Applicazione della pena su richiesta delle parti: tutto da rifare in caso di abolitio criminis Application of the penalty at the request of the ...

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Processo penale e giustizia n. 2 | 2018   322

MARIA SIMONA CHELO

Avvocato, Dottore di Ricerca in Diritto processuale penale interno, internazionale e comparato – Università degli
Studi di Urbino

Applicazione della pena su richiesta delle parti: tutto da rifare
in caso di abolitio criminis
Application of the penalty at the request of the parties: all to be re-
done in case of abolitio criminis

Chiamato a pronunciarsi sui poteri della Corte di cassazione nel valutare la legittimità di una sentenza su pena
concordata quando per uno dei reati per cui è stato ratificato l’accordo sia intervenuta l’abolitio criminis, il Supre-
mo Collegio ritiene che il venir meno di uno dei termini essenziali del contenuto dell’accordo che ha portato al
“patteggiamento” travolga l’intero provvedimento e imponga l’annullamento della sentenza per una nuova valuta-
zione delle parti.

The Supreme Court of cassation, which is called to rule on the powers of the Court of Cassation in assessing the
legitimacy of a judgement on the application of the agreed penalty, in the event that for a crime for which the
agreement has been ratified intervened the abolitio criminis, believes that the absence of one of the essential
terms of the agreement, which has led to the settlement, involves the entire provision and requires the cancella-
tion of the judgement for a new assessment of the parties.

LA QUAESTIO IURIS ALL’ESAME DELLA CORTE

    Con la pronuncia in commento la Suprema Corte di cassazione affronta la tematica della successione
di leggi penali, e in particolar modo esamina l’ampiezza dei propri poteri allorquando, successivamen-
te all’emissione di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non ancora passata in
giudicato, intervenga l’abolitio criminis per uno dei reati oggetto di “patteggiamento”.
    Come è noto, la fattispecie della c.d. abolitio criminis è disciplinata dall’art. 2, comma 2, c.p., il quale
prevede che «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce
reato; e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».
    Detta disposizione attribuisce alla legge abolitrice un effetto retroattivo, non tanto ispirato al principio
del favor rei, quanto ad esigenze di parità di trattamento, rilevanti ai sensi dell’art. 3 Cost., atteso che alla
commissione di quello stesso fatto – verosimilmente per l’intervenuto mutamento della percezione del di-
svalore sociale di determinate condotte – l’ordinamento non ricollega più alcuna sanzione penale 1.
    Stante il tenore letterale del richiamato art. 2, comma 2, c.p., è pacifico, in dottrina e in giurispruden-
za, che la sentenza di “patteggiamento” debba essere revocata, al pari della sentenza di condanna, qua-
lora l’abrogazione della norma incriminatrice sia avvenuta in fase esecutiva 2.
    Ciò in quanto il principio di diritto sostanziale nullum crimen sine lege ha una portata di carattere ge-

    1
      In proposito si veda F. Bricola, L’intervento del giudice nell’esecuzione delle pene detentive: profili giurisdizionali e profili ammini-
strativi, in Indice pen., 1969, p. 240; P. Severino, Successioni di leggi penali nel tempo, in Enc. giur., XXX, 1993, p.4; G. Vassalli, Aboli-
tio criminis e principi costituzionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, p. 408.
    2
      La legge abolitrice della rilevanza penale del fatto di reato per effetto dell’art. 2 c.p. ha una retroattività illimitata (c.d. iper-
retroattività), che non trova alcun tipo di ostacolo nell’eventuale passaggio in giudicato della sentenza di condanna, di applica-
zione della pena su richiesta delle parti e del decreto penale di condanna. Ciò in quanto cessano sia l’esecuzione sia qualsiasi
effetto penale e il giudice dell’esecuzione deve revocare la sentenza e il decreto di condanna, ai sensi dell’art. 673 c.p.p.

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nerale che prescinde dal rito adottato ed opera anche retroattivamente, con conseguente cessazione del-
le sanzioni penali irrogate e dei loro effetti 3.
    Emerge, invece, un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto in ordine alle sorti della sentenza
emessa ex art. 444 c.p.p., qualora l’accordo sia stato ratificato per più reati e, successivamente al “pat-
teggiamento” ed alla conseguente emissione della sentenza di applicazione della pena, nelle more del
giudizio di cassazione, sia stata abrogata (o depenalizzata) una sola delle disposizioni di legge che si as-
sumono essere state violate.
    Detta fattispecie, come sopra anticipato, è stata presa in esame nella sentenza in chiosa, considerato
che uno degli addebiti ascritti all’imputato, ovverosia la contestazione di aver guidato un veicolo in
violazione dell’art. 116 c. str., quindi senza aver conseguito la corrispondente patente di guida, è stato
depenalizzato 4 in pendenza del ricorso per cassazione promosso dal difensore dell’imputato.
    Il Supremo Consesso, tra gli altri motivi di ricorso, è stato quindi chiamato ad esprimersi sul vizio di
legge dedotto dal ricorrente – fondato sulla presunta illegalità della pena applicata, in quanto aumenta-
ta per la continuazione con il reato ormai depenalizzato – e ha conseguentemente individuato quali po-
teri spettano alla Corte nel valutare, in siffatta ipotesi, la legittimità o meno della sentenza di “patteg-
giamento”.
    Quest’ultima, che è appellabile dal solo pubblico ministero nell’unica ipotesi di pena applicata in ca-
so di dissenso della pubblica accusa, è ora ricorribile per cassazione per i motivi indicati nel comma 2-
bis dell’art. 448 5, c.p.p., introdotto dall’art. 1, comma 50, della l. 23 giugno 2017, n. 103.

LA NATURA DELL’ACCORDO NEL PROCEDIMENTO DI APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE
PARTI ED IL BILANCIAMENTO TRA PACTUM E GIURISDIZIONE

    Per comprendere l’approdo ermeneutico cui sono giunti i Giudici di Piazza Cavour pare opportuno
spendere preliminarmente qualche riflessione sulla natura dell’accordo tra le parti che sta alla base del
“patteggiamento” e sulla scelta che conduce l’imputato 6 a concordare con la pubblica accusa una pena
di cui chiedere al Giudice l’applicazione.
    Seppure, ancora oggi, sia controversa la natura della sentenza emessa a seguito di pena concordata 7,
una corrente giurisprudenziale della Suprema Corte ritiene che, optando per il “patteggiamento”,
«l’imputato rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua
responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che accoglie detta richiesta contie-
ne quindi un accertamento ed un’affermazione implicita della responsabilità dell’imputato, e pertanto
l’accertamento della responsabilità non va espressamente motivato» 8.
    Per un altro orientamento giurisprudenziale – sposato anche da una parte della dottrina – la richie-
sta di applicazione della pena non implica, invece, ammissione di responsabilità 9, né tantomeno può

    3
        In questo senso Cass., sez. I, 19 ottobre 2007, n. 42407, in C.E.D. Cass., n. 237969.
    4
    Ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, sono depenalizzate tutte le violazioni per le quali è prevista la sola
pena della multa o dell’ammenda e sono, pertanto, soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro.
    5
     La disposizione in esame prevede che il pubblico ministero e l’imputato possano proporre ricorso per cassazione contro la
sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sen-
tenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza. Detta disposizione non
si applica ai procedimenti nei quali la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale sia
stata presentata anteriormente alla data di entrata in vigore della l. 23 giugno 2017, n. 103, come espressamente indicato dall’art.
1, comma 51, della predetta legge.
    6
     Sebbene la disposizione di cui all’art. 444, comma 1, c.p.p. preveda indistintamente che l’istanza di applicazione della pena
possa essere chiesta indifferentemente dal pubblico ministero e dall’imputato, nella prassi giudiziaria è l’imputato (o la persona
sottoposta alle indagini, legittimata ai sensi dell’art. 447 c.p.p.), a formulare detta richiesta.
    7
    L’ultimo periodo del comma 1-bis dell’art. 445 c.p.p., infatti, la equipara ad una sentenza di condanna, ma l’art. 629 la an-
novera tra le «condanne soggette a revisione».
    8
     In questi termini, ex plurimis, Cass., sez. un., 27 marzo 1992, n. 5777, in C.E.D. Cass., n. 191134 e Cass., sez. VI, 12 luglio 1995,
n. 9406, in Cass. pen. 1996, p. 3065.
    9
      In dottrina sono di questo avviso, tra gli altri, G. Bettiol, Riflessioni aperte dalla legge in materia di applicazione della pena su ri-
chiesta, in Dir. pen. proc., 2004, p. 230; G. Cecanese, Natura giuridica ed effetti della sentenza di patteggiamento, in Giust. pen., 1998, III,
c. 558. In senso contrario, in giurisprudenza, Cass., sez. V, 4 maggio 2016, n. 41676, in C.E.D. Cass., n. 268454.

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essere considerata una confessione per facta concludentia 10, ma rappresenta unicamente una rinuncia a
difendersi 11 e l’accettazione di una pena ridotta, quale incentivo per la deflazione del carico giudiziario,
con conseguente notevole risparmio di tempo e di risorse, a beneficio dell’interesse generale alla corret-
ta e celere amministrazione della giustizia 12.
    Sul piano processuale, il consenso espresso dalla parte privata nell’accordo sanzionatorio concluso
con la pubblica accusa ha natura giuridica di atto negoziale e, nello specifico, di atto personalissimo
perché incidente sul diritto di libertà, tanto è vero che, ai fini di cui all’art. 444 c.p.p., la volontà del-
l’imputato deve essere manifestata da quest’ultimo personalmente o a mezzo di un procuratore speciale.
    In ogni caso l’imputato deve avere piena cognizione degli effetti giuridici prodotti con l’espressione
della propria volontà di “patteggiare”.
    È chiaro che nel processo penale la consapevolezza della pattuizione ex art. 444 c.p.p. rileva unica-
mente con riguardo al profilo della capacità di intendere e di volere e deve essere accertata dal giudice
preliminarmente all’instaurazione di qualunque giudizio valutativo di merito sulla regiudicanda penale.
    Il rapporto tra pactum e giurisdizione, cioè tra la componente pattizia ed il ruolo del giudice è perfet-
tamente equilibrato.
    Il giudicante, seppure con una regola di giudizio differente rispetto a quella posta alla base del-
l’accertamento compiuto da una sentenza di condanna dibattimentale, è comunque chiamato a control-
lare l’intero progetto di decisione, verificando che non sussistano cause di proscioglimento, ex art. 129,
comma 1, c.p.p., e controllando la correttezza della qualificazione giuridica, l’applicazione delle circo-
stanze e la congruità della pena 13.
    È nell’ambito dell’accertamento positivo effettuato dal Giudice che si inserisce il controllo sulla legalità
o meno della pena irrogata, controllo che, di fatto, bilancia il contenuto negoziale del rito; il compito del
giudice non può ridursi, infatti, ad una semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, seppure «lo
sviluppo delle linee argomentative della decisione [sia] necessariamente correlato all’esistenza dell’atto
negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione» 14.
    Non pare superfluo precisare come la giurisprudenza di legittimità si sia confrontata in più di un’oc-
casione con la problematica dell’illegalità ab origine della pena irrogata su richiesta delle parti, se la sen-
tenza non è ancora passata in giudicato.
    Il Supremo Consesso ha differenziato l’ipotesi in cui l’illegalità deriva da un mero errore materiale o
di calcolo – fattispecie in cui la Corte di cassazione ha ritenuto di poter autonomamente rettificare la
pena oggetto dell’accordo, peraltro in presenza di elementi tali da consentire la riconoscibilità della rea-
le volontà delle parti 15 – dai diversi ed ulteriori casi, quali, ad esempio, la determinazione della pena
contra legem 16 in cui – come detto – l’illegalità della sanzione applicata travolge l’intero assetto negoziale
e, di conseguenza, la stessa sentenza 17.

    10
       M. Boschi, Sentenza di condanna atipica per l’applicazione della pena patteggiata, in Giust. pen., 1990, III, c. 647, e C. Taormina,
Qualche riflessione in tema di natura giuridica della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, in Giust. pen., 1990, III, c.
276, ritengono, invece, che la richiesta ed il consenso dell’imputato abbiano natura di vera e propria confessione o ammissione
di responsabilità per fatti concludenti.
    11
       Del resto la deroga al principio della formazione della prova nel contraddittorio, che legittima lo stesso giudizio speciale
disciplinato dagli artt. 444-448 c.p.p., in virtù del consenso prestato dall’imputato, è contenuta nel comma 5 dell’art. 111 Cost., il
quale testualmente, nell’ultimo periodo, recita «la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contrad-
dittorio per consenso dell’imputato».
    12
         In questo senso Cass., sez. VI, 27 novembre 1995, n. 649, in Cass. pen., 1997, p. 1831.
    13
      C. cost., sent. 2 luglio 1990, n. 313, in Arch. n. proc. pen. 1991, p. 376, nell’escludere che i poteri del giudice chiamato ad ap-
plicare una pena su richiesta delle parti «abbiano carattere “notarile”» ha fatto riferimento «al parametro costituzionale di cui
all’art. 27, terzo comma: che impone al giudice di valutare l’osservanza del principio di proporzione fra quantitas della pena e
gravità dell’offesa, e quindi il concreto valore rieducativo della pena in relazione alla sua pregnante finalità».
    14
         Così Cass., sez. V, 31 gennaio 2011, n. 9651, in C.E.D. Cass., n. 249716.
    15
     In questo senso Cass., sez. V, 3 ottobre 2003, n. 44711, in C.E.D. Cass., n. 227014 e Cass., sez. IV, 4 ottobre 2005, n. 45160, in
C.E.D. Cass., n. 232910.
   16
      La pena è considerata contra legem, ad esempio, quando è determinata ed irrogata in misura inferiore al minimo edittale, o
quando la pena-base è inferiore a quella prevista come minimo edittale per il reato unito con il vincolo della continuazione ov-
vero se la pena applicata, in esito al cumulo ex art. 81, comma 2, c.p., ha un valore inferiore al minimo fissato per il reato più
grave tra quelli in continuazione.
    17
         In questo caso ritengono debba disporsi l’annullamento della sentenza senza rinvio, tra le tante, anche Cass., sez. un., 27

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LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE

    Con la pronuncia in disamina la Suprema Corte, muovendo dall’assunto secondo cui l’intervenuta
depenalizzazione di uno dei reati oggetto di “patteggiamento” ha scalfito il contenuto dell’accordo, alla
base della scelta del rito premiale, facendo venir meno uno dei termini dello stesso, ha considerato
«travolto l’intero provvedimento», con conseguente annullamento della sentenza «per una nuova valu-
tazione delle parti» 18.
    Il ragionamento logico-giuridico seguito dalla Cassazione prende le mosse dalla considerazione che
«l’abolizione incid[e] in modo imprevedibile e significativo sull’accordo che è il frutto di valutazioni
complessive sulle quali non può che avere influito anche la contestazione del fatto depenalizzato»; per
questo motivo le parti devono avere la possibilità di rinegoziare, rectius – per usare le testuali parole del
Supremo Collegio – «di rivalutare le condizioni dell’eventuale accordo».
    Ed infatti la decisione de qua evidenzia che «ragionevolmente» la fattispecie criminosa ormai depe-
nalizzata è stata considerata nella valutazione complessiva della condotta contestata e non solo per
l’individuazione del singolo aumento di pena a titolo di continuazione.
    Nell’ipotesi or ora prospettata, quindi, l’illegalità “derivata” della pena, a seguito di depenalizzazio-
ne, inficia l’accordo sulla scorta del quale si è estrinsecata la libertà negoziale, in quanto detto accordo
poggiava su un quadro normativo poi mutato.
    Non pare superfluo precisare come le Sezioni unite della Corte di cassazione siano giunte ad analo-
ga soluzione – id est alla possibilità di rilevare d’ufficio in sede di legittimità, anche in presenza di un
ricorso inammissibile 19, gli effetti delle modifiche normative sopravvenute, pur se favorevoli al reo (e
conseguentemente di annullare la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p.) – nella differente ipotesi di
illegalità sopraggiunta della pena, poiché concordata sulla base di parametri edittali previsti da una nor-
ma che era in vigore al momento del fatto, ma che successivamente è stata dichiarata incostituzionale 20.

maggio 2010, n. 35738, in Riv. pen., 2010, 12, p. 1239; Cass., sez. III, 22 settembre 2011, n. 1883, in Cass. pen., 2013, 5, p. 1994; Cass.,
sez. I, 7 aprile 2010, n. 16766, in C.E.D. Cass., n. 246930; Cass., sez. VI, 7 gennaio 2008, n. 7952, in Cass. pen., 7-8, p. 3006 e Cass.,
sez. III, 14 giugno 2007, in C.E.D. Cass., n. 237124. Di diverso avviso, invece, Cass., sez. VI, 25 ottobre 2005, n. 46790, in C.E.D.
Cass., n. 233033, secondo cui la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti deve essere annullata con rinvio. In
dottrina si veda in merito D. Vigoni, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, Milano, Giuffrè, 2000; R. Musso, Patteggiamen-
to e sindacato sulla congruità della pena, in Arch. n. proc. pen., 1991, p. 376.
    18
       Già in passato Cass., sez. IV, 8 novembre 2012, n. 47287, in C.E.D. Cass., n. 253922, aveva aderito alla stessa soluzione er-
meneutica nella fattispecie relativa alla depenalizzazione del reato previsto dall’art. 186, comma 2, lett. a) c. str., per effetto
dell’entrata in vigore della l. 29 luglio 2010, n. 120, antecedente la sentenza di patteggiamento. Ancor prima è stata dello stesso
avviso anche Cass., sez. III, 26 marzo 1996, n. 1460, in C.E.D. Cass., n. 205230.
    19
       In questo senso Cass., sez. un., 28 luglio 2015, n. 33040, in Guida dir., 2015, 34-35, p. 52, con nota di G. Amato, Stupefacenti:
la Cassazione può rilevare d’ufficio l’incostituzionalità della pena anche con ricorso inammissibile. Secondo il Supremo Consesso nella
sua massima composizione, infatti, «nel giudizio di cassazione l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostitu-
zionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso,
tranne che nel caso di ricorso tardivo», e ciò in quanto il ricorso inammissibile per decorso del termine di impugnazione è sin
dall’origine inidoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, per effetto della trasformazione del giudicato sostanziale in
giudicato formale. Successivamente ha sostenuto che «la Corte di Cassazione nel caso di ricorso inammissibile per qualunque
ragione e con il quale non vengano proposti motivi riguardanti il trattamento sanzionatorio, può rilevare d’ufficio, con conse-
guente annullamento sul punto, che la sentenza era stata impugnata prima dei mutamenti normativi che hanno modificato il
trattamento sanzionatorio in senso favorevole all’imputato; ciò anche nel caso in cui la pena inflitta rientri nella cornice edittale
sopravvenuta alla cui luce il giudice di rinvio dovrà esaminare la questione» anche Cass., sez. un., 25 novembre 2015, n. 46653,
in Cass. pen., 2017, 1, p. 165, con nota di C. Costanzi, Il ricorso inammissibile o privo di censure sulla pena non preclude l’applicazione
della lex mitior sopravvenuta nel giudizio di cassazione. Una pronuncia inattesa del giudice Bricoleur, p. 166. Nello stesso senso Cass.,
sez. III, 13 febbraio 2017, n. 6579, in Arch. pen., 2017, 3, p. 79; Cass., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 49531, in C.E.D. Cass., n. 261074;
Cass., sez. VII, 16 novembre 2011, n. 48054, in C.E.D. Cass., n. 251588. Per completezza si segnala in senso contrario un orienta-
mento giurisprudenziale – ormai superato – il quale ha ritenuto che, in caso di ricorso per cassazione inammissibile, per generi-
cità dei motivi o per carenza di interesse deve ritenersi che la sentenza di merito sia passata in giudicato nonostante la proposi-
zione di tale impugnazione, con conseguente impossibilità di poter dichiarare l’intervenuta depenalizzazione del reato ai sensi
dell’art. 129 c.p.p. (Cass., sez. IV, 8 marzo 2000, n. 1073, in C.E.D. Cass., n. 215887; Cass., sez. IV, 19 aprile 2000, n. 1693, in C.E.D.
Cass., n. 216584; Cass., sez. V, 29 novembre 2000, n. 4867, in C.E.D. Cass., n. 219060).
    20
       Nel caso di specie Cass., sez. un., 28 luglio 2015, n. 33040, cit., ha dichiarato l’illegalità della pena che era stata concordata
sulla base dei parametri edittali dettati per le c.d. “droghe leggere” dall’art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dal-
la l. 21 febbraio 2006, n. 49, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale da C. cost., sent. 25
febbraio 2014, n. 32, in Giur. cost., 2014, 1, p. 485. Nella medesima fattispecie ha ritenuto necessario annullare senza rinvio la sen-

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    Deve considerarsi illegale, infatti, sia la pena che non corrisponde, per specie o per quantità, alla
sanzione astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, sia quella determinata in relazione ad
una cornice edittale indicata da una norma dichiarata incostituzionale, anche quando la pena concre-
tamente irrogata rientri nella cornice edittale della disciplina sopravvenuta.
    Mutatis mutandis 21, nella soluzione ermeneutica adottata dalla Suprema Corte in entrambe le suddet-
te differenti fattispecie, pare agevole poter cogliere un comune denominatore, rappresentato dalla ne-
cessità di rimettere le parti nella situazione antecedente al patto, al fine di consentire un eventuale nuo-
vo accordo.
    L’accordo negoziato precedentemente alla sopravvenuta abolitio criminis o alla intervenuta dichiara-
zione di incostituzionalità, infatti, è oggettivamente viziato perché il pubblico ministero e l’imputato,
nel concordare la pena, hanno tenuto conto anche del reato successivamente abrogato o costituente og-
getto della declaratoria di incostituzionalità.
    In altri termini, in conseguenza dello ius superveniens o della pronuncia della Corte costituzionale
che abbia dichiarato una norma costituzionalmente illegittima «ne risente l’intero negozio processuale
perché è venuto meno uno dei termini costitutivi dell’accordo» 22.
    L’abrogazione o, come nel caso della sentenza in chiosa, la depenalizzazione di una tra le fattispecie
di reato che ha formato oggetto del patto sulla pena concluso tra pubblico ministero ed imputato e rati-
ficato dal giudice nella sentenza emessa ex art. 444 c.p.p., comporta, infatti, che «detto patto debba rite-
nersi sciolto, non potendo superare indenne, nella sua globalità, il vaglio» della Corte di legittimità 23, e
che la pena irrogata debba, quindi, essere considerata illegale.
    Per questi motivi, dunque, il Supremo Collegio ha disposto l’annullamento senza rinvio della sen-
tenza, con trasmissione degli atti al competente Tribunale «per l’ulteriore corso in relazione alla defini-
zione del procedimento per i residui reati» ed alla Prefettura competente per territorio per il fatto depe-
nalizzato.
    Ciò con il precipuo intento di consentire alle parti di poter liberamente scegliere, con riferimento alle
contestazioni non “intaccate” dallo ius superveniens, se raggiungere di fronte al giudice di merito un nuo-
vo accordo sulla pena o se abbandonare il procedimento speciale de quo optando per il rito ordinario.
    Il negozio processuale e, ancora prima, la stessa scelta del rito sono maturati, invero, modulando
l’intero accordo sulle contestazioni formulate dalla pubblica accusa nel capo di imputazione (o nell’ad-
debito provvisorio, per l’ipotesi in cui la richiesta di applicazione della pena sia formulata nel corso del-
le indagini preliminari), di tal che la modifica dell’assetto complessivo su cui si fonda l’intero accordo
su una specifica quantificazione della sanzione da irrogare non consente di presumere un analogo con-
senso delle parti in riferimento ad una pena di diversa entità.
    Proprio perché la sentenza emessa a seguito di “patteggiamento” trova la propria legittimazione lo-
gica, ancor prima che giuridica, in un negozio che ha ad oggetto la quantità della sanzione, «a fronte di
variazioni favorevoli della previsione edittale si delinea un possibile interesse dell’imputato a rinego-
ziare l’accordo, senza le preclusioni che sarebbero opponibili alla parte pubblica nel caso opposto di un
inasprimento delle sanzioni» 24.
    In ragione di tutti questi elementi, laddove muti il quadro normativo con cui le parti si erano prece-
dentemente confrontate al fine di negoziare la pena da applicare all’imputato, qualora la decisione non
sia passata in giudicato, la sanzione non è più proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso e,

tenza di merito e trasmettere gli atti al giudice competente per il nuovo giudizio in ordine ai reati residui Cass., sez. III, 30 aprile
2015, n. 40522, in C.E.D. Cass., n. 265499 (fattispecie relativa alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 10-ter del d.lgs., 11
marzo 2000, n. 74).
     21
        Cass., sez. un., 28 luglio 2015, n. 33040, cit., sottolinea, infatti, come «i due istituti dell’abrogazione e della illegittimità co-
stituzionale delle leggi “si muovano su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse”. La norma abrogata a seguito
di una legge successiva resta pienamente valida fino all’entrata in vigore della norma abrogante, mentre in caso di dichiarazione
di illegittimità costituzionale la norma colpita viene eliminata con effetto ex tunc dall’ordinamento, rendendola inapplicabile ai
rapporti giuridici, con conseguenze assimilabili a quelle dell’annullamento e con incidenza sulle situazioni pregresse, fatto salvo
il limite del giudicato (C. cost., sent. 29 dicembre 1966, n. 127). In questo senso, l’illegalità sopravvenuta, cui si riferiscono alcune
sentenze, deve intendersi nel senso che la sentenza di dichiarazione di incostituzionalità “sopravviene” rispetto ai fatti, ma rile-
vando un vizio che è originario».
    22
         Così testualmente Cass., sez. III, 30 aprile 2015, n. 40522, cit.
    23
         L’espressione letterale è tratta da Cass., sez. V, 31 gennaio 2011, n. 9651, cit.
    24
         In questi esatti termini Cass., sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 1409, in C.E.D. Cass., n. 262403.

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pertanto, il precedente accordo deve considerarsi invalidato e la sentenza dichiarata nulla.
    Mutuando, seppure con i doverosi distinguo, le categorie civilistiche, a giudizio di chi scrive non
può che inferirsi come l’intervenuta abolitio criminis, pur non incidendo, all’atto della manifestazione
del consenso, sulla volontà negoziale 25 – considerato che, al momento in cui il negozio si è perfezionato
ed è stato recepito dal giudice nella sentenza di applicazione della pena, la dichiarazione delle parti e la
volontà sottostante non sono state in alcun modo viziate – ha reso illegale una parte dell’accordo con-
cluso tra l’imputato e la pubblica accusa ed ha, quindi, invalidato l’oggetto del negozio.
    Per questo motivo il mutamento della situazione di fatto in relazione al quale il patto tra le parti è
stato stipulato in una determinata forma e con un determinato regolamento negoziale deve condurre,
tanto quanto avviene nel diritto civile, alla risoluzione del contratto stesso che abbia in qualche misura
aggravato la posizione di una delle parti 26.
    Si ritiene condivisibile, quindi, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la manifestazione del
consenso e lo stesso accordo raggiunto, in caso di pena divenuta illegale, devono considerarsi “revoca-
bili”, in quanto nulli, perché inidonei a legittimare la sentenza giudiziale e, per le stesse ragioni, deve
annullarsi la sentenza – se non ancora passata in giudicato – in quanto affetta da nullità 27.

IL DIVERSO APPRODO ERMENEUTICO DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE NELL’ORIENTAMENTO CON-
TRARIO ALLA DECISIONE ANNOTATA

    Come già anticipato, il Supremo Consesso non è unanime nell’aderire alla soluzione interpretativa
cui è approdata la giurisprudenza di legittimità nella sentenza che si annota.
    Un diverso orientamento dei Giudici di Piazza Cavour ritiene, infatti, che in materia di applicazione
della pena su richiesta delle parti, qualora nelle more del ricorso per cassazione intervenga l’abolitio
criminis per uno dei reati ascritti all’imputato 28 (unificati dal vincolo della continuazione), la Corte di
legittimità debba «procedere allo scomputo della pena prevista per il reato abrogato, trattandosi di po-
tere che spetta al giudice che dichiari l’abrogatio criminis e che è comunque riconducibile alla previsione
di cui all’art. 619, comma terzo, cod. proc. pen., per la quale la S.C. ha il potere di rettificare la specie o
la quantità della pena quando ciò derivi dall’applicazione di legge più favorevole all’imputato, ancor-
ché sopravvenuta alla proposizione del ricorso, sempre che non siano necessari nuovi accertamenti di
fatto» 29.
    Le motivazioni alla base di questa differente scelta ermeneutica si fondano sulla necessità di non do-

    25
       È bene precisare che rispetto all’accordo recepito nella sentenza non assumono rilievo i vizi della volontà e le rivalutazioni
di convenienza.
    26
       Secondo Cass., sez. VI, 15 febbraio 2000, n. 6580, in C.E.D. Cass., n. 217101, «in tema di patteggiamento, la divergenza tra
volontà e dichiarazione non può essere dedotta come motivo di impugnazione poiché al negozio processuale concluso dalle
parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., non si applica la disciplina dell’errore dei negozi di diritto sostanziale, bensì il regime delle nul-
lità degli atti processuali il quale non prevede detta divergenza come causa di nullità». Si evidenzia, infatti, come l’art. 182
c.p.p., nella parte in cui recita espressamente «che le nullità previste dagli artt. 180 e 181 non possono essere eccepite da chi vi ha
dato o ha concorso a darvi causa», può senz’altro ritenersi applicabile quando l’imputato, pur non avendo compreso il contenu-
to dell’atto, ha comunque (colpevolmente) sottoscritto la procura speciale rilasciata al difensore che lo assiste, e ciò in quanto in
detta ipotesi può ravvisarsi un concorso del medesimo imputato a dare causa alla teorica nullità. Di questo avviso anche Cass.,
sez. I, 21 ottobre 2010, n. 41995, in Guida dir., 2011, 14, p. 72.
    27
         In questo senso Cass., sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 1409, cit.
    28
      Le Sezioni unite della Suprema Corte hanno chiarito che nell’ipotesi in cui, in pendenza del giudizio per cassazione, inter-
venga la c.d. abolitio criminis parziale il Supremo Consesso, se gli elementi richiesti dalla nuova fattispecie non hanno formato
specifico oggetto di contestazione e di accertamento, dovrà prosciogliere l’imputato a norma dell’art 129 c.p.p. ed annullare sen-
za rinvio la decisione di condanna impugnata perché il fatto, per come accertato nel giudizio di merito, non è più previsto dalla
legge come reato. In questo senso Cass., sez. un., 26 marzo 2003, n. 25887, in Foro it., 2003, II, c. 586, con nota di A. Tesauro-E.
Nicosia, False comunicazioni sociali, bancarotta impropria da reato societario e disciplina intertemporale. L’abolitio criminis parziale si
verifica qualora la normativa sopravvenuta non abolisca totalmente i reati precedentemente contemplati, ma determini una suc-
cessione di leggi penali con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell’entrata in vigore della
predetta normativa, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose. Sul tema cfr. anche M. Scoletta, L’abolitio cri-
minis “parziale”, tra limiti costituzionali e aporie processuali, in Studi in onore di Mario Pisani, 2010, p. 519.
    29
      Così testualmente Cass., sez. V, 4 maggio 2016, n. 41676, cit. Dello stesso avviso anche Cass., sez. VI, 15 dicembre 1999, n.
356, in C.E.D. Cass., n. 215286.

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ver procedere all’annullamento in parte qua della sentenza di applicazione della pena concordata, posto
che detto annullamento non comporterebbe in ogni caso un effetto rescissorio del negozio concluso ex
art. 444 c.p.p.
    E ciò in quanto, al momento della conclusione dell’accordo, le parti debbono tenere in debita consi-
derazione l’ipotesi – meramente eventuale, ma non per questo remota – che, qualora a seguito del mu-
tamento del quadro normativo consegua l’estinzione del reato o l’abrogazione di una delle fattispecie
criminose, «l’accordo sanzionatorio si concentri, previa detrazione della pena sine titulo» sulle imputa-
zioni residue.
    La decurtazione della pena – cioè, in altre parole, lo scomputo della sanzione riferibile all’addebito
non più costituente reato – spetta al giudice che dichiara l’abolitio criminis 30 e, quindi, anche alla Corte
di cassazione, che in siffatta ipotesi può rideterminare la pena ai sensi dell’art. 619, comma 3, c.p.p. 31.
    Detta soluzione interpretativa non è certamente applicabile (per l’impossibilità di effettuare lo
scomputo) qualora l’abolitio criminis abbia riguardato la fattispecie di reato individuata nell’accordo tra
le parti, quale pena base su cui “costruire” la richiesta di sanzione 32.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

    Mettendo a confronto i due contrapposti orientamenti giurisprudenziali emerge come gli stessi muo-
vano da una prospettiva totalmente differente.
    Ed invero, le decisioni che ritengono ammissibile l’espunzione della pena per il reato abrogato pun-
tano l’attenzione sull’aspetto soggettivo dell’accordo tra le parti e ritengono che l’intervenuta abolitio
criminis costituisca una non infrequente eccezione, che non solo tocca l’accordo delle parti, ma addirit-
tura lo supera.
    E ciò, come detto, in ragione del fatto che, di fronte ad una pluralità di reati, nell’optare per il “pat-
teggiamento” le parti devono “mettere in conto” che la pena concordata possa essere rideterminata se
dovesse mutare lo scenario normativo.
    Per la corrente giurisprudenziale testé citata milita in questa direzione anche un altro argomento:
considerato che la rideterminazione della pena avviene in melius, e quindi il trattamento sanzionatorio
finale è certamente più favorevole all’imputato, non vi è alcuna ragione per cui debba presumersi che,
in assenza di un’imputazione in continuazione con il reato più grave su cui è stata determinata la pena
base, l’accordo raggiunto tra pubblico ministero ed imputato sarebbe stato diverso.
    Viceversa, l’orientamento che opta per l’annullamento integrale (con o senza rinvio) della sentenza
di applicazione della pena su richiesta delle parti mette a fuoco l’aspetto oggettivo dell’accordo, ritenu-
to inscindibile ed intangibile e, in quanto tale, considerato nullo qualora muti, a seguito di abolitio crimi-
nis o di depenalizzazione, un elemento costitutivo del patto negoziale.
    La soluzione che predilige la rideterminazione della pena da parte della Suprema Corte asseconda,
da un lato, le esigenze di economia processuale e, dall’altro, quelle di effettività e di certezza della pena,
ma pare meno garantista rispetto all’orientamento sposato dalla decisione in disamina.
    Quest’ultimo, infatti, è maggiormente in linea con le intenzioni del legislatore, il quale, nel delineare
il rito speciale del patteggiamento, ha rimesso alla esclusiva scelta delle parti la possibilità di negoziare
la pena da sottoporre al giudice e di accordarsi sull’intero contenuto della decisione al vaglio giudiziale,
valorizzando così la volontà negoziale delle stesse che, in itinere, per effetto del mutato quadro norma-
tivo, potrebbe validamente venir meno.

   30
     Il giudice a quo, infatti, non può essere investito di detta statuizione, che potrebbe invece competere al giudice dell’ese-
cuzione nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia chiamato a dichiarare l’abolitio criminis ex art. 673 c.p.p.
   31
     L’art. 619 c.p.p. rubricato «rettificazione di errori non determinanti annullamento» al comma 3 consente, infatti, alla Su-
prema Corte, la possibilità di rettificare la specie o la quantità della pena nei casi di legge più favorevole all’imputato, anche se
sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto.
   32
     Sulla pena base, infatti, dovranno essere computati gli eventuali aumenti per la continuazione, applicate e comparate le
eventuali circostanze attenuanti ed aggravanti ed operata, infine, la riduzione fino ad un terzo della pena concordata.

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