Piano di rilancio per il sistema universitario nel Sud Italia - Colmare il divario universitario tra nord e sud
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Piano di rilancio per il sistema universitario nel Sud Italia Colmare il divario universitario tra nord e sud G. Ambrosio, G. Comandini, F. Ghisi, F. Nasi, P. Sanna, D. Zaccagnino. Tutor: Prof. Giliberto Capano. 1
Indice Introduzione……………………………………………………………………………………3 Piano SudInnova……………………………………………………………………………..4 Rispettare la costituzione: il DSU e i suoi problemi……………………………11 Conoscenza in movimento……………………………………………………………….17 Più forti insieme: promuovere la federalizzazione del sistema universitario a livello regionale……………………………………………………….18 Appendice 1: testo della simulazione………………………………………………..23 Appendice 2: partenariati scuola lavoro…………………………………………..28 Appendice 3: corsi interateneo…………………………………………………….….35 Bibliografia………………………………………………………………………………….. 38 2
Introduzione La mobilità di circa 30000 immatricolati l’anno da meridione al nord, dovuta soprattutto al fatto che la mobilità interna al sud è quasi assente e alla inesistente attrattività opposta, causa un flusso netto di risorse nella stessa direzione stimato intorno al miliardo di euro all’anno (tasse, spese di soggiorno etc.). Le cause principali della mobilità sono dovute a: ● maggiore disponibilità di borse di studio ● migliore qualità della vita ● possibilità di spostarsi facilmente tra residenza e domicilio temporaneo ● qualità dell’offerta formativa ● prospettive lavorative Per fermare questa dinamica, che alimenta un circolo vizioso che altro non fa che aumentare i divari economici e socio-culturali all’interno dello Stato, presentiamo delle proposte in determinati ambiti “materiali”. Certamente la qualità della vita e la dimensione infrastrutturale nazionale non sono modificabili riformando il sistema universitario, e il grande impatto positivo che il miglioramento di questa ultima avrebbe sull’università non possiamo che sperare che arrivi dalle riforme collegate al NGEu. Partendo dall’incremento delle risorse da utilizzare in progetti condivisi da pubblico e privato, stimiamo gli effetti di determinate politiche sul benessere dell’istruzione terziaria in Italia. I temi principali sui quali si è lavorato sono: 1)Un piano di finanziamento universitario per lo sviluppo territoriale 2) Revisione del Diritto allo Studio Universitario 3) Mobilità accademica di ricercatori e professori 4) Federalizzazione tra atenei 3
Piano SudInnova Sostegno alle università del Sud tramite il finanziamento di progetti indirizzati allo sviluppo del territorio Ad una prima analisi, la necessità di aumentare significativamente le risorse a disposizione delle università del Sud passa per una modifica del FFO (fondo di finanziamento ordinario). Pur mantenendo ferma la necessità di accrescerne l’impatto grazie alle nuove risorse del NGEu, lo studio condotto dal nostro gruppo ha evidenziato come gli ambiti dove un più significativo intervento economico dovrebbero concentrarsi, sono altre. Dalla nostra analisi, il FFO non sembra infatti costituire un particolare elemento di accrescimento delle diseguaglianze tra Nord e Sud del paese. Il fatto che la maggior parte delle risorse venga assegnata al Nord è da attribuire ad una diseguaglianza di partenza che il FFO non tende a esacerbare o fomentare, ma semplicemente a confermare. Come dimostra il grafico sottostante, la grande maggioranza di università del Nord e del Sud condividono una percentuale molto simile di FFO. In numeri assoluti, poiché il Nord ospita più università, è chiaro che maggiori risorse vengono destinate al Settentrione, ma se paragonate alle singole università la differenza non è significativa. La differenza è significativa soltanto quando si parla dei super-atenei nella parte alta della tabella (Università di Bologna, Statale di Milano, Università di Padova, etc.). Quest’ultimi, grazie ad un'elevata popolazione universitaria e grazie agli indicatori utilizzati dal FFO che tendono a favorire i grandi centri, ricevono una più alta quantità di risorse rispetto alla media degli altri atenei. 4
Ancora una volta, la grande maggioranza di queste università è concentrata al Nord, con l’importante eccezione della Sapienza di Roma e della Federico II di Napoli. Se le distanze tra università del Nord e del Sud sono pregresse all’esistenza del FFO e quest’ultimo non ha un ruolo significativo nell’esacerbarne le diseguaglianze, pare allora evidente che l’ambito d’azione debba essere differente. La diseguaglianza tra università del meridione e del settentrione (soprattutto per quello che concerne la loro attrattività) sembra più essere legata al generale contesto economico-sociale, che va dalla difficoltà d’ingresso nel percorso universitario fino alla mancanza di prospettive lavorative una volta finito il suddetto. È chiaro che se il problema dello sviluppo economico e sociale del Meridione non viene affrontato, almeno tangenzialmente, anche nell’università, difficilmente si potrà costruire una seria politica di riavvicinamento tra università del nord e del sud. Per questa ragione il nostro gruppo ha elaborato un piano di investimenti indirizzato sia allo sviluppo delle università del Sud che allo sviluppo economico e sociale del Meridione chiamato SudInnova. La nostra politica prevede lo stanziamento di 77,4 miliardi di euro in 10 anni, di cui la metà versati dal pubblico (in aggiunta a quelli già previsti nel piano Sud 2030) e l’altra metà da enti privati (in cambio di vantaggi fiscali sul costo del lavoro nel breve termine e rassicurazioni sui vantaggi che ne otterranno nel lungo termine), per un totale di 3,87 miliardi all’anno immessi dallo stato. Questa cifra (che ad un primo impatto può apparire fin troppo considerevole, al punto da corrisponderebbe a più della metà del FFO) è giustificata dal fatto che tale politica non sarebbe indirizzata esclusivamente al mondo dell’istruzione e della ricerca, ma anche allo sviluppo economico della regione. Il fondo andrà infatti a finanziare 1000 progetti nel corso di 10 anni gestiti in partnership tra le università 5
del Sud e imprese locali, nazionali ed internazionali, indirizzati allo sviluppo infrastrutturale, industriale, commerciale, culturale e ambientale del territorio. TESTO ANALISI - di D. Zaccagnino 11/08/2020 SIMULAZIONE DI INVESTIMENTO PER LO SVILUPPO ECONOMICO NELL’ITALIA MERIDIONALE E NELLE ISOLE (il testo della simulazione è nella appendice n.1) Introduzione In questa simulazione si ipotizza che il Meridione nei prossimi anni sia soggetto ad un tasso di crescita economica negativo causato dall’emigrazione dei giovani, dall’aumento dell’età media della popolazione residente, dallo spopolamento e dalla desertificazione industriale. Approccio Si effettua una simulazione stocastica con durata pari a 30 anni dello sviluppo economico del Sud e delle Isole tramite l’andamento del PIL territoriale. Viene simulata l’immissione nell’economia di 77.4 miliardi in 10 anni per lo sviluppo di 1000 progetti con distribuzione scale-free. Viene calcolato l’impatto di ogni singolo progetto in termini di effetti diretti, indiretti primari e triggerati e con tempi di sviluppo distribuiti come nella realtà. I progetti devono essere diretti dai dipartimenti universitari del territorio con il supporto di imprese locali, nazionali ed internazionali che contribuiranno per il 50% del finanziamento. I progetti devono avere un impatto in termini di sviluppo infrastrutturale, industriale, commerciale, culturale, ambientale del territorio. Dati di partenza PIL Sud e Isole: 387 007 milioni di euro (2019 – ISTAT) 1)Budget totale: 77,4 miliardi di euro in 10 anni di cui il 50% finanziati dallo stato (circa 3.87 miliardi/anno) 2)1000 progetti distribuiti a legge di scala con esponente di scala 0.9 con budget minimo 1 milione di euro e massimo 400 milioni di euro. 3)Tendenza ad un calo del PIL medio di circa (0.4 +- 0.1) % annuo in assenza di interventi 4)A regime ogni progetto dovrebbe essere in grado di apportare annualmente un beneficio economico diretto medio pari al 5% della spesa necessaria per realizzarlo. Approssimazioni del modello: 1. Economia uniforme nel territorio; 2. Regime di sviluppo asintotico post-Covid. 6
Alcuni Risultati: Il budget ipotizzato, che introduce una immissione liquida pari al 2% del PIL territoriale ogni anno per 10 anni) è il minimo per garantire una inversione di rotta economica al Sud. L’investimento ipotizzato produrrebbe risultati apprezzabili dopo 10-12 anni dallo stanziamento dei primi fondi. Dopo 15-20 anni il PIL territoriale smetterebbe di scendere e dopo 18-20 inizierebbe ad aumentare sensibilmente. Limiti della simulazione: 1. Non tiene conto della disomogeneità territoriale (una analisi frattale sarebbe opportuna, ma anche molto più complicata); 2. Gli effetti di triggering sono estremamente variabili e imprevedibili; 3. Il modello è stocastico, fluttuazioni e scostamenti significativi sono sempre possibili, ma improbabili; Ottimizzazione Per massimizzare l’impatto degli investimenti si dovrebbero concentrare le risorse, minimizzando la distanza degli interventi dalle aree economicamente più vivaci e, allo stesso tempo, vincolando gli stessi ad un valore massimo di distanza dalle zone economicamente bloccate. Alcuni risultati grafici: 7
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I progetti per il programma di sviluppo del Sud e delle Isole devono essere opportunamente selezionati e, una volta avviati, costantemente monitorati nel loro svolgimento. PROCESSO DI ORGANIZZAZIONE E SOTTOMISSIONE Il progetto nasce su input di un ente territoriale (associazioni di cittadini, comunanze, consorzi, comuni, province, regioni …) che espone una necessità o un problema da risolvere nelle proprie pertinenze. La proposta deve essere compatibile con quanto richiesto dall’ente proponente, il quale indica espressamente e minuziosamente le condizioni che il progetto deve soddisfare. Un dipartimento universitario facente parte della stessa macro-area dell’ente proponente realizza un progetto in collaborazione con altri dipartimenti appartenenti ad una macroarea diversa dalla propria (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole). Il progetto deve essere inoltre supportato da un’impresa (azienda, multinazionale …) che esegua materialmente l’opera e sia in grado di sostenere un intervento economico pari al 50% del finanziamento al progetto. L’impresa va selezionata per concorso fra un numero limitato di candidate (< 10) individuate tramite un apposito software che sia in grado di discriminare in base alle caratteristiche strutturali del progetto (liquidità richiesta, numero di addetti disponibili richiesti, figure professionali richieste, …). Il progetto deve avere in allegato una tabella dei tempi massimi di conclusione di ciascuna fase che lo caratterizza. PROCESSO DI SELEZIONE La selezione degli interventi viene effettuata da un'apposita commissione tecnica. La commissione è composta da un numero variabile di esperti a seconda dei campi di interesse del progetto e di componenti incaricati di valutare l’impatto economico e sociale del progetto. Un componente qualificato garantisce la compatibilità del progetto con la richiesta dell’ente territoriale. La commissione viene composta causalmente attingendo a liste di professionisti nazionali ed internazionali selezionati che eseguono la valutazione accedendo ai soli dati strutturali della proposta. PROCESSO DI MONITORAGGIO Il garante della commissione di selezione effettua il finanziamento parziale al termine di ogni fase prevista dal progetto se e solo se i tempi vengono rispettati. Il denaro viene versato al dipartimento di riferimento, il quale viene supervisionato dai dipartimenti associati. Il dipartimento di riferimento garantisce il corretto svolgimento dei lavori. 9
GUADAGNI Il territorio vedrebbe innanzitutto risolta una problematica. Per quanto riguarda le Università, il denaro viene versato al dipartimento di riferimento, supervisionato dai dipartimenti associati. Gli atenei diventerebbero il fulcro del processo e potrebbero svolgere in modo migliore la terza missione. Infine, le imprese otterrebbero concessioni nel territorio sul quale si è operato per attività economiche, fino a che non rientrano nell’investimento e per ulteriori 5 anni. ESEMPI DI PROGETTI Settore infrastrutturale: ristrutturazione, ingrandimento, riorganizzazione o costruzione di ponti, strade a scorrimento veloce, miglioramento collegamenti ferroviari … Settore turistico: riqualificazione/ messa in sicurezza/ di grotte, coste, palazzi storici, … Settore ambientale: bonifiche, realizzazione di impianti di trattamento di rifiuti, rimozione amianto, impianti di depurazione delle acque, ottimizzazione delle risorse idriche, progetti di agricoltura sperimentale (anche OGM) … Settore commerciale/industriale: valorizzazione di prodotti locali, realizzazione di linee alta tensione, sistemi di sicurezza, … Settore servizi: miglioramento delle strumentazioni sanitarie, prevenzione e informazione sanitaria (studi statistici e test di massa per la caratterizzazione e diagnosi precoce di patologie), eli-ambulanze, dipartimenti tecnici (capitolo specifico per questo), potenziamento dei segnali radio-telefonici, miglioramento qualità della rete internet, Wi-Fi liberi … Settore energetico: sfruttamento di energia solare, geotermica, eolica, idrica e da biomasse per la conversione in energia elettrica, edilizia e mobilità verdi … VINCOLI PARTICOLARI Gli interventi di emergenza o di routine non possono essere considerati validi candidati, sono tuttavia accettabili se inseriti in un contesto progettuale con una visione a medio e lungo termine (secondo le valutazioni della commissione). 10
RISPETTARE LA COSTITUZIONE IL DSU E I SUOI PROBLEMI Il Diritto allo Studio Universitario è attualmente regolato dal DECRETO LEGISLATIVO 29 marzo 2012, n. 68. in attuazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione, che detta norme finalizzate a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l'uguaglianza dei cittadini nell'accesso all'istruzione superiore e, in particolare, a consentire ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi. La competenza della definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione è nelle mani dello Stato, ma le regioni esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per il concreto esercizio di tale diritto (art.3 comma 2, D.lgs. 29 marzo 2012, n. 68). I servizi sui quali si interviene con il suddetto decreto sono: a) servizi abitativi; b) servizi di ristorazione; c) servizi di orientamento e tutorato; d) attività a tempo parziale; e) trasporti; f) assistenza sanitaria; g) accesso alla cultura; h) servizi per la mobilità internazionale; i) materiale didattico; l) altri servizi. La condizione economica del richiedente è valutata tramite l’ISEE (indicatore della situazione economica equivalente, art.8 comma 3). Il metodo di calcolo dell’ISEE è stato modificato nel 2015 e ha prodotto, come vedremo, risultati non in linea con una politica di avvicinamento degli studenti alle università, specialmente al sud. L'art. 1, co. 252-267, della L. 232/2016, ha integrato tale disciplina, introducendo la c.d. no-tax area. Tale articolo prevede l’esonero dal pagamento delle tasse universitarie per gli studenti che soddisfano congiuntamente i seguenti requisiti: a) appartengono ad un nucleo familiare con ISEE fino a € 13.000 (aggiornamento “Decreto Rilancio: la soglia minima ISEE è stata alzata a €20.000). b) sono iscritti all'università da un numero di a.a. inferiore o uguale alla durata normale del corso di studio, aumentata di uno; c) nel caso di iscrizione al secondo a.a., hanno conseguito almeno 10 crediti formativi universitari (CFU) entro il 10 agosto del primo anno; nel caso di iscrizione ad anni successivi, hanno conseguito almeno 25 CFU nei 12 mesi antecedenti il 10 agosto dell'a.a. precedente la relativa iscrizione. Ai fini dell'esonero, gli studenti iscritti al primo a.a. devono soddisfare solo il requisito relativo all'ISEE. Coloro i quali rientrano in questa casistica si vanno ad aggiungere a chi rientra nelle fattispecie considerate dall'art. 9 del d.lgs. 68/2012 11
(studenti con disabilità con invalidità inferiore al 66%; studenti che concludano gli studi entro i termini previsti dai rispettivi ordinamenti con regolarità nella acquisizione dei crediti previsti nel piano di studi; studenti che svolgano una documentata attività lavorativa) Nel caso degli studenti iscritti al primo anno, viene valutata solo il requisito economico. Inoltre, per gli studenti che appartengono ad un nucleo familiare il cui ISEE è compreso tra € 20.000 e € 30.000, e che soddisfano i requisiti di cui alle precedenti lett. b) e c), il contributo non può superare il 7% della quota di ISEE eccedente € 13.000. Le borse di studio hanno una fortissima influenza sul tasso di abbandono universitario degli studenti che ne possono fare richiesta. Una ricerca svolta sugli studenti richiedenti borse di studio il primo anno (in modo che non rientrino fattori legati al merito accademico, e dato il fatto che la maggior parte degli abbandoni avviene entro la fine del primo anno) mostra che il tasso di abbandono da parte degli studenti a basso reddito cala di 2,7 punti percentuali rispetto a come sarebbe se questi non ricevessero il sussidio. L’impatto è inoltre eterogeneo: non fa differenze sul genere, ma ha meno impatto su studenti provenienti da licei, sugli studenti del centro-nord (senza borse di studio il tasso passerebbe da 7,2% a 8,5%, mentre al sud da 6,5% a 10,7%) e sugli studenti che hanno una carriera accademica pregressa di ottima qualità. Il sistema attuale, oltre ad essere sottofinanziato, ha dei problemi strutturali. Per quanto concerne le borse di studio, dall’inizio di questo decennio il grado di copertura rispetto agli idonei è aumentato da meno del 70% nel 2011/12 al 95,7% nel 2016/17. Nell’ultimo biennio la copertura è stata sostanzialmente completa nel Nord e nel Centro; nel Mezzogiorno, nonostante un forte aumento, essa rimane all’ 88,8 % (ANVUR 2018). Ci proponiamo di migliorare i meccanismi di copertura degli studenti a livello nazionale e un ampliamento della platea degli idonei alla richiesta tramite le seguenti azioni · Revisione del metodo di calcolo dell’ISEE · Revisione del finanziamento delle borse di studio · Riportare alcune responsabilità del DSU allo Stato ISEE, UNA RIFORMA CHE HA AVUTO EFFETTI NEGATIVI 12
Per essere idonei all’ottenimento delle borse di studio e gli esoneri fiscali, si deve rientrare dentro valori di ISEE e ISPE fissati dalle regioni (o università, se delegate) entro un limite minimo e massimo stabiliti da DPCM e aggiornati annualmente dal MIUR. Per calcolare l’ISEE sono necessari l’ISR (indicatore della situazione reddituale) e l’ISP (indicatore situazione patrimoniale). La somma dell’ISR e del 20% dell’ISP ci fornisce l’ISE. L’ISEE altro non è che il quoziente tra l’ISE e il VSE (Il Valore della scala di equivalenza è il parametro relativo alla famiglia e viene desunto in base al numero dei componenti la famiglia convenzionale). L’ISPE, secondo la stessa logica, è il quoziente tra ISP e VSE. La riforma ISEE del 2015 ha avuto come effetto una marcata riduzione del numero degli idonei e richiedenti alle borse di studio. Le principali novità riguardano la componente patrimoniale (quella immobiliare è aumentata mediamente del 64%, quella mobiliare del 108%), che viene calcolata attraverso il valore catastale ai fini IMU, che è superiore del 60% rispetto a quello previgente ai fini ICI. La franchigia viene innalzata per tutti, ulteriormente per chi pure ha un mutuo residuo o vive in affitto. Positiva la valutazione maggiore all’aumentare dei componenti familiari. Lo scopo, lecito e raggiunto, ha però avuto due conseguenze: - una ottima, l’emersione di tanto patrimonio non dichiarato - una controproducente, il calo del 9,6% delle domande di borsa di studio l’anno successivo la riforma e il calo della platea degli idonei. Tra gli enti in possesso del dato sugli esclusi, alla suddetta variazione della domanda ha corrisposto una riduzione degli idonei alla borsa di studio quasi doppia, del 15,9%. Ma il dato è eterogeneo a seconda delle università prese in considerazione. Le regioni che hanno fissato i valori ISEE e ISPE vicini al massimo previsto dal MIUR hanno osservato un calo molto meno marcato rispetto a quelle che hanno fissato il valore minimo possibile. Per esempio, la variazione tra anno pre e post riforma ha visto Venezia ridurre gli idonei del 26% con una soglia ISPE di appena 27.560 euro. La riduzione è stata molto forte anche negli altri enti con soglia ISPE contenuta come Cagliari, Sassari e Calabria. Degli studenti che hanno presentato domanda in entrambi gli anni, il 72% è risultato comunque idoneo alla borsa di studio. Una minoranza, il 4%, è risultato idoneo nel 13
2015 e non lo era l'anno prima. Ma il 16% degli studenti che risultavano idonei prima della riforma ha visto cambiare il proprio status l’anno dopo. Il 40% di questi deve il cambiamento a motivi strettamente economici e non amministrativi: quasi tutti non erano compatibili con la soglia ISPE (l’87% di questo 40%) Nel Maggio del 2016 le soglie sono state alzate dal MIUR, ma non tutti le regioni si sono adattate. Simulando che tutte le regioni avessero posizionato i livelli ISEE e ISPE alla soglia massima del MIUR, si nota che la platea di possibili beneficiari sarebbe molto maggiore, con una riduzione del 5% minore rispetto a quella accaduta. Simulando invece l’eliminazione del requisito ISPE nella presentazione delle richieste, accompagnata da un aumento della soglia ISEE a circa 21000€, notiamo un recupero consistente dei borsisti persi con la riforma. La direzione intrapresa nel “Decreto Rilancio” fa un passo verso questa direzione, ma mantiene la soglia ISPE. CHI FINANZIA LE BORSE DI STUDIO? Le borse di studio sono attualmente finanziate tramite un triplice meccanismo, come si evince dall’ l'art. 18 del d.lgs. 68/2012, comma 1: · Dal Fondo Integrativo Statale (FIS) per la concessione di borse di studio, da distribuire in modo proporzionale al fabbisogno delle regioni. A ogni regione viene dato ogni anno minimo l’80% della somma ricevuta l’anno precedente. Maggiori risorse vengono date alle regioni che finanziano più borse di studio, mobilità internazionale e attività part-time (fattori che riteniamo troppo legati alla situazione socio-economica di un territorio per essere parametro di valutazione). Il budget stimato per il triennio 2020- 2022 è di circa 267 mln annui · Dal ricavato della tassa regionale per il diritto allo studio, determinato in 3 fasce di ISEE: la minima è di 120€, a seguire 140€, 160€ e un massimo di 200€. Al 2017 era ancora la componente maggioritaria del finanziamento delle borse di studio. · Da risorse regionali in misura non inferiore al 40% di quelle ottenute dal FIS Le differenze rispetto al resto dell’Europa sono marcate. Nel 2014 lo Stato e le regioni hanno finanziato le borse di studio con 282mln di euro, cifra risibile rispetto a 14
Germania (2,82 mld), Francia (2,04mld) e Spagna (1,45 mld). Si stimava nel 2014 che con circa 600 mln si sarebbe coperto il 95% delle richieste di borse di studio, cosa che effettivamente è successa nel 2017, ma, come precedentemente detto, con un divario nel meridione da colmare. Una delle cause è sicuramente riscontrabile nel meccanismo di finanziamento del FIS, che produce effetti premiali cumulativi, sostenendo e alimentando i processi di spesa più intensi senza compensare il divario con le regioni in ritardo. Proposte di soluzione La nostra proposta inizia con una decisione che va contro la direzione che ha intrapreso la nostra società oggi: riportare alcune delle competenze del DSU in mano allo Stato. La nostra scelta ricade sul finanziamento dei trasporti e del materiale didattico. Nel primo caso, pensiamo a un abbonamento uguale a livello nazionale per tutti gli studenti, utilizzabile nei giorni feriali, che abbia un prezzo correlato alla fascia ISEE nella quale si trova il richiedente. Questa azione è necessaria e urgente per l’aumento del numero degli studenti pendolari negli ultimi anni, destinato possibilmente a un aumento ulteriore in seguito alla razionalizzazione accademica che presentiamo con la “federalizzazione” regionale degli atenei. Pensiamo a un eventuale sussidio da parte dello Stato alle aziende private danneggiate, che vada a coprire una percentuale dei mancati introiti. Nel secondo caso, pensiamo a un voucher digitale sulle orme del “Bonus Docenti”, ottenibile se collocati sotto il limite ISEE, da utilizzare per l’acquisto del materiale didattico e degli strumenti digitali utili, attualmente esclusi. COME ACCEDERE? Lo Stato deve tornare titolare del finanziamento delle borse di studio. La troppa disparità di finanziamento regionale in Italia causa differenze di copertura dei borsisti troppo marcate. Il rapporto di finanziamento delle borse di studio tra Stato e regioni deve essere almeno di 85 a 15. Questo significa naturalmente che parte dei finanziamenti che oggigiorno vengono trasferiti da Stato a regioni dovranno essere trattenuti centralmente, e che queste dovranno assecondare le soglie minime e massime imposte dal MIUR. Inoltre, la graduatoria dei richiedenti dovrà essere nazionale, in modo che gli studenti non vengano penalizzati a seconda della regione dalla quale avanzano la richiesta. 15
Invitiamo un ripensamento dell’indicatore patrimoniale. Il patrimonio immobiliare non è strettamente collegato con l’ISR ed elimina dalla platea dei richiedenti troppi studenti e famiglie. Invitiamo a monitorare attentamente il VSE, che potrebbe progressivamente perdere efficacia vista la sempre minore presenza di “famiglie tradizionali”. È importante capire che non si tratta solo di welfare, ma di investimenti produttivi. Si pongono in essere misure per evitare l’esclusione sociale formare il capitale umano dal quale ci aspetta valore aggiunto nel tempo. 16
Conoscenza in movimento Mobilità accademica La mobilità accademica in Italia ha un flusso unidirezionale dal sud verso il nord. Questo comporta un vuoto nel capitale umano all’interno delle istituzioni difficilmente da colmare, oltre che un calo dei finanziamenti per una peggiore performance in ottica di valutazione e una didattica meno efficace di come potrebbe essere. Per attrarre un maggiore numero di ricercatori e professori nelle 8 regioni del Mezzogiorno, proponiamo che i contratti per ricercatori giovani e professori provenienti da altre macroaree (nazionali e internazionali) godano di un sistema fiscale favorevole (-30% sulle imposte sul lavoro). I contratti con decurtazione della tassazione saranno vincolanti per un numero di anni pari a 5 per i professori. I ricercatori con contratto a tempo determinato triennale (estendibile a 5 come previsto dalla legge 240 del 2010 articolo 24, comma 3, lettera a.) e i ricercatori con contratti triennali non rinnovabili, al termine dei quali è possibile accedere direttamente al ruolo di Professore di II fascia (se in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, e a seguito di valutazione positiva dell’ateneo, come previsto dall’articolo 24, comma 3, lettera b, della Legge 240 del 2010), beneficeranno della decurtazione per 5 anni. I ruoli saranno offerti tramite bando, le candidature giudicate da una commissione interna comprendente anche i responsabili di dipartimento. Le università presenteranno i ruoli di ricerca con chiara spiegazione del piano operativo previsto. 17
Più forti insieme. Promuovere la federalizzazione del sistema universitario a livello regionale per una maggior competitività sul mercato dell’educazione I. Premessa Il divario universitario tra Nord e Sud è legato alla difficoltà degli atenei del Meridione di competere nel mercato nazionale e internazionale dell’educazione. Da una parte, questa fragilità è dovuta al differente tessuto socioeconomico del territorio in cui gli atenei sono situati (vedasi prima proposta), dall’altra parte al fatto che gli atenei del Sud sono spesso semplicemente troppo piccoli e con troppe poche risorse per ottenere visibilità nazionale e internazionale o per attrarre fondi per la ricerca, assieme a studenti e personale accademico. In un mercato dell’educazione e della ricerca sempre più competitivo e che privilegia sempre di più i grandi atenei (come testimoniato in Italia dal successo delle grandi università di Bologna, Milano, Napoli (Federico II) e Roma (La Sapienza)) una strategia che è necessario adottare per diminuire il divario tra Nord e Sud del paese è intervenire sul sistema della governance universitaria del Sud e dell’intero paese, promuovendo tramite incentivi e interventi legislativi la federalizzazione su base regionale degli atenei. E’ necessario che le università all’interno di una singola regione o gruppi di regione condividano una stessa infrastruttura istituzionale per prendere alcune decisioni di carattere comune e per razionalizzare il proprio lavoro: in questo modo possono essere eliminati corsi di laurea superflui al fine di potenziare la didattica e la ricerca su unico ateneo che diventa specializzato in quel settore; si possono presentare meno ma più valide candidature a progetti di ricerca mettendo insieme le forze tra vari atenei; si può investire in ricerche più ambiziose grazie alla maggiore quantità di fondi a disposizione; si può favorire una più agevole mobilità tra ricercatori, personale accademico e studenti tra un’istituzione e l’altra; si può attrarre con maggiore facilità studenti sia da altre parti del paese che dal resto del mondo. II. California Dreaming Un cambiamento del genere, ambizioso quanto necessario, richiede però un’adeguata infrastruttura istituzionale che sappia allo stesso tempo fare da collante tra i vari atenei e non essere eccessivamente invasiva, perché correrebbe il rischio di non essere accettata poiché non coincidente con la legittima volontà di autonomia degli atenei. Per questo è necessario fornire gli incentivi necessari affinché soprattutto i piccoli atenei si uniscano tra di loro, senza pretendere che grandi realtà come Bologna, Milano o Roma rinuncino alla propria autonomia. L’obiettivo è quello di dare vita, seguendo il modello americano della University of California, ad un unico governo inter-ateneo che non abbia un mero ruolo consultivo (come potrebbe essere nel caso 18
del Council of Instutes of Technology in India) ma chiari poteri decisionali e che sia gerarchicamente più in alto dei singoli atenei che lo compongono, così come nei paesi federali gli stati, seppur con grandi autonomie, rimangono a un livello inferiore rispetto al governo nazionale. Il modello californiano è, da questo punto di vista, un ottimo esempio da seguire. La University of California è infatti un’unica università con 10 sotto-atenei (Berkeley, Davis, Irvine, Los Angeles, Merced, Riverside, San Diego, San Francisco, Santa Barbara, Santa Cruz). Ogni ateneo/campus ha grande autonomia, ma fanno tutti riferimento all’unico governo centrale composto da un President of the University, un Board of Regents e un Academic Senate. Con alcune modifiche (soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle competenze e la differente composizione degli organi di governo) è questo il modello che le nostre università più piccole dovrebbero seguire, federandosi a livello regionale e dando vita a veri organi decisionali interateneo che da questo momento chiameremo Direttivi. Per evitare che questo nuovo livello istituzionale si traduca in un ulteriore appesantimento burocratico e amministrativo è necessario che i Direttivi abbiano una composizione numericamente ristretta e poche ma ben definite mansioni. III. La composizione del Direttivo Il Direttivo è l’organo decisionale della federazione interateneo regionale, che prende il nome di “Università de + regione di appartenenza.” Ciò significa che, nel caso che le università calabresi (Mediterranea, UniCal e Catanzaro) decidessero di federarsi, il Direttivo sarebbe l’organo esecutivo dell’Università della Calabria, il nuovo ente giuridico sotto il quale continuerebbero ad esistere le tre università calabresi. Il Direttivo è composto da: -Rappresentati del Senato Accademico di ogni ateneo -Rappresentanti del Consiglio di Amministrazione di ogni ateneo -Membri votati congiuntamente dal Senato Accademico e dal Consiglio di Amministrazione di ogni ateneo ma esterni a quest’ultimo. -Un Presidente di Direttivo votato dai membri del Direttivo ed esterno ad ognuno degli atenei facenti parte della federazione. Al fine di rendere più semplice il processo decisionale, i presidi e i rappresentanti dei vari dipartimenti non devono essere coinvolti nei Direttivi. Il numero di rappresentanti appartenenti al Senato accademico o al Consiglio di amministrazione delle università varia in base alla popolazione studentesca universitaria secondo quanto riportato nella seguente tabella: Numero Numero Numero Numero Numero studenti Numero eletti studenti rappresentanti studenti rappresentanti del dell’Ateneo dal Senato dell’Ateneo del Senato dell’Ateneo Consiglio di Accademico e Accademico Amministrazione dal Consiglio di Amministrazion e 19
Da 0 a 1 Da 0 a 1 Da 0 a 10.000 3 10.000 20.000 Da 10.001 a 2 Da 20.001 a 2 Da 10.001 a 4 20.000 45.000 20.000 Da 20.001 a 3 Da 45.001 in 3 Da 20.001 a 5 35.000 poi 35.000 Da 35.001 a 4 Da 35.001 a 6 60.000 60.000 Da 60.001 in 5 Da 60.001 in poi 7 poi: Una volta riunitosi, il Direttivo elegge con mandato biennale un Presidente del Direttivo. Quest’ultimo non deve avere svolto, negli ultimi 10 anni, alcun lavoro di durata superiore a 6 mesi in nessuna degli atenei partecipanti. Il Presidente ha il compito di coordinare i lavori del Direttivo e di rappresentarla nelle sedi istituzionali e con il mondo esterno. Il Presidente del Direttivo sceglie un vicepresidente per ogni ateneo rappresentato. Egli può delegare qualsiasi altro membro del Direttivo a ricoprire ruoli di responsabilità su determinati settori policy (tassazione, ricerca, organizzazione dei corsi etc) previo voto favorevole da parte del Direttivo: in questo modo, il membro con delega entra nel Gabinetto del Presidente Ogni voto, inclusa l’elezione dei delegati, deve avvenire con maggioranza qualificata di 3/5 su tutti gli argomenti di sua competenza. L’unica eccezione è il voto sul Presidente, per il quale è richiesto una maggioranza qualificata di 2/3. IV. Le competenze dei Direttivi Le aree di competenza del Direttivo sono: -Elaborazione di un unico bilancio interateneo. -Organizzazione dell’offerta formativa: corsi di laurea triennale, magistrale, a ciclo unico e di dottorato, con il fine di cercare di limitare i cosiddetti “doppioni” e di concentrare le forze per creare centri specialistici di maggiore qualità e, di conseguenza, dotati di maggior poter attrattivo -Organizzazione della ricerca e gestione coordinata di bandi ed investimenti -Branding universitario e pubblicizzazione degli atenei in Italia e all’estero. -Organizzazione di eventi e iniziative culturali interateneo 20
V. Il ruolo dello stato Il decisore pubblico deve supportare la nascita dei Direttivi e della federazione interateneo tramite: 1) L’approvazione di una legge ad hoc che vada a modificare l’attuale sistema di governance inserendo la possibilità di creare Direttivi regionali per gli atenei che lo vorranno. Crediamo infatti che un cambiamento così significativo nell’organizzazione della Governance universitaria non possa essere imposto dall’alto, a livello ministeriale, ma che debba essere un’iniziativa voluta dagli stessi atenei. Se infatti questa volontà sarà assente, difficilmente i Direttivi riusciranno ad essere governi efficaci, produttori di progetti e politiche, e ben presto si riveleranno essere l’ennesimo farraginoso corpo burocratico che rallenta e soffoca il sistema, 2) La garanzia di un supporto tecnico e amministrativo, con personale competente e informato che possa accompagnare gli atenei nell’istituzione dei direttivi e nel delicato processo di federazione. 2) L’erogazione di ingenti risorse economiche. La nostra proposta è di aggiungere uno stanziamento calcolato sulla somma della popolazione universitaria (studenti più personale docente e ricercatore) degli atenei facenti parte del consorzio universitario regionale. Questo stanziamento potrà essere speso esclusivamente per misure approvate dal Direttivo, e che quindi riguarderanno tutti gli atenei. La logica del finanziamento è di aumentare la quantità di denaro erogato con il diminuire della popolazione universitaria in modo gli atenei più piccoli siano maggiormente stimolati a federarsi. Il finanziamento sarà ripartito secondo le seguenti formule. -Se la popolazione studentesca è inferiore a 10.001 unità: (N. popolazione studentesca x 500) + (N. personale docente e accademico x 1000) -Se la popolazione studentesca è tra le 10.001 e le 20.000 unità: (N. popolazione studentesca x 400) + (N. personale docente e accademico x 1000) -Se la popolazione studentesca è tra le 20.001 e le 35.000 unità.: (N. popolazione studentesca x 300) + (N. personale docente e accademico x 1000) -Se la popolazione studentesca è tra le 35.001 e le 60.000 unità: (N. popolazione studentesca x 200) + (N. personale docente e accademico x 1000) -Se la popolazione studentesca è dalle 60.000 unità in su: (N. popolazione studentesca x 150) + (N. personale docente e accademico x 1000) Ora, prendiamo ad esempio l’eventuale Direttivo dell’Università della Calabria, composta da: -Università della Calabria (25.915 studenti più 1097 personale docente e accademico) -Università degli studi di Catanzaro - Magna Grecia (10.383 studenti più 510 personale docente e accademico) -Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria (5.289 studenti più 391 personale docente e accademico) 21
In base alle formule sopra elencate, alla Giunta regionale della Calabria dovrebbe spettare annualmente (sia per il suo mantenimento amministrativo che per le iniziative da promuovere): Parte studenti: (25.915 x 300) + (10.383 x 400) + (5.289 x 500) = 13.222.220 Parte docenti/personale accademico: (1998 X 100) = 1.998.000 Totale: 15.220.200 euro, Ciò significa circa il 5,3 % sui totali dei proventi delle singole università, che ammonterebbe a circa 280.000.000 (il bilancio preventivo dell’Università Mediterranea non è stato reperibile) Facendo una media della popolazione studentesca e del personale accademico e docente, il finanziamento annuale massimo per questa misura dovrebbe ammontare a: (1.499.561 X 300) + (84.111 x 1000) = 458.279.400 euro E’ importante però precisare che difficilmente il totale di questa somma andrà speso, visto che sono gli atenei più piccoli ad essere avvantaggiati dalla federalizzazione e non il totale delle università italiane. VI. Fattori di criticità rilevati: -La misura nasce con il fine di ridurre il divario universitario tra Nord e Sud del paese. Eppure la misura è applicata uniformemente a livello nazionale. Per quale motivo? La ragione risiede nel fatto che, essendo soprattutto le università del Sud e del centro quelle più piccole e poco competitive, sarebbero proprio queste ultime a beneficiare positivamente della riforma della governance e dell’istituzione della giunta, rispetto ad altre regioni del Nord dove grandi centri come Bologna, Padova, Milano o Torino potrebbero non vedere positivamente il loro ingresso in organi istituzionali più complessi che ne limitino l’autonomia. -Gli incentivi economici potrebbero non essere sufficienti per trasformare la federalizzazione in realtà. In questo caso, sarebbe necessario aprire un tavolo con i rappresentanti delle singole università per meglio capire bisogni e necessità e stanziare una somma di denaro appropriata. 22
APPENDICE 1: IL TESTO DELLA SIMULAZIONE Linguaggio di programmazione: MATLAB, si può adattare anche a Python % Questo programma simula l'impatto di progetti di sviluppo distribuiti % secondo una legge di scala su un territorio strutturalmente omogeneo. % Pulizia preliminare clc; close all; clear; workspace; %PARAMETRI GENERALI PIL = 387007; % milioni euro anno per Sud ed Isole (2019) budget = 77400; % milioni di euro in 10 anni (di cui 0.5 statali) - 0.02PIL durata_progetto = 10*4; % trimestri (unità temporale trimestre) durata_simulazione = 30*4; % Generazione dei progetti con distribuzione di scala con esponente alpha % assegnato il budget annuale di spesa sum = 0; while (sumbudget) % deve essere speso >0.98stanziamento numberOfRandoms = 1000 % numero di progetti 10 anni x = 1: 0.01 : 400; % costo del singolo progetto da 1 a 200 milioni alpha = 0.9; xMin = min(x); inversePowerLawPDF = ((alpha-1) / xMin) * (x/xMin) .^ (-alpha); % CDF inversePowerLawCDF = cumsum(inversePowerLawPDF); % Normalizzazione inversePowerLawCDF = inversePowerLawCDF / inversePowerLawCDF(end); % Generazione di numeri random uniformemente distribuiti uniformlyDistributedRandomNumbers = rand(numberOfRandoms, 1); for k = 1 : length(uniformlyDistributedRandomNumbers) 23
nearestIndex = find(inversePowerLawCDF >= uniformlyDistributedRandomNumbers(k), 1, 'first'); inversePowerLawDistNumbers(k) = x(nearestIndex); end % Plot the Inverse Power Law distributed numbers. subplot(1,2,1); bar(inversePowerLawDistNumbers, 'BarWidth', 1); xlim([0 numberOfRandoms]); caption = sprintf('%d Inverse Power Law Distributed Numbers', numberOfRandoms); xlabel('Element Number'); ylabel('Value'); % Get histogram of Inverse Power Law distributed numbers. [countsR, binsR] = hist(inversePowerLawDistNumbers, 30); subplot(1,2,2); bar(binsR, countsR, 'BarWidth', 1); grid on; caption = sprintf('Histogram of %d Inverse Power Law Distributed Numbers', numberOfRandoms); xlabel('Value'); ylabel('Count'); sum = 0; for i=1:numberOfRandoms sum=sum+inversePowerLawDistNumbers(i); end end progetti = inversePowerLawDistNumbers; % Lista progetti approvati con budget %PARAMETRI DI EVOLUZIONE STOCASTICA % 1) TEMPO DI PARTENZA DEL PROGETTO DAL MOMENTO DELL'APPROVAZIONE starting_time = []; for j = 1:numberOfRandoms if (progetti(j))
elseif (progetti(j))>=10 & (progetti(j))=50 & (progetti(j))=100 & (progetti(j))
% EVOLUZIONE TEMPORALE ptguadagno = []; for t = 1:1:durata_simulazione % Simulazioni con cadenza trimestrale for j = 1:numberOfRandoms/10 %Divido per 10 per motivi computazionali esponente_trigger = normrnd(1.2,0.3,[1,1]) trigger = heaviside(t-(starting_time(j)+app(j)+take_off(j)))*(((t- (starting_time(j)+app(j)+take_off(j)))/12)^esponente_trigger)*asintoto(j) ptguadagno(t,j)= heaviside(t-(starting_time(j)+app(j)- take_off(j)))*asintoto(j)*(1-exp(-((t-(starting_time(j)+app(j)- take_off(j)))/(take_off(j)))))+trigger end end guadagno = []; for t = 1:1:durata_simulazione guadagno(t) = 0 for j = 1:numberOfRandoms/10 %Divido per 10 per motivi computazionali guadagno(t) = guadagno(t) + ptguadagno(t,j) end end evoluzione = []; tendenza = []; clock = 1 for t = 1:1:durata_simulazione evoluzione(t) = PIL + (PIL*normrnd(-0.001,0.0002,[1,1]))*t+ 10*guadagno(t) tendenza(t) = PIL + (PIL*normrnd(-0.001,0.0002,[1,1]))*t + (PIL*normrnd(- 0.0000008,0.00000002,[1,1]))*t^2 end tempo = [1:1:durata_simulazione] plot (2021+tempo/4,evoluzione/1000,'black') hold on plot (2021+tempo/4,tendenza/1000, 'red'); 26
xlabel('tempo (anno)'); ylabel('PIL (miliardi euro)'); title('Andamento Sviluppo Economico Simulato (Sud ed Isole)'); hold off 27
APPENDICE 2: LA TERZA MISSIONE È LA PRIMA MISSIONE Miglioramenti e valorizzazione dei partenariati università-aziende (apprendistati di alta formazione e ricerca) Come detto, le prospettive lavorative sono una delle principali cause della mobilità degli studenti dal meridione al centro-nord. La direzione scelta dal governo con l’art. 27 del “decreto Agosto” mira proprio alla creazione di posti di lavoro e attrarre investimenti al sud, e riteniamo auspicabile avere un bacino di studenti già con esperienza nel mondo del lavoro. I partenariati tra Università e Impresa, ai quali facciamo riferimento, sono soprattutto i contratti di apprendistato di alta formazione e ricerca regolati dall’art. 45 del D. Lgs. 81/2015 Una delle grandi critiche che viene fatta all’università è quella di non formare i propri iscritti al mondo del lavoro. Corretta o meno, scatta nella testa dei futuri possibili studenti la logica “studiare o meno non cambierà il mio futuro, a quel punto inizio direttamente a cercare lavoro”. In un’Italia divisa lungo la linea Nord-Sud, questo fenomeno esiste specialmente nel mezzogiorno, dove la disoccupazione giovanile è altissima e la percentuale di ragazzi non laureati molto superiore alla media nazionale ed europea. Riteniamo che la rinascita della forza attrattiva dell’università non possa prescindere da un consolidamento delle partnership tra questa e il settore produttivo aziendale del territorio. Se i ragazzi vedessero con concreto il legame tra studi e lavoro, ricomincerebbero a considerare l’università come un percorso conveniente, ricominciando a immatricolarsi e alimentando un circolo virtuoso di crescita del capitale economico e umano. Ma il fattore più interessante è che a beneficiare dello sviluppo delle partnership sarebbero sia gli studenti che le aziende e gli atenei, una win-win situation che dovrà necessariamente essere più presente nel panorama della formazione terziaria. Come evidenzia Assolombarda con la presentazione del report CRUI 2018, con le partnership università e aziende raggiungono obiettivi diversi. “Le aziende che intraprendono collaborazioni di vario tipo con le università nell’àmbito dell’attività didattica possono essere spinte da motivazioni differenti. L’analisi dei casi ha confermato da parte delle aziende gli obiettivi emersi nella precedente rilevazione: • Employer branding: farsi conoscere e affermare la propria reputazione come datore di lavoro presso pubblici diversi di studenti, quali futuri potenziali collaboratori; • Orientamento: contribuire a orientare le scelte professionali degli studenti a partire 28
da azioni informative sulle caratteristiche e i contenuti delle diverse professioni presenti in azienda, nonché dei settori e dei contesti organizzativi entro i quali possono trovare spazio; • Recruiting: anticipare la prima fase del processo di selezione intercettando i potenziali candidati quando non hanno ancora terminato il percorso di studi. Il ‘muoversi in anticipo’ consente alle imprese di entrare in contatto con un numero superiore di potenziali candidati tra i quali identificare più facilmente chi possiede le caratteristiche culturali e attitudinali più adeguate ai bisogni aziendali; • Accesso a conoscenza e innovazione: costruire insieme agli studenti e ai docenti nuova conoscenza e sviluppare idee innovative applicabili in azienda; • Motivazione delle risorse interne: sostenere la motivazione delle proprie risorse, dando loro l’opportunità di sperimentarsi in ruoli e in ambiti diversi da quelli in cui usualmente mettono a frutto le proprie competenze professionali; • Responsabilità sociale d’impresa: rispondere al dovere di contribuire allo sviluppo sociale sostenendo i processi, non sempre facili, di transizione al lavoro delle giovani generazioni. Gli Atenei investono nel partenariato didattico sulla base di una serie di obiettivi che guidano i volumi dell’investimento e le sue direttrici. Anche in questo caso, l’analisi delle esperienze ha confermato gli obiettivi già identificati: • Innovazione della didattica e ampliamento dell’offerta formativa: la collaborazione con le aziende può nascere dalla volontà, propria dell’ateneo, di ampliare la propria offerta didattica o di innovare/aggiornare quella esistente, intervenendo tanto sui contenuti, quanto sulle metodologie di apprendimento; • Attrazione/motivazione degli studenti: come già accennato, tra i criteri utilizzati dai futuri studenti per scegliere la sede e l’indirizzo disciplinare dei propri studi universitari assume un peso crescente la capacità di un ateneo di aprirsi e relazionarsi al mondo produttivo e, più in generale, all’universo delle professioni; in questo senso, la collaborazione con le imprese è vista come una delle ‘leve’ utili ad attrarre nuovi studenti e ‘fidelizzarli’ nella continuità dei loro percorsi; • Orientamento: l’università annovera, tra i suoi compiti fondamentali, anche quello di orientare le scelte di chi si appresta ad affacciarsi, spesso per la prima volta, al mondo del lavoro. La stretta collaborazione con le aziende, protagoniste di un mercato del lavoro sempre più complesso e in costante evoluzione, può indubbiamente migliorare le chance di successo dell’ateneo nel perseguire tale obiettivo; • Placement: se è fondamentale che l’università sostenga i propri studenti, attraverso opportune azioni di orientamento, nella focalizzazione di obiettivi professionali per il loro futuro, è altrettanto importante che agli studenti siano successivamente offerti anche strumenti di supporto al raggiungimento di tali obiettivi. In questo senso, il coinvolgimento delle imprese nell'ambito della didattica, rappresentando già una prima occasione di contatto tra studenti e aziende, può essere visto come uno dei modi con cui l’università esercita il proprio compito di facilitatore della transizione dei giovani al lavoro; 29
• Accesso a risorse economiche: la disponibilità di risorse economiche è spesso un driver importante per lo sviluppo delle collaborazioni università-impresa. Il fattore economico agisce con frequenza nello sviluppo di sinergie nel campo della ricerca, più raramente in quelle finalizzate a partenariati didattici. Cionondimeno, tra le esperienze incontrate è stato rilevato anche questo obiettivo che sembra importante menzionare.” Importanti, per capire dove migliorare, le testimonianze dei direttamente coinvolti gli ultimi anni. Gli alunni riferiscono che l’apprendistato in azienda è per loro il culmine del percorso di studi, dove riescono a vedere concretamente l’utilità dello studio che hanno svolto gli anni precedenti e mutano la concezione che hanno di loro stessi, sentendosi parte del mondo adulto. Fondamentale, riferiscono, il fatto che permetta di conoscere “gioie e dolori” del lavoro in squadra e la gestione dello stress che comporta la responsabilità di seguire un incarico dall’inizio alla fine. Alla fine del periodo di apprendistato, lo studente porta a casa una nuova consapevolezza sul mondo del lavoro e una serie di contatti nella rete sociale che saranno molto utili nella eventuale ricerca di possibilità lavorative future. La soddisfazione è tale che, se il peso in CFU dell’apprendistato all’interno del piano di studi era inizialmente considerato sproporzionato in negativo, e dunque un problema, un numero sempre maggiore di studenti si dice disposto a farlo in periodo extracurriculare e “crediti zero”. Gli atenei riescono ad arricchire e modernizzare i propri piani formativi, sono più efficaci nella trasmissione di conoscenze nei ragazzi che hanno già esperienze nel mondo del lavoro si posizionano, nel suo complesso e per il singolo corso di laurea interessato, in modo chiaro sul ‘mercato’ dell’educazione, facendo capire a giovani e famiglie cosa si è in grado di offrire e qual è il valore aggiunto dell’ateneo. Questi partenariati sono anche la base di una serie di accordi più stringenti che si possono sviluppare nel tempo, per migliorare la “terza missione”, per esempio nel trasferimento tecnologico. Le Aziende vedono nelle partnership con l’università la possibilità di attrarre in anticipo i giovani più brillanti e talentuosi, formandoli all’interno delle dinamiche lavorative in anticipo e reclutandoli direttamente se meritevoli. Molte riferiscono di essere entrate all’interno del mercato del lavoro grazie a questa attività, affermando che avrebbero avuto molte più difficoltà senza. Gli intervistati declinano in modo preciso e articolato ‘perché’ e ‘come’ gli studenti sono in grado di generare innovazione e valore aggiunto per le loro attività aziendali. In primo luogo, grazie al loro approccio mentale diretto e libero da preconcetti e sovrastrutture: “Portano idee fresche, creatività, un punto di vista 30
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