La donna usata dalla pubblicità. Una ricerca sugli spot tv italiani

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La donna usata dalla pubblicità. Una ricerca sugli spot tv italiani
La donna usata dalla pubblicità.
                                   Una ricerca sugli spot tv italiani
                                                        Paola Panarese

     1. Le signore della pubblicità

     Il rapporto tra donna e pubblicità è sempre stato piuttosto stretto. Spot, manifesti e annunci stampa
hanno ospitato figure femminili di ogni tipo sin dall’origine della comunicazione pubblicitaria. Donne che
«danzano mentre fanno il bucato, donne che scalano grattacieli, donne che giocano a biliardo vestite da
uomo, tra mulini e staccionate, piazze e campi di grano, paradisi barocchi, stazioni, cucine
superattrezzate»1. Donne che occupano gran parte della scena, oscurando non raramente gli altri
personaggi pubblicitari. Protagoniste indiscusse dell’immaginario promozionale di ieri e di oggi. Target
privilegiato del passato, in quanto responsabili degli acquisti familiari, ma anche del presente, per la
molteplicità di prodotti destinati alle varietà dei loro ruoli e dei loro stili di vita, spesso coesistenti.
Interpreti di spot o annunci di prodotti indirizzati a femmine e maschi, giovani e anziani. Spesso oggetto
estetizzato da osservare, in coerenza con una certa tradizione iconica occidentale, per cui l’uomo guarda e
la donna viene guardata. A questo proposito, John Berger scrive:

        «Gli uomini agiscono, le donne appaiono. Gli uomini guardano le donne. Le donne guardano se stesse mentre sono
        guardate. Questo determina non solamente la maggior parte delle relazioni fra uomini e donne ma anche il rapporto
        delle donne con se stesse. L’osservatore della donna è maschile; l’osservata femminile. Così lei si trasforma in
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        oggetto. Più specificamente in oggetto di visione.»

     Questo il punto di vista di una buona parte della pubblicità di ieri e di oggi: anche quando è
protagonista, la donna è spesso elemento decorativo, corpo, oggetto del desiderio, in un percorso storico
che articola racconti e figure femminili sempre diverse.
     In origine è la casalinga, donna per antonomasia della pubblicità italiana dei decenni scorsi, icona
pubblicitaria pervasiva e ingombrante. Ogni volta nuova, ma al tempo stesso uguale a se stessa: angelo del
focolare, governante sexy, moglie petulante, mamma amorevole. Quella della bellezza rassicurante e
piccolo borghese della donna Star, Dash, o l’affidabile Ave Ninchi degli spot AIA (Cfr. Fig. 1-3).
      Con un po’ di paternalismo e forse anche di superiorità, la pubblicità dell’epoca di Carosello tenta di
fare presa sulla psicologia femminile, puntando sul bisogno di gratificazione (con slogan come “E lui ti dirà
brava” del Caffè Splendid) o sui processi di identificazione (come nel caso della cera Gloglò e del suo spot
“Ad Orietta Berti è caduto un uovo”). È l’epoca degli scenari che oggi chiameremmo edulcorati e
conformisti, capaci però di giocare un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei comportamenti degli italiani.3
La didattica del consumo veicolata dalla pubblicità in quegli anni contribuisce a liberare la donna da alcuni
impegni gravosi, per esempio promuovendo gli elettrodomestici dal ruolo di commodities a quello di beni

1
  Zatta S., “Foto di gruppo con signora. Iconografie e stereotipi del femminile”, in Canova G., Dreams. I sogni degli italiani in 50 anni
di pubblicità televisiva, Mondadori, Milano, 2004, p. 191.
2
  Berger J., Questione di sguardi, Il Saggiatore, Milano, 1988.
3
  Pittèri D., La pubblicità in Italia. Dal dopoguerra ad oggi, Laterza, Bari, 2006.
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necessari. Significativi sono, a questo proposito, slogan come: La tua vita è una continua lotta contro il
tempo. Però ti piace. Per questo servono tutte le cose che fanno risparmiare tempo. Moulinex regala tempo
alla donna (Cfr. Fig. 4-5).

     Fig. 1-2. La donna del dado Star nel particolare di una confezione del prodotto e Ave Ninchi
testimonial per la pubblicità del tacchino Aia.

    Fig. 3. Un esempio di “donna Dash”

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Fig. 4-5. Annunci stampa di Moulinex

      A partire da allora, per molte ragioni, le rappresentazioni della donna si differenziano, restituendo
immagini più complesse, meno legate alle convenzioni e più attente ai cambiamenti sociali, ma pur sempre
stilizzate, come è comprensibile accada in una forma di comunicazione “ipersintetica” come la pubblicità 4.
      Fa così la sua prima comparsa (e s’impone nel decennio successivo) la donna che lavora, autonoma,
assertiva, ambiziosa. Sembrerebbe un passo avanti nella relazione tra immagine pubblicitaria e ruoli sociali,
ma quella rappresentata dall’advertising non è una donna reale, o meglio realistica.5 È piuttosto una
caricatura ipersemplificata, una soggettività portata all’eccesso: la donna che vive con la performance di
Elseve L’Orèal, o la giovane supermoderna della fine degli anni Ottanta, capace di conciliare casa e carriera,
maternità e professionalità, fascino e intelligenza, che lavora in ufficio tutto il giorno, ma non dimentica di
preparare una cena deliziosa per i suoi e di combattere quotidianamente contro le rughe e la cellulite.6
      L’immaginario pubblicitario, dunque, rappresenta il cambiamento in corso in quell’epoca, ma lo fa
usando simulacri che un po’ ne stemperano il risultato e ne banalizzano il significato. In fondo, dalla
pubblicità ci aspettiamo che non sia lo specchio della realtà, quanto piuttosto uno specchio distorto,
direbbe Richard Pollay, che ne riflette solo alcune tendenze in modo perlopiù deformante7.
      Così, le immagini femminili della pubblicità degli anni Ottanta sono non tanto convenzionali nei
contenuti, quanto irrigidite e mutilate nella forma e nelle identità rappresentate.
      In ogni caso, ci sono archetipi del femminile che rimangono quasi intatti nel tempo. Uno di questi è
quello della mamma, che cambia pettinatura, foggia dei vestiti, ma non il ruolo centrale di dispensatrice di
cura e affettività. La mamma della pubblicità è giovane e carina, se ha da fare non lo dà a vedere, vive in un
villetta con giardino e ha due figli già in età scolare. L’aspetto più conservatore si percepisce nella relazione
con il partner, di cui è anche madre, oltre che moglie e compagna.
      La “maternità” della figura femminile rispetto a quella maschile è piuttosto evidente negli annunci su
stampa e, in particolare, nelle pose talvolta assunte dalle signore della pubblicità (Cfr. Fig. 6). Ma anche

4
  Fabris G., La pubblicità. Teorie e prassi, Franco Angeli, Milano, 1992.
5
  Pignotti L., Mucci E., Marchio & femmina. La donna inventata dalla pubblicità, Vallecchi, Firenze, 1978.
6
  Canova G., op. cit.
7
  Zanacchi A., Pubblicità: effetti collaterali. Riflessioni sulle conseguenze «involontarie» della pubblicità, Editori Riuniti, Roma, 2004.
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nella relazione con i figli (senza escludere l’ambito televisivo) sembra percepibile una certa rigidità di ruoli e
funzioni.
     Una seconda figura femminile che attraversa imperterrita la storia della pubblicità è quella quasi
opposta alla mamma, la donna sensuale e tentatrice, associata generalmente ai prodotti più diversi e
spesso “oggettivata”, come nel caso classico della bionda delle pubblicità Peroni (Chiamami Peroni. Sarò la
tua birra), recentemente rivisitato in una pubblicità televisiva dello Spot dell’auto Giulietta di Alfa Romeo
(Guardami, toccami, accarezzami, sussurrami, prendimi, scuotimi, incitami, venerami, esaltami, sentimi,
proteggimi, criticami, lasciami, amami, rilassami. Io sono Giulietta. Prima di parlare di me, provami). È un
archetipo pubblicitario presente anche nei tanti annunci in cui l’associazione tra corpo (nudo) femminile e
prodotto è più o meno pretestuosa. Basti pensare al caso (che ha fatto molto discutere) di una pubblicità su
affissione degli abiti Swish, il cui payoff “Moda moda per donne donne” si accompagna a un visual in cui
campeggia una grande immagine di Naomi Campbell nuda: il prodotto pubblicizzato è del tutto assente e il
claim decisamente provocatorio (Cfr. Fig. 7)

                        Figura 6. Una posa “materna” in un annuncio stampa di Jil Sander

                   Figura 7. Un esempio di donna sensuale in un’affissione per gli abiti Swish

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La sua funzione, in questo caso, è di esca comunicativa, pretesto o elemento decorativo associato al
prodotto. E gli esempi vecchi e nuovi a questo proposito certamente non mancano.
       In ogni caso, prevale nella pubblicità italiana la donna-corpo, presentata a pezzi e frammenti, in cui
spesso la testa e, per traslazione, la mente, sono assolutamente secondarie. Quella di cui si mostrano
gambe, mani, labbra, glutei e seni (Cfr. Fig. 8-9 e 10-11), ma non la figura per intero.

                          Figure 8-9. Pezzi di corpi femminili in pubblicità su stampa

                        Figure 10-11. Donne “decapitate” in pubblicità su stampa

Quarti di donna associati ai prodotti più vari, ulteriore esempio di una rappresentazione della figura
femminile quantomeno “parziale”.

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2. Pubblicità de-genere

Oggi, quali “nuove” soggettività propone l’immaginario pubblicitario contemporaneo? È plausibile
considerare la pubblicità un piccolo laboratorio di genere e riformulazione dei ruoli sessuali?8 Cosa accade
in un’epoca in cui, soprattutto a partire dagli anni Novanta, il rapporto tra donna e pubblicità è
condizionato da alcuni trend sociali come quello che Giampaolo Fabris ha definito “femminilizzazione della
società”, un fenomeno che si accompagna a quello per molti versi speculare dell’emancipazione della
donna, e che si riflette in molti settori merceologici?
     La femminilizzazione della società, in particolare, potrebbe descrivere nuovi scenari, dal momente che
da circa un ventennio valori, atteggiamenti e comportamenti considerati convenzionalmente femminili – e
quindi valutati come inferiori in una cultura a forte egemonia maschile - si sono diffusi e sono divenuti
tendenzialmente dominanti.9 Ciò non significa che i rapporti di potere tra uomo e donna siano
drasticamente e irrevocabilmente cambiati, ma che valori tradizionalmente femminili vengano condivisi
dalla popolazione maschile, e siano promossi e legittimati socialmente, anche nella pubblicità. Basti
pensare alla valorizzazione degli affetti e dei sentimenti, al ridimensionamento del primato del lavoro e
della sua centralità nella definizione delle identità, al valore dell’intuizione rispetto alla deduzione, della
dolcezza rispetto all’aggressività, della leggerezza in rapporto alla forza, della relazione con il corpo contro il
suo uso strumentarle, dell’emozione rispetto alla razionalità.
     Le conseguenze più dirette in ambito commerciale e sociale sono sotto gli occhi di tutti. L’ingresso
dell’uomo nel sistema della moda (tanto che ora spende più della donna per vestirsi), il decollo della
cosmesi maschile, l’attenzione per l’estetica del corpo, il farsi carico di alcune incombenze della
casalinghità, dalla cura dei figli, alle compere o la preparazione dei pasti.10
     Anche per questo, non sono rare le pubblicità indirizzate a entrambi i generi che promuovano prodotti
che combattano problemi un tempo considerati esclusivamente femminili, come quello dei peli superflui,
(Cfr. Fig. 12) o della linea (Cfr. Fig. 13-14).

        Figura 12. La lotta ai peli superflui accomuna donne e uomini in una pubblicità di Lasercare.

8
  Righetti P., “L’uomo sesso debole della pubblicità”, In Tendenze n. 27, 2003.
9
  Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano, 2003.
10
   Ibidem.
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Figure 13-14. Pubblicità di prodotti per il dimagrimento maschile.

     Ciò si aggiunge a una certa femminilizzazione delle merci, evidente nel primato della leggerezza
nell’alimentazione, nel successo di indumenti soffici (come quelli della linea Soft di Zegna o Tod’s), nella
diffusione di automobili dalle forme arrotondate, nell’esplosione del colore e della morbidezza nell’arredo,
ma anche nella femminilizzazione della tecnologia. Cellulari e pc rotondi e coloratissimi lo dimostrano. E
sempre in questo contesto si colloca una certa femminilizzazione dell’uomo pubblicitario, che esprime più
spesso e con meno pudore sentimenti considerati femminili come l’allegria o la riflessività (Cfr. Fig. 15-18).
Uomini lontani dal modello del cowboy di Marlboro o da quello di chi non deve chiedere mai dello spot
Denim After Shave del 1988.
     La contaminazione dei generi arriva talvolta (ma i casi non sono molti) a prefigurare l’immagine di un
moderno Evo, uomo a metà tra Adamo ed Eva, in cui la componente maschile e quella femminile si
fondono (Cfr. Fig. 19). Da qui al cortocircuito tra i generi il passo è breve. Sono sempre meno rare, quindi,
quelle pubblicità (soprattutto di moda) che raffigurano identità dalle differenze sfumate: donne androgine
e uomini effeminati, ma anche veri e propri transessuali. Dagli anni Novanta, in particolare, sono diventate
più evidenti le somiglianze caratteriali, fisiche, nel ruolo familiare, affettivo e professionale, tra figure
maschili e femminili. Prima ancora che dalla pubblicità questo trend è stato ben rappresentato da film
come “Tacchi a spillo” di Almodovar (1991), “Orlando” (1992), “La Moglie Del Soldato” (1992), o anche dai
personaggi dei romanzi della scrittrice Banana Yoshimoto, dall’aspetto effeminato di cantanti come Marylin
Manson, il leader dei Placebo o quello dei Cure, ma anche dalla mascolinità di Skin degli Skunk Anancie.

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Fig. 15-18. Uomini emotivi e riflessivi.

Figura 19. Un novello “Evo” in una pubblicità di Byblos.

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In pubblicità, l’ambiguità è mostrata con la raffigurazione di donne – poche e relegate generalmente
negli annunci stampa delle pubblicità di moda - dall’aspetto maschile per foggia, atteggiamento o postura
(Cfr. Fig. 20-23).
     Parallelamente, i modelli maschili mostrati negli spot o sulle riviste hanno sempre più spesso
lineamenti delicati e femminili, corpi perfettamente curati o depilati, capelli tinti e visi marcatamente
truccati (Cfr. Fig. 24-26).

                Figure 20-23. Donne mascoline in annunci stampa dei primi anni del 2000

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Figure 24-26. Uomini effeminati in annunci stampa dei primi anni del 2000

        Non stupisce quindi che i corpi pubblicitari di generi diversi talvolta si somiglino e i componenti di
alcune coppie tendano a con-fondersi (Cfr. Fig. 27-29).

                           Figure 27-29. Coppie pubblicitarie dai generi con-fusi

    A ciò si aggiunge un’altra tendenza percepibile nella pubblicità degli ultimi anni e leggibile, almeno in
un certo senso, come femminilizzazione dell’uomo pubblicitario: quella della “scoperta” del corpo maschile.
Una ricerca del 2001 di Harvard dal titolo “Il crescente valore commerciale del corpo maschile” ha rilevato
che non ci sono più solo ragazze svestite negli annunci pubblicitari, ma anche uomini che occhieggiano

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denudati al pubblico femminile.11 Ovviamente il nudo maschile in pubblicità non è una conquista, né una
manifestazione del raggiungimento della parità dei sessi. Per esso possono essere mosse le stesse obiezioni
avanzate per lo sfruttamento commerciale dell’immagine della donna. Tuttavia, sembra evidente che anche
il corpo maschile sia diventato uno strumento per catturare l’attenzione.
      Come la donna in pubblicità, d’altronde, anche l’uomo è mostrato sempre più spesso svestito e senza
testa, tutto muscoli e niente cervello, puro oggetto senza mente (Cfr. Fig. 30-31); nudo per promuovere
prodotti che hanno qualche connessione con il corpo, come biancheria intima o cosmetici (Cfr. Fig. 32-34);
ma anche in pubblicità in cui la presenza del corpo nudo è assolutamente pretestuosa.
      La “scoperta” del corpo maschile o la fusione e confusione tra generi sono però tendenze minoritarie.
La rappresentazione antieroica dell’uomo, talvolta irriverente e irrispettosa, al pari di tante
rappresentazioni femminili, è ancora limitata. Restano preponderanti, soprattutto in tv, le immagini di
donne e uomini convenzionali, distorte e discutibili: corpi che si agitano avvinghiati a serpenti, seni che
ballano al ritmo delle onde, nudi e quarti di donna a volontà, casalinghe contente di lavare il pavimento e
uomini che non devono chiedere mai, in una continuità tra vecchio e nuovo che i tempi non sembrano
mettere in discussione (Cfr. Fig. 35-37).

                              Figure 30-31. Uomini “decapitati” in pubblicità su stampa

11
  Coyaud S., “E adesso spogliati. Come vendere divani, liquori, telefoni? Con un nudo. Maschile, però. È la nuova tendenza della
pubblicità svelata da una singolare ricerca Usa”, su D di Repubblica, online all’indirizzo:
http://d.repubblica.it/dmemory/2001/08/07/attualita/attualita/128ade263128.html

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Figure 32-34. Nudi maschili per la promozione di prodotti diversi

    Figure 35-37. Donne ed erotismo in pubblicità vecchie e nuove.

    Non è un caso che qualche pubblicità invochi maggiore veridicità nella rappresentazione di donne e
uomini, come la bella campagna di Dove per una bellezza autentica (Cfr. 38-40). E non è casuale nemmeno
che nei fantasiosi scorci del mondo ideale di Absolut Vodka si immagini un diverso equilibrio tra generi: un
futuro in cui anche l’uomo possa restare “incinto” (Cfr. Fig. 41).

                                                    12
Figure 38-40. Annunci della recente campagna di Dove in favore di una bellezza autentica.

      Non stupisce neppure che siano nate parodie della raffigurazione dei corpi femminili e maschili in
pubblicità di movimenti antipubblicitari come Adbusters, che attacca l’ossessione femminile per la
magrezza indotta anche dai modelli di bellezza presentati dall’advertising (Cfr. Fig. 42), ironizza
sull’importanza attribuita dagli uomini ai propri genitali (Fig. 43), e si beffa della distanza tra estetica
realistica e immagini pubblicitarie (Cfr. Fig. 44).

                                                    13
Figura 41. Annuncio della campagna di Absolut Vodka del 2007 “In an absolut world”.

    Figure 42-44. Spoof ads di Adbusters

     Ormai, non ci stupiamo se la nostra percezione della bellezza è distorta, come si afferma nel video
virale “Dove evolution” che ha vinto una sezione del festival di Cannes di qualche anno fa (Cfr. Fig. 45). È
piuttosto evidente che la rappresentazione pubblicitaria sia, quasi per necessità, ipersintetica e
stereotipica. Inoltre, anche quando prova a cimentarsi con immagini “diverse” di genere, sembra farlo in
modo cauto e reticente, puntando soprattutto su un effetto vetrina o su un empowerment femminile tanto

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iperbolico quanto poco realistico, come nel caso delle donne vendicatrici di Campari o quelle di molte
pubblicità di auto ossessionate dalla loro vettura, in una logica strumentale prevalentemente maschile.
      Anche l’interesse per le figure dell’ambiguità di genere, i transgender di Campari o la queer chic di
Lancia Y, ha una consistenza tutto sommato debole, soprattutto nel panorama della pubblicità italiana
televisiva. Più che rappresentazioni d’identità sessuali fluide e non convenzionali sembrano camuffamenti
utili ad attirare l’attenzione, che rischiano di ridurre le variegate identità complesse a pure maschere
estetiche, un concentrato di atteggiamenti e fogge iperboliche ed estremizzate. Un processo che già
Goffman alla fine degli anni Settanta definiva di «iper-ritualizzazione», un’esagerazione scoperta, a volte
ironica e a volte terribilmente seria, delle forme cerimoniali della differenza che fanno parte della nostra
esperienza quotidiana.

     Figura 45. Fotogramma del video virale “Dove evolution”

       Ed è proprio questo il terreno su cui si innesta la ricerca presentata nelle pagine che seguono e che
ha per obiettivo il censimento dei personaggi femminili e maschili, più o meno convenzionali, che popolano
gli spot del nostro paese. Un’indagine volta a comprendere se le novità percepite, ma non rilevate
sistematicamente, siano effettivamente diffuse. Un’analisi che si ispira ai pochi cardini della letteratura
specifica sul tema, che trova in Goffman uno dei pilastri fondamentali, uno dei pochi sociologi classici a
svolgere una ricerca su pubblicità e genere, un pensatore eccentrico rispetto agli studi del suo tempo,
convinto che le forme mediatiche iper-ritualizzate siano un riflesso idealizzato delle differenze esistenti
nella realtà sociale e non uno «specchio distorto» come voleva Polley.12

       «In generale (…) i pubblicitari non creano le espressioni ritualizzate che usano. Essi al contrario sfruttano lo stesso
       corpus di esibizioni, lo stesso idioma rituale che funge da risorsa per tutti noi che partecipiamo alle situazioni sociali, e
       lo fanno con lo stesso scopo: rendere leggibile un’azione altrimenti ambigua. Il compito specifico dei pubblicitari sta
       nel rendere convenzionali le nostre convenzioni, stilizzare quanto è già stilizzato, fare un uso frivolo di immagini già
       ampiamente decontestualizzate. In breve le loro iperboli sono una forma di «iper-ritualizzazione».13

12
   Polley R.W., The Distorted Mirror: Reflections on the Unintended Consequences of Advertising, in «Journal of Marketing», 50,
1986, pp. 18-36.
13
   Goffman E., La ritualisation de la féminité, in «Actes de la recherche en sciences sociales», 14, 1977, pp. 34-50, tradotto da
Sassatelli R., in La ritualizzazione della femminilità, in «Studi Culturali», 1, 2010, pp. 37-70, p. 68
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3. Una questione sociale e morale

     La rappresentazione del genere in pubblicità non è neutra. Ha un impatto profondo, che chiama in
causa questioni etiche complesse e delicate. Già nel 1976, d’altronde, il sociologo canadese Erving Goffman
scriveva:

        «I modelli proposti dai media e dalla pubblicità contribuiscono a definire il significato dell’appartenenza di genere,
        imponendosi con forza per il fatto di essere pubblicamente diffusi».14

     Le conseguenze non sono irrilevanti se, come Goffman ha rilevato nel suo studio “Gender
Advertisements”15, esiste una serie di modalità rappresentative ricorrenti nella pubblicità (a mezzo
stampa), che ritraggono la donna in pose e atteggiamenti volti a simbolizzare la sua inferiorità sociale
rispetto all’uomo.
      Gli studi di quello che può essere considerato, a buon diritto, uno dei sociologi più importanti, si sono
concentrati per qualche tempo sul genere, poco dopo la metà degli anni Settanta. Egli ha messo a fuoco, in
particolare, quelli che chiamava i «genderismi», ovvero i «codici di genere» con cui si costruiscono e
stabilizzano le identità maschili e femminili nella quotidianità e nelle rappresentazioni sociali.
       Nel 1976 usciva in una prima versione Gender Advertisements sulla base del quale Goffman ha
elaborato, lavorando soprattutto sul materiale visivo, un importante saggio sulla femminilità pubblicato nel
1977 dagli “Actes de la Recherche en Sciences Sociales”.16 Nello stesso anno, usciva The Arrangement
between the Sexes sulla rivista “Theory and Society”, quella che forse può essere considerata la più
completa riflessione goffmaniana sul genere.17 Si tratta di un testo nel quale si sostiene che le differenze tra
uomini e donne vengono costruite quotidianamente, all’interno del mercato del lavoro, negli orientamenti
scolastici, nella divisione dei compiti in famiglia, ma anche attraverso una continua e permeante
ritualizzazione cerimoniale che le rende immediatamente riconoscibili e contribuisce a consolidarle. I modi
di rivolgersi all’altro in quanto soggetto codificato in base al genere, le forme di gestione del proprio corpo,
il gioco della seduzione o quello degli sguardi e delle posizioni nella quotidianità, sono tutte forme
ritualizzate che rinsaldano le differenze di genere, fissandone culturalmente la naturalità.18
     Goffman analizza i percorsi con cui tali diversità cerimoniali vengono messe in scena dai media, dalla
pubblicità in particolare.19 Così, con una diffusa ma non sistematica analisi di 827 fotografie pubblicitarie,
rintraccia nei messaggi mediatici «lo stesso corpus di rappresentazioni, lo stesso idioma rituale che usiamo

14
   Goffman E., Gender Advertisements, Harper and Row, New York, 1979; prima edizione in «Studies in the Anthropology of Visual
Communication», 3, 1976, pp. 69-154.
15
   Gender Advertisements è la decima monografia scritta da Erving Goffman sulla base di un articolo curato tre anni prima per una
rivista di antropologia. Ne sono uscite due versioni: la prima pubblicata in «Studies in the Anthropology of Visual Communication»
nel 1976, la seconda apparsa successivamente come saggio autonomo. La monografia contiene solo qualche piccola variante
rispetto al testo precedente ed è stata stampata in due diverse edizioni: negli Stati Uniti è uscita per i tipi di Harvard University
Press e Harper & Row e in Gran Bretagna per MacMillan. L’edizione statunitense è stata prefatta da Vivian Gornick e collegata alla
florida riflessione femminista del tempo, con la speranza che avrebbe colto in Goffman «la convizione che sotto la superficie
dell’ordinario comportamento sociale hanno quotidianamente luogo innumerevoli assassini della mente e dello spirito» (Gornick
1979, ix). L’edizione inglese, invece, è stata curata da Richard Hoggart, uno degli autori di riferimento dei Cultural Studies
britannici, che ha definito il libro «brillante e suggestivo» (Hoggart 1979, viii). Le prefazioni riflettono sia l’importanza di Goffman
negli anni Settanta sia il carattere controverso delle incursioni del sociologo nel dominio degli studi di genere. Nel mondo
anglosassone, il testo è stato un successo editoriale: ha registrato almeno tredici recensioni tra il 1979 e il 1982, quasi quanto
Frame Analysis, ed è stato commentato e discusso in spazi prestigiosi, dal «New York Time Book Review» alle principali riviste
accademiche. Mai tradotto in Italia, nel nostro paese ha costituito e costituisce comunque un punto di riferimento ineludibile degli
studi di genere applicati alla pubblicità e di quelli sulla pubblicità che si occupano delle rappresentazioni sociali e dei loro “effetti
collaterali”.
16
   Goffman E., La ritualisation de la féminité, cit.
17
   Goffman E., The Arrangement between the Sexes, in «Theory and Society», 4, 1977, pp. 301-332.
18
   Sassatelli R., op. cit.
19
   Ibidem.
                                                                  16
tutti noi mentre partecipiamo alle situazioni sociali, e con lo stesso scopo: rendere leggibile un’azione
intravista».20
     Lo studio effettuato non prevede un’analisi del contenuto di tipo tradizionale (almeno perché le sue
categorie non sono mutualmente esclusive), né può essere considerata una vera e propria indagine
semiotica. Non si ispira nemmeno a forti paradigmi critici quale quello psicoanalitico. Compie piuttosto
un’analisi visuale originale, in cui al materiale iconografico è data un’importanza centrale per analizzare il
cerimoniale sociale, sviluppando un approccio che affonda le proprie radici nella tradizione antropologica di
Bateson e Mead21.
     L’ipotesi messa alla prova e convalidata da Goffman è che la rappresentazione pubblicitaria dei generi
sia fortemente sbilanciata a favore degli uomini. Tra i risultati più interessanti c’è la cosiddetta funzione
gerarchica, secondo cui la maggior parte delle pubblicità che mettono in scena uomini e donne evocano più
o meno apertamente divisioni e gerarchie tradizionali tra i sessi: la donna appare più spesso in posizione
subalterna o ancillare, l’uomo, la cui statura più elevata indica uno status superiore, è rappresentato in una
postura protettiva, che cambia secondo il legame sociale – familiare, professionale, amoroso – che
intrattiene con le sue partner (Cfr. Fig. 46-48).
Si registra anche il fenomeno dell'estraneazione, rilevabile quando la donna è raffigurata distratta e poco
coinvolta dalla situazione, affidata alla vigilanza e al controllo dell’uomo. A questo proposito, il sociologo
scrive:

          «Più degli uomini, le donne ci vengono mostrate in disposizioni che le allontanano mentalmente dalla situazione
          sociale ambientale, le lasciano disorientate in e verso di essa e dunque, apparentemente, in balia della protezione e
          della benevolenza eventualmente attuate dagli altri partecipanti (presenti o possibili).
          D’altra parte, quando una persona perde il controllo della sua espressione facciale, quando la sua emozione (riso o
          timidezza) «straripa», essa ha, per dissimulare in parte il suo cedimento, la risorsa di girarsi rispetto agli altri o di
          coprirsi il viso, in particolare la bocca, con le mani. Qui si tratta della ritualizzazione di un gesto associato all’infanzia»
          (Cfr. Fig. 52-55)

                Fig. 46-48. Esempi di funzione gerarchica tra gli annunci pubblicitari studiati da Goffman

20
     Goffman E., Gender Advertisements, cit., p. 84.
21
     Bateson G., Mead, M., The Balinese Character, New York Academy of Science, New York, 1942.
                                                                      17
Fig. 49-51. Esempi di sottomissione femminile negli annunci di Goffman

     Fig. 52-55. Esempi di estraniazione negli annunci di Goffman

                               18
Altro esito interessante è quello relativo al tocco femminile, ossia alla tendenza delle donne
pubblicitarie a sfiorare col dito o con la mano i contorni di un oggetto che stringono al seno o di cui ac-
carezzano la superficie. Si tratta di «un tocco ritualizzato che conviene distinguere dalla varietà
strumentale, quella che afferra, manipola e trattiene. Quando al contrario la donna tocca se stessa, sembra
che il suo scopo sia far sentire il suo corpo come una cosa delicata e preziosa.»22 (Cfr. Fig. 56-59)

                                Fig. 56-59. Esempi di tocco femminile negli annunci di Goffman

       In ogni caso, dall’analisi di Goffman emergono figure maschili forti e protettive e figure femminili
docili, sottomesse, emotive, infantili. Si rileva anche una relazione fortemente sbilanciata in favore del
“sesso forte”. Unica parziale (ma solo apparente) inversione dei ruoli è nella rappresentazione dello spazio
familiare, ambito in cui la donna è ritratta come colei che si prende maggiormente cura degli altri e l’uomo
come colui che svolge una funzione protettiva.
       In conclusione, comunque, Goffman sostiene:

          «a conti fatti, il lavoro del pubblicitario che deve mettere in scena il valore del suo prodotto non è così distante dal
          lavoro di una società che riempie le proprie situazioni sociali di cerimoniali e di segni rituali destinati a facilitare
          l’orientamento reciproco dei partecipanti. L’uno e l’altra devono raccontare una storia tramite limitate risorse
          «visuali» offerte dalle situazioni sociali. Devono entrambi tradurre accadimenti opachi in una forma facilmente

22
     Ibidem, p. 61.
                                                                   19
interpretabile; ed entrambi per farlo usano gli stessi processi fondamentali: ostentazione (display) delle intenzioni,
       organizzazione micro-ecologica della struttura sociale, tipizzazioni approvate, esteriorizzazione gestuale di ciò che può
                                       23
       sembrare una reazione intima» .

     Ne deriva la non neutralità della rappresentazione dei generi in pubblicità. Una questione che chiama
in causa considerazioni sociali e morali e richiede analisi scientifiche più approfondite e, soprattutto,
aggiornate alla luce della più recente produzione pubblicitaria. L’analisi è urgente soprattutto a proposito
delle tv, un mezzo che ha un raggio di diffusione e, conseguentemente, un potere d’influenza decisamente
maggiori rispetto alla stampa. Di qui la ricerca che segue.

     4. Nota metodologica

     Considerando la panoramica fatta sui trend dell’iconografia pubblicitaria dei generi e gli esiti della
ricerca di Goffman come precedente eccellente, ma eccentrico da un punto di vista metodologico, abbiamo
svolto un’indagine originale sulla rappresentazione dei generi negli spot tv.
     La pubblicità televisiva è un ambito non semplice da indagare. Presuppone, anche solo per isolare un
campione di spot vagamente rappresentativo di un periodo di tempo prestabilito, la registrazione di ore di
programmazione e la conseguente visione di tutto il repertorio raccolto. Inoltre, all’isolamento di
commercial dal resto del palinsesto deve seguire la selezione delle pubblicità uniche, non ripetute cioè nel
periodo considerato. Ciò richiede la visione di tutto il materiale visivo e la costruzione di un database che
aiuti l’organizzazione del lavoro24.
     Nonostante il percorso non semplice, abbiamo realizzato una ricerca originale, tesa a indagare, con
uno studio dalla natura prevalentemente esplorativa, se e in che misura gli stereotipi di genere individuati
nelle passate indagini esistano, siano diffusi e siano eventualmente affiancati da nuovi trend di
rappresentazione della figura femminile, nella pubblicità delle reti televisive generaliste.
     Gli obiettivi conoscitivi perseguiti, il contesto empirico e i paradigmi teorici di riferimento, hanno
guidato la stesura del disegno della ricerca. Poiché è stato necessario delimitare l’oggetto specifico
d’indagine, si è scelto di analizzare i contenuti televisivi delle sei principali reti generaliste italiane: Rai 1, Rai
2, Rai 3, Rete 4, Canale 5 e Italia 1, considerando la programmazione compresa tra le 8 di mattina e le 2 di
notte.
     Si è deciso poi di selezionare tre giorni infrasettimanali, compresi tra febbraio e marzo 2011, a distanza
di almeno una settimana uno dall’altro25. Le giornate selezionate sono state il 14 febbraio, il 22 febbraio e il
2 marzo. Di queste abbiamo considerato gli spot unici, escludendo tutte le ripetizioni individuate nel
periodo considerato. Ne deriva che, chiaramente, il 14 febbraio è il giorno in cui si registra un numero
maggiore di annunci non ripetuti, pari a 255. 26
     Per quanto riguarda la tipologia di spot considerati, abbiamo valutato solo quelli commerciali,
escludendo dunque le pubblicità politiche, sociali, pubbliche o religiose, che hanno formati e caratteristiche
talvolta differenti e sono, comunque, numericamente residuali.

23
   Goffman E., La ritualisation de la féminité, tradotto da Sassatelli R., in La ritualizzazione della femminilità, cit., p. 57.
24
   Il materiale audiovisivo è stato gentilmente offerto dall’Osservatorio GEMMA (Gender and Media Matters) del Dipartimento di
Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. L’Osservatorio, diretto dalla Prof.ssa Milly Buonanno, sta conducendo un’analisi
della rappresentazione delle figure maschili e femminili nei diversi “generi” televisivi italiani.
25
   Lo abbiamo fatto per avere una maggiore varietà di spot, le cui campagne hanno una durata minima di due settimane. Per
questo, abbiamo selezionato un lunedì di una settimana di febbraio, un martedì della settimana successiva e un mercoledì di quella
seguente, che cadeva all’inizio di marzo.
26
   La ripartizione non è tuttavia particolarmente significativa, poiché esclude nei giorni diversi dal primo gli annunci già andati in
onda il 14 febbraio.

                                                                 20
La tecnica d’indagine prescelta è stata l’analisi del contenuto, quella che Bernard Berelson definisce
come una tecnica di ricerca per la descrizione obiettiva, sistematica e quantitativa del contenuto manifesto
della comunicazione. È questa una definizione classica, che ha però qualche limite: l’analisi del contenuto,
infatti, di obiettivo non ha che l’oggetto e le procedure di ricerca, che possono essere ripetibili e
standardizzabili; viene speso utilizzata non per rilevare il contenuto manifesto di un messaggio, bensì quello
latente; non è nemmeno una tecnica vera e propria, ma un insieme di tecniche; e il concetto di descrizione
è suscettibile di qualche perplessità, perchè gli atti comunicativi non sono mai univoci, ma plurivoci ed
equivoci, quindi di difficile descrizione. Pertanto, abbiamo considerato l’analisi del contenuto come un mix
tra l’approccio “classico” di Berelson, legato all’analisi interpretativa del testo sulla base di categorie (ex-
ante o ex-post), e l’analisi testuale di tipo lessicometrico27. In ogni caso, possiamo definire l’analisi del
contenuto come:

        «un insieme di metodi che sono orientati al controllo di determinate ipotesi su fatti di comunicazione e che a tale
        scopo utilizzano procedure di scomposizione analitica e di classificazione, normalmente a destinazione statistica, di
        testi e di altri insiemi simbolici»28

     Alla base della metodologia selezionata ci sono state due considerazioni preliminari: l’opportunità
dell’assunzione di una prospettiva tipica delle scienze sociali e la necessità di un approccio multidisciplinare.
Questa scelta di campo ha portato all’utilizzo di una particolare procedura di analisi del contenuto, quella
dell’analisi come inchiesta.
     Effettuata la scelta della metodologia è stato costruito lo strumento di ricerca, ossia una scheda
d’indagine, contenente una successione ordinata di domande con cui sono stati interrogati gli spot
televisivi. Ciascuna voce della scheda corrispondeva a una variabile che, a sua volta, costituiva la definizione
operativa di una proprietà considerata rilevante ai fini della ricerca.
     Le domande della scheda sono state collocate nelle seguenti aree tematiche:
               caratteristiche generali della testata tv (emittente, fascia oraria, data di registrazione)
               caratteristiche generali dello spot (inserzionista, categoria merceologica, tipo di pubblicità)
               caratteristiche formali dello spot (durata, tipo di registro, presenza di musica suoni rumori,
               bodycopy, slogan, speaker, ecc.)
               caratteristiche contenutistiche dello spot (ambientazione spaziale e temporale, numero e
               tipologie dei personaggi)
               censimento dei personaggi (elenco di tutti i personaggi e analisi delle loro caratteristiche)
               valutazioni conclusive (indicazione dell’eventuale presenza di segni di empowerment
               femminile o di femminilizzazione dei ruoli maschili, presenza di donne mascoline e uomini
               effeminati, presenza di corpi nudi)29

     La scheda ha permesso di raccogliere molti dati, la cui analisi ha dato esiti sempre interessanti e
talvolta inaspettati. In ogni caso, è stata utile per confermare la nostra ipotesi di partenza, ossia che gli spot
televisivi replichino in larga misura i trend di raffigurazione dei generi tipici della stampa e riproducano gli
stessi “vizi” registrati da vecchie analisi come quella di Goffman, contribuendo a diffondere immagini di
donne pubblicitarie ipersemplificate e stereotipiche.

27
   Tuzzi A., 2003, L'analisi del contenuto. Introduzione ai metodi e alle tecniche di ricerca, Carocci, Roma.
28
   Rositi F., «L’analisi del contenuto», in Rositi F. e Livolsi M. (a cura di), La ricerca sull’industria culturale, La Nuova Italia Scientifica,
Roma, 1988.
29
   L’articolo 9 si riferisce alla presenza di «affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la
sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti» e il 10 a quella di contenuti potenzialmente offensivi
di convinzioni morali, civili e religiose.
                                                                       21
5. I primi risultati

     Il nostro campione, ossia l’insieme degli spot unici selezionati nei giorni e negli orari prescelti, è pari a
573 commercial. Il totale degli spot delle sei reti televisive (senza l’esclusione delle ripetizioni) è pari invece
a 4706. Ciò vuol dire che il nostro campione costituisce poco più dell’8% dell’universo analizzato.
     La ripartizione dei singoli annunci selezionati nelle diverse reti televisive, che risente comunque
dell’ordine di valutazione degli spot unici a partire da Rai 1, vede al primo posto la rete Mediaset indirizzata
al target più giovane, seguita da Rai 1, Rete 4, Canale 5, Rai 2 e Rai 3 (Cfr. Fig. 60).
     La quota complessiva di spot Mediaset è pari quasi al 60% del totale, a fronte di poco più del 40% per
gli spot Rai.

Fig. 60. La distribuzione degli spot tra le diverse reti considerate (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

        Per quanto riguarda le fasce orarie prevalenti, poi, domina quella mattutina con ben il 43% del
campione (Cfr. Fig. 61). In ultima posizione, prevedibilmente, la fascia notturna (che terminava nel nostro
caso alle 2 di notte). Con buona probabilità, comunque, l’esito della distribuzione è stato condizionato dalla
diversa estensione delle fasce orarie considerate. In altre parole, è piuttosto evidente che la fascia pre-
serale contenga un numero di spot decisamente inferiore rispetto a quella mattutina, perché ha
un’estensione considerevolmente minore. Al tempo stesso, la distribuzione è stata certamente influenzata
anche dall’ordine cronologico degli spot unici considerati. Avendo escluso le ripetizioni a partire dalla
visione di commercial mattutini, è probabile che siano stati scartati soprattutto quelli nelle fasce
pomeridiane e serali.

                                                        22
Fig. 61. La distribuzione degli spot nelle fasce orarie considerate (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

        Per quanto riguarda i settori merceologici dei prodotti promossi negli spot, al primo posto troviamo
quelli del comparto alimentare, che occupano oltre un quarto del campione. Seguono igiene e cura della
persona, automobili, giocattoli e telefonia (Cfr. Fig. 62).
        Tra gli inserzionisti si colloca al primo posto l’azienda Giochi Preziosi, con 10 spot unici differenti, al
secondo Kellogg’s, con 9, al terzo, Kinder, L’Orèal, Opel e Mulino Bianco, con 8 spot ciascuno. Ha 7 casi,
invece, Chevrolet. È abbastanza evidente, comunque, che gli inserzionisti più presenti nel nostro campione
siano tutte grandi aziende, in larga parte operanti nel mercato internazionale, i cui settori merceologici
compaiono al primo posto della nostra classifica.
        Per quanto riguarda il formato degli spot, prevale quello classico da 30 secondi, in quasi il 40% dei
casi. Segue il formato breve di 15 secondi e quello intermedio di 20. Quasi del tutto assenti, invece, gli spot
lunghi da 60 secondi, un tempo decisamente più diffusi, ma ridotti forse anche in virtù della recessione
economica e della conseguente contrazione degli investimenti pubblicitari (Cfr. Fig. 63).
        Non stupisce poi la presenza, nel 100% dei casi, del registro visivo come codice dello spot, né
colpisce la percentuale leggermente ridotta dei compresenti codici sonoro e verbale: può accadere, infatti,
che una pubblicità in tv comunichi solo per immagini, ma sarebbe decisamente anomalo se usasse solo
audio o testo verbale, senza alcuna dimensione visiva (Cfr. Fig. 64).
        D’altronde, nel 95% dei casi, gli spot hanno suoni o rumori di sottofondo (Cfr. Fig. 65) e
generalmente si tratta di musica strumentale per oltre la metà del campione (Cfr. Fig. 66).30 È un dato,
questo, che rivela la funzione prevalente di “colonna sonora”, per natura dotata di una forte connotazione
simbolica. Non prevale, infatti, nel nostro campione, il jingle, quel motivetto fortemente caratterizzato il cui
scopo è generalmente esprimere la mission aziendale (come “Belté, Beltè, più buono proprio non ce n’è”),
o rendere memorizzabili marca o prodotto quando accompagna in chiusura il logo aziendale (come le due
note sorde per il marchio AUDI), con una funzione quasi sempre paratestuale rispetto allo spot vero e
proprio.31

30
  Il totale non fa cento perché era possibile indicare più di un’opzione di risposta.
31
  Campanino M., Il sonoro nello spot pubblicitario: tipi, funzioni e contributi di senso, Quaderni del Dipartimento di Scienze della
Comunicazione, Università degli Studi di Salerno, 2006-2007.
                                                                23
Fig. 62. I prodotti merceologici (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

Fig. 63. La durata (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

                                                        24
Fig. 64. I codici usati (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

Fig. 65. Presenza di suoni o rumori di sottofondo (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

                                                     25
Fig. 66. Tipologie di suoni o rumori (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

         Non è predominante neanche il cosiddetto “sonoro da impatto”, quello che indipendentemente
dall’essere originale o meno, partecipa al testo pubblicitario come elemento “narrativo” o di commento.
         Gli spot che ricorrono a brani musicali contemporanei, poi, costituiscono meno del 10% del
campione. La loro funzione principale è l’aggancio all’attualità culturale, la volontà di definire il prodotto
pubblicizzato come nuovo e aggiornato, il desiderio di esaltare la riconoscibilità e la memorabilità del
comunicato, di indicare che l’azienda o il prodotto sono ancorati al presente, soprattutto quando si
rivolgono a un target giovanile.32 Nel nostro campione, è questo il caso degli spot dei gestori di telefonia
mobile, che rivolgendosi a consumatori generalmente giovani e rinnovando frequentemente le proprie
offerte, si adeguano molto velocemente al gusto musicale corrente, in modo da puntare sulla novità e
attualità del proprio brand e dei propri servizi.
         Nella maggior parte degli spot analizzati, comunque, il sonoro ha un ruolo più decorativo che
narrativo. È posto generalmente in secondo piano, come elemento di sfondo, “tappezzeria” musicale. Non
s’impone alla percezione dell’ascoltatore, ma, al contrario, è scelto proprio per passare inosservato, per
riempire e decorare l’ambiente visivo e verbale dello spot.33 Di qui la prevalenza di musiche strumentali
talvolta note, come quelle di Allevi o Einaudi, altre volte composte ad hoc o difficilmente riconoscibili, che
servono per orientare l’attenzione dei fruitori verso le componenti visivo-verbali dello spot, pur
contribuendo a costruire il senso complessivo del messaggio.
         Coerente con questo risultato è l’esito dell’analisi delle ambientazioni spaziali e temporali degli spot
analizzati. Nella maggior parte dei casi si tratta di luoghi e tempi attuali o indefiniti, funzionali, con buona
32
   In ogni caso, il fattore contemporaneità non è facile né scontato: «dipende dalla competenza enciclopedica dell’ascoltatore, dagli
aspetti musicali del brano (un sound elettronico piuttosto che acustico) o ancora dalla conoscenza pregressa del brano presso
l’ascoltatore. Inoltre, per alcuni particolari target che consumano notevoli quantità di musica, ad esempio i teen-ager,
l’obsolescenza (e la conseguente definizione di “vecchio”) è un processo più accentuato che in altri, per cui potrebbe venir
percepito come tale un brano uscito da pochi mesi». Ibidem.
33
   Campanino M., op. cit.
                                                                26
probabilità, a enfatizzare la centralità del prodotto o del brand, rispetto a elementi di scenario, e a esaltare
l’attualità del contesto e della narrazione (Cfr. Fig. 67-68).
         Sebbene indistinte, le ambientazioni spaziali e temporali prevalenti hanno una connotazione
essenzialmente realistica, soprattutto nel caso di categorie merceologiche come quella alimentare e dei
prodotti per l’igiene della casa, che tendono a richiamare esigenze e problemi legati alla quotidianità.
         A proposito della tipologia degli spazi in cui lo spot è ambientato, continua a prevalere la
dimensione dell’indeterminatezza, ma non è trascurabile il numero di commercial legati a contesti urbani o
metropolitani (Cfr. Fig. 70). Se l’ambientazione indefinita permette di focalizzare l’attenzione sul prodotto,
a prescindere dal contesto in cui è collocato, quella urbana e metropolitana è funzionale alle narrazioni
legate alla rappresentazione di stili o momenti di vita, quelle slice of life tipiche di buona parte della
pubblicità contemporanea.
         L’ambientazione urbana, in particolare, è rilevante negli spot che mettono in scena le relazioni
professionali e sociali, come quelli di prodotti di business, servizi bancari, telefonia, bevande alcoliche o
analcoliche. L’ambientazione indefinita, invece, prevale per i commercial che puntano sulla dimensione
informativa, utile per promuovere servizi o prodotti come quelli farmaceutici o per l’igiene personale.

Fig. 67. Ambientazione temporale dello spot34 (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

34
     Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.
                                                                   27
Fig. 68. Ambientazione temporale dello spot35 (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

Fig. 69. Contempo spaziale prevalente36 (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

35
     Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.
36
     Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.
                                                                   28
Per quanto riguarda i luoghi specifici di ambientazione degli spot analizzati, prevalgono interni ed
esterni di abitazioni, seguiti da interni ed esterni di spazi imprecisati (Cfr. Fig. 70). Seguono, con percentuali
contenute, ma non irrilevanti, spazi pubblici, commerciali o di lavoro. La variabilità registrata è certamente
legata alle tipologie di prodotti o servizi pubblicizzati. Non a caso, il comparto food è promosso soprattutto
in contesti domestici ben riconoscibili, così come le bevande analcoliche, l’arredamento, l’elettronica di
consumo e i prodotti per l’igiene della casa. Gli spot di giocattoli sono ambientati soprattutto in luoghi di
fantasia o interni indefiniti. I commercial di prodotti per l’igiene della persona, ma anche quelli di servizi
bancari, sono legati soprattutto a interni imprecisati, mentre le automobili a spazi pubblici, come le strade.
        È questo un risultato che sembra piuttosto scontato, ma che rivela una certa preferenza per spazi
neutri o familiari, che non offuschino il messaggio dello spot, ma che (come per la musica) abbiano una
funzione di contesto, di elemento portante, ma neutro, del tessuto narrativo.

Fig. 70. Luoghi d’ambientazione prevalenti37 (valori percentuali)

Base dati: 573 casi

         Se queste sono le prime informazioni generali che danno solo l’idea della distribuzione e delle
caratteristiche di base (in larga misura prevedibili) degli spot analizzati, altri dati si avvicinano
maggiormente all’ambito di nostro interesse, quello della rappresentazione del genere nella pubblicità. Per
esempio, se in quasi il 90% degli spot è presente una voce off, cosa che non stupisce, è interessante rilevare
che questa è, in oltre due terzi dei casi, una voce maschile (Cfr. Fig. 71). Il dato colpisce soprattutto alla luce
dell’alta presenza (che vedremo) di personaggi femminili negli spot analizzati, e per la funzione che
tradizionalmente ha la voce fuori campo, di garanzia e rassicurazione. Una funzione che sembra
confermata, d’altronde, dalla fascia d’età prevalente dello speaker, che è quella adulta quasi nell’80% dei
casi (Cfr. Fig. 72). Comunque, la voce off ha il merito di rendere evidente lo scontro tra linguaggio verbale e
linguaggio iconico. Nata come strumento retorico apparentemente neutro e oggettivo, a una lettura

37
     Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.
                                                                   29
attenta rivela la sua funzione interpretativa e classificatoria, che “parla” del rapporto che l’emittente vuole
stabilire con lo spettatore.

Fig. 71. Genere della voce off (valori percentuali)

Base dati: 515 casi

Fig. 72. Fascia d’età della voce off (valori percentuali)

Base dati: 515 casi

        A questo proposito è interessante anche l’associazione tra genere della voce off e categoria
merceologica del prodotto pubblicizzato (Cfr. Fig. 73). La voce maschile prevale in quasi tutti i settori,
talvolta in modo schiacciante. Domina non solo per prodotti che avremmo associato a target maschili,
come quelli del comparto dell’elettronica di consumo o i servizi bancari e assicurativi, ma anche, per
esempio, a proposito del cibo, in cui le voci di uomini sono doppie rispetto a quelle di donne. Domina anche
nelle pubblicità di prodotti di igiene per la casa, quelli in cui più frequente è la presenza di personaggi
femminili. Questo è spiegabile, in parte, con il fatto che le sostanze detergenti e pulenti devono essere forti
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e vigorose, caratteristiche considerate tipicamente maschili, quindi associate a voci di uomini nel caso in cui
i detersivi “parlino”. Al tempo stesso, «anche quando il prodotto non parla come un personaggio la voce off
per il commento finale è quasi sempre maschile».38

Fig. 73. Relazione tra genere della voce off e categoria merceologica (valori percentuali)

Base dati: 515 casi

         Tra le poche eccezioni alla prevalenza di voci maschili c’è quella degli spot di bevande analcoliche,
in cui le donne sono il doppio degli uomini, a fronte però dei commercial di bevande alcoliche in cui il 100%
del fuoricampo è affidato a voci maschili. Altri casi anomali in cui l’uomo non prevale come voce guida sono
quelli delle pubblicità di prodotti farmaceutici o di giocattoli: nel primo caso, dominano i toni maschili con

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     Giaccardi C., I luoghi del quotidiano. Pubblicità e costruzione della realtà sociale, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 118.
                                                                      31
uno scarto ridotto rispetto a quelli femminili, nel secondo le voci fuori campo si dividono esattamente a
metà tra uomini e donne.
        Interessante il fatto che l’unico settore merceologico in cui le donne prevalgono sugli uomini, anche
se per poco, sia quello dei prodotti per l’igiene personale. È un risultato che non stupisce, considerando la
prevalenza di spot indirizzati, in questa categoria merceologica, soprattutto alle donne, come se fossero
quelle che più hanno bisogno di prodotti che eliminino rughe, difetti, brufoli o cattivi odori39.
        Inoltre, non sembra un caso che per gli alcolici le voci siano quasi esclusivamente maschili,
considerata la maggiore diffusione di tali bevande tra gli uomini. Così come non stupisce che le pubblicità di
giocattoli siano affidate equamente a donne e uomini, forse anche a seconda del tipo di gioco pubblicizzato
e del target cui è indirizzato. D’altronde, anche le pubblicità di automobili, prodotto considerato più
maschile che femminile, nonostante l’uso non sia drasticamente sbilanciato a favore degli uomini, sono
accompagnate da voci maschili in 9 casi su 10.
        Il dato sull’associazione tra genere della voce fuori campo e categoria merceologica è interessante,
in ogni caso, soprattutto alla luce dei risultati che vedremo nelle pagine successive. Le voci off, con il loro
potere di orientamento e rassicurazione, sono soprattutto maschili, ma i personaggi presenti negli spot
sono essenzialmente femminili. È come se le donne che “abitano” le pubblicità televisive avessero una
funzione accessoria o decorativa rispetto al prodotto, e gli uomini ricoprissero il fondamentale ruolo di
guida autorevole dei comportamenti dei personaggi sullo schermo e (idealmente) del pubblico a casa.

     6. Il censimento dei personaggi

     L’analisi del contenuto effettuata non permette di andare molto in profondità nello studio degli spot
selezionati, ma consente di raccogliere dati generali, quali quelli relativi al numero, la tipologia, le funzioni e
le caratteristiche dei personaggi presenti nel nostro campione. La ricerca rivela, così, che dei 573 spot
analizzati 486 sono popolati da personaggi di vario tipo, un numero pari a quasi l’85% del campione (Cfr.
Fig. 74).
     In questi spot i personaggi registrati sono complessivamente 1240, con una media di due personaggi e
mezzo a pubblicità. Abbiamo escluso dall’analisi tutti quei casi in cui comparivano masse folte e indistinte di
individui, magari riprese solo per un istante, per le quali la rilevazione di caratteristiche specifiche sarebbe
stata difficile e probabilmente anche poco significativa. Ci siamo concentrati, quindi, sul totale dei
personaggi riconoscibili, che abbiamo distinto in protagonisti, rilevanti ma non protagonisti, secondari o di
sfondo, a seconda della visibilità e del ruolo ricoperto nello spot.
     I protagonisti sono risultati la compagine più numerosa, pari a 648 individui, a fronte di 337 personaggi
rilevanti ma non protagonisti, e 255 personaggi secondari o di sfondo (Cfr. Fig. 75).

39
   Certo, molto dipende in questi casi dai target delle pubblicità considerate. I prodotti per l’igiene della persona indirizzati alle
donne sono molto più numerosi e diffusi di quelli per uomo. Tuttavia, l’effetto complessivo che se ne ricava è quello dell’esistenza
di donne che più degli uomini hanno bisogno di prodotti igienici.
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