L'International Festival & Music Conference

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L'International Festival & Music Conference
MEDIMEX 2019: 80mila presenze per
l’International Festival & Music
Conference
C’era una volta il MEDIMEX, il salone dell’innovazione musicale, nato a Bari nel 2011, come salone
espositivo, e da subito delineatosi come una fra le più importanti fiere italiane nel campo della
musica.

Nel corso degli anni, il MEDIMEX ha cambiato volto, spostandosi dai padiglioni della Fiera del
Levante per riempire di senso e musica il centro cittadino, dapprima quello barese e, nelle ultime
due edizioni, quello tarantino.

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Ma MEDIMEX non è solo concerti live, incontri, presentazioni di mostre e libri o film, è una
manifestazione a tutto tondo che dedica ad artisti, operatori e imprese della filiera musicale spazio
per conoscersi, confrontarsi e formarsi grazie a workshop mirati all’accrescimento professionale ed
al miglioramento di competenze specifiche e sempre più richieste sul mercato.

Il progetto targato Puglia Sounds, il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema
musicale regionale, non ha deluso le aspettative neanche in quest’ultima edizione, ricca come
sempre di eventi che hanno reso Taranto capitale della musica, aperta e cosmopolita così come si
vede soltanto in pochissime altre occasioni.

Le location più belle e suggestive della città sono state lo scenario ideale della manifestazione, che
quest’anno ha accolto artisti internazionali del calibro di Editors, Liam Gallagher e Patti Smith.
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Ampio spazio è stato dedicato ai cinquant’anni di Woodstock con la proiezione, nel Teatro Fusco, di
tre pellicole dedicate a questo storico avvenimento; tre punti di vista, tre narrazioni e tre visioni
differenti che raccontano i tre i giorni di pace, amore e musica che cambiarono profondamente
l’America, e, di riflesso, il mondo intero.

L’urlo di Joe Cocker, la preghiera laica di Joan Baez, l’indimenticabile esibizione di Jimi Hendrix, la
chitarra ed il ritmo travolgente di Richie Havens, icone del rock raccontate attraverso gli occhi del
regista Michael Wadleigh e del suo rockumentary “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e
musica”; ma anche il salto generazionale di “My Generation – Woodstock 1969, 1994, 1999”,
film del 2000 di Barbara Kople, che racconta anche le due successive edizioni del festival mettendo a
confronto generazioni diverse tra idealismo e disincanto; per finire con “Woodstock – Three days
that defined a generation” di Barack Goodman, in anteprima per il MEDIMEX, che si sofferma più
sugli aspetti emozionali di quel pubblico, unito dall’amore per il rock e dai profondi cambiamenti
politici e di costume che la fine degli anni ’60 stava portando.
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Il MEDIMEX non ha voluto celebrare Woodstock soltanto attraverso la cinepresa ma l’ha fatto anche
utilizzando la fotografia e l’occhio di due grandissimi fotoreporter, Baron Wolman e Donald
Silverstein, dedicando loro “Woodstock & Hendrix: THE REVOLUTION”, una mostra fotografica
dislocata in due location, il polo universitario di Taranto e il MarTa (Museo Nazionale Archeologico
di Taranto).

Baron Wolman, fotoreporter della rivista Rolling Stone, fissa quelle istantanee della piana di Bethel
che resteranno per sempre nell’immaginario collettivo, e lo fa spostando la visuale dagli artisti al
pubblico, fotografando facce, espressioni ed intenzioni; Donald Silverstein invece, si sofferma sulla
figura di Jimi Hendrix, fotografandolo in studio e contribuendo all’immagine iconografica del
chitarrista che rivoluzionò il rock. La mostra riesce a combinare bene queste due differenti visuali,
per raccontare quell’epoca in cui la musica cambiò la storia.
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Anche la sezione book stories del MEDIMEX è interamente dedicata a libri che raccontano di
Woodstock, nei suoi vari aspetti.

Il critico musicale Ernesto Assante con “Woodstock ’69 – rock devolution”, racconta Woodstock
attraverso le sue interviste ai personaggi che fecero la storia del concerto, mentre Riccardo
Bertoncelli, nel suo “1969. Storia di un favoloso anno rock da Abbey Road a Woodstock”, offre
una visione più ampia del 1969, anno ricco di avvenimenti che cambiarono profondamente il modo di
fare musica.

Singolare nel suo genere è, invece, il libro presentato da Barbara Tomasino che in “Groupie,
ragazze a perdere”, indaga sul ruolo trascurato delle groupie, ragazze al seguito della band di cui
sono fan appassionate e che si donano totalmente ai loro beniamini, diventando simbolo della
rivoluzione sessuale che attraversò gli anni a cavallo di Woodstock.
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Il MEDIMEX non è solo film, mostre, libri e formazione, ma è soprattutto incontro con gli autori e
musica live.

Da Mezzosangue a Frankie H-RNG, da Piero Pelù a Motta, ognuno con la propria storia da
raccontare, un’esperienza che vale la pena ascoltare, quel dialogo tra pubblico ed autori che spesso
manca e mette distanza tra chi fa musica e chi la ascolta.

Esperienza ed ascolto che il MEDIMEX riesce a catalizzare portando in Puglia performance di
respiro internazionale che danno vita ad eventi live epocali.
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Saranno ricordate la performance degli Editors, preceduti dai Cigarettes After Sex e l’esibizione
di Liam Gallagher, ma resterà nella storia Patti Smith, che con il suo temperamento e la sua
energia ha stregato il pubblico prima nella gremita aula magna dell’Università e poi sul palco della
Rotonda del Lungomare.

Non parla una parola d’italiano e ne è visibilmente dispiaciuta, tanto da scusarsene, ma non smette
mai di dialogare con il pubblico, un continuo omaggio alla città di Taranto ed alla sua gente, tanto da
indossare una maglia del Taranto F.C., un’energia unica e prorompente che pervade la città ed esce
dai confini della performance fine a se stessa.
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Si chiude così, con il saluto della sacerdotessa del rock, l’edizione 2019 del MEDIMEX, ma non è un
addio, è solo un arrivederci al 2020.

80mila presenze, oltre 500 gli operatoti, gli artisti e i rappresentanti di imprese musicali pugliesi che
hanno partecipato alle attività formative di Puglia Sounds, oltre 2milioni e mezzo di interazioni sui
Social, sold out per biglietti staccati e strutture ricettive.

Un risultato che supera ogni rosea aspettativa, ma anche la dimostrazione che basta veramente poco
per valorizzare un territorio dalle enormi potenzialità che aspetta solo di essere scoperto e mostrarsi
al meglio.

Una delle tante dimostrazioni di efficace valorizzazione dei territori depressi utilizzando strumenti
culturali come musica, teatro, cinema, di cui ormai l’establishment della Regione Puglia è ben
consapevole.
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Al margine di pompose presentazioni di sterili, seppur sorprendenti, indicatori economici, il
sentimento di riscatto di una città troppe volte bistrattata ed emarginata, troppe volte dimenticata,
che almeno per qualche giorno si è sentita alla pari delle altre, non più problema ambientale, bensì
bellezza da vivere ed ammirare e pura e semplice normalità.

Sperando che quest’onda positiva venga sfruttata al meglio e non diventi solo un episodio sporadico,
l’appuntamento è per l’anno prossimo, ancora una volta a Taranto, con il MEDIMEX –
International Festival & Music Conference del 2020, che vedrà anche una Spring Edition a
Brindisi.

Curve nella memoria: gli anniversari del
2019 da ricordare a suon di musica
“La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello senza che io sappia perché questo e non quello”,
recitava Franco Battiato nel testo di una sua celebre canzone, infatti pare che ricordare, andare
indietro con la memoria fin dove la mente riesca a spingersi, sembra essere uno dei modi in cui
riusciamo a mantenere la nostra identità, anche se i ricordi sono casuali, ma ci sono fatti ed
avvenimenti che fanno parte dell’identità collettiva e della storia di ognuno di noi, nonostante non li
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abbiamo vissuti direttamente.

Questa riflessione è ancor più valida, se è la musica ad ispirare un ricordo, un’emozione o un
avvenimento storico; basta poco, una vecchia canzone che passa in radio, per accendere ricordi
casuali, ma ancora vivi dentro di noi.

Così proprio mentre il nostro giornale compie 5 anni di frenetica attività, abbiamo pensato di aprire i
cassetti della memoria per ricordare insieme pezzi di storia e di vita che ci hanno condotto fin qui,
momenti che magari sono stati epocali per qualcuno, ma che qualcun’altro forse non ricorda
neanche.

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Ad esempio, il 1959, un anno che qualcuno avrebbe ricordato per l’interpretazione di Marilyn
Monroe, protagonista del film “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder, ma anche per la prima
edizione del concorso canoro, il più ambito negli U.S.A., i Grammy Awards, invece sarà ricordato
per “The Day the Music Died” (Il giorno in cui la musica morì).

Il 3 febbraio 1959, infatti, persero la vita in un tragico e fortuito incidente aereo nel Iowa, tre
giovanissime icone del rock: Buddy Holly, The Big Bopper e Ritchie Valens.

Questo nefasto evento, però, non ha impedito a capolavori come “Words Of Love”, “Chantilly
Lace” e “La Bamba”, di varcare la soglia del tempo e giungere fino a noi.

Dieci anni più tardi, nella calda estate del 1969, Neil Armstrong è il primo uomo a toccare il suolo
lunare, un evento vivo nell’immaginario collettivo di chi ha vissuto in diretta televisiva mondiale quel
momento, ma anche nell’immaginario di tutti coloro i quali non erano ancora nati, così come è
ancora vivido il ricordo irripetibile del Festival di Woodstock.
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“3 Days of Peace & Rock Music”, tre giorni di pace e musica rock, un messaggio talmente forte e
travolgente, da rompere la quiete della tranquilla cittadina di provincia per cui era stata pensata “la
Fiera della Musica e delle Arti di Woodstock”, tanto da attirare oltre 400.000 persone, in gran
parte giovani.

  Leggi anche:

  ■   Generazione nostalgia e le tecniche del Vintage Marketing
  ■   Ritorno al vinile: moda, business o riscoperta? Ne parliamo con Dj Ringo, Art Director
      di Virgin Radio

Il 1979, invece, sarà l’anno ricordato per l’ascesa di due donne alle più alte cariche dello
Stato. Margaret Thatcher diventa la prima donna a essere nominata Primo Ministro nel Regno
Unito quasi contemporaneamente, in Italia, Nilde Iotti viene nominata anch’essa per la prima volta,
Presidente della Camera dei Deputati, ma questo è anche l’anno in cui la musica diventa fruibile in
qualsiasi posto, grazie ad un piccolo apparecchio portatile, inventato dalla Sony.
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Il Walkman, lettore portatile di musicassette rivoluzionerà per sempre il modo di fruire della musica
che, da questo momento in poi, scandirà ed accompagnerà la vita di tutti, così come “The Wall”, il
concept album dei Pink Floyd, resterà per sempre una pietra miliare del rock.

Il successo planetario della band britannica, culminò nel 1989 con un concerto a Venezia, unico
nella storia e “Another brick in the wall” proprio in quell’anno, verrà associata ad un altro evento
epocale, la caduta del muro di Berlino, nonostante nella canzone non se ne faccia mai riferimento
esplicito.

Soltanto dieci anni dopo la caduta del muro e la fine della guerra fredda, il 1° gennaio 1999, gli
europei assistono alla nascita della moneta unica, l’Euro, che cambierà radicalmente la politica
economica dei singoli Stati e gli scambi commerciali con il mondo, mentre l’Italia, perdeva uno dei
più grandi poeti e musicisti del suo paese, Fabrizio De Andrè, stroncato da un tumore l’11
gennaio.

Una perdita talmente tanto dolorosa, da non essere ancora superata; De Andrè, il cantautore degli
ultimi, è vivo nei cuori degli italiani che ogni anno, il giorno dell’anniversario, si radunano
spontaneamente nelle piazze per ricordarlo cantando le sue canzoni.
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Il 2009 consacrerà il primo Presidente afroamericano della storia, Barack Obama, mentre l’Italia
piangerà le vittime del terremoto dell’Aquila, un avvenimento che segnerà profondamente il nostro
paese.

La reazione al terremoto, sarà un collettivo di “Artisti Uniti per l’Abruzzo” che inciderà un singolo
“Domani 21.04.2009”, cover di un brano di Mauro Pagani, che devolverà in beneficenza circa un
milione di euro per la ricostruzione e la salvaguardia delle opere d’arte.

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i per l’Abruzzo.
Intanto, ascoltando canzoni e ricordi, siamo arrivati al 2019, l’anno in cui i lavori per la
ricostruzione del terremoto dell’Aquila non sono ancora stati terminati e urgono più che mai; l’anno
in cui, “commemorare” deve significare anche “ricostruire”, rimettere insieme quei pezzi di storia
sparpagliati, ridare un senso agli avvenimenti, nuova vita alle cose, non dimenticare le vittime.

Chissà se quest’anno ci regalerà pezzi di canzoni intramontabili “angoli del presente che
fortunatamente diventeranno curve nella memoria, quando domani ci accorgeremo che
non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria”, come
questo capolavoro di Francesco De Gregori del 1992.

Isola di fuoco: Il concerto per visioni di
Colapesce
Certe emozioni non si possono raccontare con l’immediatezza dettata dai tempi giornalistici, per
comprendere ed assaporarle, è necessario lasciarle sedimentare negli strati più profondi della
coscienza per ristabilire un collegamento con quanto più di ancestrale ci appartiene.

È il caso di “Isola di fuoco”, progetto ideato dal cantautore Colapesce che prende vita
dall’omonimo documentario, girato in Sicilia alla metà degli anni ’50, dal maestro Vittorio De Seta.

De Seta, uno dei più grandi documentaristi che l’Italia abbia mai conosciuto, nel 1954 gira sull’isola
di Stromboli, il suo capolavoro, premiato l’anno successivo al Festival del Cinema di Cannes,
raccontando un mondo prevalentemente rurale, in cui sudore, fatica, fame e sacrifici, sono spezzati
da momenti conviviali e feste tradizionali religiose.

Uomini e donne, con i volti segnati dal rovente sole siciliano, vivono in un costante rapporto
simbiotico con il mare, la terra ed il vulcano, dove sussistenza ed opulenza si mischiano e fervore
religioso e credenze popolari si confondono.
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Immagini semplici, che riprendono una quotidianità aspra e che forse non siamo abituati ad
immaginare, ma che fissano un’istantanea precisa e fedele di un tempo non troppo lontano dal
nostro, poco più di sessant’anni, eppure concettualmente alieno rispetto alla società in cui ci siamo
assuefatti a vivere.

Immagini, alcune volte cruente e crudeli, altre volte dense di poesia, ma sempre pregne di una
grande potenza evocativa e che lasciano ad intendere nostalgia per una maniera di vivere ormai
scomparsa ma, soprattutto, in cui traspare un grande amore per la propria terra e le proprie
tradizioni.

Un amore smisurato che De Seta non ha mai celato e che Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo,
anch’egli siciliano, continua a dichiarare apertamente, regalandoci performance dedicate al paese
natio, come “Isola di fuoco”, che difficilmente è possibile dimenticare.

Concerto per visioni, così definisce il suo progetto Colapesce, che anche lo scorso 15 marzo, ha
emozionato il pubblico del Teatro Rossini di Gioia del Colle (BA), accompagnato dal musicista
Mario Conte.

Inesplicabile lo spettro delle sensazioni che colpiscono l’anima del variegato uditorio presente nel
caratteristico Teatro Rossini; certo è che il complesso di suoni, rumori, musica e canzoni, nel senso
più ampio del termine, non lascia indifferente nessuno ed al tempo stesso lascia senza parole.

La meraviglia, lo stupore, l’incredulità diventa ancora più palpabile quando la magistrale fotografia,
colpisce l’attenzione degli spettatori e la musica si fonde con le immagini, alcune volte feroci e
spietate, come nel caso della cattura del pesce spada, altre volte trasognate, e incantate, come
durante una tranquilla notte di pesca avvolti dalla nebbia.

Urciullo e Conte, combinano suoni, li fondono alla visione, in un unicum rigorosamente improvvisato,
si lasciano guidare e guidano lo spettatore nel percorso visivo, immergendo e lasciandosi immergere
in un’atmosfera onirica e surreale, che diventa poetica quando Colapesce presta la sua voce al
filmato, così “Pantalica”, materializza e rende concreto il paesaggio e le sue pietre “fra il fico
d’india e le stelle”.

Le immagini poi, cedono il posto ad alcuni brani cantati, lasciando un ulteriore spazio alla riflessione
ed all’emozione, per poi concludersi con un piccolo, ma sentito omaggio a Fabrizio De Andrè ed
alla sua “Canzone dell’amore perduto”.

Un amore forse più simbolico e metafisico rispetto a quello cantato da De Andrè, che invece di
perdere la donna amata, si rifiuta di smarrire le proprie origini e la propria storia millenaria, a
favore del mondo globalizzato.

Sorge spontanea, infatti, un’ulteriore riflessione più profonda, che vede contrapposto l’antico
mondo, isolano e rurale, in cui tutti vivono in simbiosi e rispetto nei confronti della natura, madre
solitamente benevola, ma che talune volte, si trasforma in maligna e portatrice di calamità,
nondimeno sempre bisognosa di cure, sudore e uomini, donne e bambini da sacrificare al duro
lavoro, al moderno mondo globalizzato, dove quel che conta, non è il boccone per sfamarsi, ma il
profitto.

Profitto inseguito ad ogni prezzo, dove l’importante è produrre senza curarsi del depauperamento
delle risorse, sfruttando e distruggendo, dove le macchine si sono sostituite alla fatica delle braccia,
dove non esiste rispetto per l’habitat naturale, ormai assoggettato al volere umano e slegato dalla
normale ciclicità delle stagioni.

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Una natura di cui non ci curiamo più e che magari, preferiamo solo ammirare attraverso lo schermo
di uno smartphone.

Il cantautore siciliano, invece, attraverso una dimensione quasi onirica ci spinge a riflettere, ci
riporta indietro alle origini di quel mondo ormai perso, che non possiamo e non dobbiamo
dimenticare, cercando di ristabilire il contatto con la madre terra.

L’immersione in questo mondo antico, non sarebbe stata possibile senza i sacrifici dell’Associazione
“Ombre”, che si è sforzata di selezionare per il pubblico del Festival INDIEsposizioni, un
cartellone così variegato e ricercato, tale da sdoganare il complesso mondo dell’Indie e le sue
molteplici sfaccettature, anche a spettatori diversi, per età ed estrazione sociale.
Buon compleanno Faber!
Il 18 febbraio del 1940, nasceva a Genova Fabrizio Cristiano De Andrè, secondogenito di una
famiglia borghese di origini piemontesi.

Nonostante ci abbia lasciato prematuramente a causa di un carcinoma polmonare, resta immensa la
sua produzione letteraria e musicale, ben 14 album e diversi singoli, senza contare, la miriade di
scritti ed appunti ancora gelosamente custoditi dalla sua famiglia.

Era infatti, appena iniziato il 1999, quando Fabrizio De Andrè, terminò il percorso della sua vita
terrena per diventare immortale con la sua musica e la sua poesia, lasciando però, orfano, il
panorama musicale italiano che perdeva un grande cantautore.

Oggi a vent’anni dalla sua morte, ci si interroga sull’immensa eredità che Faber ci ha lasciato e
come questa abbia influenzato quello che i critici musicali definiscono, il nuovo cantautorato
italiano.

Innegabile è che questo grande intellettuale, perché chiamarlo solo cantautore, sarebbe davvero
riduttivo, abbia lasciato un’impronta indelebile nella storia del nostro paese, modificandone per
sempre il modo di fare musica e di utilizzarla come metodo di narrazione.

Mi viene difficile raccontare sua la poetica, se non con le canzoni ed i personaggi a lui tanto cari,
come la musica di Georges Brassens, che ispirò il giovane Fabrizio a tal punto che egli stesso lo
definì “il mio maestro” e volle eseguire alcune delle traduzioni delle sue bellissime ballate.

Ma il cantautore genovese è ricordato soprattutto per i suoi personaggi, alcune volte irriverenti,
altre volte malinconici, e per le tematiche trattate, dall’immigrazione alla prostituzione, dal
transgenderismo agli amori impossibili, improbabili o perduti, dalla religione alla politica e dalle
condizioni delle carceri alle lotte sociali.

Temi scomodi e di scottante attualità ancora oggi, che negli anni di piombo, convinsero la Polizia a
schedare il giovane universitario Fabrizio, come “persona potenzialmente pericolosa”, del resto, mai
nessuno nel panorama musicale, ha colpito così tanto l’immaginario collettivo, a tal punto, da
confondere persino ligi agenti al servizio dello Stato.

Se si chiedesse di descrivere a dei passanti chi sia stato De Andrè, ognuno darebbe la sua personale
definizione, dal rigattiere alla massaia, dal critico musicale al colto; è stato definito cantautore,
filosofo, poeta, intellettuale ed anarchico, e probabilmente, era ognuna di queste cose.

Personalmente, non credo che esista un unico modo di raccontare la musica di De Andrè, riuscire a
spiegare a chi non l’ha conosciuto, chi fosse e quale patrimonio culturale ci abbia lasciato, non credo
neanche che lo si possa spiegare, perché ognuno ha il suo particolare percorso di ascolto e
comprensione.

Tutti abbiamo ascoltato, almeno una volta, capolavori come “Bocca di Rosa”, “Don Raffaè”, “Il
Pescatore”, “La canzone di Marinella”, “Le Passanti”, “Canzone del Maggio” o “Via del Campo”, solo
per citarne alcuni, ma per comprenderne fino in fondo il suo messaggio, non basta ascoltare
distrattamente, bisogna aprire l’anima, lasciare posto alle riflessioni autentiche e scevre dai giudizi
politici, religiosi o ideologici, per comprendere le canzoni di De Andrè, bisogna viverle, ci si deve
appassionare ai personaggi, alle storie, ai luoghi.

Quello che so, è che ascolto le sue canzoni da quando ero bambina, ma solo con la maturità, credo di
avene compreso il senso ed aver percepito il grande vuoto ideologico, culturale e politico in cui ci
abbia gettato in quel freddo gennaio del 1999.
Avevo vent’anni nel ‘99, e ricordo ancora lo sgomento della mia generazione all’apprensione della
sua morte, ci sentimmo privati di un padre, di un amico, di un fratello, ma soprattutto di una guida,
forse è per questo che ancora oggi, a distanza di tanti anni, la sua musica è così attuale e viva,
perché manca ancora un modello a cui ispirarsi.

Lo dimostrano i follower sul canale Spotify, circa 386.000 con circa 672.000 ascoltatori solo
nell’ultimo mese, numeri che fanno impallidire cantautori contemporanei a De Andrè e che sono
ancora in attività, lo dimostrano le migliaia di giovani e meno giovani che spontaneamente, la sera
dell’11 gennaio hanno affollato le principali piazze italiane e cantato tutti insieme quelle stesse
canzoni di Faber e che ormai, sono patrimonio di tutti.

Sentimento nostalgico? Evento alla moda amplificato dai social? Non credo!

In fondo, le storie raccontate da De Andrè, sono ben lontane dal modello comune attuale che ci vuole
vincenti e forti, dove non c’è tempo per sbagliare, sono storie di umili, di vinti, di ingiustizie, di
fragili, di smarriti.

Probabilmente, le cosiddette “cantate anarchiche” e spontanee, altro non sono che un abbraccio
collettivo, un autentico tributo a chi con la sua musica, continua ad emozionare milioni di persone.

In un modo di relazioni virtuali, a dispetto di chi trae vantaggio dalle divisioni, sono desiderio
effettivo di condividere, di incontrarsi, di sentire, di riflettere, “come una svista, come un’anomalia,
come una distrazione, come un dovere”.
SANREMO 2019: Mahmood vince il 69°
Festival della Canzone Italiana.
Con la vittoria di Mahmood e del suo brano “Soldi”, si conclude la sessantanovesima edizione del
Festival della canzone italiana.

L’evidente stupore negli occhi del giovane italo-egiziano all’annuncio della vittoria, riassume un
Festival carico di sorprese e colpi di scena.

Doveva essere il Festival dell’armonia, ma di armonia se n’è vista ben poca, a cominciare dalle
polemiche sui migranti tra Salvini e Baglioni, scaturite prima ancora di iniziare, polemiche che forse
qualcuno ha voluto zittire, votando l’egiziano, a monito di un popolo, che tutto sommato, ha fame
d’integrazione e scambio.

A parer mio però, Alessandro Mahmoud (che ricordiamo, è nato in Italia da madre italiana e padre
egiziano, è che quindi è a tutti gli effetti legali, italiano), non ha ricevuto un voto politico bensì, è
stato votato per la sua canzone musicalmente accattivante.

Forse l’arma vincente, è quel battito di mani unito al ritmo arabeggiante che smorza il racconto di
una storia dolorosa ma, che avrei visto meglio tra le hit estive, che sul podio di Sanremo.

Cercando, per un momento, di riavvolgere il nastro di una serata che si mostra, da subito, con un
ritmo incalzante ed alcuni tempi morti, spesso mal riempiti, il quinto appuntamento, il più atteso,
vede una competizione serrata ma distesa in cui, l’emozione è sicuramente il filo che lega tutti i
concorrenti e gli ospiti.

Si commuovono alcuni cantanti in gara, prima fra tutti, Arisa, si emoziona e ci fa emozionare, Elisa
in duetto con Baglioni, nel ricordo di Luigi Tenco e della sua “Vedrai vedrai” mentre, il super ospite
Eros Ramazzotti, ci fa ballare insieme a Luis Fonsi.

Non appena comunicata la classifica però, la commozione lascia subito il posto ai fischi dell’esigente
pubblico dell’Ariston che reclama sul podio, Loredana Bertè, classificata invece al quarto posto.

È lei, la vincitrice morale del Festival, più volte acclamata in sala nel corso della kermesse, e che
forse, quel podio l’avrebbe meritato a corollario di una carriera travagliata ma densa di grandi
successi.

Come di consueto, vengono assegnate poi alcune menzioni speciali, “Argentovivo”, il brano portato
in gara da Daniele Silvestri accompagnato da Rancore, vince il Premio della critica, quello della sala
stampa ed il Premio per il miglior testo, mentre “Abbi cura di me” di Simone Cristicchi, si aggiudica
il Premio per la migliore interpretazione, intitolato a Sergio Endrigo ed il Premio alla migliore
composizione musicale.

Strano notare come queste due canzoni abbiano fatto incetta di premi, passatemi il termine, “di
qualità”, a dispetto di tutte le altre.

Seppur differenti per tematica e sonorità, entrambe le canzoni sembrano essere una spanna sopra le
altre, buone, evidentemente, da accaparrarsi premi importanti, ma non da meritare il giusto posto in
cui avrebbero dovuto trovarsi, il podio.

“Argentovivo” è sicuramente un brano più contemporaneo rispetto a quello portato da Cristicchi,
pone l’accento sull’invisibile disagio profondo dei giovanissimi, e lo fa senza mezzi termini e giri di
parole, quasi sbattendolo in faccia all’interlocutore.

Non credo invece, d’aver ascoltato negli ultimi anni, una canzone così delicata come “Abbi cura di
me”, di un’intensità così forte, è inno all’amore puro per eccellenza, densa e poetica da lasciare
senza parole per troppa bellezza.

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Premesso che non riesco ancora a capire come si definisca una “canzone sanremese”, quindi, non ne
saprei riconoscere una, nonostante segua assiduamente il Festival da tantissimi anni, mi ha colpito
molto per la sua autenticità, il brano di Enrico Nigiotti, “Nonno Hollywood”, dal quale traspare
l’esigenza di raccontare senza costruzioni o artifici (Enrico Nigiotti è vincitore del Premio Lunezia
per il testo di Nonno Hollywood).
Forse perché a me piacciono le canzoni classiche, vecchio stampo, per intenderci, quelle che
abbiano almeno, un testo comprensibile ed una melodia degna di essere tale e quindi,
probabilmente, sul mio giudizio, sicuramente distratto ed ignorante, pesa quest’idea di canzone
italiana un po’ demodè, nonostante questo, ho apprezzato molto la scelta della direzione artistica che
ha voluto aprire a generi più contemporanei come il rap, il trap, l’indie, l’hip hop, cercando di
svecchiare il tempio della musica italiana.

Forse un’esigenza di mercato, un Sanremo che attragga più i giovani, principali fruitori di musica,
oppure reale desiderio di apertura, di ridare al Festival il ruolo di spaccato del mondo che prolifica e
vive al di fuori dell’Ariston e, certe volte, anche a suo dispetto.

Fatto sta, che il Festival di Baglioni, unico e vero mattatore, spesso anche troppo ingombrante,
regge gli ascolti ed incolla al televisore da quasi 11 milioni di spettatori con uno share del 56,5%.

Dati un po’ in calo rispetto allo scorso anno, ma sicurante non deludenti, senza contare, le
interazioni sui social (complessivamente circa 15 milioni), l’esposizione mediatica nelle cinque
puntate e le visualizzazioni sul sito Raiplay in netta crescita.

Visibilità che fa bene a tutti i partecipanti alla competizione ma che, mi fa piacere, abbia
positivamente investito gruppi come gli Ex-Otago, I The Zen Circus, I Negrita ed i Boomdabash, che
avrebbero meritato certamente, posizioni migliori in classifica.

La storia ci insegna però, che la classifica di un Festival, non è sempre specchio di un mondo fatto di
radio, etichette indipendenti, streaming, visualizzazioni, follower e concerti, quindi la partita si gioca
adesso, nel mondo reale, e stavolta, è vitale ed ancora lunga.

Mentre nella città dei fiori, si pensa al prossimo Festival, il settantesimo, e forse, ad un Baglioni ter,
viene da chiedersi cosa attrae di questo mondo patinato e perché infiamma così tanto gli animi a
dispetto di chi, le ritiene solo canzonette.

Forse è vero che questo baraccone di musica, outfit, spettacolo, pettegolezzi e polemiche, un po’ ci
rappresenta, ma purtroppo a questa domanda non riesco a dare una risposta.

Quello che so, è che se prendessimo a cuore l’amministrazione dello Stato, così come prendiamo
competizioni canore e partite della nazionale, forse consegneremmo un mondo migliore a quei
giovani che utilizzano quella musica, che ci viene difficile comprendere, per far sentire la loro voce
spesso inascoltata.

SANREMO 2019: La quarta serata del 69°
Festival della Canzone Italiana.
La penultima serata della competizione canora diretta da Claudio Baglioni, vede sul palco, oltre ai 24
artisti in gara, anche 32 ospiti che ne accompagneranno le esibizioni.
Non solo cantanti, ma anche musicisti, ballerini ed artisti a supporto delle performance.
Questa è la sera in cui si palesa anche la Giuria di qualità, capeggiata da Mauro Pagani, mentre
finisce il suo lavoro, la Giuria demoscopica, per dare più peso al televoto.
Sono Federica Carta e Shade ad aprire la gara, accompagnati dall’idolo della Y generation, Cristina
D’Avena, seguiti Motta che sceglie Nada per dare forza ad un pezzo profondo, ma dalle sonorità
monotone, mentre è Noemi ad accompagnare il pezzo di Irama.

L’intensità della canzone di Patty Pravo con Briga, viene esaltata da Giovanni Caccamo,
successivamente, la tromba di Roy Paci insieme alla voce di Enrico Ruggeri danno nuovo smalto,
laddove ce ne fosse stato bisogno, al pezzo dei Negrita.
Il Volo sceglie di farsi supportare dal violinista Alessandro Quarta, per un’esibizione decisamente più
sprint; Arisa accosta la sua particolare voce a quella dell’idolo degli Spandau Ballet, Tony Hadley ed
alle coreografie dei Kataklò.
Mahmood sceglie l’irriverenza di Gué Pequeno per sostenere il suo pezzo, intanto sul palco
dell’Ariston salgono Diodato ed i Calibro 35 per il pezzo di Ghemon.

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Francesco Renga chiama insieme a lui, il cantautore Bungaro, ed i ballerini, Eleonora Abbagnato e
Friedemann Vogel; Fabrizio Moro presta la sua voce al pezzo di Ultimo e Nek si affida alla voce di
Neri Marcorè, entrambi i pezzi così, ne guadagnano in intensità e coinvolgimento.
I salentini Boomdabash, fondono le loro sonorità con i Musici Cantori di Milano ed il rapper Rocco
Hunt; sono poi mirabili ed ancora più emozionanti, l’interpretazioni dei The Zen Circus insieme a
Brunori sas e la voce di Paola Turci accompagnata da Beppe Fiorello.

Anna Tatangelo si accosta a Syria mentre acquistano nuova energia i brani degli Ex-Otago
accompagnati da Jack Savoretti, Enrico Nigiotti, accompagnato al piano da Paolo jannacci e
Massimo Ottoni (maestro della sand art).
Due regine del pop Loredana Bertè ed Irene Grandi, infiammano la platea, Manuel Agnelli valorizza
l’interpretazione di Daniele Silvestri e Rancore, Einar si affida agli amici Biondo e Sylvestre.
Un momento di pura poesia con Simone Cristicchi coadiuvato da Ermal Meta, subito rimpiazzato
dalla forza dei Sottotono, a supporto della canzone di Nino D’Angelo con Livio Cori, e dalla canzone
di Achille Lauro che si fa accompagnare da Morgan.
La gara si conclude con la premiazione da parte della Giuria di qualità, del brano, “Dov’è l’Italia”
interpretato da Motta accompagnato da Nada.

Ospite della serata, un grande Luciano Ligabue che ci regala un tributo a Francesco Guccini,
interpretando “Dio è morto”, canzone simbolo dei giovani sessantottini e speranza per un mondo
migliore, il brano è del 1965 ma tutt’oggi attuale nei contenuti.
Stasera tutti gli occhi saranno puntati sull’ultimo appuntamento della kermesse canora che
finalmente decreterà il vincitore della sessantanovesima edizione del Festival della canzone italiana.
SANREMO 2019: La terza serata del 69°
Festival della Canzone Italiana
Il terzo appuntamento del sessantanovesimo Festival della canzone italiana, viaggia ormai su un
format consolidato, dov’è Claudio Baglioni a fare da mattatore della serata, affiancato come sempre,
da Virginia Raffaele e Claudio Bisio.

Tantissimi gli ospiti, a cominciare da Alessandra Amoroso che si emoziona duettando con Baglioni, il
grande Antonello Venditti che ci regala la migliore interpretazione della sua “Notte prima degli
esami”, Serena Rossi, che sul palco dell’Ariston canta “Almeno tu nell’universo”, nel ricordo di Mia
Martini alla quale la Rai ha dedicato una fiction, che andrà in onda la settimana prossima.

Bisio e la Raffaele ci intrattengono con simpatiche gag mettendo in risalto le loro doti artistiche,
mente sul palco arrivano Paolo Cevoli con il suo humor romagnolo e Ornella Vanoni fuori budget.

Rovazzi ci riporta indietro all’estate con i suoi classici tormentoni, riuscendo a scrollare dalle sedie
anche i più pigri tra il pubblico, che invece si mette in piedi nuovamente per una standing ovation
dovuta a due mostri sacri della canzone italiana, Raf ed Umberto Tozzi, che ripercorrono i momenti
salienti della loro carriera, in un medley di canzoni che ormai sono storia e non solo del Festival.

La gara entra nel vivo con le dodici canzoni in gara, che si contendono un posto nella famosa zona
blu della classifica.

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Inizia la gara Mahmood, seguito da Enrico Nigiotti e Anna Tatangelo, religioso silenzio in sala per
Simone Cristicchi, che si commuove durante l’esecuzione della sua “Abbi cura di me”, chiude la gara
la canzone sullo scambio intergenerazionale di Nino D’angelo e Livio Cori.

Al termine della serata, come ormai consuetudine, viene resa nota la classifica dei giornalisti della
Sala Stampa, convincono Mahmood, Cristicchi, Irama e Ultimo, mentre Anna Tatangelo, Nino
D’angelo con Livio Cori, Boomdabash, Patty Pravo con Briga, non piacciono e finiscono nella “zona
rossa”, la zona gialla invece, è occupata da Motta, Nigiotti, The Zen Circus e Renga.

Ricordiamo che i voti della Sala Stampa pesano solo per il 30% del voto finale, quindi, è ancora tutto
da giocarsi.

Intanto l’attesa è tutta per i duetti dei cantanti in gara, con gli ospiti di questa sera, e per l’arrivo del
mitico Ligabue, che sicuramente non lascerà deluso il pubblico della città dei fiori.

SANREMO 2019: La seconda serata del 69°
Festival della Canzone Italiana
È la musica di Claudio Baglioni ad aprire la seconda serata del Festival di Sanremo 2019, che ha
visto le prime dodici canzoni in gara esibirsi sul palco dell’Ariston, mentre le restanti dodici si
esibiranno stasera.

Apre la gara, Achille Lauro con la canzone “Rolls Royce”, che ha riscosso un discreto successo dalla
critica, seguito da Einar, Il Volo, Arisa, Nek, Daniele Silvestri, gli Ex-Otago, Ghemon, Loredana
Bertè, Paola Turci, i Negrita, e infine, Federica Carta e Shade.

Dopo qualche incertezza nella prima serata, la conduzione si mostra più fluida ed i cambi di palco
tra un artista e l’altro, più organizzati, così tutto fila liscio, e Loredana Bertè riceve l’ovazione
spontanea del pubblico, dopo l’esecuzione della sua “Cosa ti aspetti da me”.

Ovazione anche per il Premio alla Carriera che ogni anno il Comune di Sanremo conferisce ad un
artista che si è particolarmente distinto nel campo musicale, premio che quest’anno è andato al
grande Pino Daniele, ritirato dalle figlie visibilmente commosse.

Tanti gli ospiti della serata, tra cui l’intramontabile Pippo Baudo, Marco Mengoni accompagnato da
Tom Walker, Michelle Hunziker, la superlativa Fiorella Mannoia, Laura Chiatti e Michele Riondino.

Riccardo Cocciante infiamma il pubblico con la sua “Margherita”, mentre i comici Pio e Amedeo,
strappano qualche risata, coadiuvati da Claudio Baglioni, insolita spalla del duo foggiano.

A fine serata, viene resa pubblica la classifica della giuria della Sala Stampa, che peserà solo per il
30% e che concorrerà a decretare il vincitore della sessantanovesima edizione.

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Anche questa sera, e per tutte le sere, la classifica è ripartita in tre aree di tre colori diversi, che ne
determinano il gradimento: la zona blu, quella con la maggiore percentuale di gradimento; la zona
rossa, dove si trovano le canzoni con minore percentuale di consensi e la zona gialla, una specie di
limbo tra queste due.

I giornalisti accreditati al Festival dei fiori, oltre che per Achille Lauro, hanno mostrato molto
interesse per la Bertè, per l’interpretazione di Arisa e per Daniele Silvestri.

Nella zona rossa finiscono Federica Carta e Shade, Einar e due capisaldi della musica italiana, Nek e
i Negrita, che, nonostante le buone performance, evidentemente non sono riusciti a convincere i
giornalisti, mentre, nel limbo della zona gialla, ci sono gli Ex-Otago con la loro bellissima “Solo una
canzone”, Il Volo, Paola Turci e Ghemon.

L’appuntamento è a stasera con le restanti dodici canzoni in gara, quindi, non ci resta che seguire
l’evolversi della competizione per cercare di capire l’andamento delle preferenze che sabato,
delineeranno la canzone vincente.

SANREMO 2019: La prima serata del 69°
Festival della Canzone Italiana
Si è aperto per la sessantanovesima volta, il Festival della Canzone Italiana, anche quest’anno, sotto
la direzione artistica di Claudio Baglioni, in veste anche di conduttore insieme a Virginia Raffaele e
Claudio Bisio.

Anticipato da fortissime polemiche, come ogni edizione del Festival di Sanremo che si rispetti, si è
presentato da subito con il trionfo della musica rispetto a parole e diatribe.
Pu
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ai consolidato, quest’anno la competizione canora per eccellenza, presenta alcune novità importanti
tra cui, l’eliminazione della famosa categoria “nuove proposte”, sostituita con 24 canzoni in gara ed
un particolare meccanismo di voto ponderato tra giura demoscopica (300 fruitori di musica), giuria
di qualità (personaggi del mondo dello spettacolo), giuria della sala stampa (giornalisti accreditati
nella famosa sala stampa del Festival) e televoto.

Quest’anno il festival si presenta con ancora più gruppi in gara e duetti rispetto alle voci soliste,
buono il tentativo del direttore artistico di svecchiare la competizione inserendo generi musicali non
propriamente sanremesi come il trap ed il rap, senza tralasciare il nuovo cantautorato emergente.

Attesissimi gli ospiti tra cui, la talentuosa Giorgia che non ha deluso le aspettative del pubblico,
Claudio Santamaria, che si è cimentato in un divertente omaggio alla musica del Quartetto Cetra, lo
scoppiettante Pierfrancesco Favino, nella insolita veste di cantante e ballerino e un intenso Andrea
Bocelli che si è esibito in duetto con il figlio Matteo.

La prima serata del Festival della città dei fiori, è stata anche l’occasione per un ricordo autentico e
sentito di Fabrizio Frizzi nell’anniversario della sua nascita.

A conclusione della serata, sono stati resi noti i dati della giuria demoscopica che hanno premiato la
canzone classica e penalizzato fortemente i nuovi generi e l’indie, ma la gara è ancora lunga e le
posizioni iniziali potrebbero facilmente ribaltarsi.

Intanto, c’è grande fermento per la seconda serata della kermesse che vedrà i primi dodici artisti
riesibirsi sul palco dell’Ariston e per la presenza di ospiti del calibro di Riccardo Cocciante e Fiorella
Mannoia, a dimostrazione che anche quest’anno, la musica è la regina della festa.

Festival di Sanremo - La Finale
Con “Occidentali’s Karma”, Francesco Gabbani è il vincitore della 67esima edizione del
Festival della Canzone italiana, che si è appena concluso sotto la direzione artistica di Carlo
Conti.
Visibilmente sorpreso e commosso, come se non si aspettasse il primo posto, Gabbani ci regala una
canzone sopra le righe rispetto a quelle che, di solito, il Festival di Sanremo propone; originale,
ironica, densa di significato e per niente scontata.

Vittoria meritata anche se resta un po’ di amaro in bocca per il secondo posto di Fiorella Mannoia,
con la sua delicata ma energica interpretazione della canzone “Che sia benedetta”.

Presentata dalla stampa come la favorita del Festival, ancor prima che si aprisse
ufficialmente la kermesse canora, la Mannoia, ha rappresentato il valore aggiunto di una
gara con canzoni troppo banali ed a volte mal interpretate, probabilmente la vittoria avrebbe
rappresentato per lei l’incoronamento di una carriera di successi ed il giusto riconoscimento per
tutti i capolavori che ha regalato, in questi anni, alla musica italiana.
Meritato il terzo posto di Ermal Meta con l’intensa canzone “Vietato morire” e forse Paola
Turci e Marco Masini (rispettivamente quinto e tredicesimo posto), avrebbero potuto aspirare a
classificarsi meglio, con due belle canzoni, ben interpretate.

Ultimo posto per il rapper Clementino con “Ragazzi fuori”, una canzone di contenuto, ma
totalmente inadatta al pubblico sanremese.

Grandi ospiti anche in questa serata conclusiva, come Zucchero che ricorda Luciano Pavarotti e
l’opera benefica del progetto “Pavarotti and Friends”, esibendosi in un duetto virtuale con il
cantante lirico, da tempo scomparso.
Alvaro Soler, scuote dalle sedie anche il più impettito spettatore del parterre sanremese, così come
fa la comicità senza peli sulla lingua, di Geppi Cucciari quando accusa alcune testate giornalistiche
di sessismo.

Montesano ci regala la comicità pulita di una volta e finalmente si rivela sul palco dell’Ariston anche
Maurizio Crozza.

Si chiude il sipario, sulla 67esima edizione del Festival di Sanremo che sarà ricordato, anche
quest’anno, come tutti gli anni, per ascolti record, polemiche ed outfit poco azzeccati, ma sempre
fenomeno di costume di quell’Italia a cui piace mettersi in gioco.

Osannato, criticato, bistrattato, parodiato, inutile per alcuni, irraggiungibile per altri, resta
comunque la manifestazione canora più importante d’Italia, dalla quale, non si può prescindere per
comprendere il panorama musicale nazionale.

Festival di Sanremo - Quarta Serata
La
quarta
e
penulti
ma
serata
del
Festival
di
Sanrem
o, si è
consuma
ta
davanti
a        9
milioni
di
telespett
atori,
che
hanno
conferm
ato l’alto
gradimento della kermesse canora, che ha decretato il vincitore della sezione Giovani proposte.

Vince con la canzone “Ora mai”, Lele, che ringrazia la sua famiglia ed il conduttori del Festival
per la grande possibilità ricevuta, mentre Maldestro conquista il secondo posto, insieme al premio
della critica “Mia Martini”, seguito da Francesco Guasti; va invece a Tommaso Pini, il Premio “Lucio
Dalla” concesso dalla sala stampa.

A premiare il vincitore, insieme alle autorità liguri, la modella e compagna di Eros Ramazzotti,
Marica Pellegrinelli, che le polemiche dei giorni scorsi hanno reso evidentemente, più bella,
raggiante e spontanea nel suo ruolo.
La gara dei 20 big si fa sempre più intensa, tanto da far scappareuna lacrima a Bianca Atzei durante
la sua esibizione, ma vede l’eliminazione definitiva di Giusy Ferreri, Ron, Al Bano e Gigi
D’Alessio.

Eliminazione che nessuno si aspettava perché vede tirati fuori dalla gara quattro capisaldi della
musica italiana, per questo suscita la ribellione del pubblico in sala e della sala stampa, quando
viene pronunciato il nome di Al Bano tra gli esclusi.

Senza
entrare nel
giudizio di
merito
delle
canzoni
portate in
gara,
probabilme
nte      ad
influire sul
verdetto è
stato     il
televoto,
premiando
chi in questi giorni, sia riuscito ad essere più social, non a caso, anche il premio riservato alle
giovani proposte, è stato vinto da chi è abituato a promuoversi con il meccanismo del televoto.

A proposito di promozione, la quarta serata della 67esima edizione del Festival di Sanremo,
diventa vetrina per la Rai e per promuovere la sua offerta d’eccellenza, quando dalla
scalinata dell’Ariston scende Antonella Clerici, per presentare il suo programma musicale “Standing
ovation” e ricorda i tempi della sua conduzione a Sanremo; a suo agio in quell’ambiente a lei
familiare, si scatta persino un selfie con Carlo Conti e Maria De Filippi.

All’Ariston arriva anche un affascinante Luca Zingaretti per presentare le nuove puntate del suo
Commissario Montalbano.

Torna sul palco di Sanremo con un’esilarante imitazione di Sandra Milo, Virginia Raffaele, tirando in
ballo anche il maestro Beppe Vessicchio seduto in prima fila; diverte Crozza con le sue indagini
statistiche e non risparmia stoccate sarcastiche sul governo italiano.

Tra colpi di scena e polemiche, occhi puntati sulla finalissima di stasera, attesi anche gli
interventi di Alvaro Soler e Zucchero…e viene da pensare che il bello deve ancora venire.

Festival di Sanremo - Terza Serata
Oltre 12 milioni di telespettatori incollati alla tv per seguire la terza serata della 67esima edizione
del Festival della canzone italiana.
La coppia Conti – De Filippi, comincia a rodarsi ed ormai è diventata di fatto familiare agli occhi
degli italiani, che non li tradiscono ed assicurano il 49% di share.

Di solito, chi ama seguire il Festival, è pronto a giurare che la terza serata, quella delle Cover, sia la
più bella, se non fosse altro perché tocca il lato emozionale dei ricordi e vengono rispolverati quei
brani che sono legati indissolubilmente alla storia della musica italiana.

Quando poi, canzoni famose, si legano ai ricordi d’infanzia e sul palco dell’Ariston, salgono i bimbi
dello Zecchino d’oro, riproponendo i migliori successi della celeberrima rassegna canora per
bambini, che quest’anno è giunta alla 60esima edizione, il successo è assicurato ed ormai il pubblico
è stato conquistato.

Conquista il pubblico anche la trascinante Orquesta de Reciclados de Cateura, che si esibisce
suonando strumenti ricavati dalla spazzatura, recuperata nella discarica di Cateura, in Paraguay.

I ragazzi dell’orchestra, bravi e coinvolgenti, grazie ad un progetto dell’Unicef, girano il mondo
lanciando il messaggio che la musica e la buona volontà possono salvare da un’esistenza di stenti ed
emarginazione. Davvero un esempio importante dell’attività dell’Unicef nel mondo.

L’andamento della puntata, in questa serata, assume un ritmo più movimentato e ben diverso da
quello a cui ci eravamo abituati nel corso dei primi due appuntamenti, vuoi per le buone
interpretazioni delle cover, che in alcuni casi sono risultate troppo pretenziose, vuoi per la gara sul
filo del rasoio dei big a rischio eliminazione, vuoi per gli altri 4 cantanti in gara per le nuove
proposte.

Per quest’ultime si esibiscono Maldestro con “Canzone per Federica”, Lele con “Ora mai”, Tommaso
Pini con “Cose che danno ansia” e Valeria Farinacci con “Insieme”.

Passano il turno Maldestro e Lele che insieme a Francesco Guasti e Leonardo Lamacchia, vanno
a comporre la rosa dei finalisti della sezione giovani.

Meritatissimo il primo premio ad Ermal Meta, che commuove con la cover di “Amara terra
mia” di Modugno, mentre il secondo posto va a Paolo Turci che con “Un’emozione da
poco”, non ci fa rimpiangere l’interpretazione di Anna Oxa del Sanremo del 1978.

Meritato anche il terzo posto conquistato da Marco Masini che regala una profonda
interpretazione del brano “Signor tenente”, che fu di Giorgio Faletti nel Sanremo del 1994.

Eliminazione definitiva e prevedibile, nel torneo di spareggio, per le coppie Nesli – Alice
Paba e Raige – Giulia Luzi.

Scoppiettanti come sempre, Luca e Paolo, ospiti attesissimi; piace la coppia Alessandro Gassman –
Marco Giallini; molto a suo agio sul palco dell’Ariston, Mika; ironica e coinvolgente LP che fischietta
insieme a Carlo Conti e riesce a scuotere dalle sedie il pubblico sanremese; meno caustico del solito,
sua santità Crozza, che si supera citando Platone.

Mentre Carlo Conti dichiara di non voler ripetere l’esperienza sanremese anche per il prossimo
anno, stasera occhi puntati sulla gara che decreterà il vincitore della sezione giovani e sulle
performance dei 20 big rimasti in gara, con l’eliminazione degli ultimi quattro classificati.

Festival di Sanremo 2017 – Seconda Serata
Si è conclusa anche la seconda serata del Festival di Sanremo con lo share in lieve flessione, con
l’altra parte di big in gara, con le prime 4 nuove proposte, con tanti ospiti e con l’immancabile
striscia satirica di Crozza.

La kermesse canora si è aperta con l’esibizione dei primi 4 giovani in gara, visibilmente emozionati,
Marianne Mirage con “Le canzoni fanno male”, Francesco Guasti con “Universo”, Braschi con “Nel
mare ci sono i coccodrilli” e Leonardo Lamacchia con “Ciò che resta”.

Canzoni orecchiabili e buon livello qualitativo per quasi tutte le performance, anche se passano il
turno, come da regolamento, solo Francesco Guasti e Leonardo Lamacchia, che accedono
direttamente alla serata di venerdì.

La gara dei big ha visto invece esibirsi nell’ordine Bianca Atzei, Marco Masini, Nesli e Alice Paba,
Sergio Sylvestre, Gigi D’Alessio, Michele Bravi, Paolo Turci, Francesco Gabbani, Michele Zarrillo,
Chiara, Raige e Giulia Luzi.

La sala stampa, insieme all’esito del televoto, ha decretato la retrocessione nella “zona rossa”, per
utilizzare un termine calcistico, di Bianca Atzei, Nesli e Alice Paba, Raige e Giulia Luzi.

Penalizzati quindi, i duetti, probabilmente non troppo coinvolgenti; senza tempo e sempre brava
Paolo Turci, spumeggiante Francesco Gabbani, senza sorprese per gli amanti del genere, Zarrillo e
Gigi D’Alessio.

Tanti gli ospiti, stranieri o più nazionalpopolari, anche nel corso di questa serata, dallo spettacolo
illusionista di Hiroki Hara, al bacio rubato a Maria De Filippi da Robbie Williams, fino a scoprire le
doti musicali di Keanu Reeves, provetto bassista.

Non sono mancati siparietti da avanspettacolo di terz’ordine, come ad esempio, quello della De
Filippi che distribuisce gadget di Carlo Conti; divertente ma non troppo originale, la performance
del trio Brignano – Insinna – Cirilli, riunito per l’occasione.

Standing ovation per l’esibizione di Giorgia, bellissima, emozionante e senza sbavature, che
sicuramente eleva la qualità di una serata un po’ noiosa, fatta eccezione per la verve del grande
Francesco Totti, spontaneo, autoironico e naturalmente divertente; è lui la vera star di questa
seconda serata.

Aspettando di ascoltare la seconda tranche delle giovani proposte e le cover dei 16 campioni in gara,
la terza serata si profila interessante sicuramente per l’annunciata presenza di Luca e Paolo, ma
soprattutto perché stasera andrà in scena la canzone italiana con i pezzi che l’hanno resa celebre.

Festival di Sanremo 2017 - Prima Serata
Inizia con i grandi successi di Sanremo, la 67esima edizione del Festival della Canzone Italiana, un
omaggio alle canzoni che hanno fatto la storia della competizione canora pur non vincendo, a volte
neanche riuscendo a sfiorare il podio.

È il caso di Vasco Rossi, classificato ben due volte all’ultimo posto con canzoni del calibro di “Vita
Spericolata” e “Vado al Massimo”, ma anche di Luigi Tenco, al quale Tiziano Ferro, ospite atteso, ha
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