Pillole per una Nuova Storia Letteraria 053 - Cultura nel momento del pericolo
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Pillole per una Nuova Storia Letteraria 053 Cultura nel momento del pericolo Di Federico Sanguineti Da quando nel 1827 Goethe annuncia l’esistenza di una “letteratura mondiale” (Weltliteratur), diventa anacronistico isolare ogni singola letteratura nazionale. Ne sono consapevoli Marx ed Engels quando pubblicano, nel 1848, il Manifesto del Partito Comunista (Manifest der Kommunistischen Partei), ormai disponibile a chiunque in Internet nella prima traduzione italiana del 1893 a cura di Pompeo Bettini (costava 25 centesimi), dove si legge: “Ciò che produce il pensiero [geistigen Erzeugnisse] delle singole nazioni diventa patrimonio comune [Gemeingut]. La unilateralità e la ristrettezza nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali nasce una letteratura mondiale [Weltliteratur]”. Ma sia questa versione che quella riveduta nel 1948 da Togliatti tradiscono il significato del testo originale in un punto decisivo: “Gemeingut” non vuol dire ‘patrimonio comune’, bensì “bene comune”. I prodotti spirituali, “die geistigen Erzeugnisse”, non sono affatto da considerarsi in quanto ‘patrimonio’, bensì come un “bene”, essendo Marx ed Engels agli antipodi dell’ideologia del patriarcato borghese. La parola “patrimonio”, derivando da “pater” (‘padre’) e “munus” (‘compito’), ha infatti il significato di “compito paterno”, assumendo di conseguenza quello di “cose appartenenti al padre”. Occorre insomma superare da parte del proletariato rivoluzionario la considerazione della letteratura e, più in generale, della cultura, come ‘patrimonio’. L’equivoco
purtroppo si ripete altrove, per esempio nella sesta tesi Sul concetto di storia (Über den Begriff der Geschichte) di Walter Benjamin, dove si legge, nella traduzione di Solmi: “Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione [Bestand der Tradition] quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla”. Nessun ‘patrimonio’ neppure qui: “Bestand der Tradition” vale piuttosto ‘consistenza della tradizione’, la quale, intesa come ‘patrimonio’, si riduce appunto a strumento della classe dominante, correndo così quel “pericolo” che l’autore si propone invece di evitare. Una volta intesa come ‘patrimonio,’ la tradizione è sopraffatta dal conformismo (Konformismus), per cui, analogamente, nella tesi successiva, è questione di “beni culturali” (Kulturgütern), tradotti purtroppo, ancora una volta, come ‘patrimonio culturale’. Oggi, in un momento di pericolo, la morale della favola è data da Rada Iveković, nel capolavoro intitolato Autopsia dei Balcani, dove si ricorda che la questione dell’identità nazionale è “un godimento sostitutivo”: “si tratta”, in effetti, “a dispetto del tempo, di godere a credito di una nazione bell’e fatta”. Denunciando finalmente il nazionalismo come “esclusione del femminile”, come “autismo storico-sociale” e come “regressione, in senso psicologico, alla condizione infantile”, scrive: “La responsabilità del socialismo e, a livello di storia delle idee, la responsabilità di tutte le sinistre, al potere e non, è incalcolabile. È di non aver capito che la diseguaglianza e l’ingiustizia patite dalle donne, in tutte le società conosciute, non è una discriminazione fra le tante, ma è alla base di tutte le altre discriminazioni ed è costitutiva del sistema”, per cui “denunciarla significa operare per sradicare anche tutte le altre discriminazioni”.
Omaggio a Don Giacomo Alberione 50 anni fa, il 26 novembre 1971, moriva a Roma Don Giacomo Alberione, presibitero ed editore, fondatore di numerose congregazioni religiose cattoliche, tra cui le Figlie di San Paolo. Il suo nome resta legato, inoltre, alla fondazione delle Edizioni Paoline, del settimanale “Famiglia Cristiana”, del settimanale per ragazzi “Il Giornalino”, “Jesus”, la casa editrice “San Paolo “ e la “San Paolo Film”. La Presidenza Diocesana della Fuci “San Gregorio VII” insieme alla Presidenza Diocesana del “Meic “Don Guido Terranova” ed alla Presidenza Diocesana di Azione Cattolica, rende omaggio alla straordinaria figura dell’”Editore di Dio” beatificato da Papa Giovanni Paolo II nell’aprile 2003 con la presentazione del volume appena pubblicato dalla casa Editrice San Paolo “Il Padre del futuro. Don Alberione e la sfida del cambiamento” scritto dal giornalista Rai Rosario Carello. Alla presentazione, che avverrà il giorno 11 marzo alle ore 17 presso l’Aula Consiliare della Provincia di Salerno, prenderanno parte, tra i Saluti istituzionali, il Presidente della Provincia Michele Strianese, l’Arcivescovo Metropolita di Salerno-Campagna- Acerno Mons. Andrea Bellandi, il Consigliere provinciale con Delega alla Cultura Francesco Morra, il Presidente diocesano del Meic Rocco Pacileo, il Presidente diocesano di Azione Cattolica Maria Vittoria Lanzara. Con l’autore Rosario Carello, discuteranno il Sacerdote Paolino Don Roberto Ponti ed il già Giornalista Rai Pino Blasi. Testimonianza di Suor Rita Mignosi, (Figlie di San Paolo) che ebbe modo di conoscere Don Giacomo Alberione. Ad introdurre e a moderare sarà il Presidente Diocesano della Fuci Stefano Pignataro. “Un onore omaggiare una straordinaria
e fulgida figura dei nostri tempi quale il Beato Giacomo Alberione- dichiara Stefano Pignataro-uno dei primi ecclesiastici ad occuparsi dei mass media ed il primo rivoluzionario della comunicazione della nostra età contemporanea. “Chi è Don Giacomo Alberione, il Beato che ha attraversato il Novecento inventando nuovi modi per portare a tutti la Parola di Dio?” . A questa domanda il volume di Rosario Carello vuole rispondere raccontando l’uomo che ha dato alla Chiesa nuovi mezzi per esprimersi, fondando case editrici e giornali, pubblicando libri, producendo film e dischi ed aprendo librerie in tutto il Mondo. Credo sia molto interessante, inoltre, approfondire i grandi valori che Don Alberione ha portato avanti come la buona stampa e la buona comunicazione e come sia cambiata dagli anni trenta ad oggi con uno sguardo ai giovani, molti cresciuti con “Il Giornalino”, ancora oggi diffusissimo. Oltre al volume, dunque, si pongono molti interessanti interrogativi, importanti anche per i lavori dell’anno Sinodale.” Giacomo Alberione Fu battezzato il giorno successivo alla nascita. La sua famiglia era contadina e profondamente cristiana. Giacomo avverte sin da piccolo la “chiamata” di Dio: in prima elementare, alla maestra che gli chiede cosa farà da grande, il piccolo risponde: “Mi farò prete”! In seguito si trasferisce a Cherasco. Entra nel seminario diocesano di Bra, finendo gli studi ecclesiastici in quello di Alba, e subito si incontra con il canonico Francesco Chiesa, che sarà suo amico e consigliere per 46 anni. Il 29 giugno 1907 viene ordinato sacerdote. Poi diventa vice parroco di Narzole (Cuneo). Nel Seminario di Alba diventa padre spirituale dei seminaristi e insegnante in varie materie. Si dedica molto alla catechesi nelle parrocchie della sua diocesi e studia le nuove necessità della società civile del nuovo secolo. Negli anni del seminario il Vescovo prescelse il giovane Alberione come cerimoniere nelle celebrazioni pontificali. Divenuto Terziario domenicano si occupò dell’animazione spirituale dei confratelli della Fraternità Laica di San Domenico di Alba. In questi anni matura la decisione di fondare una congregazione
che diffonda la Parola di Dio utilizzando le nuovissime frontiere dei mezzi di comunicazione, e il 20 agosto 1914 fonda ad Alba la Società San Paolo, embrione della “Famiglia Paolina”. Nel 1915 viene fondata la Congregazione delle Figlie di San Paolo, ramo femminile del suo Ordine. Nel 1923, lo sviluppo della “Famiglia Paolina” sembra interrompersi a causa di una grave malattia che colpisce don Alberione. Ma egli guarisce, e in futuro ne attribuirà il merito a san Paolo. Nascono anche le Pie discepole del Divin Maestro, le Pastorelle, le Apostoline e altre congregazioni di tipo laicale. Don Alberione promuove la stampa di libri sacri per il popolo e inizia ad utilizzare lo strumento dei periodici. Nel 1912 nasce la rivista Vita Pastorale, per i parroci, nel 1912 il foglio La Domenica sulle letture domenicali, nel 1931 Famiglia Cristiana, fiore all’occhiello dell’intera produzione paolina; per i ragazzi, don Alberione fonda Il Giornalino. Dopo una sosta forzata a causa della Seconda guerra mondiale, don Alberione partecipa al Concilio Vaticano II. Si aggravano le sue condizioni di salute: una dolorosa scoliosi non gli dà pace giorno e notte. Il 28 giugno 1969, don Alberione è ricevuto in Vaticano da papa Paolo VI, che mai gli nascose la propria grande ammirazione (per lui usò la definizione: “meraviglia della nostra epoca”). Tale stima spinse il pontefice a rendere visita al capezzale di don Alberione, ormai agonizzante: una visita non prevista, pochi giorni prima del trapasso, avvenuto, nella casa generalizia dell’Ordine paolino da lui fondato in Via Alessandro Severo a Roma, il 26 novembre 1971. Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato nel 2003 e recentemente la sua figura è stata proposta come “patrono della Rete”.
“Procida capitale della cultura” diventa una pizza: il percorso enogastronomico di Erika Noschese Un viaggio nel mondo delle fiabe, attraverso Giambattista Basile, coniugati con le eccellenze territoriali dei comuni di Montoro (Capofila), Contrada e Solofra per l’avellinese e Bracigliano e Calvanico della provincia di Salerno. Il progetto Parco letterario Lo cunto de li cunti, con la presentazione degli “Itinerari da Fiaba” è stata, nella splendida cornice accogliente del municipio di Procida per degustare dolci di Procida e pizze a cura dell’Associazione Pizzaioli Napoletani con i prodotti dei Comuni di Procida, Montoro, Bracigliano, Calvanico, Contrada e Solofra. Per l’occasione è stata presentata la pizza “Procida Capitale della Cultura” attraverso l’evento “Un Pizzaiuolo per Procida”, organizzato dall’Associazione Pizzaiuoli Napoletani (Apn) presieduta da Sergio Miccù e promosso assieme all’Istituto professionale Lucio Petronio di Pozzuoli. A fornire le materie prime l’imprenditore Carmine Caputo, sostenitore dell’iniziativa e presidente di Mulino Caputo che con il sostegno di Biagio Lubrano e l’istituto alberghiero Petronio, attraverso il preside Filippo Monaco, stanno realizzando un percorso condiviso. Dopo la manifestazione e la presentazione del libro di Manuela Piancastelli “Napoli, Zuccaro & Cannella” – moderato dal giornalista enogastronomico per eccellenza Luciano Pignataro – si è aperto un vero e proprio percorso enogastronomico: i prodotti tipici dei vari comuni coinvolti si sono uniti in prelibatezze da togliere il fiato e far venire l’acquolina in bocca.
Al Comune di Procida “Itinerari da fiaba con Basile” e “ Lo Cunto de li Cunti” di Erika Noschese Fare rete tra i territori per valorizzarli e valorizzare le eccellenze tipiche. A dare il via agli eventi di “Procida Capitale della Cultura” una manifestazione interamente dedicato a Giambattista Basile con “Itinerari da Fiaba” che rientra nell’ambito del programma unitario di percorsi turistici dal Parco Letterario “Lo Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile. Il Comune di Bracigliano sarà la sede del Parco Letterario, coinvolgendo i comuni di Procida, Montoro, Bracigliano, Calvanico, Contrada e Solofra, classificato al primo posto nella graduatoria regionale del Poc Campania 2021/22. E proprio nella splendida cornice dell’isola ieri mattina la conferenza stampa congiunta per la presentazione della raccolta di cinquanta fiabe destinate alle famiglie ma soprattutto ai bambini. Il progetto intende promuovere i sapori ed i saperi, la storia dei luoghi, il patrimonio naturalistico ed agricolo locale attraverso le fiabe scritte da Giambattista Basile e si propone l’obiettivo di modernizzare l’offerta turistico – culturale locale ed orientare i flussi turistici verso le aree interne, anche grazie a Procida Capitale italiana della Cultura 2022. “I piccoli Comuni della regione possono dare un valore aggiunto, mai come in questo particolare momento storico è importante fare rete, evidenziando il legame tra le città del mondo – ha dichiarato il sindaco di Procida, Dino Ambrosino – Procida non
è mai stata autosufficiente, abbiamo bisogno degli altri”. Presente anche il sindaco di Montoro, Girolamo Giaquinto che ha puntato l’attenzione sul prodotto tipico per eccellenza, la cipolla ramata “ed è proprio con questo potenziale che partecipiamo, per valorizzare il nostro territorio”. All’iniziativa, organizzata fin nei minimi dettagli, dal già senatore Andrea De Simone, hanno aderito due comuni della Provincia di Salerno (Bracigliano e Calvanico) e tre dell’avellinese (Montoro, Contrada e Solofra) in uno spirito di solidarietà affinchè “anche con l’aiuto di questi comuni possa aumentare il Pil del territorio – ha aggiunto il sindaco di Montoro – Vedere un comune dell’entroterra classificarsi primi è sicuramente un bel segnale, deve essere la forza dei nostri territori”. Presenti, in rappresentanza di Bracigliano, il Sindaco Antonio Rescigno, il suo vice Domenico Moccia, l’Assessore alla Cultura Linda Corvino, il Presidente della Consulta delle Associazioni di Bracigliano Mario Provitera, i titolari di alcune attività ricettive locali e alcuni cittadini, che si sono recati presso l’Isola, eletta Capitale della Cultura Italiana 2022. “Un onore per noi – ha dichiarato il Sindaco Rescigno – essere ospitati qui a Procida, Capitale Italiana della Cultura 2022. Ringrazio il Sindaco di Procida, Raimondo Ambrosino, e l’intera Amministrazione Comunale per averci offerto una calorosa accoglienza presso questa splendida isola per dibattere sul rilancio del turismo in Campania attraverso il programma unitario di percorsi turistici dal Parco Letterario “Lo Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile. Il Comune di Bracigliano, con il supporto di tutti i soggetti coinvolti, ciascuno con le proprie competenze e professionalità, metterà in campo ogni sforzo in termini di disponibilità del proprio territorio al servizio di un progetto meritevole della massima attenzione per favorire il rilancio dello sviluppo socio-economico in tutta la Regione Campania”. “La nostra identità è fortemente legata a San Michele, con il Pizzo e la Cappella che rappresenta il santuario più elevato a livello nazionale”, ha ricordato il sindaco di Calvanico Francesco Gismondi evidenziando che molti
dei comuni coinvolti sono legati al culto di San Michele. “Noi con questo progetto abbiamo voluto fare rete, dedicato alle famiglie e ai bambini senza dimenticare la valorizzazione del territorio e dei prodotti tipici locali”. Il Comune di Solofra era presente con una delegazione dell’Amministrazione Comunale tra cui il Sindaco Michele Vignola e l’Assessore alla Cultura e al Turismo Mariangela Vietri: “C’è un forte partenariato fra questi comuni che sono tutti così differenti ma accomunati dal culto michelico – ha aggiunto il primo cittadino – Serve sinergia, basta distinzioni tra aree interne e zona costiera. Procida offre una grande cultura che porta ad un turismo di massa che va incrementato e dobbiamo lavorare in sinergia con le associazioni, l’università, la Pro Loco, la scuola con un progetto mirato a difendere le tradizioni”. Nei comuni interessati al progetto nascerà presto anche il “Menù delle Fiabe” con l’obiettivo di riscoprire luoghi naturalistici per una nuova forma di turismo che possa portare alla scoperta dei prodotti tipici”. Nel corso dell’incontro con i giornalisti c’è stata la discussione sul libro “Napoli, zuccaro & cannella. Cibi e vini da favola nel Cunto de li Cunti” (Valtrend Edizioni) con l’autrice Manuela Piancastelli ed il giornalista Luciano Pignataro. Letture de li Cunti del direttore artistico Gaetano Stella e la degustazione di dolci di Procida e pizze a cura dell’Associazione “Pizzaioli Napoletani” con i prodotti dei Comuni di Procida, Montoro, Bracigliano, Calvanico, Contrada e Solofra. E’ intervenuto anche il dirigente dell’istituto alberghiero “Petronio” professor F. Monaco. Obiettivo prioritario del progetto è l’infrastrutturazione degli Itinerari, l’integrazione con i programmi che puntano ad orientare flussi turistici verso le aree interne, la destagionalizzazione ed il raccordo con Procida Capitale italiana della Cultura 2022. Il Progetto finanziato con i fondi del POC Campania 2014/2020. Per l’occasione, il Sindaco Rescigno ha anche descritto il lancio dell’International Music Competition “Francesco Cardaropoli – Giovani Promesse”, un contest musicale di eccellenza che si terrà dal 4 al 9 aprile 2022 presso lo storico Palazzo De
Simone a Bracigliano, con un montepremi di 10mila euro per i vincitori. La terribile attualità di Piazza degli eroi di Olga Chieffi Sul palcoscenico del Teatro Verdi di Salerno, è andato in scena lo sferzante Heldenplatz, “Piazza degli eroi”, una commedia di Thomas Bernhard che chiude una lunga parabola di polemiche, di veti, al punto da portarlo a impedirne la rappresentazione o la pubblicazione di quest’opera in patria, e con essa, la vita dell’autore. La provocazione di Heldenplatz è radicale, ieri come cinquant’anni dopo, Bernhard sente puzza di fascismo nella sua patria austriaca. Nella pièce, il professore ebreo Joseph Schuster di filosofia, si è suicidato perché, forse, le cose non sono cambiate in meglio, mentre sua moglie muore alla fine, mentre risuonano, in un’eco spettrale, le grida dei viennesi di allora, davanti a Hitler in parata sulla piazza degli eroi. Un veto che ha portato veto questa regia di Roberto Andò prodotta dal Teatro di Napoli, dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia e dal Teatro della Toscana, ad essere la prima assoluta in Italia, con un cast d’eccezione a cominciare da protagonista Renato Carpentieri. In un teatro di parola, come quello di Bernhard, la cui struttura formale è affidata alla variazione, cioè alla ripetizione di un tema, ogni volta modificato in un suo elemento, dalla melodia al ritmo, gli eventi si registrano solo nel linguaggio. Con questa tecnica, la riflessione sul destino umano è come investita da una carica euforica: c’è un’incessante invenzione linguistica che prolifica in forme
lessicali e sintattiche, fino al grottesco, con effetti di comicità che attenuano il clima di tragedia. Come Kafka, anche Bernhard è stato un grande autore comico: nel suo humour nero egli mette a nudo ogni forma di mistificazione. I suoi eroi drammatici sono spesso clown che sbeffeggiano il destino, sorridendo per loro totale impotenza, ma affermando così anche la loro precaria libertà. Protagonista è la musica evocata dal pianista Vincenzo Pasquariello, poiché il professore è tornato con la famiglia, da Oxford ‘per la musica’; siamo nel 1988, cinquant’anni dopo l’Anschluss di Hitler, a cent’anni dalla fondazione del Burghtheater, ma io aggiungo alla vigilia della caduta del muro di Berlino, ma in realtà potrebbe essere un anno qualsiasi di questo secolo breve, un eterno presente, dove la memoria diventa quasi ossessione. La letteratura e la musica per Bernhard sono figure di una stessa forma di vita: sono intercambiabili, e non solo perché lo scrittore aveva in gioventù tentato e anche effettivamente intrapreso una carriera da basso-bariton, poi stroncata da malattie polmonari, quanto dal punto di vista della fama. Ecco allora che nella pièce vengono citati il violinista Pablo de Sarasate e il pianista Glenn Gould, la sala d’oro, il Musikverein, da frequentare due volte la settimana, mentre Pasquariello esegue le variazioni sul tema della Follia di Carl Philippe Emmanuel Bach, Cançons I Danses n° VI di Frederic Mompou, lo Chopin dell’op.10 con lo studio n°6, lo Schubert, del Waltz in si minor, Op. 18, n° 6, mentre si sente il finale dell’Änchen’s aria dal “Der Freischütz” di Weber, che accompagna l’Austria del tempo, ma anche la nostra società attanagliata da mediocrazia e populismo che risvegliano istinti nazisti. Nessuno si salva il presidente della repubblica, definito furbo e falso, il presidente del consiglio, scaltro e truffatore, i sindacati, i partiti di destra e di sinistra deboli e ipocriti, l’università preda di docenti stupidi che insegnano i loro stupidari, i giornali locali infarciti di pettegolezzi e scandaletti senza pagine culturali, ma dei quali non si può far a meno, in pratica “una cloaca spiritualmente vuota che implora a squarciagola il ritorno di
un regista”. Il ritratto del protagonista ci viene dipinto dai comprimari di questa vicenda: la Signora Zittel, Betti Pedrazzi è Silvia Ajelli, Anna, Paolo Cresta Lukas, Francesca Cutolo Olga, Stefano Jotti il Signor Landauer, Valeria Luchetti Herta, Enzo Salomone, il Professor Liebig. Il registro è sbilanciato decisamente verso il tragico, il sipario si apre sull’enorme stanza del guardaroba, alte finestre, alte porte chiuse, uno spazio che sta per essere completamente svuotato e abbandonato. Ci sono gli scatoloni pronti per essere portati via, le posate sono già impacchettate, restano solo tutte quelle scarpe e tutte quelle camicie, i vestiti di un morto. Il professore non c’è, ma le sue parole vengono continuamente ricordate da tutti i personaggi in scena, simmetricamente, la moglie del professore è presente, ma ammutolita e irrigidita dalle voci assordanti del grande rimosso austriaco. E’ là, l’origine. Noise e nausea sono della stessa famiglia. Lo spazio, in progressione è invaso, interamente, dal clamore, fino alla fine occupati per intero dallo stesso clamore del 1938. Una visione nichilista che i due fratelli hanno affrontato in modo diverso, Robert si è ritirato in campagna rinunciando alla lotta contro il male della società, Josef, ha scelto la liberazione finale. La moglie non reggerà ad una nuova inutile fuga. L’invito è per Anna e Olga agire per realizzare un mondo migliore. Applausi per la superba recitazione della compagnia, e su tutti un eccezionale Renato Carpentieri, latore oramai di un alto magistero attoriale. Al Ghirelli di scena Teatro
Gioco Vita “Il Cielo degli Orsi” è il titolo dell’appuntamento in programma oggi alle 17 al Teatro Ghirelli. Lo spettacolo è il quarto appuntamento Young a cura di Casa Del Contemporaneo L’antica arte del teatro d’ombre per il pubblico di bambini e famiglie Due storie in una. La prima racconta di un Orso adulto che inizia a desiderare di diventare papà ma non sa proprio da dove cominciare! Rivolge lo sguardo al cielo in cerca di risposte, ma sarà l’incontro con una bella orsa a cambiare il suo destino. Lei sembra leggergli i suoi pensieri più profondi, dove non servono molte parole per guardare avanti a nuovi progetti per la primavera. Piccolo Orso, invece, è un cucciolo alle prese con il grande dispiacere per la perdita dell’amatissimo nonno, partito per il “cielo degli orsi”. Si metterà in viaggio egli stesso per poterlo incontrare ancora una volta, fino a ritrovarlo nel caldo abbraccio della mamma e del papà al suo rientro a casa. “Per entrambi i nostri protagonisti l’infinità del cielo sembra essere l’unico luogo in cui le loro domande possono essere soddisfatte, per poi accorgersi, alla fine del loro cercare, che è sulla terra, vicino a loro, che si trova la risposta – riferisce in una nota il regista Fabrizio Montecchi – “Con semplice e disarmante chiarezza, lo spettacolo vuole parlare delle difficoltà che tutti noi incontriamo, a maggior ragione i bambini, quando cerchiamo risposte alle grandi domande della vita. E l’unico percorso possibile è sempre quello esperienziale e non razionale e l’unica risposta, anche se non è la risposta, è spesso sotto i nostri occhi nel nostro piccolo mondo”. Il cielo degli orsi affronta temi delicati e profondi con leggerezza e tatto e una grande capacità di sintesi. Liberamente tratto da “Un paradiso per piccolo Orso” di Verroen e Erlbruch, la narrazione utilizza la presenza di animali come protagonisti per dosare l’impatto emotivo di temi così importanti su un pubblico anche di piccolissimi (dai 3 anni). Il resto è affidato alla tecnica mista di teatro
d’attore, danza e soprattutto “ombre” dove – ancora una volta – a fare da ispirazione a Nicoletta Garioni e Federica Ferrari per la realizzazione delle sagome è stato Erlbruch con i suoi disegni. E’ dalla fine degli anni Settanta che Teatro Gioco Vita si accosta al teatro d’ombre, studiandone le possibilità tecniche ma lavorando fin da subito alla sua ridefinizione linguistico-espressiva, in un continuo confronto con una pluralità di linguaggi e tecniche del teatro. La “via italiana” al teatro d’ombre – l’ha definita il critico Renato Palazzi – da sempre considerato un inavvicinabile patrimonio delle culture orientali, oggi quella di Teatro Gioco Vita è una realtà consolidata dalle peculiarità espressive riconosciute in Italia ma anche all’estero. In particolare lo spettacolo “Il cielo degli orsi” ha ottenuto al 52° Festival internazionale di teatro di figura e oltre di Zagabria due premi assegnati dalla giuria professionale: il Premio “Tibor Sekelj” come “spettacolo con il messaggio più umano” e il Premio agli attori Deniz Azhar Azari e Andrea Coppone “per l’eccellente interpretazione”. Completano il cast artistico e tecnico Valerio Longo per le coreografie, Alessandro Nidi per le musiche, Tania Fedeli ai costumi, Anna Adorno al disegno luci e Sergio Bernasani per la realizzazione delle scene. “Cento artiste solidali con le donne afghane” Da oggi all’8 marzo, a Milano, presso la Galleria d’Arte Contemporanea Scoglio di Quarto, prenderà forma l’evento culturale “Cento artiste solidali con le donne afghane”, voluto da Gabriella Brembati, curatrice dello spazio espositivo, in collaborazione con Valeria Cerabolini e il C. I. S. D. A. Coordinamento italiano di sostegno alle donne
afghane. Il progetto, che vede il coinvolgimento di artiste nazionali e internazionali, storiche dell’arte, giornaliste, critiche, fotografe e tante altre figure femminili – oltre cento -, prevede la realizzazione di un ‘tondo’ di carta dal diametro di trenta/trentaquattro centimetri, in cui raccogliere impressioni, pensieri, volontà che sfociano verso ponti di libertà, un esplicito ‘urlo’ al diritto alla cultura e all’uguaglianza di tutte/i coloro che con sacrificio sopravvivono, ogni giorno, nelle angolazioni più disparate del Pianeta Terra. Anche in questa occasione, l’Arte si pone al fianco di chi con capacità e risolutezza è pronto a cambiare il proprio destino, le Donne, che sin dalla nascita devono meritare o meglio ritagliarsi uno spazio all’interno della società. Il ‘tondo’, in memoria dell’opera di Michelangelo Buonarroti (lo stemma araldico commissionato dal ricco mercante fiorentino Agnolo Doni, a simbolo della serenità familiare, realizzato all’inizio del Cinquecento, tuttora conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze), emula l’unione, la serenità e l’amore sacro, virtù che si oppongono alla violenza e ai soprusi culturali, fisici e politici: «Recluse, umiliate, violate, negate. Con il ritorno dei talebani, le donne afghane rischiano la vita ogni giorno per difendere i loro diritti. Molte donne hanno abbandonato il Paese, ma tante sono rimaste e si difendono come possono […] ». Un manifesto importante, quello che accompagna la mostra, un messaggio universale di libertà e di rispetto dei diritti umani, che rigirando su sé stesso, ‘nell’infinito circolare’, eliminando ogni discriminazione insidiosa e spigolosa, punta a ‘distese armoniose e solidali’, luoghi abitati da tolleranza e comprensione, quel ‘dove’ che fa della cultura il mezzo magico mediante cui i protagonisti delle favole sconfiggono il male, l’ignoranza e il pregiudizio. Quel ‘dove’ in cui le donne afghane, abbattute le frontiere geografiche e culturali, sono libere di edificare il proprio destino. Futuro che esige una realtà eretta sull’uguaglianza, la cui unica forma, il ‘tondo’, diventa per mano delle artiste espositrici, lo specchio affisso alle pareti della solidarietà, un ‘unicum’
che riflette sguardi e speranze di tutte le donne dell’Universo. La mostra, fortemente inclusiva, sarà impreziosita dall’installazione “Gabbia”, e le performances “Butterfly”, “Vedere attraverso”, “Il coraggio della Donna”, “Il Cerchio delle Madri Silenti”, “…non posso volare”, una serie di eventi che si concludono, con le letture sceniche di Evelina Schatz. L’esposizione, Cento artiste solidali con le donne afghane, presso la Galleria d’Arte Contemporanea, Scoglio di Quarto, sita in via Scoglio di Quarto 4, Milano, sarà visitabile dal 5 all’8 marzo, dalle ore 16 alle ore 20. Nunzia Giugliano Lorenzo Montoro protagonista a “Cinquanta x Mille” Lunedì 7 marzo torna l’appuntamento con “Cinquanta x Mille”, il progetto di solida-rietà pensato e realizzato dal cocktail bar “Cinquanta – Spirito Italiano” di Pagani (Sa). Dopo la prima serata con lo chef napoletano Francesco Sodano e quella con la chef stellata Marianna Vitale, questa volta toccherà allo chef sarnese Lorenzo Montoro de “Il flauto di Pan”, il ristorante stellato di Villa Cimbrone a Ravello. Il ricavato della cena di lunedì 7 marzo sarà devoluto all’associazione “XIA – Gibbs Italia”, Onlus che la ricerca, supporta le famiglie italiane che ricevono questa diagnosi e diffonde a li-vello nazionale la conoscenza di una Sindrome di cui, purtroppo, si sa ancora molto poco. L’obiettivo del progetto “Cinquanta x Mille”, infatti, è quello di raccogliere fondi at-traverso cibo di qualità realizzato da chef stellati, maestri pizzaioli, food bloggers ed influencer di spessore, con uno “special cocktail menù” creato ad hoc dai bar tender
di “Cinquanta”. Partner del progetto saranno i brand di Pernod Ricard, multinazionale leader nella fabbricazione e distribuzione di vini ed alcolici, e 2 realtà campane sinonimo di alta qualità, ovvero Casa Marrazzo, con i suoi prodotti conservieri, ed Armatore, con i sapori e profumi della Costiera Amalfitana. Lunedì 7 marzo ospite della serata sarà Lorenzo Montoro, chef stella Michelin origi-nario di Sarno, in provincia di Salerno, e famoso per essere lo chef de “Il flauto di Pan”, il ristorante stellato della meravigliosa Villa Cimbrone di Ravello. Lorenzo Montoro ha coltivato sin da piccolo la sua passione per la cucina iniziando bene a comprendere l’importanza delle materie prime e della tradizione campana, strutturandosi nel banqueting di importanti aziende del salernitano e di Paestum, af-finandosi poi nelle cucine degli alberghi di lusso della Costiera Amalfitana tra cui, il Santa Caterina di Amalfi. Entrato a far parte della brigata del “Rossellinis” di Palazzo Sasso diventa dopo poco, sous chef e braccio destro del bistellato chef Pino Lavarra, con cui ha collaborato per ben quattro anni. Alla ricerca costante della precisione e del miglioramento della tecnica, Montoro ha vissuto anche un’esperienza nella prestigiosa cucina di Enoteca Pinchiorri a Firenze prima di mettersi in mostra alla conduzione del ristorante Osteria Al Paese a Nocera Inferiore, dove si è fatto apprezzare da appassionati e professionisti gastronomi per la sua filosofia, la sua passione e il lavoro di ricerca, che trasmette appieno nei suoi piatti legati alla tradizione ed al territorio. Alla continua riscoperta di antichi e perduti sapori, si è anche dedicato all’azienda agricola di famiglia, nella zona incontaminata della sorgente del Sarno. Qui, grazie alla collaborazione di vecchi contadini che ne conservavano gelosamente le sementi, è stato possibile il recupero di una serie di qualità di ortaggi e vegetali dal gusto e dal sapore eccezionale, all’epoca abbandonati per motivi esclusivamente commerciali e di convenienza, in quanto difficili e molto poco produttivi. Con il progetto “Cinquanta x Mille”, quindi, il cocktail bar “Cinquanta – Spirito Italia-no” mette il “bar” al
centro del tessuto sociale in cui è inserito, non solo come luogo di aggregazione ma come un’autentica piattaforma al centro della società. “Cinquanta” vuole offrire drink e food di qualità ai propri commensali per garantire una migliore qualità della vita a tante altre persone che nel quotidiano hanno più difficoltà del solito. Anemone e Ortensia: sorelle dai caratteri interscambiabili di Stefano Mastrogiacomo Lo scorso week-end al Teatro delle Arti c’è stata offerta la possibilità di poter vedere uno spettacolo di Margaret Mazzantini , che ha come protagoniste due grandi attrici Nancy Brilli e Chiara Noschese. Lo spettacolo è intitolato “Manola”. Le due protagoniste interpretano il ruolo di due gemelle con caratteri completamente opposti, Nancy Brilli interpreta Anemone con un carattere estroverso, amante della vita, socievole con tutti, mentre Chiara Noschese dà voce a Ortensia, una ragazza caratterialmente chiusa con degli ideali diversi dalla massa, alcuni interessanti altri strambi ed altri assurdi, i quali certamente fanno di Ortensia una ragazza bizzarra. Le due gemelle hanno perso entrambi i genitori e credo sia stato anche questo a determinare i caratteri di quest’ultime. Inoltre, le due gemelle hanno un soliloquio parallelo con Manola una persona immaginaria alla quale le gemelle si rivolgono esprimendo tutti i loro pensieri o ideali e la loro vita sentimentale. Con questi soliloqui le gemelle cercavano di far capire agli spettatori questa grande
differenza di carattere. Infine, i caratteri delle due si scambiano a causa di un ragazzo definito inizialmente da Anemone un vero e proprio tossico, ma che poi Anemone inizia ad amare e si sposano e fu così che i ruoli si scambiarono. Personalmente, la figura di Ortensia la ritrovo in molti ragazzi di oggi che si sentono persi a causa delle famiglie separate oppure, anche, ultimamente, a causa di questa pandemia che ha sconvolto l’animo di molte persone chi in bene chi male. La figura di Anemone mi ha anche colpito poiché raffigura i ragazzi estroversi, egocentrici e con un‘anima piena di vita. Per me quindi, la morale è che nella vita non bisogna mai dare niente per scontato, nulla c’è dovuto per obbligo, tutto può cambiare ed i ruoli si possono invertire e non bisogna mai giudicare senza sapere, perché un giorno potrà capitare a te ciò che giudicavi prima una pazzia, com’è accaduto nello spettacolo. Credo che Chiara Noschese abbia interpretato benissimo il suo ruolo ed anche Nancy Brilli, inoltre Nancy Brilli ha anche animato e reso divertente lo spettacolo mentre Chiara Noschese ha anche animato lo spettacolo ma sempre rimanendo nei canoni del carattere chiuso. Le loro storie sono state abbastanza coinvolgenti e credo non abbiano annoiato i spettatori, che hanno applaudito entusiasticamente Due sorelle diverse ma unite di Benedetta De Concilio Sabato scorso è andato in scena, al Teatro delle Arti di Salerno, lo spettacolo “Manola” che ha visto quali protagoniste due importanti attrici: Nancy Brilli e Chiara Noschese. “Questo spettacolo nasce venticinque anni fa con un’amicizia tra Margaret Mazzantini, me e Sergio Castellitto”
-afferma l’attrice Nancy Brilli in un’intervista rilasciata poco prima dello spettacolo- la Mazzantini scrisse questo spettacolo per noi due, eravamo in scena lei ed io e la regia era la prima di Sergio Castellitto; ebbe un successo strepitoso per tre anni ma successivamente non si è più fatto. Quest’anno, io e Chiara, abbiamo chiesto a Margaret di riscrivere alcune cose, poiché questa lunga pausa l’abbiamo usata per capire se si sarebbero dovuti cambiare degli elementi, magari per rendere l’opera più moderna. Inoltre, questa seconda opera può essere considerata come un’evoluzione dell’omologo romanzo, tratto dallo spettacolo originale.” La storia racconta la vita di due sorelle gemelle, Anemone e Ortensia, le quali si detestano da sempre, fin da dentro la pancia della mamma. I continui contrasti sono dovuti specialmente da una netta differenza caratteriale: la prima è solare, allegra, positiva e conduce una vita spensierata, l’altra invece è l’opposto, è introversa, profonda ed è chiusa in sé stessa. Le uniche protagoniste dell’intero spettacolo sono queste due donne, le quali interagiscono molto poco tra loro perché l’opera si basa su singoli e profondi monologhi, ricchi di parole travolgenti, che mirano ad esprimere sostanzialmente la stessa realtà, ma raccontata da punti di vista molto diversi. In questo spettacolo le protagoniste, all’interno dei loro discorsi, chiamano sempre in causa Manola, elemento fondamentale che dà per l’appunto il nome all’opera, che in realtà non è in scena, non esiste, ma è qualcuno che loro nominano, a cui si rivolgono di volta in volta; questo personaggio può essere attribuito a diverse figure, ma probabilmente si riferisce a quella del pubblico, la quale attenzione viene appunto richiamata tramite questo pretesto. Ad un certo punto della loro vita avviene un incontro che cambierà l’esistenza di entrambe: l’incontro con un uomo del quale Ortensia si innamora follemente, ma che successivamente sposerà l’altra sorella. Questo avvenimento segna una svolta nella vita delle due gemelle in quanto, dopo il matrimonio, Anemone, perde tutta la sua solarità, la sua gioia, la sua spensieratezza nel vivere la vita e la sua
persona inizia ad evolversi sempre di più fino a diventare quello che sempre criticava della sorella Ortensia. Quest’ultima a sua volta cambia e inizia ad essere più libera e meno chiusa all’interno del suo mondo. Si può, dunque, dire che le due, durante lo svolgimento di tutta la storia, sviluppano il loro personaggio e in un certo senso invertono i loro ruoli assumendo atteggiamenti e qualità dell’altra che precedentemente giudicavano in modo negativo. Lo spettacolo si conclude con una breve parte dialogata tra le due gemelle le quali, nonostante appartengano a due mondi lontani e opposti, sono unite da un forte legame che supera qualsiasi avversità e che le fa essere una il sostegno dell’altra.
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