delle
risorse umane, nonché una migliore comprensione fra culture, e uno scambio fra le
società civili.

L’UE ha proposto un logica di intervento che, come mai prima d’ora, pone una grande
enfasi sulla liberalizzazione economica e l’apertura verso il commercio internazionale;
allo stesso tempo, però, essa considera la sicurezza e i problemi socioeconomici e
culturali da un punto di vista poliedrico e interdipendente.

Enfatizzando l’idea di un sistema di commercio multilaterale, equo e solidale, il PEM
ammette che senza un rapporto speciale e differenziale, le parti più deboli non
disporranno dei mezzi adeguati per poter penetrare nei mercati settentrionali, e allo
stesso tempo per proteggere le loro economie nazionali.

La dichiarazione si basa su quattro punti: la supremazia approvata di comune accordo
dei valori fondamentali e universali, il rifiuto di una politica internazionale che si basa
esclusivamente sui rapporti di forza, un impegno nella costruzione di un’area
economica comune, con la creazione di una zona di libero scambio nel 2010,
considerata la condicio sine qua non, e infine il trasferimento alla società civile della
posizione centrale nel processo di integrazione e di cooperazione regionale.

La Dichiarazione di Barcellona definisce come obiettivi centrali del PEM l’istituzione di
una zona di libero scambio entro il 2010 e la creazione di un insieme di regioni
euromediterranee. Nel 2010 il Processo di Barcellona dovrà creare un progetto
avanzato di regionalismo aperto, atto a rispondere in maniera efficace alle sfide che
prospetta la globalizzazione e in grado di cogliere le opportunità che gli si presentano,
integrando i paesi del Maghreb e del Vicino Oriente all’Unione Europea.

Da un punto di vista formale, il PEM opera su due livelli complementari: il livello
bilaterale serve per definire l’ambito di relazione dell’UE con ciascuno dei partner del
sud, mediante accordi di partenariato, mentre il livello regionale è essenzialmente di
natura multilaterale. I nove accordi di partenariato sono attualmente in vigore eccezion
fatta per l’Algeria e la Siria, dove non sono ancora stati ratificati. L’agenda regionale
avanza a poco a poco in parte a causa del conflitto in Medio Oriente e ad altri punti di
tensione o di ostacoli quale il conflitto del Sahara, la lenta apertura della Libia o gli
effetti più recenti della guerra in Iraq e il terrorismo.

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Inoltre l’apparato burocratico della Commissione Europea, nonché la lentezza e la
complessità dei suoi iter, sono divenuti un altro ostacolo per l’efficacia e l’agilità di
programmi e azioni nel seno del PEM.

La tendenza fondamentale del PEM è quella di estendere verso il sud la zona di pace e
di prosperità conquistata all’interno dell’UE attraverso un processo di integrazione
nord-sud, e soprattutto sud-sud, con l’obiettivo di superare il clima di sfiducia. Lo spirito
di Barcellona per costruire una zona di libero scambio è un mezzo per raggiungere
l’obiettivo a lungo termine di pace nel Mediterraneo.

Con il processo di Barcellona, attraverso gli accordi di partenariato e con l’appoggio del
programma MEDA, l’UE ha voluto agevolare l’apertura e la modernizzazione delle
economie dei paesi partner mediterranei, rendendole maggiormente competitive di
fronte alle sfide della globalizzazione. Allo stesso tempo la creazione di un’area di
libero commercio euromediterranea servirà da trampolino per attrarre gli investimenti
stranieri diretti verso questi paesi.

3. La situazione del Partenariato Euromediterraneo

In termini generali, è chiaro che fino ad oggi non è stato possibile creare una zona di
prosperità condivisa, anzi, lungi dal diminuire, in questi ultimi anni le disparità nel
reddito e nel benessere fra le due rive del Mediterraneo non hanno smesso di
aumentare.

Ad ogni modo è difficile realizzare una valutazione globale del processo di Barcellona.
È chiaro che tale processo non è stato in grado di trasformare né economicamente né
politicamente la regione; l’andamento economico della regione in questi ultimi dieci
anni non è stato positivo, e in termini pratici, non si è verificata neanche la riforma
economica che era da aspettarsi.

È comunque vero che il processo di Barcellona ha creato un quadro politico e
istituzionale positivo fra i vari partner mediterranei e l’UE, e che questo potrebbe
vedersi rinsaldato nel futuro.

È necessario riconoscere le attuali limitazioni; i progressi osservati in tematiche di
sviluppo umano non sono sufficienti o almeno non sono abbastanza coerenti per poter
rispondere ai gravi problemi sociali presenti nella regione. Le riforme economiche non
hanno avuto nessun impatto sulle riforme di tipo politico; il partenariato non è stato in
grado di gestire efficacemente le sfide politiche, non solo per quel che riguarda la
sicurezza, ma anche, e soprattutto, per l’aspetto relativo ai diritti umani. Non è così
automatico il passo che va dalla prosperità economica all’inevitabile liberazione dei
sistemi politici e della società civile.

La Dichiarazione di Barcellona conteneva non meno di 39 ambiti di politica, cosa che
ha provocato varie critiche, che consideravano la portata dell’azione troppo ampia. In

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una succinta valutazione, è evidente che vi è stato un ragionevole rispetto per quel che
riguarda gli aspetti economici e culturali, ma esso è bassissimo nel caso dell’ambito
politico e di sicurezza.

Per quel che riguarda il finanziamento MEDA, si è verificato un cambiamento nella
seconda programmazione 2000 – 2006, la cosiddetta Regolazione MEDA II, in base
alla quale vengono stabiliti meccanismi più agili. Per questa seconda programmazione
il programma è stato dotato di 5.350 milioni di euro, da destinare sia a programmi
bilaterali che regionali. A tale quantità viene ad aggiungersi la BEI (Banca Europea per
gli Investimenti) con prestiti di pari a 6.425 milioni di euro per il periodo 2000 – 2006.

Nel campo della cultura il programma EuroMed Heritage è arrivato alla sua terza fase,
con un budget globale pari a 57,2 milioni di euro, mentre il programma EuroMed
Audiovisual, che ha visto la luce nel 2000 con un bilancio globale pari a 35 milioni di
euro, si trova nella seconda fase. La Fondazione Euromediterranea Anna Lindh per il
Dialogo tra le Culture con sede ad Alessandria dispone di un cofinanziamento dell’UE
pari a 5 milioni di euro provenienti da MEDA.

Degno di nota è anche il programma di scambi giovanili noto con il nome di Youth
Exchanges, grazie al quale è stato possibile far partecipare più di 20.000 giovani
provenienti dai diversi paesi mediterranei a scambi intorno a diverse attività educative.

Nel 2002 il programma europeo di scambi universitari TEMPRA è stato ampliato ai
paesi partner mediterranei.

Oltre a MEDA, la Commissione dispone di linee di bilancio applicate al Mediterraneo,
fra le quali si possono menzionare l’Iniziativa Europea per la Democrazia e i Diritti
dell’Uomo, Lotta contro l’AIDS, Donna e sviluppo, Riabilitazione da droghe, Salute
riproduttiva, Aiuti alimentari, Cofinanziamento con ONG e Cooperazione decentrata.

Uno dei maggiori deficit è stato l’intervento nell’ambito della sicurezza; per quanto
riguarda i diritti umani, il processo di Barcellona ha dato vita a infrastrutture e a
meccanismi istituzionali poco utilizzati. Non sono esistite procedure sistematiche per
includere i diritti umani nell’implementazione dei programmi di riforma né di controllo
della loro evoluzione nei paesi partner.

A sua volta, il grado di finanziamento per le politiche destinate alla democrazia e ai
diritti umani stanziato per il Maghreb e il Mashrek è limitato. Il bilancio della
Commissione per la democrazia e i diritti umani, inizialmente noto con il nome di
Programma MEDA Democrazia, poi come Iniziativa Europea per la Democrazia e i
Diritti dell’Uomo, aveva stanziato 27 milioni di euro per i partner mediterranei fino alla
fine del 1999. In seguito i fondi sono diminuiti a poco a poco dal 2001 fino ad oggi.

Per quel che riguarda la riforma politica, si deve riconoscere che i progressi dei paesi
partner mediterranei nel seno del processo di Barcellona sono stati di poca importanza;

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in pratica i governi arabi non si sono dimostrati abbastanza ricettivi ai progetti proposti
di democrazia e di diritti umani.

Un aspetto, cui deve essere data urgentemente risposta, continua ad essere il
sostegno alla creazione di posti di lavoro e alla crescita economica durevole attraverso
la liberalizzazione di scambi e l’integrazione regionale. La creazione di una zona di
libero scambio entro il 2010, come era stato stabilito nel processo di Barcellona,
dovrebbe includere, fra i vari aspetti, la creazione di un quadro macroeconomico sano,
una banca di sviluppo euromediterranea nonché uno stimolo al settore dei trasporti e
dell’energia, assicurando una protezione ambientale e uno sviluppo sostenibile.

Il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) ritiene che la maggior parte delle
carenze del PEM siano dovute alle difficoltà esistenti, da attribuire essenzialmente alla
sopravvalutazione del ruolo che esso può svolgere nello sviluppo sociale dei paesi
partner mediterranei. L’Unione Europea non dovrebbe dimenticare che, contrariamente
a quanto succede nel caso dei paesi partner mediterranei, essa aveva raggiunto la
maturità necessaria per l’unificazione grazie alle proprie affinità culturali, politiche e
sociali, esistenti fra i propri Stati membri. Il caso dei paesi partner mediterranei è
totalmente diverso: nonostante la vicinanza geografica, essi sono separati da grandi
differenze sociali, economiche e culturali, sia fra di loro che con l’Unione Europea.

Viene messo inoltre in rilievo che fra i paesi del sud esiste senza dubbio la percezione
che la cooperazione euromediterranea abbia per unico scopo quello di creare una
zona di libero commercio e non uno spazio per scambi sociali e culturali. A quanto pare
le aspettative iniziali provocate dal PEM sono state sostituite dalla delusione e la
demoralizzazione rispetto a questa cooperazione, considerata come uno strumento del
Nord. Esiste poi una preoccupazione generalizzata fra i paesi partner mediterranei per
l’impatto negativo che l’allargamento dell’UE potrà avere su di loro.

Fra gli ostacoli fondamentali per l’integrazione regionale dei paesi partner mediterranei
è degna di nota l’assenza di una ristrutturazione politica locale grazie alla quale poter
creare nuove correnti di integrazione regionale. Inoltre le complicazioni burocratiche
tutt’oggi esistenti nei suddetti paesi rappresentano la maggior parte delle volte un
potente fattore di demotivazione, e bloccano qualsiasi tipo di iniziativa privata.

È inoltre evidente che esiste una mancanza di fiducia reciproca, nonché la diffidenza
che caratterizza i rapporti fra i governi dei paesi partner mediterranei.

Sfortunatamente i governi centrali e l’UE stessa informano e coinvolgono poco i
governi locali e regionali, nonché le organizzazioni della società civile dei paesi partner
mediterranei.

Secondo EuroMeSCo, il PEM dovrebbe trattare e approfondire tematiche quali:

   -   Le relazioni fra lo sviluppo economico e la riforma democratica
   -   Il PEM come garanzia di sicurezza dei cittadini e di rispetto dei diritti dell’uomo

                                                                                         10
-   Il contributo della Politica Europea di Vicinato alla promozione del PEM
   -   La promozione dell’ownership e la corresponsabilità di tutte le parti
   -   Il ruolo degli immigranti dell’Europa Meridionale nel PEM
   -   Definire il ruolo della società civile nel processo di Barcellona riveduto

4. La Politica Europea di Vicinato

La cosiddetta Politica Europea di Vicinato (PEV) rappresenta un cambiamento di
grande respiro nella prospettiva della politica estera e di cooperazione europea, e più
in particolare per quanto riguarda la politica euromediterranea.

In effetti, la visione della PEV si prospetta come un approccio in grado di andare oltre
la cooperazione, e capace di contenere misure significative di integrazione economica
e politica con i paesi vicini. Questo fattore dovrebbe poter generare importanti benefici
finalizzati a una crescente stabilità, sicurezza e benessere per entrambe le parti.

Con l’adesione di nuovi paesi e la configurazione di nuove frontiere europee, le
preoccupazioni dell’Unione hanno preso una nuova dimensione. L’impatto del presente
allargamento sarà considerevole, e l’instaurazione di uno spazio di stabilità, di
sicurezza e di sviluppo, come viene auspicato dalla PEV, dovrà beneficiare i “nuovi”
paesi vicini.

Pensando al PEM è necessario tenere in considerazione il fatto che l’allargamento
dell’UE si è orientato verso est, e che ciò modifica la mappa geopolitica, creando nuovi
confini ai quali si vuole dare una risposta attraverso la PEV.

In poche parole si sta cercando di fare il possibile per evitare che linee di frattura e di
disaccordo già esistenti non peggiorino, e per dare opportunità a tali paesi di
partecipare alle attività dell’UE attraverso la cooperazione politica, economica, culturale
e di sicurezza. La PEV si include in una prospettiva globale di approssimazione
all’insieme di Stati vicini, il cui fine è quello di raggiungere una partecipazione nel
mercato interno dell’UE, sulla base di un avvicinamento delle rispettive legislazioni,
senza nessuna pretensione di adesione.

Di fatto la PEV si configura sotto un’ottica e un’offerta nuova verso i propri paesi vicini,
articolata intorno ai seguenti assi:

   -   Ampliare il mercato interno e le corrispondenti strutture normative per poter
       facilitare l’ingresso dei paesi vicini
   -   Stabilire rapporti commerciali preferenziali con i paesi vicini
   -   Instaurare meccanismi che consentano ai lavoratori di passare da un territorio a
       un altro
   -   Intensificare la cooperazione in materia di prevenzione e di lotta contro le
       minacce comuni in difesa della sicurezza

                                                                                         11
-   Aumentare il coinvolgimento politico dell’Unione per quel che riguarda la
        prevenzione di conflitti e la gestione delle crisi
    -   Potenziare gli sforzi per promuovere i diritti umani, per intensificare la
        cooperazione culturale e migliorare la comprensione reciproca
    -   Integrarsi alle reti di trasporto, energetiche e delle telecomunicazioni, nonché
        allo spazio europeo di ricerca
    -   Creare nuovi strumenti di promozione e di protezione degli investimenti
    -   Favorire l’integrazione nel sistema commerciale mondiale

Attualmente i paesi coinvolti nella PEV sono l’Algeria, l’Armenia, l’Azerbaigian, la
Bielorussia, l’Egitto, la Georgia, la Giordania, l’Israele, il Libano, la Libia, il Marocco, la
Moldavia, la Siria, la Tunisia, l’Ucraina e l’Autorità Palestinese.

                                  I nuovi confini dell’UE

Il 12 maggio 2004, la Commissione Europea ha elaborato un Documento di
Orientamento in cui vengono gettate le basi per la costruzione di una politica europea
di vicinato coerente ed efficace. In esso vengono stabiliti i principi, l’estensione
geografica, la metodologia di implementazione, nonché tutte le questioni relative alla
cooperazione regionale e ai mezzi finanziari.

Il rapporto privilegiato con i paesi vicini si costruirà sulla base di un impegno reciproco,
su valori condivisi, nell’ambito del rispetto della legge, la buona governance, il rispetto
dei diritti umani (ivi inclusi i diritti delle minoranze), la promozione di rapporti di buon
vicinato e i principi dell’economia di mercato e dello sviluppo sostenibile. Fra i vari
impegni verranno inclusi anche alcuni aspetti delle operazioni estere dell’UE che

                                                                                            12
prendono particolarmente in considerazione la lotta contro il terrorismo e la
proliferazione di armi di distruzione di massa.

La Commissione ha avviato un ciclo di colloqui di accertamento per poter cosi
identificare le priorità che verranno integrate nei piani di azione. Tali misure copriranno
gli ambiti fondamentali, vale a dire: dialogo politico e riforme, scambi e misure che
preparino i partner alla graduale partecipazione al mercato interno, giustizia e affari
interni, energia, trasporti, società dell’informazione, ambiente, ricerca e innovazione,
politica sociale e contatti interpersonali.

A lungo termine questi piani potranno sostituire gli attuali accordi bilaterali e prendere
la forma di accordi europei di prossimità, nei quali il campo di applicazione verrà
definito in funzione dei progressi ottenuti nelle priorità fissate nei piani di azione.

Per la regione mediterranea le priorità verranno stabilite prendendo in considerazione il
quadro strategico avviato nel contesto degli accordi di partenariato e delle conferenze
ministeriali facenti parte del processo di Barcellona. La Commissione continuerà a
promuovere la dimensione regionale del partenariato e offrirà un appoggio finanziario
significativo. Le priorità strategiche sono l’integrazione sud-sud, la cooperazione
subregionale nonché l’armonizzazione del quadro normativo e legislativo.

Le attività potranno essere implementate a livello regionale, ma anche nel quadro di
una cooperazione transfrontaliera fra due o più paesi vicini, sebbene non sarà per
forza di cose necessario un confine in comune, poiché la variabile principale è
rappresentata da un interesse comune. In questo ambito, la PEV si impegnerà a
promuovere l’interconnessione e le reti di infrastrutture energetiche, e ad avviare altri
metodi di cooperazione con i vicini. Verranno inoltre intensificati gli sforzi per quel che
riguarda la strategia europea di sicurezza.

Nel suddetto documento di orientamento del 12 maggio 2004 la Commissione
stabilisce le linee direttrici di ciò che sarà il futuro strumento europeo della PEV. Dal
2007 in poi verrà dato appoggio ai progetti di cooperazione transfrontaliera e regionale
in cui parteciperanno sia Stati membri dell’UE che paesi partner, articolati intorno a
quattro obiettivi chiave:

   -   Promuovere lo sviluppo sostenibile nelle regioni site nei confini comuni
   -   Realizzare azioni congiunte nel campo ambientale, la sanità pubblica e la
       prevenzione e la lotta contro il crimine organizzato
   -   Tutelare frontiere comuni sicure ed efficaci mediante azioni congiunte
   -   Promuovere le azioni transfrontaliere “intercomunitarie” a livello locale

Il progetto della PEV apre una prospettiva innovativa e indubbiamente interessante per
gli obiettivi del presente documento; non esistono infatti precedenti per quel che
riguarda uno strumento in grado di coprire allo stesso tempo una politica estera e una
coesione sociale ed economica nel seno dell’Unione. L’articolo 191a del TCE sarà la

                                                                                        13
base giuridica adeguata poiché tale articolo fa riferimento alla cooperazione con paesi
terzi.

In riferimento diretto al Mediterraneo, è stato approvato il programma di vicinato MEDA
per il periodo 2005 – 2006 per un importo di 45 milioni di euro. A partire dal 2007 i
diversi bilanci in relazione con i nuovi vicini – MEDA, TACIS, EIDHR – si fonderanno in
un unico strumento europeo di vicinato e partenariato, per poter cosi razionalizzare i
fondi; grazie a questo nuovo strumento, esistono anche proposte per raddoppiare il
finanziamento per il Mediterraneo nel 2013. È quindi chiaro che la politica di vicinato
offre ai paesi partner mediterranei la possibilità di partecipare più attivamente a un
ampio ventaglio di politiche dell’UE.

Il pericolo è che ogni paese stabilisca le proprie priorità e indebolisca lo sforzo di
costruzione di uno spazio mediterraneo; è pertanto auspicabile che la PEV non
disciolga il PEM (approccio regionale), anzi, questo dovrebbe essere intensificato
mediante un consolidamento istituzionale e assicurato attraverso risorse specifiche.

In effetti la prossimità di “geometria variabile” corre il pericolo di evidenziare ancora di
più l’eterogeneità dello spazio mediterraneo: i paesi che si avvicinano di più al mercato
interno dell’UE allargata saranno quelli in un primo momento più dipendenti dall’Unione
stessa, cosa che porterà i paesi che meno dipendono dall’Unione, dal punto di vista
economico, ad allontanarsi relativamente ancora di più. È un’evoluzione che potrebbe
vedersi accelerata e che sarà difficile da contrastare.

5. Aspetti più importanti della situazione nei paesi partner mediterranei

5.1. Evoluzione socioeconomica

Potremmo qualificare i paesi partner del Mediterraneo, eccezion fatta per Israele, come
paesi a medio reddito, vale a dire paesi in cui il reddito pro capite varia fra i 1.240
dollari e i 4.460 dollari. Rispetto alla metà degli anni Novanta, la loro posizione si trova
leggermente al di sotto della fascia inferiore dei paesi a reddito intermedio, posizione
relativa che è lievemente migliorata, ad eccezione della Tunisia e della Turchia.

                     Reddito nazionale lordo per abitante (2003)

                        Paesi                     Dollari correnti
                        Algeria                        1.890
                        Egitto                         1.390
                        Giordania                      1.850
                        Israele                        16.020
                        Libano                         4.040
                        Marocco                        1.320
                        Siria                          1.160
                        Tunisia                        2.240

                                                                                         14
Turchia                        2.790
                        Media dei PTM senza            2.085
                        Israele
                        Paesi ad alto reddito          28.550
                        Paesi a basso reddito          1.920
                      Fonte: Banca Mondiale WDI 2005 e WDI 2004

Ad ogni modo non si intravedono nella regione euromediterranea le premesse di una
convergenza nord-sud grazie alla quale l’insieme dei paesi del sud del Mediterraneo
potranno erigersi a paesi con economie emergenti e dinamiche.

Nel caso dei paesi partner mediterranei, molte delle condizioni non sono state
raggiunte e il pericolo di un forte aumento della disoccupazione è ancora più forte, a
causa dell’assenza di una prospettiva di adesione all’UE; a sua volta una situazione
simile rende ancora più difficile il raggiungimento di una zona di libero commercio nella
regione.

È ben vero che durante il periodo 1996 – 2001 sono aumentate le importazioni dei
paesi partner mediterranei verso l’UE e il loro ritmo di crescita economica è stato
superiore a quello del sessennio precedente; tuttavia ciò non è stato sufficiente per
migliorare i livelli di vita della popolazione: i tassi di disoccupazione hanno continuato a
crescere e i livelli di povertà sono stati attenuati a stento. In più i paesi partner
mediterranei hanno avuto, in generale, poco successo per quel che riguarda
l’attrazione di investimenti stranieri diretti; non si sono guadagnati la fiducia degli
investitori a causa della lentezza con cui avanzano le riforme politiche ed economiche
e della mancanza di stabilità nella regione.

             Crescita economica dei paesi partner mediterranei e dell’UE
                          (tasso medio di crescita annuale)

                          PIL in termini reali                    Reddito pro capite

                      1990-95            1996-2001         1990-1995          1996-2001
Paesi partner           2,8%               3,1%                0,2%              1,4%
mediterranei
UE                      1,5%               2,5%                1,1%              2,2%

Fonte: BEI

Anche la liberalizzazione commerciale avanza molto lentamente in questi paesi; ad
eccezione della Turchia, essi possiedono tariffe doganali medie superiori al 20%,
posizionandole fra le più care del mondo.

Se la regione vuole seguire il treno dell’economia mondiale, essa deve assolutamente
modificare il proprio ritmo di crescita, consolidando allo stesso tempo i propri risultati,
generando così una stabilità macroeconomica. La difficoltà sta nel far sì che le riforme

                                                                                          15
e le modificazioni necessarie per aumentare la crescita e produrre occupazione,
soprattutto per i giovani, non portino, a breve termine, a sconvolgimenti sociali di
dimensioni tali (aumento della disoccupazione e della povertà) da mettere in pericolo
tutti gli sforzi di apertura.

L’UE, attraverso il processo di Barcellona, si è prefissa esplicitamente di sradicare la
povertà, offrendo un sostegno allo sviluppo sostenibile, promuovendo la graduale
integrazione dei paesi partner nell’economia mondiale. L’esperienza dei processi di
transizione durante gli anni Novanta mette in evidenza le difficoltà esistenti per rendere
compatibili liberalizzazione commerciale e riduzione della povertà. È questo, senza
ombra di dubbio, il principale problema che ostacola i progressi nell’integrazione
mediterranea.

La comunità internazionale è d’accordo nel considerare come sfida principale della
regione la creazione di 35 milioni di nuovi posti di lavoro durante i prossimi 15 anni,
solo per poter mantenere il tasso di disoccupazione ai livelli attuali. Il tasso di
disoccupazione esistente oggigiorno oscilla fra un 15% e un 20%. Da notare che
prendendo in considerazione l’evoluzione demografica, vale a dire il flusso di persone
alla ricerca di un posto di lavoro, il suddetto periodo di 15 anni (fra 15 anni la
popolazione tenderà a stabilizzarsi) risulta fondamentale per poter materializzare un
cambiamento nella posizione relativa dei paesi partner mediterranei e per una loro
stabilizzazione dal punto di vista economico e sociale.

               Evoluzione demografica dei paesi partner mediterranei

                            Popolazione                            Popolazione attiva
                 1995         2005          2010           1995          2000            2010
Algeria        27.878.420   32.877.042    35.549.120     8.666.000     10.639.000   15.514.000
Egitto         61.638.414   74.878.313    82.589.880    22.509.000     25.979.000   34.179.000
Israele        5.349.321    6.684.187     7.266.485      2.297.000     2.635.000    3.260.000
Giordania      4.249.073    5.750.139     6.384.572      1.523.000     1.884.000    2.774.000
Libano         3.150.038    3.760.703     4.000.203      1.001.000     1.153.000    1.504.000
Marocco        26.838.783   31.564.452    34.066.210    10.215.000     11.582.000   14.788.000
Autorità       2.634.571    3.815.250     4.506.321      149.000        188.000         312.000
Palestinese
Siria          14.595.691   18.650.334    20.835.326     4.209.000     5.144.000    7.595.000
Tunisia        8.949.601    10.041.690    10.580.943     3.351.000     3.893.000    5.030.000
Turchia        63.070.086   73.301.553    77.966.687    27.883.000     31.521.000   37.523.000
Fonte: OIL e Nazioni Unite. Scenario medio per le previsioni

I tassi di fertilità sono passati dai 6/8 figli per donna negli anni Settanta, ai 2/3 figli per
donna dal 2000 fino ai nostri giorni. La Palestina è l’unica eccezione, con tassi che si
aggirano sui cinque figli per donna. Di fronte a una situazione simile, ci si aspetta che
la popolazione con età da lavoro crescerà più velocemente di qualsiasi altra regione
del mondo, fino al 2025, con una crescita annua pari al 2,7%.

                                                                                                16
Tutto ciò va collegato, ovviamente, alle prospettive dei flussi migratori; prendendo in
considerazione i flussi legali, la situazione porta a pensare senza ombra di dubbio a un
loro aumento progressivo, con un chiaro ruolo di migrazione sostitutiva legata ai
differenziali di età delle popolazioni di entrambe le sponde del Mediterraneo.

La crescita dei paesi mediterranei meridionali è fondamentale per la creazione di uno
spazio integrato mediterraneo, poiché presenta nuove prospettive per le aziende
europee; non si deve dimenticare che attualmente l’Europa copre, in media, il 40%
delle importazioni di questi paesi.

Per quel che riguarda l’ingresso nei mercati, in particolar modo quelli europei,
l’importanza si è spostata dai dazi alle barriere non tariffarie. I regimi preferenziali
rappresentano restrizioni a beni sensibili, spesso ad alta densità di lavoro. In base alle
evoluzioni più recenti la tendenza non è quella di aprirsi ai mercati del nord: i paesi
sviluppati hanno reso un po’ più difficile l’ingresso nei mercati; l’UE dovrebbe quindi
aprirsi preferibilmente alle produzioni mediterranee, agevolando a tale scopo gli
aggiustamenti necessari.

Il sistema di scambio nella regione mediterranea è estremamente asimmetrico: mentre
gli scambi con i paesi partner mediterranei rappresentano meno di un 7% degli scambi
esteri dell’Unione, l’UE rappresenta quasi un 50% degli scambi esteri di tali paesi.

L’integrazione sud-sud è avanzata molto lentamente. L’accordo di Agadir, firmato fra il
Marocco, la Giordania, la Tunisia e l’Egitto nel 2004, dovrebbe entrare in vigore nel
corso del 2005. Le principali difficoltà per la sua applicazione hanno a che vedere con
la similitudine delle strutture produttive dei paesi coinvolti; d’altro canto dovrebbero
poter contribuire a una presenza industriale di più ampio respiro, tenendo in
considerazione le limitazioni dei mercati nazionali interni.

Concludendo, si può dedurre che i paesi partner mediterranei sono attualmente in
ritardo per quel che riguarda il loro processo di riforma politica; non vi è un processo
coerente, basato su un’agenda precisa, con risultati chiari da poter valutare. Alcuni
aspetti appaiono come chiaramente prioritari per quanto riguarda le riforme, come ad
esempio le agevolazioni per creare aziende, una maggiore flessibilità delle condizioni
di ingresso/uscita del mercato del lavoro, un miglioramento del quadro economico per il
business per poter proteggere gli investimenti, il rispetto del diritto contrattuale e
l’accesso al credito, fra gli altri.

5.2. Sviluppo umano

Sebbene i paesi partner mediterranei occupino diversi posti della classifica dell’Indice
di Sviluppo Umano (ISU) dell’ultimo rapporto Human Development Report 2004 redatto
dalle Nazioni Unite, tutti essi sono inglobati comunque all’interno della categoria di
“paesi a medio sviluppo umano”.

                                                                                       17
Sebbene sia possibile affermare che gli stati arabi hanno fatto progressi, in generale,
per quel che riguarda lo sviluppo umano nel corso degli ultimi tre decenni, tuttavia tale
evoluzione non è andata di pari passo con la risoluzione dei principali problemi che a
tutt’oggi contraddistinguono tali società, come ad esempio: alti tassi di analfabetismo,
deterioro del settore educativo, ritardo nella ricerca scientifica e nello sviluppo
tecnologico, povertà e alti tassi di disoccupazione.

    Indicatori demografici e sociali e indici di sviluppo umano nei paesi partner
                                     mediterranei

                         Popolazione     Crescita  Popolazione Speranza di     Tasso di     Indice di     Proiezione
       Paese                totale       annuale   minore di 15   vita          analfa-     sviluppo     demografica
                                       popolazione    anni                    betismo (*)    umano          2020
       Algeria           30.841.000       1,8%       35,5%         68,9         22,9%         0,68       44.620.000
                                                                                41,6%
        Egitto           69.080.000       1,8%        36%          66,3         32,8%         0,63       105.002.000
                                                                                55,1%
       Israele            6.172.000       2,4%        27%          78,3          3%           0,.89       8.699.000
                                                                                7,2%
      Giordania           5.051.000       2,9%        41%          69,7         4,6%          0,71        8.710.000
                                                                                15,3%
       Libano             3.556.000       2%         27,3%         72,6         7,6%          0,75        4.555.000
                                                                                 19%
        Libia             5.408.000       2,1%       34,7%          70          8,7%          0,77        8.236.000
                                                                                30,6%
      Marocco            30.430.000       1,9%       35,1%         66,6         37,4%         0,59       41.318.000
                                                                                62,8%
         Siria           16.610.000       2,6%       39,3%         70,5         11,2%         0,70       25.077.000
                                                                                38,4%
 Territori Palestinesi    3.311.000      3,8%        46,5%         71,4                                   6.884.000
       Tunisia            9.562.000      1,1%        30,5%         69,5         17,7%         0,71       11.621.000
                                                                                38,1%
       Turchia           67.632.000       1,6%       27,8%          69          6,2%          0,73       85.707.000
                                                                                22,7%
Rapporto sullo Sviluppo Umano nel Mondo Arabo, 2002. UNDP. (*) Le cifre corrispondono a uomini e donne

Uno dei problemi più gravi per lo sviluppo dei paesi presi in esame è l’analfabetismo,
nonostante i progressi realizzati dalla metà del XX secolo fino ad oggi; i tassi di
analfabetismo superano quelli di paesi ancora più poveri e si calcola che 65 milioni di
adulti arabi sono analfabeti, dei quali i due terzi sono donne.

È interessante riportare succintamente alcune delle conclusioni del “Rapporto 2004 del
Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo relativo allo sviluppo umano nel mondo
arabo”, nonostante le differenze che possano sussistere dal punto di vista geografico.

Per quanto riguarda la disoccupazione, la regione riporta valori a due cifre nella
maggior parte dei casi; si tratta di fatto di uno dei principali problemi per lo sviluppo

                                                                                                            18
della regione. Negli ultimi decenni i tassi di disoccupazione sono aumentati
progressivamente fino a raggiungere una situazione tale, da fare della sponda sud del
Mediterraneo una delle regioni attualmente con il maggior numero di disoccupati al
mondo.

L’Algeria e i Territori Palestinesi mostrano gli indici più elevati: 34% per il 2000 e 27%
per il 2001 rispettivamente. In Tunisia l’indice si trova al di sopra del 15%. Per quel che
riguarda l’occupazione nel settore informale, essa rappresenta quasi la metà della
popolazione urbana in paesi come il Marocco, l’Egitto e l’Algeria.

Sebbene i paesi partner mediterranei mostrino un indice basso di povertà estrema, allo
stesso tempo una persona su cinque vive con meno di due dollari al giorno; pertanto,
anche nel caso in cui la povertà estrema non sia diffusa fra questi paesi – in parte
grazie ai meccanismi di solidarietà familiare e tribale propri della cultura araba e la
religione musulmana – la povertà in generale è molto estesa. La popolazione che si
trova sotto la soglia della povertà rappresenta il 25% circa in paesi come l’Egitto, la
Giordania e l’Algeria.

La povertà è specialmente grave nei Territori Palestinesi; si calcola che tre quarti della
popolazione palestinese vive con meno di due dollari al giorno. Dal 2000 fino ad oggi il
numero di poveri è triplicato.

Analizzando lo sviluppo umano in tale periodo, in termini generali non vi è stato nessun
progresso significativo; nonostante siano in atto determinate riforme in alcune delle
aree identificate nel Rapporto, tuttavia molte di esse sono ancora allo stato embrionario
e frammentarie, e non sono in grado di modificare sostanzialmente il quadro generale
negativo.

In generale le donne soffrono gli effetti della disuguaglianza con l’uomo e sono
vulnerabili alla discriminazione, sia dal punto di vista legale che nella pratica.
Nonostante siano stati realizzati evidenti sforzi per modificare la situazione delle
donne, i progressi pratici sono limitatissimi.

A tale proposito, il Marocco emerge dal resto dei paesi grazie alla nuova legge sulla
famiglia che offre risposte alle esigenze dei movimenti femministi in merito alla
salvaguardia dei diritti delle donne, soprattutto in materia di matrimonio, divorzio e cura
dei bambini.

Per quel che riguarda il mercato del lavoro, il livello di partecipazione della donna è
molto inferiore a quello del resto del mondo, se si considera il tasso di fertilità della
regione, il livello educativo e la struttura di età della popolazione femminile. Il rapporto
fra la popolazione attiva femminile e la popolazione attiva maschile è di 03 in Algeria, in
Libia e in Siria e di 04 in Tunisia, in Egitto e in Libano. Il sottoutilizzo di questo
potenziale è stato spesso citato come uno dei fattori più importanti del fiacco
rendimento economico di questi paesi.

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5.3. Libertà civili, diritti politici e governance

Gli ostacoli per esercitare il diritto di associazione o manifestazione, nonché l’assenza
di una vera e propria rappresentazione politica o di trasparenza nei risultati elettorali
stanno a testimoniare la limitazione delle liberta civili e dei diritti politici in molti dei
paesi partner mediterranei.

Oltre alle differenze con gli altri paesi, anche i diritti e le libertà restano a un livello
bassissimo; nei paesi arabi le libertà sono minacciate da due tipi di fattori: da un lato il
carattere antidemocratico di alcuni regimi, e dall’altro la tradizione e il tribalismo,
spesso coperti dalla religione. La combinazione di questi due fattori ha menomato i
diritti fondamentali, ha ridotto le possibilità di avanzare della popolazione.

Nonostante esistano parlamenti eletti in praticamente tutti i paesi arabi, tuttavia il diritto
di partecipare in politica viene spesso limitato. In molti casi le elezioni non hanno avuto
il loro ruolo di strumento di partecipazione per un’alternanza pacifica nel potere.

I paesi partner mediterranei devono ancora percorrere un lungo cammino per
raggiungere gli standard minimi propri di una democrazia. Sebbene la maggior parte
delle costituzioni della regione preveda che i diritti politici e le libertà siano uguali per
tutti, la realtà è ben lungi da quanto previsto per legge. La libertà di opinione e di
associazione viene prevista dalla maggioranza delle costituzioni dei paesi arabi, ma
queste ultime contengono anche diverse restrizioni al diritto di associazione, sotto il
pretesto di salvaguardare l’unità e la sicurezza nazionali.

A tale proposito la donna continua a subire una situazione di discriminazione in tutti i
settori, sia pubblici che privati. La percentuale di donne nei parlamenti dei paesi in
questione non supera il 6% di media, sebbene esistano casi estremi, come la Tunisia,
con una percentuale positiva di presenza femminile pari al 22,75% o, al contrario, in
Egitto, con una presenza del 2,4%.

Attualmente la maggior parte delle costituzioni dei paesi qui esaminati riconosce la
classica separazione fra poteri; tuttavia, in realtà, esiste una chiara egemonia del
potere esecutivo sugli altri. Vi è una forte concentrazione di autorità nelle mani del
Capo di Stato. I parlamenti dispongono di una debole posizione istituzionale reale,
mentre la separazione fra il sistema giudiziario e quello esecutivo, oltre a quanto
stabilito dalla costituzione, non è del tutto chiara. Le autorità del potere esecutivo
mantengono la regola implicita di nominare la maggior parte delle cariche del corpo
giudiziario.

Per quanto riguarda la trasparenza, misurata essenzialmente attraverso l’accesso alle
informazioni da parte dei cittadini, la maggioranza dei paesi della regione si
caratterizza per il possesso di determinate restrizioni all’accesso alle informazioni
ufficiali, senza poi contare le molte limitazioni se si desidera avviare un processo
destinato alla pubblicazione delle medesime in maniera esauriente e dettagliata. Tale
mancanza di trasparenza nei dati pubblici rende difficile nella maggior parte dei casi il

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rilevamento e la correzione di errori,           oltre   a   favorire   l’oscurantismo   nel
malfunzionamento dell’amministrazione.

Tuttavia alcuni dei paesi, fra cui si può menzionare la Giordania, hanno mostrato certi
progressi destinati alla creazione di una funzione pubblica più trasparente.

Un altro elemento importante è la bassa qualità dell’amministrazione pubblica in qualità
di fornitrice di servizi. Attraverso i suoi Governance Indicators (1996-2002), la Banca
Mondiale, valuta “l’efficacia del governo” mediante diversi indicatori con valori compresi
fra -2,5 (minore efficacia) e +2,5 (maggiore efficacia). In questo range di valori la
maggioranza dei paesi del sud del Mediterraneo, si posiziona al di sotto dello 0 o dello
0,5.

Per quel che riguarda la libertà di stampa, i mezzi di comunicazione della regione si
trovano in gran misura sotto il controllo dell’amministrazione. Nonostante il fatto che
molti dei mezzi d’informazione siano in mani di privati, il controllo del governo è tale da
non poter assicurare con sufficienti garanzie né l’indipendenza né il dibattito politico.

In Algeria, in Libia, in Siria e in Tunisia il Governo controlla i mezzi di diffusione
audiovisivi, oltre alle pubblicazioni nazionali e straniere; pertanto detiene il monopolio
sul flusso di informazioni. Alcuni paesi, come il Marocco, hanno portato avanti una
riforma volta a cambiare una situazione simile, promuovendo un completo riordino dei
mezzi stampa, il cui scopo è di liberalizzare, disciplinare e promuovere i mezzi di
comunicazione multimediali. Inoltre, grazie a un decreto reale e a un testo legislativo, è
stata messa fine al monopolio nella trasmissione radiotelevisiva.

I suddetti ostacoli alla libertà di stampa fanno dei paesi arabi le zone con i livelli più
bassi per quanto riguarda la libertà d’espressione e la responsabilità.

La corruzione è divenuta progressivamente un potente simbolo dell’assenza di
legittimità dei governi di questi paesi; secondo dati di Freedom House, in una scala che
misura il livello di corruzione in base alla percezione di diversi attori, che va da 0
(paese altamente corrotto) a 10 (paese totalmente privo di corruzione), i paesi presi qui
in considerazione riportano un valore che oscilla fra il 2,5 (Libia e Autorità Palestinese)
e il 6,4 (Israele), con valori intermedi del 2,7 in Algeria e in Libano, 3,2 in Egitto e in
Marocco, 3,4 in Siria, 5 in Tunisia, e 5,2 in Giordania.

Una delle conseguenze principali della corruzione è il suo effetto negativo sul business;
la corruzione provoca incertezza e dissuade gli investitori stranieri.

Nonostante il numero di organizzazioni non governative (ONG) sia cresciuto
notevolmente negli ultimi anni, esse devono far fronte a molteplici problemi sia esterni
(problemi burocratici, controllo, ostilità e/o invadenza dello Stato, restrizioni al loro
funzionamento), che interni all’organizzazione stessa (mancanza di democrazia interna
e di trasparenza nella presa di decisioni, assenza di una base sociale e finanziamento
dipendente).

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