LA MINIERA DI CABERNARDI - RICERCA SCIENTIFICA E SOCIO - STORICA - Civetta.tv
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Dedicato a tutti i bambini che hanno il cuore aperto verso la conoscenza della storia, della cultura, della bellezza e della ricchezza della loro terra e a tutti coloro che li aiutano nella scoperta della meraviglia del mondo che abitano…
IL PROGETTO Questo progetto interdisciplinare, che ha previsto l’intrecciarsi di percorsi educativi e didattici relativi all’ambito scientifico e storico-geografico, è finalizzato alla scoperta del territorio e del paesaggio. Il paesaggio, concepito come punto d’intersezione tra gli elementi naturali, gli eventi storici e le espressioni dell’attività umana, è rivelazione dell’identità. Fornire chiavi di lettura del paesaggio serve quindi a formare una sensibilità che contribuisce alla formazione di una cittadinanza attiva, responsabile e consapevole. Gli alunni sono stati condotti alla scoperta del territorio e dei beni culturali che lo contraddistinguono per promuovere anche l’educazione ambientale e lo sviluppo del senso di appartenenza ad una comunità. Le uscite didattiche al museo e al parco archeo- minerario, gli approfondimenti scientifici, la raccolta di fonti storiche appartenenti alle proprie famiglie, la lettura di fonti bibliografiche, la visione di fonti digitali, l’elaborazione dei dati attraverso la creazione di mappe, grafici e linee del tempo, l’uso delle nuove tecnologie per la creazione di una documentazione condivisa, sono state le strategie didattiche utilizzate per costruire un apprendimento significativo. L’adozione della ricerca-azione come metodo di insegnamento ha permesso un coinvolgimento profondo favorendo l’assunzione di un ruolo attivo da parte degli alunni. 1
IL BACINO ARCHEOMINERARIO Una realtà industriale avanzata in una società prevalentemente agricola ed economicamente povera: questo rappresentava la miniera di Cabernardi il secolo scorso in una vasta area dell’entroterra marchigiano. Il bacino solfifero che alimentò le due importanti miniere di Cabernardi e Percozzone appartiene alle province di Ancona e Pesaro-Urbino occupando i territori dei comuni di Sassoferrato, Arcevia e Pergola. Nella carta geografica è evidenziata anche Bellisio Solfare, la frazione di Pergola in cui fu costruita la raffineria di zolfo. 2
LO ZOLFO Lo zolfo è un minerale che si trova molto diffuso in natura. È di color giallo pallido, morbido, leggero, insapore e inodore. Solo quando si lega con l’idrogeno emana un forte odore caratteristico (odore di uova marce: è bene notare che questo non è l'odore dello zolfo, ma solo del suo composto, il sulfuro d’idrogeno). Lo zolfo quando brucia ha una fiamma bluastra che emette un odore caratteristico e soffocante. Lo zolfo non si trova allo stato puro e deve essere sottoposto ad un processo di raffinazione che lo rende puro e utilizzabile. 3
USO DELLO ZOLFO Lo zolfo ha innumerevoli usi. Viene usato in agricoltura come fungicida. Mescolato con potassio forma una miscela esplosiva, quindi viene utilizzato per l'industria bellica, infatti durante le guerre la richiesta di zolfo aumentava. In chimica è utilizzato per la produzione dei farmaci (sulfamidici) e di cosmetici come saponi e pomate; dallo zolfo si estraeva anche l'acido solforico che veniva usato per sbiancare la lana e i tessuti. È usato dalľindustria vetraria per la colorazione gialla dei vetri. Oggi è uno dei minerali piú usati nella industria chimica . 4
Lo zolfo si estraeva seguendo diverse fasi. Per prima cosa si doveva abbattere la roccia per fare "il buco", infatti i minatori praticavano dei fori nella roccia per introdurre l'esplosivo e una volta inserito si faceva esplodere per creare una galleria. In seguito la roccia solfifera veniva caricata su dei vagonetti. 5
I livelli della miniera erano 27 ma a Cabernardi si estraeva fino al 21 livello. PERCOZZONE CABERNARDI 6
ESTRAZIONE DELLO ZOLFO Il metodo più antico di estrazione è quella del calcarone. Si costruivano delle enormi fosse circolari su terreno in pendio tenute da un muro in mattoni, in fondo al pendio c'era una porta di mattoni che veniva ogni volta abbattuta e ricostruita. 7
La zona di combustione così creata si diffondeva lentamente verso il basso, il calore si propagava fondendo tutto lo zolfo (il punto di fusione dello zolfo è di 119 gradi) il quale, separandosi dalla ganga (roccia) si raccoglieva in basso e giungeva alla porta di chiusura in un periodo che oscillava dagli 8 ai 30 giorni dalla accensione. La presenza dello zolfo fuso veniva avvertita dagli operai dal calore emesso dai mattoni utilizzati per la chiusura. A quel punto con una barramina (ferro cilindrico con punta lungo 1,5-2 metri) veniva forato il tappo di argilla e lo zolfo fuso, per mezzo di canalette di lamiera tipo grondaia, veniva convogliato negli stampi dove solidificava in pani da 50 kg. 8
La spillatura dello zolfo fuso avveniva da un piccolo foro praticato alla base. Lo zolfo in pani veniva trasportato alla raffineria di Bellisio Solfare attraverso una teleferica lunga 3450 metri ed era composta da 35 vagoni, ognuno dei quali trasportava 4 pani da 50 kg. A Bellisio Solfare veniva ulteriormente lavorato e raffinato ed era pronto per i vari usi. 9
Il tempo che intercorreva fra l'accensione del calcarone e l'esaurimento della raccolta dello zolfo fuso, variava a seconda della dimensione del calcarone, ma mediamente a Cabernardi impiegava 4 mesi. La combustione che avveniva nei calcaroni lasciava comunque fuoriuscire dei fumi che causavano la scomparsa della vegetazione delle zone circostanti. La temperatura esterna intorno ai calcaroni era sempre sui 34 gradi. A Cabernardi esistevano 40 calcaroni per la fusione dello zolfo. Dal 1904 a Cabernardi i calcaroni vennero affiancati dai forni Gill. 10
I FORNI GILL Furono un’evoluzione per l'estrazione dello zolfo. I forni Gill erano delle celle in muratura, poste in batterie (le une vicino alle altre) da 4, 6 o 8 tra loro comunicanti, che permettevano di recuperare e ridistribuire il calore prodotto dalla combustione ottenendo una più alta resa. Sulla copertura a volta di ogni cella, un'apertura permetteva il caricamento del forno con il minerale. 11
STORIA DELLA MINIERA DI CABERNARDI Anno Evento 1870 Un contadino di Cabernardi notò che le sue bestie da lavoro si rifiutavano di bere in una pozza d’acqua perchè maleodorante, così avvisò il prete del paese che si rivolse ad un perito di Arcevia il quale constatò la presenza di una falda di zolfo. Iniziarono le ricerche. 1877 Iniziarono gli scavi a Percozzone (Pergola). La concessione mineraria venne data ai signori Buhl. 1888 Iniziarono gli scavi a Cabernardi diretti dall’Azienda Solfifera Italiana. Vennero costruiti 16 calcaroni da cui si otteneva lo zolfo greggio. Nello stesso anno iniziò la costruzione della raffineria a Bellisio Solfare che venne completata l'anno successivo. 1899 La proprietà della miniera passò alla società Trezza Albani che possedeva altre 11 concessioni minerarie in Emilia Romagna e nelle Marche. 1904 Entrarono in funzione a Cabernardi i primi forni Gill accanto a 30 calcaroni. 1917 La miniera venne ceduta Montecatini che sfruttava già altre 10 miniere. 12
1918 La guerra provocò scarsità di manodopera: furono impiegati 200 prigionieri di guerra e 60 donne per superare la quota di 400 lavoratori. 1919 Si raggiunse il record di 840 dipendenti e fu costruito un ambulatorio infermieristico. Iniziarono alcuni scioperi per abolire la diminuzione di una indennità caro-viveri. 1922 Ci furono 12 mesi di sciopero: alla fine il personale venne licenziato per un mese e lo stipendio venne ridotto del 20%. 1925 Vennero costruite a Cabernardi alcune case popolari per i minatori e arrivarono operai dalla Sardegna. 1929 Furono costruiti 20 appartamenti nel villaggio di Canterino. 1934 La miniera superò i 1000 dipendenti. 1937 Fu costruita la teleferica per trasportare lo zolfo greggio a Bellisio Solfare (prima il trasporto avveniva attraverso una galleria appositamente scavata). 13
1944 I bombardamenti aerei danneggiarono più volte le linee elettriche e la miniera sospese le attività di estrazione. I partigiani fecero saltare i trasformatori elettrici di Bellisio Solfare provocando enormi danni. I tedeschi, durante la ritirata, provocarono incendi ed esplosioni poiché la miniera e la raffineria erano considerate dei punti sensibili in quanto lo zolfo era necessario per la produzione di esplosivi. 1947 Iniziò la ricostruzione degli impianti distrutti. 1950 Gli Usa entrarono nel mercato dello zolfo con un prodotto più economico, insieme al Canada, al Messico, alla Francia e alla Polonia. 1952 La miniera raggiunse i 1600 dipendenti. La Montecatini annunciò il licenziamento di 860 operai per esaurimento del minerale. Circa 200 operai occuparono la miniera per 41 giorni; vennero licenziati. 1955 Fu confermato l’esaurimento definitivo del minerale, restarono solo pochi dipendenti (30 all’interno e 25 all’esterno tra tecnici e impiegati). Fu recuperato tutto il materiale possibile. 1960 La Montecatini chiese di rinunciare alla concessione. La miniera di Cabernardi fu definitivamente chiusa. 14
Un contadino di Cabernardi si accorge che le sue bestie da lavoro si rifiutano di bere in una pozzanghera perché maleodorante, così avvisa il parroco in quanto spaventato dall’odore nauseabondo che si pensava fosse una manifestazione del diavolo. Il 15 parroco, invece, chiede la consulenza di un perito di Arcevia.
VILLAGGIO MINERARIO DI CANTERINO A 2 km da Cabernardi si trova il villaggio minerario di Cantarino, dove nel 1917 vennero costruite le prime case-dormitorio, sei piccoli fabbricati ad un solo piano composto da 2 stanze, con i servizi igienici esterni in comune, per i minatori che non potevano tornare a casa dopo il lavoro. L’ultimo palazzo ad essere costruito nel 1929 è il palazzo detto “Cattedra” una casa di ringhiera che domina le case sottostanti. Ad ogni famiglia veniva assegnato un piccolo appezzamento agricolo con spazi per il ricovero degli attrezzi. Cantarino era organizzato come una piccola comunità autosufficiente dotata di tutti i servizi essenziali. 16
Con la crescita demografica si realizzano nuove strutture per la comunità: fonti d’acqua coperte usate anche come lavatoi, il forno pubblico, la scuola, la chiesa, la mensa per operai e impiegati e il dopolavoro per i minatori. La cooperativa Montecatini creò diversi negozi in cui le merci avevano prezzi inferiori e proponeva attività ricreative e culturali come lo sport e le cerimonie. Negli ultimi tempi arrivarono 70 famiglie fino a raggiungere 300 abitanti. 17
LA MINIERA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE Questo tragico evento del XX secolo ebbe drastiche conseguenze anche su questo sito minerario in quanto era considerato un luogo di estrema importanza, visto che lo zolfo era necessario per la produzione di eplosivi. Nei primi anni di guerra vennero chiamati alle armi ben 350 minatori anche se poi fu loro consentito un esonero rinnovabile ogni 2 mesi per ritornare a lavoro e sfuggire così ad una sorte tragica. Dopo l’8 settembre 1943, quando iniziò ad organizzarsi il movimento partigiano, i fascisti emanarono richiami alle armi, ma pochi minatori si arruolarono, altri disertarono mentre altri andarono ad arricchire le formazioni partigiane. Fu proprio grazie al materiale esplosivo sottratto di sotterfugio alla miniera che i partigiani riuscirono a distruggere strade, ponti e tralicci per mettere in difficoltà i tedeschi che stavano occupando il 18 territorio.
Alla fine del 1943, a causa dei bombardamenti alleati e delle azioni dei partigiani, si verificò una sospensione sia dell’estrazione del minerale sia della raffinazione dello zolfo. Lo zolfo era necessario per l’industria chimica tedesca, per questo motivo i partigiani sabotavano continuamente i trasformatori elettrici e le linee ferroviarie e cercavano di impedire il rifornimento di legna e benzina, materiali indispensabili al funzionamento dell’azienda. I fascisti istituirono anche un Presidio composto da un comandante e 13 militi, i partigiani li resero prigionieri e li portarono a Monte Sant’Angelo sotto stretta sorveglianza. Un gruppo di 50 fascisti tentò di liberare i prigionieri, ma non ci riuscirono. Il Comitato di Liberazione Nazionale di Pergola, resosi conto che la resa fascista era vicina, intimò il direttore della Miniera di occultare i materiali più preziosi nelle gallerie, ciò permise una rapida ripresa dei lavori dopo l’occupazione. Prima di ritirarsi i tedeschi cercarono di Documento che registra i distruggere gli impianti, ma provocarono meno danni di danneggiamenti subiti dalle linee quanto previsto. Tra la fine di luglio e e il mese di agosto elettriche di Fabriano-Bellisio per 1945 avvenne la Liberazione dell’area mineraria di un’incursione aerea su Fabriano. Cabernardi, ma si tornò alla normale attività produttiva solo nel 1946. 19
LA PRODUZIONE DI ZOLFO A CABERNARDI TONNELLATE DI ZOLFO FUSO 50000 46271 40000 30000 26637 27415 20000 14680 11500 10000 3394 34 0 1887 1900 1914 1930 1938 1945 1946 Dall’istogramma a barre verticali si può osservare che la massima produzione di zolfo si ebbe a ridosso della II Guerra Mondiale. Durante la guerra si verificò una forte riduzione della produzione a causa dei danni provocati prima dai partigiani e poi dai tedeschi durante la ritirata. 20
1952:L’OCCUPAZIONE DELLA MINIERA Un evento fondamentale per la storia della miniera di Cabernardi fu l’occupazione del 1952. La forte crisi del settore fu causata dall’entrata di altri paesi sul mercato dello zolfo, in particolare degli USA. Gli Stati Uniti avevavo trovato una falda di zolfo quasi puro dello spessore di circa 40 metri e soprattutto avevano scoperto un nuovo metodo di estrazione. 21
Il metodo Crash consisteva nell’iniettare acqua ad alta temperatura nella falda e nel risucchiare lo zolfo fuso che sarebbe stato poi trasportato con delle autobotti nelle raffinerie ancora liquido. In questo modo i costi di estrazione erano veramente concorrenziali. Inoltre le ricerche che continuarono ad essere effettuate nel bacino minerario di Cabernardi non ebbero esito positivo e quindi l’azienda Montecatini annunció il licenziamento di 860 operai. I dipendenti decisero di mobilitarsi per evitare la chiusura della miniera e la conseguente perdita del benessere economico che avevano raggiunto. Il 20 maggio 1952 gli operai del turno delle 22 si rifiutarono di uscire dalle gallerie per 41 giorni fino al 5 luglio. Gli operai del turno successivo, non potendo entrare nei pozzi per l’intervento delle forze dell’ordine, si accamparono fuori. In totale gli occupanti, denunciati per il reato di occupazione arbitraria di aziende industriali, furono 377. 22
Le mogli, i figli e il parroco del paese si unirono alla protesta manifestando tutto il loro appoggio agli occupanti. Le mogli recapitavano i viveri ai loro mariti facendoli calare dai pozzi. L’evento fece grande scalpore, tanto da attirare l’attenzione di importanti testate giornalistiche, come l’ Unità che così scriveva: “Quelli dei pozzi di Cabernardi si sono congiunti, attraverso una galleria, con quelli di Percozzone, e dopo affettuosi abbracci, hanno tenuto, al 15° livello, un’assemblea. Poi, a mille metri sottoterra, si è svolto uno straordinario corteo….”. Purtroppo l’occupazione fu inutile, gli occupanti vennero licenziati e la miniera smise di produrre quell’anno stesso, per essere defintivamente chiusa nel 1960. 23
IL DECLINO DEMOGRAFICO La presenza della miniera di Cabernardi incise profondamente sull'andamento demografico di tutto il bacino interessato, infatti quando la miniera era in piena attività la popolazione aumentava gradualmente ed andava ad insediarsi in paesi che prima erano prevalentemente agricoli e spopolati. ANDAMENTO DEMOGRAFICO DI ARCEVIA A Sassoferrato, Cabernardi e ad Arcevia aumentano notevolmente i residenti nei periodi di massima attività della miniera (1931-1951) e invece si nota un notevole declino demografico che inizia dopo la chiusura della miniera, prosegue negli anni successivi (1961- 1971) e purtroppo continua ancora oggi. 24
L'ondata migratoria non ha interessato solo il paese di Cabernardi ma anche tutte le località e i paesi del circondario, la cui economia aveva beneficiato della presenza di questa attività produttiva, unica in una realtà prevalentemente agricola. Questi dati non possono che significare il declino completo dei paesi. Infatti, durante le migrazioni, i primi ad andarsene sono i giovani, che devono costruirsi un futuro e coloro che hanno una famiglia da sfamare. Pertanto nei paesi rimangono solo le persone anziane che non riescono a staccarsi dalla loro casa e dalla loro terra. Questa analisi non vale solo per Cabernardi ma anche per Arcevia dove non esistevano attività produttive in grado di sostentare le famiglie. Lo spopolamento non comportava solo la migrazione delle persone, ma anche la scomparsa dei servizi che erano legati alla miniera come la cooperativa, la mensa, le attività commerciali e la pompa di benzina. Oggi questi comuni, grazie anche allo sviluppo di piccole e medie imprese artigianali sono diventati centri dove, nonostante la diminuzione della popolazione, si può vivere bene con una certa presenza di servizi fondamentali e una adeguata rete commerciale. Purtroppo in questi paesi si nota ancora un lento calo della popolazione con movimenti migratori verso la costa e verso centri industriali del Nord. 25
Cappella di Santa Barbara, protettrice dei minatori. All’interno è visibile la lapide con l’elenco dei lavoratori morti all’interno della miniera. Il 15 luglio 2015 è stato inaugurato il Parco archeo-minerario di Cabernardi in presenza delle autorità e del Presidente della Camera Laura Boldrini. 26
TRA GIOIA E DOLORE: IL RACCONTO DI MARIO ALBERTINI Mi chiamo Mario Albertini, sono nato in Arcevia il 15/3/1930 e vivo a Santa Croce, una piccola frazione di Arcevia. Ho iniziato a lavorare nella miniera di Cabernardi il 1 marzo 1947, a 17 anni, quando ancora non ero maggiorenne perchè allora la maggiore età si raggiungeva a 21 anni. Restai in miniera per 5 anni. All'inizio avevo la qualifica di manovale: il mio compito era scaricare i vagoni di minerale dentro i calcaroni. I vagoni arrivavano direttamente sui binari e io da solo dovevo spingerli per svuotarli senza farli cadere dentro i calcaroni. Il primo giorno di lavoro gli altri operai si divertirono alle mie spalle facendomi faticare il doppio: per far scivolare meglio le rocce, gli scaricatori usavano delle lastre di metallo, ma io non lo sapevo e svuotavo il minerale direttamente sopra le altre pietre facendo poi una gran fatica per spingerlo giú con la pala! Solo dopo ho scoperto come dovevo fare! Il mio turno era di 8 ore, avevo circa 20 minuti per mangiare. Di solito il pranzo lo portavo da casa, anche se c’era una mensa in cui si poteva mangiare dove lavoravano le donne. 27
Dopo qualche tempo l’ingegnere responsabile dei lavori mi cambiò qualifica e diventai uno spinatore. Il mio compito era togliere il tappo di argilla alle porte dei calcaroni per far fuoriuscire lo zolfo liquido e, attraverso una canaletta, mandarlo dentro gli stampi per fare i pani di zolfo. La mattina, appena arrivavo, dovevo sistemare gli stampi mettendoli in fila in modo che lo zolfo passasse dall’uno all’altro attraverso un foro. La fila poteva essere formata anche da 50 stampi e di solito non si riusciva a riempirla più di una volta al giorno. Prima però dovevo bagnare con dell’acqua gli stampi per facilitare il distacco dello zolfo una volta solidificato. Quando lo zolfo era diventato solido, dovevo estrarlo con la sola forza delle braccia. Ogni pane pesava circa 50 chili, ma io riuscivo a tirarlo fuori dallo stampo senza l’aiuto di nessuno. Il lavoro di spillatore non mi piaceva perchè si doveva lavorare anche il sabato e la domenica e siccome io ero giovane volevo anche andare a divertirmi. Lo dissi all’ingegnere, ma mi rispose che mi avrebbe fatto continuare finchè non avesse trovato un altro spinatore bravo come me. 28
Io però mi ero stancato cosí andai dal medico dell'azienda e gli dissi che non riuscivo più a sopportare l’odore di zolfo, anche se non era vero. Il dottore mi scrisse un certificato e io corsi a consegnarlo all’ingegnere, ma l’ingegnere neanche lo guardò e io continuai ancora per un po’ di tempo a fare lo spinatore contro la mia volontà. Finalmente mi mandarono sotto la miniera a fare il manovale. Dovevo “fare la ripiena”, cioè dovevo riempire le gallerie ormai sfruttate per evitare crolli. Si usavano i resti dei minerali bruciati nei calcaroni, che venivano nuovamente riportati sottoterra attraverso i pozzi. Dentro la miniera i carrelli venivano trainati dai muli che vivevano sempre lí dentro, nelle stalle sotterranee. Mi ricordo che c’era anche un cavallo da tiro che non veniva mai fatto uscire. Le gallerie erano illuminate dalla luce elettrica. Il primo giorno raggiunsi Cabernardi a piedi impiegando circa un’ora insieme ad altre 10 persone della Costa. Successivamente andai alla miniera con i camion che facevano da corriera. Il mio camion partiva da Arcevia, passava per Conce, Santo Stefano, Civitalba, San Gianni, Sassoferrato e Cabernardi. Un altro partiva da Montefortino, si fermava a Palazzo, Caudino, Sterleto fino ad arrivare alla miniera. 29
In tutto c’erano 5 o 6 camion. Ogni camion trasportava fino a trenta operai e passava tre volte al giorno ogni otto ore, in base ai turni dei lavoratori: 6.00-14.00/14.00- 22.00/22.00- 6.00 Il primo turno era il più numeroso. Alcuni minatori venivano pagati a giornata, altri a contratto, per esempio in base al numero dei vagoni caricati. Appena arrivato in miniera, ritiravo la medaglietta, il mio numero era 2129. Solo quando lavoravo dentro la miniera passavo anche in lampisteria a ritirare la lampada. Prima di raggiungere il cantiere in galleria, qualche volta passava anche un’ora perchè si doveva fare la fila ai pozzi, scendere e poi percorrere un tragitto più o meno lungo. Sotto c’era l’illuminazione elettrica solo dove c’erano le cellette dei sorveglianti, poi ogni minatore procedeva usando la propria lampada. Spesso i minatori lavoravano indossando solo un paio di pantaloni corti perché era molto caldo. Ogni 30- 40 minuti si smetteva di lavorare per rinfrescarsi un po’ raggiungendo un punto dove c’era della corrente di aria fresca. Oppure ci si bagnava con il tubo dell’acqua che serviva per bagnare la roccia ed impedire che durante le eplosioni ci fosse troppa polvere nell’aria. Dallo stesso tubo bevevamo l’acqua che peró potevamo prendere anche dalle botti di ferro che ci venivano calate dai pozzi. Ai miei tempi lavoravano in miniera più di mille persone. 30
I minatori erano molto orgogliosi del proprio lavoro e la domenica, se si andava a Cabernardi, bisognava vestirsi bene perché lì c'era il lusso. Nel 1952, quando ci fu l’occupazione della miniera, io lavoravo proprio durante il turno in cui gli operai iniziarono lo sciopero, ma decisi di uscire fuori e tornare a casa perché avevo paura che mia madre non vedendomi si sentisse male. Infatti lei era diventata vedova a causa di un incidente mortale accaduto a mio padre all’interno della miniera. Dopo alcuni giorni decisi peró di andare a vedere come procedeva l’occupazione e mi recai sul posto; uno dei sorveglianti mi vide e mi segnaló ai superiori. Fui inserito nell’elenco dei dipendenti che parteciparono all’occupazione all’esterno della miniera e cosí venni licenziato. Mi diedero una buonuscita di circa 240 mila lire. Gli anni che seguirono furono molto duri perché fino al 1962 lavorai sempre a giornata svolgendo lavori con le macchine agricole; finalmente nel 1963 venni assunto alla cava di Arcevia, mia moglie venne assunta in un calzaturificio e quindi riuscivamo ad andare avanti bene. 31
Mio padre Angelo, nato ad Arcevia nel 1903, morí il 23 dicembre 1936, il giorno prima della Vigilia e di Natale. Era un minatore e stava preparando le mine quando il grisou causò un’esplosione che a sua volta provocó il crollo di una parte della galleria. Lui morí sul colpo, il socio con cui lavorava visse ancora 3-4 anni. Quando mio padre morí, lasció la moglie Romilde ancora giovane e 3 figli piccoli: io avevo solo 8 anni, mia sorella Rita ne aveva 10, mia sorella Daria ne aveva solo 5. La vita di mia madre fu molto dura perché fu aiutata solo dai suoceri Domenico e Concetta e dalla zia paterna Maria che ancora viveva con loro. Il suocero era già vecchio, aveva solo un pezzetto di terra e lavorava a giornata dagli altri contadini, inoltre era quasi cieco. 32
Buste paga di Albertini Angelo, una risalente al 1935, l’altra al 1936. Nel retro delle buste paga erano scritte le norme sulla sicurezza del lavoro in miniera. : imdossare la maschera antigas, non tirare ma spingere I carrelli evitando di tenere le mani lateralmente per non graffiarsi o schiacciarsi le mani, fare attenzione quando si passava sotto le impalcature, usare la lampada di sicurezza che avvertiva della presenza di grisou, assicurarsi della regolare funzionalità delle tubature dell’acqua prima della sparatura delle mine, fare attenzione alla caduta dall’alto di materiali ed utensili, ecc… 33
Medaglia di bronzo ricevuta da Angelo Albertini per atti di eroismo. Il 16 maggio 1927 mio padre fu coinvolto in un altro incidente: lo scoppio di una mina provocò una frana. Sotto la roccia rimasero intrappolati due suoi colleghi. Nonostante la paura lui ebbe come primo pensiero quello di soccorrerli mettendo a rischio la propria vita. Uno dei giovani che riuscì a salvare divenne poi il padre di mia moglie Lea. In seguito ricevette una medaglia di bronzo per atti di eroismo accompagnato da un attestato. 34
Dopo la morte di mio padre, mia madre ricevette dall'azienda un'indennità di 30 mila lire, di cui la quarta parte spettò a mia madre e i tre quarti a me e alle mie sorelle, ma noi avremmo potuto spenderli solo dopo aver raggiunto la maggiore età di 21 anni. Anche mia moglie Lea, nata a Caudino, aveva il padre e i suoi sette fratelli che lavoravano in miniera. Quando i fratelli riscuotevano la paga consegnavano tutti i soldi al “capoccia”, cioè al padre che era il capofamiglia e decideva come gestire il denaro. Suo padre però, che era bravo, comprò con quei soldi una casa per ciascuno di loro. In questo libretto venivano segnati i giorni lavorativi di ogni mese e la paga ricevuta. 35
DALLA TERRA ALLA MINIERA: NAZZARENO MILLETTI Io mi chiamo Leda Milletti e sono nata in Arcevia il 18/4/1939. Vi racconteró di Milletti Nazzareno che era mio padre. Egli nacque il 1/12/1912 in Arcevia dove visse il resto della sua vita. La sua famiglia era composta da moglie e tre figli . Mio padre era un contadino mezzadro e le condizioni di vita erano difficili, ma mio padre lavorando in miniera, guadagnava bene. Venne assunto alla miniera quando aveva 17 anni . Raggiungeva il posto di lavoro in bicicletta e in inverno, quando c’era la neve, anche a piedi. Aveva la qualifica di minatore e il suo lavoro si svolgeva in questo modo: mio padre andava giú sottoterra scendendo dai pozzi ed estraeva lo zolfo dalla roccia. Quando scendeva portava con sé una lanterna ad olio. Il suo turno di lavoro era dalle ore 8:00 alle ore 18:00, a volte faceva anche lo straordinario. 36
In miniera lavoravano anche degli animali: i muli che con i carretti trasportavano lo zolfo, i cavalli e gli asini. La retribuzione, per i tempi che correvano, era abbastanza buona. Una volta all’anno l’azienda donava ai suoi dipendenti 2 litri di vino rosso e un chilo di bollito. La festa di Santa Barbara era una festa importante, perché è la protettrice dei minatori. In questa occasione nella parrocchia di Costa si faceva una gran festa: i minatori andavano a messa tuti insieme e dopo la messa facevano la colazione con una bella braciolata di carne. Era una gran festa. In estate la Montecatini organizzava anche la colonia marina per i bambini figli dei dipendenti, si andava ad Igea Marina. I minatori erano considerati uomini fortunati perché avevano un buon lavoro. Mio padre era soddisfatto del proprio lavoro, perché così poteva mantenere la sua famiglia. 37
Egli non ha occupato la miniera nel 1952 perché era arrivato per la pensione. Mio padre é deceduto a 63 anni per problemi polmonari perché aveva respirato zolfo. Libretto di lavoro di Nazzareno Milletti in cui si attesta l’assunzione della Montecatini come minatore 38 avvenuta nel 1937.
Nel Libretto di Lavoro di Milletti Nazzareno vi erano delle pagine riservate alla registrazione degli infortuni che all'interno della miniera erano frequenti. Lo stesso minatore aveva denunciato ferite, contusioni e distorsioni che per fortuna erano guarite in pochi giorni. 39
QUINTO MARCHEGIANI Mi chiamo Giuseppe Marchegiani e sono nato il 19 settembre 1943. Vi racconterò di mio padre Quinto nato il 13 febbraio 1916 nella frazione S.Stefano di Arcevia. La sua famiglia era composta da mio padre, mia madre, mia sorella Nadia, nonna Albina e zia Sesta che era la sorella di mio padre. Rimasto orfano di padre alla età di 10 anni, mio padre per poter mangiare ha fatto il mestiere di garzone in case di persone nella zona, ma aveva 5 fratelli e sorelle e anche se Ia nonna prestava servizio presso la casa Severini di Santo Stefano, la paga era talmente poca che non si riusciva a sfamare la famiglia. 40
Mio padre all’età di 12 anni, grazie al fatto che era orfano di un dipendente della società che gestiva la miniera di Cabernardi, venne assunto con incarichi vari, per servizi all’esterno della miniera. All’età di 16 anni circa veniva ammesso fra le maestranze che lavoravano all’ interno della miniera con la qualifica di minatore. Il turno di lavoro era di 8 ore, con turni continuativi. Le condizioni di lavoro erano gravose, sia perché il lavoro era quasi tutto realizzato a mano e l'aria e la temperatura arrivavano anche a 40 gradi, sia perchè era molto pericoloso a causa di un gas, chiamato “grisou” altamente esplosivo. A causa di uno scoppio di questo gas, il padre di mia madre era stato raggiunto da alcuni massi, morendo sul colpo all'età di anni 24. 41
La retribuzione permetteva di vivere non da ricchi, ma in modo decoroso, visto le esigenze degli anni ’40-’50. I dipendenti dell’azienda festeggiavano S. Barbara, protettrice dei minatori. Negli anni ‘50 avevano anche organizzato la colonia marina, io stesso nel 1949 sono stato a Cattolica. A quel tempo gli abitanti di Cabernardi e dei paesi limitrofi, i comuni di Sassoferrato, Arcevia e Pergola, erano abbastanza benestanti. Da tutti coloro che per vari motivi non lavoravano in miniera, i minatori erano considerati dei privilegiati. 42
Mio padre era molto soddisfatto del proprio lavoro perché gli permetteva, insieme alla famiglia, di vivere abbastanza decentemente. Nel 1953 mio padre fu licenziato, in quanto l'azienda ha ritenuto non più remunerativa l'estrazione dello zolfo, e pertanto ha iniziato a licenziare o trasferire tutte le maestranze e chiudere tutti gli impianti. Dal momento della chiusura, purtroppo si è verificato uno spopolamento di tutte quelle zone e paesi, fino ad allora “ricchi”, con una emigrazione in vari paesi d'Italia e del mondo, con la condizione economica disastrosa che si riprese negli anni ‘70. Su questi due foglietti Quinto Marchegiani aveva annotato le destinazioni di lavoro che furono assegnate ai suoi colleghi dopo il licenziamento dalla miniera di Cabernardi e anche la liquidazione che alcuni di loro avevano accettato. Nel primo documento si legge: «Loretelli Alfredo fu Antonio che morì sotto un treno a Ferrara, accettò il trasferimento e (l’azienda) gli diede più di 600 mila lire di liquidazione mentre noi tutti ci diede circa 200 mila lire» nel secondo biglietto è leggibile un elenco di persone con le relative destinazioni (miniere di Ferrara, Sicilia e Isola d’Elba). 43
Fronte e retro della Tessera ENAL E della Tessera di riconoscimento. 44
LENCI DOMENICO Io mi chiamo Lenci Egle, sono nata in Arcevia nel 1951 in frazione Costa. Vi racconterò di mio nonno che era Lenci Domenico, nato in Arcevia nel 1900 e residente in frazione Costa. La sua famiglia era composta da moglie e 6 figli. Mio nonno era proprietario di 4 ettari di terreno. Le condizioni di vita erano difficili perché le famiglie erano numerose e il terreno rendeva poco. Venne assunto alla miniera all’età di 30 anni circa. Raggiungeva il posto di lavoro a piedi passando per i campi per accorciare il percorso. Era un operaio e il suo lavoro era a turni di 8 ore, le condizioni di lavoro erano molto pesanti e pericolose, tanto che lui stesso ebbe un brutto infortunio: un masso di zolfo lo colpì in testa e dovette stare a casa per 2 anni. Nella miniera lavoravano tantissime persone ed era un bene perché la retribuzione faceva vivere dignitosamente le famiglie. L’azienda gestiva una cooperativa dove gli operai potevano fare gli acquisti per le loro famiglie. 45
All’interno della miniera lavoravano anche degli asini che trasportavano i carrelli con lo zolfo che i minatori cavavano con i picconi. Il 4 dicembre, festa di Santa Barbara patrona dei minatori, era un giorno speciale per i minatori. La mattina si andava alla santa messa e alla processione, poi tutti a pranzo per ringraziare la santa per averli protetti. A quel tempo Cabernardi era un paese popolato, proprio in funzione della miniera. I minatori erano considerati fortunati perché si portavano a a casa uno stipendio e mio nonno era molto felice nonostante i sacrifici. Anche mio padre Elio, figlio di Domenico, ha lavorato per un periodo in miniera, poi nel 1952 inizió l’occupazione, mio nonno era già a casa, ma mio padre fu licenziato. La miniera chiuse nel 1959. 46
DANTE CAPITANELLI Io mi chiamo Priori Annita e sono nata ad Arcevia nel 1921. Vi racconterò di Dante Capitanelli che era mio marito. Egli nacque il 7 settembre 1914 in Arcevia ed era residente a Costa, una frazione di Arcevia. La sua famiglia era composta da me Annita, dai suoi genitori Capitanelli Angelo, Agarbati Maddalena e dai nostri cinque figli. Mio padre era un contadino, aveva alcuni ettari di terra e le condizioni di vita erano buone. Mio marito venne assunto alla miniera di Cabernardi quando aveva sedici anni. Raggiungeva il posto di lavoro a piedi con altri compagni impiegando circa un’ora di tempo. Aveva la qualifica di minatore e il suo lavoro si svolgeva in questo modo: preparava dei fori 47 a mano con delle trivelle, poi dentro questi fori metteva della polvere da sparo.
Collegavano un filo con la miccia per far esplodere la roccia. Il turno di lavoro di mio marito era dalle 6:00 alle 14:00 oppure dalle 14:00 alle 22:00. Le condizioni di lavoro erano molto pericolose, ma per fortuna Dante Capitanelli non ha avuto infortuni. In miniera c’erano anche degli animali: buoi e somari. La retribuzione era buona. L’ azienda a fine anno, per Natale, gli regalava un chilo di carne. La festa di Santa Barbara era una ricorrenza molto importante per i minatori e vigili del fuoco. A quel tempo Cabernardi era grande e c’era anche la scuola. I minatori erano considerati uomini fortunati e importanti e mio marito era soddisfatto del proprio lavoro perché portava a casa i soldi per i figli. Nel 1952 quando ci fu l’occupazione della miniera fece lo sciopero a casa. Nel 1954 fu licenziato perché lo zolfo da estrarre era terminato. Subito però trovò lavoro a Trento in una miniera di ferro. La miniera chiuse nel 1960. 48
SABBATINO BOMPREZZI Sono Elio Bomprezzi e vivo a Santo Stefano, una frazione di Arcevia e abitavo a Civitalba. Sono nato nel 1905 il giorno 8 settembre ad Arcevia. Mio padre Sabbatino lavorava nella miniera di Cabernardi. La sua famiglia era composta dai suoi genitori, da due fratelli e una sorella, dai nonni paterni e da due fratelli di mio padre, Gigi e Alfredo. Alfredo era un mezzadro, mentre Gigi faceva i pani di zolfo nella miniera. Prima di iniziare a lavorare nella miniera, mio padre Sabbatino era emigrato in Francia dove aveva trovato occupazione in una miniera di ferro. Nella nostra zona i minatori erano considerati signori rispetto ai contadini. Mi ricordo che quando mio padre riscuoteva tirava fuori un mazzo di carte da 10 000 lire grosso come un quaderno, guadagnava 90-100 000 lire. Le donne si avvicinavano ai minatori perché sapevano che avrebbero fatto le signore se li avessero sposati. La cugina di mia moglie Graziella era andata a servizio a Roma quando era ragazza, ma dopo soli 3 giorni tornó a casa dicendo alla signora per cui lavorava: “Mio padre è un minatore, quindi io non ho bisogno di farvi da serva!”. 49
Mio padre era un minatore a terra perché maneggiava la terra e non lo zolfo. Per raggiungere la miniera partiva a piedi passando per i campi di Santo Stefano; tra questa frazione e Civitalba circa altre 15 persone percorrevano la strada insieme, poi si arrivava a Camerano dove si aggiungevano altri dipendenti della miniera. C’era “lo stradello della miniera”, un percorso di terra battuto che permetteva di raggiungere il più rapidamente possibile il luogo di lavoro. Bisognava attraversare anche dei fossi che erano un vero problema quando pioveva perchè si ingrossavano al punto di ricoprire anche i ponti che permettevano di attraversarli. Così gli operai chiedevano aiuto alle persone che vi abitavano vicino facendosi prestare delle scale, che disposte orizzontalmente, avrebbero sostituito I ponti. Le donne che abitavano in questi luoghi sapevano che ad un certo orario i minatori le avrebbero chiamate, così si mettevano vicino alla finestra in attesa. 50
Più tardi la miniera organizzò un servizio di trasporto per i minatori, utilizzando i camion come corriere. I camion avevano i copertoni sopra e delle scalette per salire dietro. La ditta permetteva ai dipendenti di fare domanda affinchè anche i loro figli usufruissero di questo servizio per andare a scuola. Io pure da bambino salivo sul camion tutte le mattine. Successivamente ľazienda organizzò un servizio gestito dalla famiglia Pianelli di Arcevia e il capo era il sindaco del paese. 51
Quando mio padre arrivava in miniera passava in portineria, prendeva la targhetta con il numero di matricola, prendeva la “lampa” a carburo che era sigillata e che quindi non era pericolosa, gli venivano forniti gli attrezzi da lavoro,cioè il motopicco e la pala, poi si recava al pozzo dove c’erano gli ascensori: 2 gabbie, una che saliva e un’altra che scendeva. Ogni gabbia aveva 2 piani e ogni piano conteneva 10 persone, quindi potevano scendere venti persone contemporaneamente. Ogni 30 m circa si scendeva di un livello. Si arrivava in una galleria centrale dove c'era un capo operaio. Mio padre raggiungeva il punto che gli veniva indicato, faceva i buchi nella roccia, “sparava” e poi caricava il minerale sui carrelli trainati dai muli. Babbo raccontava che quelle bestie non venivano mai portate fuori tranne il giorno della festa di Santa Barbara. In questa occasione ľazienda regalava ai dipendenti 1 Kg di carne e un bottiglione di vino. Era festa grande e si faceva una lunga processione attraverso il paese partendo dalla cappellina della Santa fino ad arrivare al circolo. Dentro la miniera c’erano anche le stalle, c’era chi faceva il mulattiere e “guernava” i muli. 52
Mio padre era pagato a cottimo in base a quanti metri di roccia faceva saltare. Se si accorgeva che non era stato pagato come dovuto andava in ufficio e “sparecchiava” cioè si faceva sentire senza paura per reclamare una paga più giusta. Babbo raccontava in casa di incidenti accaduti in miniera. Si ricordava che Angelo Albertini, che era morto a causa di un’esplosione, aveva la macchina per battere il grano, siccome era estate e si avvicinava il tempo della battitura, aveva chiesto un permesso per poter svolgere più liberamente questo lavoro agricolo. Quando era rientrato a lavoro il caposorvegliante quasi per ripicca, gli aveva cantato questo stornello: “Fiori di pesco, gira quanto vuoi, che poi ti aspetto!”. Questo stornello Angelo l’aveva riferito alla moglie che non lo dimenticò considerandolo una minaccia, tanto che durante il funerale del marito, stava per prendere per il collo il caposorvegliante, accusandolo di aver mandato per dispetto il marito in una zona troppo pericolosa della miniera. 53
Un’altra disgrazia grave fu quella che accadde a Giuliano Silvestrini: l’esplosione di una mina gli staccò di netto la testa. Un altro incidente accadde a Cinti Virgilio: si racconta che lavorasse insieme ad un suo compagno e che questo accese la mina senza avvisarlo. Si salvò, ma aveva il corpo pieno di bruciature e perse un occhio. Quando mio padre tornava a casa era già pulito perché poteva lavarsi in miniera. Si portava sempre il pranzo al lavoro, ma se gli era avanzato un po’ di pane e lo dava alle galline, al gatto o al cane, questi animali si rifiutavano di mangiarlo da quanto puzzava di zolfo. La stessa cosa facevano i maiali che non toccavano più anche il cibo con cui il pezzo era stato a contatto. Babbo era abituato all’odore di zolfo e quindi non lo sentiva neanche più, però a noi dava fastidio. Ricordo che il suo fiato puzzava anche dopo 12 giorni di ferie, così come una vecchia giacca dì velluto con cui dava lo zolfo alle piante, a 10 anni dalla morte di mio padre, emanava ancora quell’odore. 54
A quei tempi si estraevano anche 2000 vagoni di minerale al giorno. Gli scarichi dei calcaroni venivano buttati in una discarica vicino la miniera, i fumi erano così forti che bruciavano gli occhi. Nel 1952 ci fu l’occupazione della miniera per impedirne la chiusura. Le mogli e i figli dei minatori percorrevano lo stradello della miniera per portare cibi e bevande che venivano calati giù per il pozzo. A Cabernardi non conveniva più scavare perché avevano trovato in Sicilia dello zolfo a minore profondità. Mio padre non occupò la miniera perché in quel periodo faceva parte di una squadra di ricerca di zolfo a Colle Aprico, quindi non venne licenziato, ma lavorò fino al 1958, quando andò in pensione. Tanti altri minatori, invece, furono trasferiti a Ferrara. Se qualcuno andava in pensione poteva mandarci al suo posto un figlio, infatti mio fratello si trasferì in Sicilia, altri trovarono occupazione nelle miniere di carbone in Belgio. Mio padre morì nel 1977 dopo circa 20 anni di pensione. Il sorvegliante della miniera 55
GRASSI GIOVANNI Io mi chiamo Grassi Adele, sono nata a Sassoferrato nel 1950 e vivevo a Cabernardi. Vi racconterò di Grassi Giovanni che era mio padre. Egli nacque nel 1920 a Fabriano ed era residente a Cabernardi. La nostra famiglia era composta da mia madre, mio padre, mio fratello ed io. Mio padre era un contadino proprietario di circa 5 ettari di terra e le condizioni di vita erano difficili perché mio padre e mia madre lavoravano entrambi la terra e i soldi erano pochi. Per risparmiare mio padre si adattava a fare di tutto, tipo il tavolo le sedie e i mobili che potevano servire a casa. Le sedie le aveva fatte con il legno raccolto e la sgarza che era la paglia che veniva attorcigliata per farla indurire. Mio padre venne assunto alla miniera di Cabernardi quando aveva circa 25 anni e raggiungeva il posto di lavoro a piedi perché abitava in una casa vicino alla miniera. Aveva la qualifica di operaio e trasportava i carrelli dello zolfo da dentro a fuori della miniera. Le condizioni di lavoro erano difficili e si viveva sempre in ansia, infatti quando suonava la sirena, tutti al paese correvano alla miniera per vedere se c'erano state frane o incidenti. 56
Nella miniera lavoravano delle donne ma prevalentemente uomini con varie mansioni: minatori, carrellisti, infermieri, addetti ai forni, ecc… C'erano gli asini che tiravano i carrelli. Non mi ricordo quanto era la retribuzione di mio padre e nemmeno di doni fatti dall’azienda. Le feste di Santa Barbara era una festa importante: si facevano i fuochi d’artificio, c’era la banda che suonava in piazza, il prete che celebrava la messa e la processione fino alla miniera. La Montecatini gestiva anche una cooperativa che era come un supermercato ubicato nella casa di proprietà della Montecatini. In questa cooperativa si vendeva di tutto: carne, pasta sfusa, vaschette di crema tipo la nutella, prodotti di ogni genere. In queste cooperative tutti potevano fare spesa. A quel tempo Cabernardi era un paese dove vivevano tante persone tant'è che si pensava di farlo comune. La scuola era fuori dal paese tra Cabernardi e Camartoni e c’erano 60 alunni. La scuola era vecchia, il pavimento di legno, non c’erano i riscaldamenti, c’era un solo bagno per tutti. I minatori erano considerati importanti perché estraevano lo zolfo e avevano in media un buon stipendio. 57
Mio padre era soddisfatto del proprio lavoro perché poteva guadagnare più soldi e permettersi una vita più agiata. Nel tempo libero mio padre si adattava a fare altri lavori, ma un giorno un controllore della Montecatini lo ha trovato a fare questi lavori e mio padre fu licenziato. Mio padre fu molto dispiaciuto, ma non ebbe la possibilità di replicare e si dovette adattare alla situazione. Ancora oggi la casa dove abitavamo è di mia proprietà e io ci vado volentieri perché mi ricorda quando ero piccola e le esperienze vissute là. 58
NORBERTO MARCHEGIANI Mi chiamo Bruno Santoni e sono nato a Santo Stefano il 6/11/1944. Vi racconterò quello che mi ricordo di Norberto Marchegiani, che era mio nonno. Egli nacque negli ultimi anni del 1800 e abitava a Santo Stefano con sua moglie Apollonia, detta Polla, che era la madre di mia madre e avevano quattro figli. Nonno Berto faceva il falegname ma guadagnava poco, per fortuna nonna Polla coltivava un orticello, allevava polli e conigli, cuciva vestiti e faceva anche le scarpe con i copertoni delle ruote di vecchi veicoli. In questo modo riuscivano a non morire di fame e a non andare in giro nudi e scalzi. Nonno Berto iniziò a lavorare alla miniera di Cabernardi come falegname intorno al 1920, non faceva il minatore, ma il lavoro era ugualmente duro. Andava alla miniera a piedi insieme ad altri minatori e doveva partire la mattina presto quando era ancora buio perché la strada era lunga e doveva essere puntuale altrimenti veniva licenziato. 59
Passava per un sentiero tra i monti che si chiamava “Fosso di Cercamo’” e per illuminare la strada portava un lume ad olio. Quando tornava a casa era già notte e non vedeva l’ora di andare a dormire; a letto però ci stava poco, perché non faceva in tempo ad addormentarsi che nonna Polla lo svegliava per un altro giorno di duro lavoro. Mi ricordo un episodio che nonno mi raccontava quando era piccolo: una mattina, quasi al buio, stavano andando alla miniera, quando vennero fermati da un gruppo di soldati tedeschi che gridarono: «Chi va là?», nonno rispose: «Marchegiani!», ma i soldati capirono: «Partigiani!» e ci mancò poco che sparassero a tutti. 60
Un’altra cosa che non dimenticherò mai è questa: i lavoratori si portavano il pranzo da casa, solitamente pane con formaggio, frittata, erbe di campo e mai carne perché costava troppo. Se avanzava del pane, lo riportavano a casa, ma era così puzzolente di zolfo che neanche i cani lo mangiavano. Un’altra volta, mentre tornavano a casa, era buio e nevicava così tanto che non riuscirono a ritrovare la strada, per fortuna un contadino li fece dormire nella stalla insieme alle mucche. Le famiglie presero un bello spavento quando non li videro tornare, non c’erano i telefoni per avvisare e fino al giorno dopo pensarono che avessero avuto un incidente in miniera. Norberto Marchigiani è il secondo uomo a destra, in questa foto è insieme alla sua famiglia. 61
Quando mio padre Antonio e mio zio Dario divennero abbastanza grandi, cominciarono a lavorare anche loro presso la miniera di Cabernardi. Scendevano sottoterra con una specie di ascensore di legno e lavoravano tante ore al giorno scavando la roccia per trovare lo zolfo e caricando i secchi che venivano poi tirati fuori dalla miniera. Il lavoro era pesante e più di 100 uomini morirono per gravi incidenti come frane del terreno o esplosioni del grisou, che è un gas che si forma sottoterra. I minatori avevano degli occhiali da sole molto scuri che dovevano mettere quando uscivano fuori, altrimenti dopo tante ore al buio la luce avrebbe causato danni agli occhi. Mio nonno e mio zio lavorarono in miniera per molto tempo, mio padre invece dovette smettere perché aveva problemi di respirazione a causa delle esalazioni di zolfo. 62
La miniera dava tanto lavoro e parecchi contadini abbandonarono la coltivazione dei loro campi per lavorarci, nella speranza di guadagnare di più e migliorare le loro condizioni di vita, inoltre usavano i buoi (che prima servivano per lavorare la terra perché a quei tempi non c’erano i trattori) per trasportare lo zolfo estratto dalla miniera fino alla raffineria. Quando poi arrivò l’elettricità, il trasporto venne effettuato con la «funicolare» per cui i buoi non servivano più e parecchi contadini tornarono a coltivare la terra. Nel 1952 la Montecatini annunciò che il giacimento di zolfo si stava esaurendo; ci furono scioperi, la miniera venne occupata e alcuni lavoratori vennero trasferiti in stabilimenti e miniere in altre regioni d’Italia. Tanti uomini però persero il lavoro e ci furono dei periodi veramente duri. La miniera venne definitivamente chiusa nel 1954. 63
SEBASTIANO BUCCI Mi chiamo Maria Principi e vi parlerò di mio suocero Sebastiano Bucci. Nacque a Sassoferrato il 9 febbraio 1910 in una famiglia composta dai genitori, dai nonni paterni, da 3 sorelle e 3 fratelli. Si sposò giovane con Rodi Maria ed ebbe insieme a lei 4 figli. Uno di nome Franco morì all’età di circa 6 anni per una polmonite. La sua era una famiglia di contadini mezzadri e per questo motivo ogni tanto si spostava perché prendeva in gestione le terre di proprietari diversi. Non mi ricordo molto di ciò che raccontava della miniera, tranne che passava per campi per andare a lavorare. Era malato di depressione, probabilmente dovuta al troppo lavoro perché aveva lavorato a lungo in miniera e contemporaneamente si era dovuto occupare del terreno che aveva a mezzadria. 64
Il libretto di paga «Rilasciato a Bucci Sebastiano figlio di Cesare nato in Sassoferrato il giorno 9 del mese di Febbraio dell’anno 1910 domiciliato in Arcevia residente a Palazzo» testimonia l’assunzione di Sebastiano nel mese di novembre del 1929. Vengono riportate la data della paga, il numero effettivo delle giornate o delle ore lavorative svolte ogni mese e l’ammontare della paga. L’ultima data riportata è il 9 luglio del 1937, Sempre al 1929 risale un libretto in cui sono state registrate il numero degli inneschi giornalieri (o 5 o 10) e della grisoutine (esplosivo) utilizzato (sempre 1 al giorno). 65
Il tesserino del prelevamento generi veniva consegnato ai minatori dall’azienda per ritirare a prezzi favorevoli il pane o altri prodotti della cooperativa situata a Cabernardi e gestita dall’azienda stessa. Interessante i timbri ancora visibili sulla parte esterna della tessera in cui si attestava di aver ricevuto delle scarpe di cuoio dalla Montecatini . Si può osservare anche il Certificato di Pensione di invalidità rilasciato dall’INPS il 22 luglio 1948 in cui venivano registrate le date di ritiro della pensione. 66
Con questa richiesta datata 13/12/1952 inviata al Sindaco del Bucci Sebastiano con la moglie, i figli e comune di Arcevia, Sebastiano voleva che venisse nominato il padre sul cavallo di sua proprietà. capofamiglia il figlio maggiore, in quanto il lavoro in miniera e lo stato cagionevole di salute gli rendeva impossibile occuparsi della gestione delle terre che aveva a mezzadria e di fare affari nelle 67 fiere dei paesi vicini.
FONTI BIBLIOGRAFICHE Paroli, Marcucci, Cabernardi la miniera di zolfo, tipografia Garofoli di Sassoferrato, 1992. Verdini, Zolfo, carbone e zanzare, Quaderni del consiglio regionale delle Marche, 2011. Fabbri, Gianti, La miniera di zolfo di Cabernardi- Percozzone, Editrice Fortuna di Fano, 1993. Pedrocco, Un mondo cancellato- Miniere e minatori di Cabernardi, Editrice Fortuna di Fano, 1995. Gatti, Lo zolfo a Cabernardi e Percozzone, Quaderno 29 di Marche contemporanee, Sassoferrato 2011. SITO ARCHEOMINERARIO Sito archeominerario di Cabernardi FONTI ORALI Testimonianze dirette e indirette raccolte da alunni e insegnanti tramite interviste. I testimoni hanno fornito anche fonti scritte e iconografiche inedite. FONTI MUSEALI Tutte le fonti scritte, iconografiche e materiali conservate nel Museo della Miniera di zolfo di Cabernardi. FONTI DIGITALI Video su Youtube “Pane e zolfo” del regista Pontecorvo 68
Un ringraziamento agli alunni che hanno affrontato questa avventura con interesse e curiosità e alle famiglie che hanno collaborato fornendo le testimonianze e le fonti necessarie per condurre le ricerche.
GLI ALUNNI AGUZZI JENNIFER LUCARINI LUNA AJDARI ENDRITA MARCHEGIANI DILETTA AMBROSINI CRISTIAN MARIOTTI ALICE GIULIA BIANCINI GIACOMO MENCARELLI ROMINA BRUNI LEGIEN SOFIA PAPI JENNY CASTIGLIONI LEONARDO PIETRINI NICOLA CAVALLETTI FRANCESCO SERI MARCO CURZI CRISTIANO SERVADIO DENNIS DA SILVA LUIS TORRETTI ALESSANDRO GOBBETTI SIMONE UGOLINI MARIA STELLA LAMETTI IVAN VERDINI LORENZO LE INSEGNANTI Bucci Ombretta - Petronilli Maria Cristina I.C. DI ARCEVIA, SERRA DE’ CONTI E MONTECAROTTO PLESSO ANSELMO ANSELMI DI ARCEVIA - CLASSE IV A a.s. 2015/2016
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