Perché festeggiare ancora il 25 Aprile?
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Perché festeggiare ancora il 25 Aprile? Perché festeggiare ancora il 25 aprile? Risponde con il suo stile chiaro ed efficace il prof. Alessando Barbero, in un breve video registrato nel 2020. Di seguito il testo dell’intervento; in alternativa si può scegliere di guardare il filmato linkato in fondo all’articolo. “Perchè il 25 Aprile? Non è una domanda oziosa. E credo che anche la risposta non sia ovvia, In Italia oggi – ma in realtà già da parecchi anni – le celebrazioni del 25 Aprile stanno attraversando una fase di transizione. Quelli che c’erano son rimasti in pochi; non c’è quasi più nessuno che ricordi davvero cosa volesse dire vivere nell’Italia di allora e che cosa sia stata quella guerra. Oggi viviamo in un mondo diverso: la stragrande maggioranza della gente è nata dopo e vive in un presente carico di preoccupazioni, ha davanti a sé un futuro pieno d’incognite se non di paure ed è anche comprensibile che per tanta gente questi fatti così lontani nel tempo non vogliano più dire molto. E anzi, io credo che noi storici dovremo accettare l’idea che verrà un giorno in cui il 25 Aprile, la Resistenza in generale, sarà ricordata come oggi ricordiamo il Risorgimento: un avvenimento storico, di cui si parla nei libri. Conosciamo i nomi di quei personaggi, di quegli eroi, di quelle battaglie perché le abbiamo studiate a scuola, ma non riusciamo più a capire veramente chi fossero, a condividere la loro visione del mondo, a capire perché erano disposti a farsi ammazzare. Succederà anche alla Resistenza e non c’è niente da fare, bisogna accettarlo.
Però il 25 Aprile, nell’Italia di oggi, non è a rischio per l’indifferenza di una moltitudine di persone che vivono in un mondo diverso e, legittimamente, pensano al futuro e non al passato. Non è questo il punto. A me sembra che il 25 Aprile, nell’Italia di oggi, sia a rischio soprattutto perché c’é una parte del Paese che ha imparato dalle proprie famiglie che il fascismo non era poi così male, e che Mussolini in fondo ha governato bene, ha fatto tante cose buone. E che i partigiani invece erano dei poco di buono, dei delinquenti. E che tutta la retorica che si è fatta da allora in poi sulla Resistenza è esagerata, insopportabile… Poi ci sono quelli che fanno finta di credere che la Resistenza l’abbiano fatta solo i Comunisti. Come se a Torino la Liberazione, la “Casa del fascio” presa dai Partigiani, non fosse stata ribattezzata “Palazzo Campana” in onore del Marchese Cordero di Pamparato: ufficiale di carriera, medaglia d’argento in Africa, nobile, cattolico e comandante partigiano. Ci sono quelli che, siccome sono di destra e nazionalisti, arricciano il naso quando sentono Bella Ciao: “Una canzone comunista!” Quando questa è una canzone che parla di un Italiano che si sveglia al mattino e trova il Paese invaso dallo straniero, e decide di andare a combattere. Bel modo di essere Italiani, ostentare disprezzo per questa canzone! Ma è proprio a questa gente, io credo, che il 25 aprile dovrebbe parlare. E’ a loro che dobbiamo rivolgerci per dirgli: “I vostri padri, i vostri nonni sono stati fascisti? Hanno creduto in Mussolini? E va bene. Un sacco di gente perbene è stata fascista e ha creduto in Mussolini. Questo nessuno ha paura di dirlo. Ma voi, voi davvero avreste preferito che vincessero Hitler e Mussolini? Davvero avreste voluto che le camere a gas continuassero ad ingoiare gente? Davvero preferireste vivere nell’Italia delle leggi
razziali e della camicia nera invece di questa nostra Italia uscita dalla Resistenza?” Io credo che anche queste persone che ostentano disprezzo per il 25 aprile e rifiutano di celebrarlo farebbero molta fatica a rispondere a queste domande. Leggi anche: Nazismo, Fascismo e Comunismo: la differenza spiegata in parole semplici La verità sulle foibe L’analisi, come sempre lucidissima, del professor Alessandro Barbero in occasione della ricorrenza del Giorno del Ricordo delle foibe Cosa sono le foibe? Alla fine della guerra, sui confini orientali d’Italia, l’esercito partigiano jugoslavo comunista, avanzando in un territorio che da molti anni era occupato degli Italiani e
dove quindi abitava un gran numero d’Italiani (Dalmazia, Istria, fino a Trieste), fa fuggire davanti a sé la popolazione italiana terrorizzata e uccide effettivamente migliaia di Italiani civili, gettando poi i cadaveri in queste forre del terreno che ci sono sono da quelle parti. Le foibe, appunto. Un eccidio di molte migliaia di civili. I partigiani jugoslavi comunisti stanno dalla parte dei vincitori, combattono dalla parte “giusta” quindi per molto tempo di questa cosa non è che non se ne parli – se ne parla eccome – ma a livello ufficiale nessuno si sognerebbe che sia una cosa di cui si debba fare un giorno del ricordo, per esempio. Perché è uno dei tanti casi in cui i vincitori, che avevano ragione e stavano dalla parte giusta, hanno fatto delle porcate. Cosa che succede normalmente, perché nella realtà non è che ci sono i buoni e i cattivi come nei film americani. La realtà è più complicata di così e i vincitori, che stanno dalla parte giusta, fanno un sacco di porcate: buttano la bomba atomica su Hiroshima e poi, come se non bastasse, ne hanno ancora un’altra e buttano anche quella e distruggono un’altra città. E ciò non impedisce affatto di dire che “meno male che han vinto loro” perché avevano ragione loro, in base ai nostri valori di oggi. Poi cosa succede? Succede che quella parte dell’Italia che per tanto tempo ha vissuto male il 25 aprile, la celebrazione della Resistenza, perché “erano famiglie come la mia” dove ci si era schierati dall’altra parte, sempre più sentono di avere più spazio e che il pendolo si è spostato e chi la pensa così ha sempre più importanza, e a un certo punto un Governo che – non lo può dire – ma è fatto da gente che in realtà si sentiva più dalla parte dei fascisti che non dei Partigiani, decide che bisogna equilibrare il 25 aprile. C’è questa grande festa che piace a quelli della sinistra? E allora facciamo anche un altro giorno del ricordo per
ricordare invece un’altra cosa dall’altra parte. E nasce il giorno delle foibe. Non ci son state le foibe? Certo che ci sono state. E’ stata un’atrocità? Certo che è stata un’atrocità. Non bisogna parlarne? Certo che bisogna parlarne, La storia si occupa di tutto e va a vedere tutto. E la storia fatta bene viene fatta senza preoccuparsi di dire “ah, ma quella schifezza lì l’han fatta i miei amici, quindi non ne parlo”. La storia fatta bene vuol dire precisamente: “io vado a vedere tutto, perché voglio sapere tutto. Perché a me interessa la verità di quello che è successo“. Questo nei Paesi dove la storia è libera, naturalmente. In una dittatura, una delle prime cose che la dittatura censura è la ricerca storica. Una delle prime cose che in una dittatura si va a vedere è: “cosa dicono i libri di storia che si studiano a scuola? Riscriviamoli. Quella cosa lì non ci piace che venga detta. Togliamola” Nelle dittature è normale; dei libri di chimica non frega niente a nessuno. La chimica è una cosa oggettiva e quindi non vengono censurati. I libri di storia sì, perché come capite ci sono tante cose che si può decidere di dire o non dire, sono molto importanti e le mettiamo al centro oppure “ci sono state però ragazzi, ne son successe tante di cose…” Le foibe sono appunto uno di quei casi in cui se uno lo vuole dire… cioè, uno lo deve sapere ovviamente. E gli storici le hanno sempre studiate. Dopodiché si tratta di dire: “Dobbiamo mettere al centro del discorso pubblico quell’episodio lì, perché è emblematico, è da quello che si capisce davvero cos’era quell’epoca e cioè che i partigiani comunisti erano molto cattivi e che gli Italiani sono stati ingiustamente perseguitati e sterminati”? Oppure dobbiamo discutere di quella cosa lì per vederne tutti gli aspetti? Se discuti di quella cosa lì per vederne tutti
gli aspetti scopri – aldilà del fatto che è successo quello sterminio in un mondo dove la gente crepava tutti i giorni, continuamente, dappertutto, dove le città venivano bombardate, la gente bruciata viva dai bombardamenti, la gente moriva nei lager, morivano i soldati in combattimento a migliaia tutti i giorni e questo già ti rimette un po’, come dire, le cose in prospettiva – scopri che se i comunisti jugoslavi erano così incazzati con gli Italiani è perché gli Italiani quei territori lì li avevano occupati nel 1918 dopo aver vinto la Prima Guerra Mondiale, e avevano cominciato a bastonare gli abitanti slavi, a proibirgli di parlare nella loro lingua, a decidere che quei paesi lì dovevano diventare italiani e dimenticarsi di essere stati slavi, e così via, e che dopo vent’anni di divieti, di bastonate e di abusi la popolazione slava locale odiava gli Italiani. E a quel punto, come succede, li odiava tutti: non è che stava a dire quello lì è buono, quello lì è cattivo, quello lì è fascista, quell’altro no: odiava gli Italiani. E questo non vuol dire che chi prendeva le famiglie, gli sparava alla nuca e li buttava nei crepacci non debba rispondere davanti alla sua coscienza di quello che ha fatto. Però vuol dire che noi sappiamo un po’ di più di quel che è successo e del perché è successo. Quella è la storia. Creare invece un giorno della memoria per controbilanciare l’altro, quello è l’uso della memoria che fa la politica. Tutto quello che a me interessa è che abbiate gli strumenti per distinguere le due cose. Poi ognuno si schiera e può anche dire: “A me quell’uso politico della memoria mi sta bene, anch’io penso che i comunisti erano degli schifosi bastardi e mi va bene che si celebrino le loro vittime”. Però bisogna saper distinguere. Guarda il video
Leggi anche Nazismo, Fascismo e Comunismo: la differenza spiegata in parole semplici “Bella ciao”. Insegnanti e CGIL AQ contro le ingerenze della politica Fa fronte comune l’Istituto Mazzini Patini dell’Aquila, finito al centro delle polemiche per la presa di posizione del consigliere comunale Daniele D’Angelo che ha denunciato come una insegnante, nell’ora di musica, abbia fatto cantare ‘Bella ciao’ alla sua classe, un brano tra l’altro inserito, come affermato dallo stesso consigliere, nel libro di testo; d’altra parte, il tema non è certo la canzone popolare piuttosto l’ingerenza in un mondo, quello della scuola, che dovrebbe essere lasciato al riparo da contrapposizioni politiche. Va tutelata in ogni modo la libertà d’insegnamento dei docenti, sancita dall’articolo 33 della nostra Costituzione, va preservata con forza l’autonomia degli istituti scolastici, il ruolo dei presidi che sono responsabili dell’indirizzo educativo; l’uscita del consigliere comunale ha messo in imbarazzo una intera comunità, quel mondo delicatissimo fatto della relazione tra studenti, insegnanti e genitori che non può essere in alcun modo strumentalizzato. Figurarsi per motivi politici. Di certo, D’Angelo si è fatto portavoce del malcontento di
qualche genitore: tuttavia, è con gli insegnanti e i presidi che ci si dovrebbe confrontare per discutere delle modalità d’insegnamento. “Sono amareggiato dell’entrata a gamba tesa e dell’intromissione della politica nella scuola. La libertà di insegnamento è uno dei cardini della Costituzione italiana, che va difeso con i denti. La canzone in oggetto non è scandalosa, semmai è l’inno che celebra l’atto di nascita della nostra democrazia“, le parole del preside dell’Istituto Marcello Masci. Solidale con l’insegnante di musica il corpo docente della Mazzini-Patini: “Esprimiamo vicinanza, affetto e solidarietà alla nostra collega per l’attacco del tutto fuori luogo da parte di un personaggio politico. Ribadiamo la nostra fedeltà ai valori della Repubblica e alla sua Costituzione, nata grazie al coraggio delle donne e degli uomini che si opposero alla dittatura. Oggi, noi, donne e uomini liberi e democratici, docenti ed educatori al servizio di quei valori, ci opponiamo con fermezza a chiunque tenti di condizionare la libertà di insegnamento, strumentalizzando finanche una canzone come ‘Bella Ciao’, che è di parte e divisiva, sì, perché separa gli antifascisti dai fascisti, i democratici dagli antidemocratici, la libertà dalla dittatura e che, come ribadito dal nostro dirigente scolastico, è l’inno che celebra la nascita della nostra democrazia“. “Sono un genitore della classe finita all’onore delle cronache per questa becera vicenda assolutamente veicolata dal consigliere D’Angelo“, ha aggiunto il papà di uno studente.“Vorrei puntualizzare che non esiste nessun gruppo di genitori, essendo mia moglie rappresentante di classe e quindi a conoscenza dei fatti, e che il consigliere è portavoce soltanto della sua persona e di nessun altro. Non si può mettere alla gogna una insegnante ed una professionista che tutti i giorni si prodiga per la sana crescita dei nostri ragazzi. La politica si occupi di altro e soprattutto non
parli a nome di persone che non rappresenta. Giu le mani dalla nostra Professoressa“, l’affondo. Ancor più duro il presidente del Consiglio d’Istituto, Maurizio Mucciarelli: “Vogliamo che il consigliere comunale Daniele D’Angelo chieda scusa alla professoressa, al dirigente scolastico, ma anche agli alunni, che sono le vere vittime della sua inaccettabile strumentalizzazione politica“, la presa di posizione del presidente che parla a nome della componente genitori del Consiglio. “Con convinzione prendiamo le distanze e ci dissociamo da quanto dichiarato dal consigliere comunale D’Angelo, sottolineando che non esiste alcun gruppo di genitori che condivide le sue accuse. Riteniamo invece doverose le sue scuse alla professoressa ingiustamente coinvolta in questa vicenda, al dirigente scolastico Marcello Masci che ha difeso la libertà d’insegnamento e soprattutto ai nostri figli, utilizzati per fini politici. La politica, a nostro avviso, non deve entrare nelle scuole e non deve prendere di mira gli insegnanti che ogni giorno si prodigano per accompagnare la crescita dei nostri figli”. Più chiaro di così. CGIL L’Aquila: “Piena solidarietà all’insegnante e al preside” ‘Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi’. Sandro Pertini. La CGIL dell’Aquila esprime “piena solidarietà all’insegnante ed al preside della scuola secondaria Mazzini Patini che con coraggio e fermezza difendono i valori della nostra carta costituzionale ed il ruolo della scuola nella società italiana. Bella Ciao è entrata a far parte di quel patrimonio di valori del nostro paese nato dalla lotta di resistenza
contro il nazi-fascismo. Patrimonio che va difeso e divulgato in ogni luogo. La scuola non deve informare ma formare le nuove generazioni partendo necessariamente dalla difesa della libertà, della democrazia e della giustizia sociale che sono valori antitetici rispetto a quelli che sottendono alle affermazioni dello stesso consigliere comunale che dichiarò qualche mese fa che ‘il fascismo è uno stile di vita’”. Aggiunge il sindacato: “Consigliamo vivamente al signor Daniele D’Angelo di frequentare quelle tante istituzioni, anche scolastiche, che con dedizione e abnegazione continuano a difendere, divulgare ed affermare il valore dell’antifascismo, affinché possa recuperare un senso di appartenenza ai valori fondanti della nostra Repubblica. E se non ci illudiamo che saprà accogliere il nostro invito, abbiamo invece la certezza che chi canta Bella Ciao sarà sempre dalla parte giusta, sarà nostro fratello, sarà nostra sorella e collaborerà sempre alla difesa della democrazia e della liberta conquistate con la lotta”. FLC CGIL: “Ingerenza del consigliere è un segnale preoccupante” La FLC CGIL dell’Aquila “deplora la posizione assunta dal consigliere comunale Daniele D’Angelo che entra con arroganza nella libertà di insegnamento, diritto individuale di ogni docente sancito dall’articolo 33 della Costituzione. La libertà di insegnamento rende la scuola pubblica italiana un’alta espressione di esercizio della democrazia e le attribuisce il carattere di officina di sperimentazione didattica al fine dell’acquisizione della conoscenza. La scuola prima ancora di essere luogo di istruzione è luogo di educazione alla cittadinanza ed ogni insegnante è libero/a di scegliere la modalità didattica che, analizzato il contesto e valutatene le vocazioni e le possibilità, permetta il raggiungimento dell’obiettivo formativo”.
La politica non ha competenza in fatto di insegnamento “ed è bene che stia lontana dalle aule e si impegni, invece, nei luoghi deputati per assicurare alla scuola pubblica la dignità che le spetta in termini di risorse, edilizia e servizi. Riteniamo che l’invadenza del consigliere D’Angelo sia un segnale preoccupante del clima che si respira in città e ci uniamo a tutte le voci che in queste ore stanno contestando un gesto che non fatichiamo a definire di propaganda”. FLP CGIL, per voce della segretaria generale Miriam Del Biondo, esprime “solidarietà all’insegnante” condividendo “pienamente la risposta del Dirigente Scolastico. Infine, ma non per ultimo, riteniamo che insegnare e far cantare Bella Ciao sia il segnale di un forte senso di appartenenza ai valori dell’Italia repubblicana e democratica nata dalla lotta partigiana e dalla Resistenza. La FCL CGIL è fiera di tutelare lavoratori e lavoratrici di una scuola che su quei valori costruisce la sua storia anche attraverso la trasmissione di una memoria che si tende ad offuscare. Inoltre, persino se volessimo spogliare Bella Ciao da ogni connotazione storico politica rimarrebbe comunque un canto diffuso di gioia, di impegno, di lotta e di speranza che è quello di cui, soprattutto in questa città, abbiamo ancora tutti fortemente bisogno. Si occupi la politica cittadina della ricostruzione dell’edilizia scolastica se davvero vuole occuparsi di scuola. Allora sì che sarà stata utile ed avrà fatto ciò che le compete”. Fonte: www.news-town.it
Cosa vuol dire “Resistenza”? Quelle che seguono sono alcune pagine del diario segreto scritto da Peter Moen, eroe della resistenza norvegese morto nel 1944 a soli 43 anni durante il viaggio verso il campo di concentramento al quale era stato destinato. Le memorie furono scritte di nascosto nel carcere nazista di Oslo, sfidando i divieti (era vietatissimo leggere o scrivere) e l’oscurità della cella. Moen riuscì ad incidere le sue memorie su rotoli di carta igienica utilizzando un ferretto della tenda; i suoi “diari” furono nascosti in una griglia dell’areazione e ritrovati solo dopo la guerra. In tutto oltre mille pagine, scritte tra il 10 febbraio e il 4 settembre 1944, che in questi giorni vengono pubblicati per la prima volta in Italia con il titolo: “Møellergata 19” (il nome del carcere nazista) Peter Moen aveva studiato matematica e di professione faceva l’impiegato assicurativo: una persona comune, uguale a tante altre, certo non una specie di supereroe. Peter era stato arrestato in quanto redattore di un giornale clandestino. Agli occhi degli oppressori nazisti, si era reso colpevole del più temuto dei crimini: raccontare i fatti. Allora, come oggi, nulla fa più paura della verità a a chi vuole controllare il popolo. Quello riportato è un breve estratto, ma basta a capire quali pensieri potessero affollare la testa di chi si batteva per la libertà: nelle sue parole troviamo la paura, gli sforzi della mente per restare attiva e non crollare, i dubbi (ne vale la pena?), il dolore e il dispiacere per non essere abbastanza forte. E nonostante tutto c’è l’orgoglio, la convinzione di aver fatto la scelta giusta e anzi il rammarico per non aver fatto di più. La consapevolezza della morte, conseguenza inevitabile della lotta contro un nemico che in quel momento è troppo più forte.
L’Europa di oggi, il nostro Paese, esistono grazie alla generosità e alla forza d’animo di migliaia di persone come Peter, capaci di affrontare la paura, il dolore, nella certezza che fosse l’unica strada possibile. Capaci di battersi per noi, per darci una libertà che non avrebbero mai più conosciuto perché sapevano che la loro vita sarebbe finita a breve. Come utilizziamo questa libertà? Per esempio insultando o dimenticando chi si è sacrificato per regalarcela, come nel nostro Paese si permettono di fare alcuni ministri, indegni della Repubblica alla quale hanno giurato di essere fedeli. Festeggiare il 25 aprile significa ricordare Peter, ma anche i tanti detenuti nelle prigioni naziste italiane (come quella di Via Tasso a Roma) che seppero affrontare le loro peggiori paure per regalarci un futuro che a volte dimostriamo di non meritare. Il minimo che possiamo fare è ricordarli e ringraziarli. Giovedì 4 febbraio – 21° giorno Stamattina andrò probabilmente alla V.T. (Victoria Terrasse, un edificio nel centro di Oslo, dal 1940 utilizzato dalla Gestapo come luogo di interrogatori, tortura e detenzione, ndr). È qualcosa di assolutamente mostruoso. Ho paura dei maltrattamenti. Prego Dio di aiutarmi. Lui ora è il mio unico sostegno. Donnerwetter ha fatto una perquisizione! Non ha trovato il mio diario. Sta ordinatamente attaccato sul chiodo della carta igienica. Non ha trovato la mia penna. È un perno della tenda da oscuramento. I miei “scacchi” erano nel calzino sul gancio proprio davanti al suo naso. Perquisizione nella nuda cella di un prigioniero – anche questo è Gestapo… Ho sete e faccio pipì. Angoscia e tensione. Signore mio! Presto sarà un’abitudine avere paura. Facciamo una dura lotta. Forse me
la caverò. Un nuovo esempio della pressione psicologica qui: il postino mi mostra dallo sportello il mucchio di lettere – mi porge una lettera e dice: È per te? Naturalmente c’era un altro nome. Bisogna essere idioti per non capire lo scopo di certe cose. Spero che i miei compagni comprendano questi piccoli trucchi. Se compresi sono innocui. I piccoli uomini che hanno inventato certe cose vogliono dominare il mondo. Nonostante tutte le loro chiacchiere su Gross e Reich i tedeschi sono limitati. Per non parlare della Gestapo. Non c’è accenno a una “morale del dominatore”… Che Dio mi aiuti – e aiuti tutti gli altri. È terribile. 4 marzo – 30° giorno “La tirannia nazista” è una realtà per noi “delinquenti” politici. Sappiamo cosa significa e proprio per questo siamo disposti a sacrificare molto nella lotta contro di essa. Io sono preparato a morire per questa causa. La morte è una conseguenza amara ma “pulita”. Quelli che io e probabilmente tutti i prigionieri dei nazisti temiamo più della morte sono i maltrattamenti. Non ci sono parole capaci di esprimere i miei sentimenti nei confronti della tortura di massa che qui viene esercitata. Mi priva di ogni fede. Io dico: come può Dio lasciare che questo accada? Il pensiero si ferma di fronte a questo problema. Alcuni forse vengono condotti sulla via della riflessione tramite la sofferenza ma i più? Si può finire rapidamente nella disperazione e nel rinnegamento. Due dei boia sono stati qui oggi. 15 marzo – 41° giorno Il giorno della morte del tiranno (Giulio Cesare, ndr)! Ma il mondo partorisce sempre nuovi tiranni. Nelle prigioni ci sono sempre uomini che hanno alzato la voce o la mano contro ingiustizia e violenza. Vale la pena allora di fare questa lotta? Sì e ancora sì. Ogni libertà sarebbe presto soffocata
senza di essa e senza le vittime che richiede. La lotta norvegese per la resistenza ha portato noi 300 qui al numero 19. Non mi pento di niente di ciò che ho fatto o scritto e mi dispiace solo di ciò che non ho fatto. Nelle prigioni dei nazisti devono esserci degli uomini. Se io non fossi qui ci saresti tu – tu che ancora sei libero. Ansimo sotto il giogo – ma non vorrei non aver fatto ciò che ho fatto… C’è quasi sempre semioscurità… La gente sta in cella di punizione. È un po’ più duro di come sto io – giaciglio più scomodo e mai una passeggiata nel cortile per l’aria. Sì – è dura – ma non ci spezzeranno… Voglio scrivere ancora qualche parola oggi – solo per consolarmi un po’. La solitudine consuma le forze per pensare – perché il pensiero è abituato a stimoli esterni. Ora per esempio ho faticato per giorni con un integrale trigonometrico… Inoltre ho il cuore pesante. “Non si trova pace”. È difficile in queste condizioni non cedere al bisogno di pigrizia o sogni a occhi aperti. Devo impegnarmi molto per evitarlo. Non capisco bene il mio carattere. Sono debole e sentimentale – ma riesco a superare queste avversità… per ora. 19 marzo – 45° giorno Anche io avrei voluto essere un uomo coraggioso. Non lo sono. Avrei potuto lasciare che le bestie della V.T. mi facessero a pezzi e tacere – tacere. Non ce l’ho fatta. L’angoscia e il dolore mi hanno spezzato. Nel corso di una serie di interrogatori i segreti mi sono stati tirati fuori. Mi vergogno a tal punto di questo che non ho voglia di incontrare nessuno dopo la guerra. Spesso penso: la cosa migliore sarebbe una condanna a morte. Questo contiene i miei tre desideri: il mio desiderio da Amleto viene esaudito – Ammenda per la viltà e forse avrò la fama postuma… Se questo dovesse finire con la morte vorrei che il mio diario fosse salvato… Ho cercato di essere sincero – di non abbellire per guadagnarmi una lettera dorata nella fama postuma e non
diffamarmi per avere la lode della vergogna. Scrivo sotto la minaccia di un pericolo che è più grande di quanto possa permettermi di dire. Alcuni forse avranno difficoltà a capire la mia angoscia per la sofferenza e il dolore se apparentemente sono preparato a morire. Il dolore è cosciente. E la morte – Già che cos’è la morte? Graffito inciso in una cella del carcere nazista di Via Tasso a Roma Leggi anche Il 25 Aprile spiegato a mia figlia
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