PATRIZIA LA MARCA, GIADA PALAMARA - Strategie di nicchia nel settore moda Quaderno di ricerca n. 4 - febbraio 2005

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PATRIZIA LA MARCA, GIADA PALAMARA - Strategie di nicchia nel settore moda Quaderno di ricerca n. 4 - febbraio 2005
PATRIZIA LA MARCA, GIADA PALAMARA

   Strategie di nicchia nel settore moda

 Quaderno di ricerca n. 4 – febbraio 2005
COMITATO SCIENTIFICO

  Prof. Paolo AUTERI
  Prof. Carlo BERNINI CARRI
  Prof. Gabriele CIOCCARELLI
  Prof. Fulvio FRANCAVILLA
  Prof. Giorgio GIORGI
  Prof. Salvatorangelo LODDO
  Prof. Matteo MATTEI GENTILI
  Prof. Piero MELLA
  Prof. Enrico PEREGO
  Prof. Luigi RINALDI
  Prof. Ferdinando SUPERTI FURGA
  Prof. Vittorio VACCARI
  Prof. Dario VELO
  Prof. Antonella ZUCCHELLA

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                          Febbraio 2005
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Strategie di nicchia nel settore moda

            Patrizia La Marca∗, Giada Palamara⊥

                                    Abstract

Per poter definire le effettive opportunità di mercato di un’iniziativa
imprenditoriale nel settore moda è necessario indagare, innanzitutto, le
caratteristiche del settore tessile e dell’abbigliamento, definendo l’attuale
struttura del mercato - caratterizzata da una forte criticità legata a fattori
strutturali e congiunturali - e le sue caratteristiche evolutive. Le ricerche svolte e
le informazioni raccolte attraverso interviste ad esperti del settore hanno
permesso di definire le opportunità di mercato, le problematiche strategiche e di
marketing, le potenzialità di sviluppo nell’ambito del settore del tessile-
abbigliamento ed, in particolare, di un’attività di nicchia con caratteristiche
innovative.
In base alla problematiche strategiche di una progettualità di nicchia, al customer
profiling e alle competenze possedute dai promotori dell’iniziativa, sono stati
individuati quattro scenari alternativi in cui la nascente iniziativa imprenditoriale
potrebbe inserirsi: si tratta del settore dell’alta moda, del vintage, della
produzione con materiali alternativi e della sartoria innovativa. La creazione di
uno stile e di un design definito e riconoscibile è tipica dell’alta moda; l’utilizzo

∗
  Dottorando in Economia Aziendale, Facoltà di Economia, Università degli
Studi di Pavia.
⊥
  Dottorando in Economia Aziendale, Facoltà di Economia, Università degli
Studi di Pavia.
A Patrizia La Marca sono da attribuire le parti 1,5; a Giada Palamara le parti
2,3,4. Il paper nasce da una ricerca-azione volta a sviluppare una strategia da noi
denominata “market driven business planning” per un’iniziativa imprenditoriale
al femminile che intende inserirsi nel mercato della moda-abbigliamento con
prodotti caratterizzati da alta innovatività e forte orientamento eco-solidale
(Progetto FSE MIS. E 1 – ID 159187). Intendiamo ringraziare il Gruppo Centro
Studi di Genere per l’occasione ed il supporto fornitoci durante l’intero progetto
di ricerca, nonché la Dottoressa Clara Profeta

                                          3
di abiti dismessi o in giacenza nei magazzini appartiene al settore del vintage;
l’uso di materiali alternativi, la ricerca e l’utilizzo di materiali riciclati concerne
la produzione eco-solidale. Infine, il riadattamento di capi finiti e l’utilizzo di
stoffe, non sempre destinate all’abbigliamento, per la creazione di nuovi abiti
accomuna il progetto ad un laboratorio sartoriale, con alcuni elementi di novità
rispetto al contesto sartoriale tradizionale.
L’individuazione della sartoria innovativa come scenario che meglio consente di
sfruttare competenze distintive e vantaggi competitivi dell’iniziativa pone le basi
per sviluppare una strategia di market driven business planning.

                                          4
1. Introduzione
Il cosiddetto Made in Italy è un fenomeno complesso che
tocca diversi settori ed attività economiche del sistema Italia,
spaziando dai beni industriali sino ai prodotti tipici
dell’agricoltura e del turismo. Il Made in Italy non rappresenta
solo un marchio di qualità, ma un modello di organizzazione
industriale in cui un’impresa, nata con un forte legame con il
territorio e con una spiccata vocazione artigianale, si
trasforma in un nucleo di servizi avanzati in grado di gestire
sia le fasi di produzione che quelle di creazione, di
distribuzione e commercializzazione (Fortis, 1998; Quadrio
Curzio e Fortis, 2000). Il Made in Italy negli ultimi 25-30 anni
ha rivestito un ruolo crescente nel commercio estero: in
particolare,    l’aggregato        sistema   moda-arredo-casa-
alimentazione mediterranea e la meccanica collegata hanno,
nel loro insieme, costantemente presentato un saldo
commerciale con l’estero attivo nel secondo dopoguerra (ICE,
2003)
Il sistema tessile-abbigliamento-moda, nonostante la pesante
crisi congiunturale che sta investendo il settore e l’economia

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italiana in genere, rimane all’avanguardia a livello mondiale,
soprattutto grazie ai fattori della creatività, dell’originalità, del
design, delle technicalities e delle tecnologie, confermandosi
uno dei settori trainanti per quanto riguarda il Made in Italy1.
L’industria della moda italiana nel mondo, con un fatturato di
48 miliardi di euro, 70.000 aziende e 700.000 persone
impiegate, rende il nostro Paese il più attivo al mondo, in
termini quantitativi, secondo soltanto dopo la Cina, e detiene
la leadership nel prêt-a-porter, sebbene l’Italia non sia
favorita né dalla ricchezza di materie prime né dal costo del
lavoro2.
L’elevata dinamicità registrata negli ultimi anni sia sul fronte
dei flussi in entrata che su quello delle esportazioni testimonia
il continuo processo d’internazionalizzazione dell’industria
italiana: negli ultimi quattro anni il grado di apertura al
commercio internazionale è aumentato di undici punti, oltre il
56% della produzione nazionale viene esportata, mentre poco
meno di 1/3 della domanda interna è soddisfatta da prodotti
d’importazione (Eurostat 2002). A livello europeo, il peso

1 Cfr www.sistemamodaitalia.it.
2 Intervista a Mario Boselli, Presidente della Camera Nazionale della Moda
Italiana.

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della produzione italiana, in termini di valore, è circa il 35%
di quella dell’intera Unione e, nel caso dell’abbigliamento
(escludendo il tessile e il calzaturiero) la quota è ancora
superiore arrivando al 37,3% (Eurostat 2002).
Nonostante questo, il settore ha fortemente risentito della crisi
generale, le cui principali ragioni si possono ricondurre ad
aspetti congiunturali, legati all’apprezzamento dell’euro e alla
debolezza della domanda, e ad un insieme di aspetti
strutturali,   legati   all’indebolimento     della    posizione
competitiva mondiale e alla variazione del comportamento del
consumatore.
Il sistema moda, infatti, ha accusato particolarmente la
rivalutazione dell’euro rispetto al dollaro: la svalutazione della
moneta statunitense ha bloccato la dinamica annua del settore
al -4,3%, frenando la ripresa moderata che si era registrata
negli ultimi mesi dell’anno passato. Le esportazioni delle
industrie del tessile e dell’abbigliamento hanno mantenuto un
andamento crescente nel tempo, sebbene con una diminuzione
tendenziale del tasso di crescita, soprattutto nel caso
dell’abbigliamento, fino al rallentamento avvenuto nel corso
del 2002. Nell’ultimo anno il settore nel suo complesso ha

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perso il 4% a causa, in particolare, della diminuzione delle
esportazioni di prodotti tessili che ha sfiorato il 6%. Nella
media del 2003 il fatturato dell’industria della moda si è così
ridotto del 4,3%, un calo superiore a quello già subito nel
2002, anno in cui, però, la congiuntura negativa aveva colpito
solo i settori a monte (Eurostat 2002).
Fra i principali mercati di sbocco delle nostre produzioni, nel
corso degli ultimi cinque anni, gli scambi con l’Europa
dell’Est hanno assunto un ruolo di rilievo, sia per la
progressiva diffusione dei prodotti Made in Italy in questi
mercati emergenti sia, in particolare nel caso della Romania,
come conseguenza dei maggiori interscambi commerciali
derivanti dal traffico di perfezionamento passivo3.

3 Il traffico di perfezionamento (TP) è un regime doganale particolare
dell’Unione Europea, il quale consente di rilevare separatamente dai flussi di
scambio definitivi i movimenti di merci al di fuori del territorio economico della
UE e destinate ad essere perfezionate al di fuori del territorio economico della
UE (esportazioni temporanee) e quelli relativi alle importazioni nel territorio
della UE di merci a scarico di esportazioni temporanee (reimportazioni).
Parallelamente, vengono rilevati in questo regime tariffario i movimenti in
entrata di merci destinate a subire il perfezionamento nel territorio economico
della UE (importazioni temporanee) e quelli di esportazione a scarico di
precedente importazione temporanea (riesportazioni). I primi due flussi misurano
dunque il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP), gli altri due il Traffico di
Perfezionamento Attivo (TPA). Cfr. S. Baldone, F. Sdogati, L. Tajoli,
“Frammentazione internazionale della produzione e crescita”, in M. Cucculelli e

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Le importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento, al
contrario delle esportazioni, stanno aumentando nel tempo
(Eurostat 2002). Questa tendenza può essere la conseguenza
di due dinamiche: da un lato, la concorrenzialità di prezzo di
merci interamente prodotte all’estero, soprattutto in paesi
dell’Estremo Oriente, progressivamente avvicinatesi ai gusti e
alle mode occidentali, ed entrate con gran forza sui nostri
mercati grazie alla leadership di costo; e dall’altro la crescita
della    delocalizzazione         produttiva      come      modalità       di
internazionalizzazione (Acocella e Schiattarella, 1989), che
comporta un aumento di scambi commerciali senza un
corrispondente ingresso sul mercato italiano di prodotti
stranieri.
Una quota rilevante di importazioni proviene da Cina e India
(paesi a basso costo del lavoro e con grandi volumi
produttivi), da Romania, Tunisia e Turchia (mete di TPP) e
dai principali paesi europei tradizionalmente concorrenti
dell’Italia per i prodotti tessili e di abbigliamento. Inoltre, le
importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento da paesi

R. Mazzoni (a cura di), Risorse e competitività, , Franco Angeli (2002), pagg.
256-257.

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extra-UE, sono soggette a dazi in ingresso in Italia molto
inferiori rispetto a quelli che le merci italiane subiscono
all’ingresso negli stessi paesi. Ciò avviene, in particolare per
alcune categorie merceologiche, anche nei confronti di
economie forti (USA) e di paesi con elevati tassi di crescita
(Cina, India) e provoca una forte penalizzazione nei confronti
delle imprese italiane.
Al fine di far fronte ad una concorrenza internazionale che ha
visto l’emergere di nuovi competitori, le imprese italiane
hanno consolidato un ruolo di leadership in alcune importanti
nicchie di mercato: rispetto ai principali concorrenti
internazionali, infatti, il sistema moda italiano ha spostato la
propria specializzazione verso i segmenti a più alto valore
aggiunto del comparto. Le imprese italiane tendono sempre
più a posizionarsi, sia sul mercato domestico che sul quello
estero, su fasce di mercato medio-alte, basando gran parte
della propria forza su strategie brand-specific, competendo
direttamente con i paesi sviluppati come Francia, Belgio,
Spagna e U.S.A. Contemporaneamente, le fasce di mercato a
minor valore aggiunto risultano sempre più appannaggio dei
paesi emergenti, grazie a forti vantaggi nei costi dei fattori di

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produzione, primi fra tutti la Cina: il valore medio unitario
delle importazioni cinesi è inferiore del 60% rispetto alla
media, segnale sia di una strategia di prezzo molto aggressiva,
sia di standard qualitativi medio-bassi. (ACCI, 2002; Pittiglio,
2003).
I nostri competitors, quindi, sono i paesi emergenti per quanto
riguarda le fasce di mercato più basse, e i paesi sviluppati per
quanto riguarda le fasce di mercato medio alte, considerando
inoltre, che la produzione in paesi emergenti è spesso una
mera delocalizzazione di imprese appartenenti a paesi
sviluppati4. A questo proposito è utile sottolineare che la
dinamica internazionale del sistema moda contiene in se una
potenziale criticità: il modello competitivo globale si basa su
un crescente investimento in Ricerca e Sviluppo da un lato
(esigenze innovative continue, design, nuovi materiali) e in
marketing dall’altro (branding, comunicazione, pubblicità,
controllo sulla catena distributiva); ciò richiede alle maggiori
aziende capacità organizzative e finanziarie elevate, mentre le

4 Questa situazione è incentivata dalla prossima scadenza dell’Accordo
Multifibre (2005), che sebbene con effetti progressivamente minori limita ancora
oggi le esportazioni di paesi emergenti sui paesi terzi. Cfr. G. De Felice, F.
Guelpa, Sistema moda e prospettive sui mercati internazionali, Intesa BCI,
Milano 2001.

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aziende subfornitrici rischiano un crescente spiazzamento in
seguito alla formazione di value chains globali.
La crescente competizione con i paesi emergenti (la Cina che,
assieme a Romania e Tunisia, i due tradizionali partner
produttivi dell’industria italiana, è fra i principali fornitori del
nostro paese), trova inoltre la sua ragione d’essere nel
mutamento del comportamento dei consumatori italiani (Istat
2002). Se negli anni ’90, infatti si poteva contare ancora, nei
confronti dei produttori di nuova industrializzazione a basso
costo, sull'eccellenza qualitativa del prodotto italiano, per cui
il consumatore finale percepiva una differenza in termini di
tessuti utilizzati e di manualità manifatturiera tale da sostenere
la produzione italiana, oggi invece il consumatore finale ha
mutato la propria propensione al consumo ed ha mutato la
propria scelta nel paniere dei consumi (Cozzi 1996; Calvi,
1996).
Questo è dovuto non solo a ragioni economiche, ma anche
legate all’evoluzione dei comportamenti sociali: le differenze
ridotte in termini di qualità, creatività, design, utilizzo di
tessuti e di tecniche di ‘nobilitazione’ tessile (tintura del
tessuto, tenuta, solidità) vengono difficilmente percepite dal

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consumatore, che tende a preferire il prodotto proveniente dai
paesi emergenti, potendo contare su un prodotto affidabile,
piacevole e a basso prezzo. La competizione non può quindi
basarsi esclusivamente sul perseguimento della qualità, ma
nasce l’esigenza di reinterpretare creativamente un mercato
sempre più complesso ed attento ai significati ed alle meta-
caratteristiche del prodotto.
Da questa impostazione derivano forme innovative di micro
segmentazione del mercato internazionale (Valdani, 1984,
1986; Cesarin, 1990), dove le nicchie che ne derivano sono il
risultato di un processo creativo di rappresentazione delle
opportunità di mercato. Il presente contributo intende dedicare
particolare attenzione agli scenari di quest’ultimo tipo,
attraverso un percorso di analisi qualitativa e di ricerca azione.

2. Metodologia di ricerca

La ricerca si è caratterizzata per una impostazione proattiva,
fondata sui metodi propri della case study research (Yin,
1989; Eisenhardt, 1989) e della ricerca azione (Lewin, 1946;
McNiff, 1988; Vignali) volta alla individuazione di drivers e

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caratteristiche fondamentali per un’azienda che intende
operare nel settore del tessile-abbigliamento. Si è trattato,
quindi, di una ricerca dall’impostazione empirica, volta alla
ricerca di chiavi che consentano l’individuazione di un
posizionamento e di una strategia competitiva iniziale,
piuttosto   che    all’analisi   del   settore   della   moda   e
dell’abbigliamento dal punto di vista prettamente teorico.
La metodologia della Action research, infatti, appare come la
più indicata alla definizione di un percorso di crescita
individuato in base alle risorse, alle competenze, alla loro
funzione di utilizzo, il cui scopo sia fornire una linea guida
allo sviluppo dei primi passi di uno start-up innovativo.
Secondo Vignali (2004), infatti, l’action research può essere
vista come un approccio di ricerca          che si basa su una
relazione di tipo problem-solving fra ricercatori e clienti, che
simultaneamente porta alla risoluzione di un problema e alla
generazione di nuove conoscenze.
In base e per queste ragioni, lo studio si è svolto tramite
l’utilizzo incrociato di:
   - un’analisi della letteratura esistente circa la struttura del
   mercato della moda e alle sue dinamiche - sia dal punto di

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vista aziendalistico, strategico ed economico, che dal
    punto di vista sociologico, psicologico e semiotico5;
    - interviste a testimoni privilegiati, addetti del settore e di
    esperti del mercato6;
    - focus group fra iniziatori del progetto, persone
    direttamente coinvolte e campioni casuali di potenziali
    clienti7;
       - perception studies su potenziali clienti.
Le informazioni raccolte hanno permesso di definire le
opportunità generiche di mercato (pre-step), le problematiche

5
  A questo proposito segnaliamo una scarsità di letteratura economica. Moda ed
abbigliamento sono, infatti, due concetti profondamente diversi (Simmel, 1998):
con il primo ci si riferisce ad un trend, ad una sublimazione del bisogno di beni
sociali; l’abbigliamento, invece, rappresenta proprio la soddisfazione di tali
bisogni. Se esiste una vastissima letteratura sugli aspetti sociologici e semiotici
del vestire, sul significato degli abiti, sulle scelte dei consumatore, la letteratura
economica si rivolge invece quasi esclusivamente all’alta moda. Seppure questa
lettura sia in parte estendibile al settore dell’abbigliamento, appaiono scarsi i
riferimenti ad analisi strategiche, analisi market oriented e macroeconomiche
rivolte alle realtà aziendali non operanti nel mercato di nicchia “Alta Moda”.
6
   Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda italiana;
Massimo Zamagni, direttore Moda italia.net; Massimo Costa, Direttore Sistema
Moda Italia; Angelo, Direttore di Angelo Vintage; Bruno Percudani, direttore
commerciale Berrettificio Bruno Percudani Spa; titolare Maglificio Mapler;
espositori de “Fashion Vintage Show” di Belgioso, “Milano Vende Moda”,
“Vintagevent”.
7
  Effettuati in occasione della fiera “Milano Vende Moda” svoltasi a Milano dal
26 al 29 febbraio 2004, del “Fashion Vintage Show” svoltasi a Belgioioso dal 24
al 27 aprile 2004, e del “Vintagevent” svoltosi a Milano dal 27 febbraio al 1
marzo 2004.

                                         15
strategiche e di marketing (diagnosing) e le potenzialità di
sviluppo nell’ambito del settore (planning, action taking ed
evaluation) del tessile-abbigliamento per attività di nicchia
con caratteristiche innovative (Coghlan e Brannick, 2001).
Sulla definizione della strategia competitiva in un settore
come     quello dell’abbigliamento, rivestono grandissima
importanza    fattori   psicologici   legati   alla   scelta   dei
consumatori. Il consumo, infatti, non è solo l’espressione di
un comportamento economico, condotto con maggiore o
minore razionalità, ma è anche fortemente condizionato da
fattori sociologici e psicologici (Fiocca, 1990).
Nella definizione della strategia ci rifacciamo alla definizione
di Andrews, secondo cui la strategia d’impresa è l’insieme dei
principali obiettivi, scopi o fini, e delle politiche e piani
necessari per conseguirli, in una formulazione tale da
permettere di definire il business nel quale l’impresa opera, ed
il genere di impresa che essa è o dovrebbe essere (Andrews,
1971).
Accanto a questa letteratura deterministica del percorso
strategico, si è reso necessario affiancare una prospettiva

                               16
“emergente” (Mintzbkeg, 1984), fondata sulla flessibilità
continua nella risposta ed un mercato complesso.
Una volta definite le opportunità di mercato del settore e le
problematiche strategiche dello stesso, sono stati individuati
quattro possibili scenari alternativi in cui l’iniziativa
imprenditoriale potrebbe inserirsi. La loro individuazione è
dovuta     sia   alla   caratteristiche   proprie   dell’attività
imprenditoriale oggetto d’analisi, sia agli orientamenti
emergenti del mercato e al posizionamento individuabile dai
perception studies e dai focus groups.
Questi quattro scenari rappresentano quattro diversi business,
la cui definizione segue il modello di Abell (Abell, 1980;
1986). Al fine di individuare, fra questi, lo scenario
competitivo specifico del progetto e delineare gli elementi
guida per il business planning successivo, è stata effettuata
un’analisi di tipo swot sulla base dei risultati emersi dalle
interviste effettuate a responsabili aziendali e dai test di
mercato su gruppi di consumatori-tipo. All’interno di queste
analisi per scenario, il customer profiling si è basato sui
perception studies effettuati durante il periodo in cui si è
svolta la ricerca.

                               17
3. Le fonti di vantaggio competitivo nel mercato
dell’abbigliamento
Secondo gli esperti di settore, si delinea chiaramente un
assunto di base: la platea di piccole e medie imprese operanti
nel settore possono sopravvivere solo nella misura in cui si
orientino ad una nicchia di mercato di riferimento, sia nei
comparti a monte (produttori di filati e tessuti) che in quelli a
valle (imprese industriali che producono abiti confezionati). Il
posizionamento su un mercato di massa appare non
sostenibile, sia per ragioni strutturali che per ragioni
congiunturali, ed il posizionamento su nicchie “mature”, quali
la produzione di lusso, comporterebbe scontrarsi, con poche
possibilità di successo, con elevate barriere d’ingresso e
competere con aziende affermate, forti di brand globali.
Non è, infatti, più possibile pensare di poter essere competitivi
in un mercato in cui sono cadute molte barriere all’ingresso,
caratterizzato da un’arena competitiva mondiale per quanto
riguarda l’offerta (Zucchella e Maccarini, 1999), e da una
domanda fortemente volubile, per cui la fidelizzazione del
cliente ha perso importanza. La propensione al consumo è
mutata e il paniere di riferimento dei beni accessori, quali

                               18
l’abbigliamento, è composto da beni fra loro sostituti, la
disponibilità di denaro si è ridotta ed esiste una domanda di
prodotti non standardizzati ma comunque a basso costo
(“value for money”), rispetto alla quale le imprese industriali
si stanno attrezzando sia per rispondere alla concorrenza
asiatica, sia per competere con i laboratori artigianali che si
sono inseriti in questo comparto.
Di conseguenza, il primo imperativo per un’azienda che
intenda entrar in questo settore consiste nell’individuare una
strategia competitiva di tipo innovativo, basata sulla
focalizzazione su una nicchia di nuova generazione all’interno
del mercato, in cui si coniughino alta qualità, creatività,
innovazione e tendenze socio-culturali.
Lo     step      immediatamente          successivo      consiste
nell’implementazione    di   strategie    funzionali,   non   più
caratterizzate da una visione per funzioni separate, ma basate
su una gestione imprenditoriale e per progetti, dove R&D e
marketing rappresentano le aree critiche, a maggior impatto
sulla catena del valore (Brognara e Codeluppi, 1992). La
produzione, rimane sempre un’area critica nella gestione
aziendale, nonostante la relativa riduzione del suo peso

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all’interno della value creation del settore: outsourcing e
produzione interna rappresentano le due possibili alternative
strategiche il cui impatto dipenderà dalle specificità aziendali.
All’interno della nicchia individuata, la competitività può
essere garantita solo se l’azienda realizza un prodotto che
racchiude caratteristiche e valori che identificano un prodotto
con personalità propria e non semplicemente un capo di
abbigliamento. E’ necessario che si identifichi nel quadro
delle offerte esistenti e acquisisca una “identità” distintiva in
cui il consumatore possa ritrovarsi e tramite cui possa
esprimere il proprio gusto, il “life style” proprio o a cui
aderisce anche solo idealmente. Per questo, il capo
d’abbigliamento non è solo un indumento, ma un insieme di
caratteristiche che il consumatore ricerca all’interno di un
unico prodotto (Fig. 1.1), una scelta di consumo tramite cui i
consumatori trasmettono informazioni su se stessi (Holman,
1981).

                               20
Figura 1.1 - Cosa rappresenta un abito

      Fonte: nostra elaborazione.

Una vastissima letteratura di taglio sociologico e semantico ha
affrontato questo argomento, indagando il rapporto tra
abbigliamento, identità sociale (Argyle, 1992; Hogg e
Abrams, 1988; Simmell, 1998), personalità (Squicciarino,
1986; Davis, 1992; Caterina, 1995) e comunicazione (Davis,
1992; Caterina, 1995; Bonaiuto, 1995).
Il contesto della moda è caratterizzato dalla sistematicità con
cui vengono sviluppati nuovi design, che tendono a sostituire
e rendere rapidamente obsoleti quelli precedenti: la moda è la
logica dell’obsolescenza pianificata (Farshou, 1987). La

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tendenza è addirittura verso un aumento continuo del numero
delle collezioni annue da presentare e consegnare al punto
vendita, fino ad arrivare al superamento del concetto di
stagione (Saviolo, 2002). Appare allora evidente che in tale
processo la generazione di nuove mode o design rappresenta,
da un lato, la condizione necessaria a soddisfare la richiesta
del mercato, dall’altro, a garantire la sopravvivenza nel tempo
delle imprese che operano in tale contesto.
L’innovazione rappresenta l’unica modalità attraverso cui è
possibile assecondare i gusti di un consumatore sempre più
esigente, educato al cambiamento continuo. La difficoltà più
rilevante che si pone a questo proposito è legata al fatto che il
medesimo consumatore richiede contestualmente un’offerta
all’interno della quale sia possibile una selezione idonea a
consentire una possibilità di distinzione rispetto agli altri
consumatori. Allo stesso tempo l’abito nasce come strumento
segnaletico attraverso cui il medesimo individuo che ricerca
distinzione possa, di fatto, mostrare la propria appartenenza ad
un gruppo o a una comunità di persone unite da una visione
condivisa e da valori (Mason 1981, 1992; Bearden e Etzel,
1982; Simmel 1998), piuttosto che da caratteri socio-

                               22
economici (Veblen 1899; Leibenstein, 1950; Quelch, 1987;
Wong e Ahuvia, 1998).
Dal punto di vista della domanda, invece, il fenomeno del
consumo della moda può essere studiato secondo diversi
approcci ma, indipendentemente dalle interpretazioni teoriche,
è evidente che vige una notevole soggettività nella produzione
e interpretazione dei segnali sociali, che permette la
coesistenza   di   gusti,   scelte   e   comportamenti    molto
differenziati tra gruppi e dalla necessità che i consumatori
hanno di utilizzare i prodotti e i servizi per sperimentare il
loro valore segnaletico.
Dal punto di vista dell’offerta, quindi, l’interazione dinamica
che si viene a creare tra la crescente domanda di nuovi design
e l’obsolescenza pianificata da parte delle imprese genera una
sostanziale complessità gestionale per gli attori che operano in
tale contesto, dovuta al fatto di dover comunque raggiungere
gli obiettivi economici-finanziari necessari a mantenere il
sistema-impresa (Golinelli, 2000) in equilibrio. D’altro canto
è necessario per le imprese mantenere nel tempo una
continuità nei loro processi di cambiamento, continuità che
viene espressa nella brand identity costruita e consolidata nel

                               23
tempo, sedimentata nella personalità dell’azienda stessa
(Brondoni, 1998; Bucci, 1998).
Il consumatore di moda, utilizzando il prodotto per il suo
potere segnaletico, definisce le proprie scelte in relazione alla
proiezione della propria immagine verso uno specifico
marchio che possa rappresentarla: una moda è tale quando
diviene il punto di riferimento per una comunità di produttori
e una comunità di utilizzatori (Abrahamson e Fairchld, 1999).
Di conseguenza l’innovazione nel settore della moda trova
manifestazioni poliformi, che si estendono a differenti aree di
applicazione,   dai    prodotti,    alla   comunicazione,    alla
distribuzione ma quella relativa allo stile rappresenta
sicuramente quella dominante le strategie sviluppate dalle
imprese che operano in tale contesto.
Definendo lo stile come una scelta estetica che riguarda i
singoli capi di abbigliamento della collezione, le loro
caratteristiche e la loro combinazione, si può affermare che
l’innovazione nel settore della moda si realizza attraverso la
generazione di uno stile radicalmente nuovo, attraverso dei
mutamenti di carattere incrementale che interessano singoli

                               24
elementi dello stile o le modalità attraverso cui tali elementi
vengono combinati tra di loro.
La moda come stile contraddice il concetto stesso di moda
come novità, contro la sua essenza parente che è il
cambiamento, la sostituzione, l’obsolescenza sociologica,
proponendo invece un numero limitato di stili diversi che
evolvono nella sostanza e più lentamente nel tempo (Bucci
1998).
All’interno di questo paradosso strutturale, la prima e
indispensabile chiave di successo sul mercato è quindi lo stile
di ogni singolo capo prodotto, che automaticamente, diviene
lo stile della casa e l’identità di ogni collezione.
L’innovazione sul piano stilistico è il tassello su cui si fonda
la creazione di una realtà aziendale e fondamentale, quindi, è
la figura dello stilista: un professionista che, unendo il
patrimonio culturale e formativo accumulato al gusto e alla
creatività personale, crea un prodotto con personalità propria,
in grado di dialogare con il consumatore, che crea personalità
e la trasferisce alla linea di prodotti.
Il prodotto moda, infatti, non rientra nella sfera dei bisogni
sociali: la moda è il risultato di un bisogno postmoderno di

                                 25
consumare prima che oggetti, significati (Giancola, 1999), e di
soddisfare l’esigenza di “non necessario” (Horiuchi, 1984). Il
consumo di prodotti-moda non è tanto il frutto di un bisogno,
quanto dei continui processi interpersonali di stimolo e
creazione dei bisogni (Marris, 1964), e, conseguentemente, gli
attori del sistema non devono puntare ad identificare bisogni,
ma a soddisfare desideri inespressi, sfruttando la possibilità di
non massificare e di rispondere alle esigenze dei consumatori,
puntando sulla strategia di differenziazione piuttosto che su
quella di leadership di costo.
Il   vantaggio       concorrenziale,         infatti,    non     risiede     più
esclusivamente nella capacità di offrire un insieme di valori,
ma nella capacità di interrelazione delle componenti della
domanda con le componenti dell’offerta (Fiocca, 1990). Ciò
che costituisce il fattore vincente non è il prodotto: è la
capacità di catturare l’intenzione di acquisto del consumatore
come ricerca, come scelta personale e possibile scoperta
(Bucci, 1992). Il valore aggiunto apportato dal creatore
costituisce la base di tale strategia di differenziazione8.

8
  La creatività è tema oggetto di molti studi di natura psico-sociologica centrati
soprattutto sulle caratteristiche delle persone considerate creative. Alcuni hanno

                                       26
La qualità e la ricerca sui materiali, in funzione della
realizzazione di un prodotto che abbia caratteristiche
estetiche, di funzionalità e di comfort, divengono vantaggio
competitivo solo se abbinati ad un preciso modello, ad una
collezione, ad uno stile proprio. Questi fattori contribuiscono
a rafforzare lo stile e l’immagine di un determinato prodotto
agli occhi del consumatore, ma non lo determinano.

come punto di partenza la mente umana, sistema modellizzante che crea modelli
a partire da informazioni ambientali, li riconosce, li immagazzina e li utilizza.
Poiché la sequenza di arrivo determina il modo in cui queste devono essere
elaborate in un modello, detti modelli sono sempre inferiori rispetto alla migliore
elaborazione possibile dell’informazione. Allo scopo di aggiornare i modelli
occorre un meccanismo di ristrutturazione intuitiva che non può essere il
pensiero logico, il quale opera per mettere in relazione concetti, ma non per
ristrutturarli. Si è parlato allora di pensiero laterale, il procedimento attraverso il
quale la mente combina le informazioni in modi nuovi al fine di produrre nuove
idee. Mentre il pensiero verticale si occupa di provare o sviluppare modelli
concettuali, il pensiero laterale riguarda i vecchi modelli (intuizione) e la
stimolazione di pensieri nuovi (creatività). Può dunque essere definito pensiero
creativo. Negli anni la ricerca scientifica ha indagato sui legami tra pensiero
creativo e aspetti della personalità individuale quali intelligenza, età,
competenze, avversione al rischio. Il rapporto tra intelligenza e creatività non è,
come si potrebbe ritenere, direttamente correlato: le ricerche hanno evidenziato
che, al di sopra di un certo livello di intelligenza necessario per compiere una
determinata mansione, il livello di creatività non risulta correlato a quello
dell’intelligenza razionale. Il rapporto tra età e creatività sembra invece
dimostrare una correlazione inversa, anche se in certi campi in misura maggiore
che in altri. Per esempio, rispetto alle scienze, nelle arti l’esperienza che si
raggiunge con l’età sembra più importante, ai fini della creatività. (Isaksen, 1987;
Simon, 1988).

                                          27
Se è vero che stile, creatività, innovazione e ricerca nei
materiali, sono elementi fondamentali per creare un prodotto
competitivo e per permettere ad un’impresa di inserirsi sul
mercato della moda, è vero anche che essi sono sterili se non
supportati, coordinati e gestiti da abilità imprenditoriali9:
questi fattori, pur necessari, non sono sufficienti a garantire
competitività sul mercato, a maggior ragione in un mercato
segmentato e in crisi concorrenziale come quello della moda
(Saviolo e Testa, 2000).
Diviene quindi fondamentale la dimensione imprenditoriale,
che si occupi, oltre che della funzione produttiva anche di
quella gestionale-organizzativa, finanziaria e di marketing:
che gestisca, quindi, l’intera catena del valore (Porter, 1987).
Il sistema del tessile e abbigliamento si configura come una
filiera produttiva fortemente integrata e con un elevato grado
di complementarietà, che comprende diversi settori produttivi,
composti da attività manifatturiere di base - quali il
trattamento delle materie prime tessili - da attività di
trasformazione industriale, fino alla distribuzione e ad altri
servizi       avanzati:       la    filiera    produttiva       del   tessile   e
9
    Estratto dalle interviste effettuate a M. Zamagni e M.Boselli.

                                          28
abbigliamento si compone di oltre 80 mila imprese che
rappresentano più del 20% delle imprese operanti in settori del
Made in Italy e il 14% delle imprese manifatturiere (IPI,
2000). Ogni filiera è composta da più fasi che costituiscono
veri e propri settori, ulteriormente segmentabili al proprio
interno secondo criteri merceologici e di fascia di prezzo: per
questo, analizzando il mercato del tessile-abbigliamento in un
ottica di market-driven business planning, è necessario tenere
in considerazione anche quei settori che non sono disposti
lungo il ciclo produttivo, ma che svolgono una funzione di
supporto avanzato (editoria specializzata, fiere, agenzie di
pubblicità e comunicazione, attività di design, ecc.).
Il prodotto che arriva al consumatore è quindi il risultato
dell’efficienza complessiva sia dei diversi segmenti della
catena del valore, sia delle relazioni che si sviluppano tra le
imprese che partecipano al processo produttivo. Data la
particolarità delle caratteristiche e della struttura del sistema
moda, le strategie interaziendali di filiera possono costituire
una fonte di vantaggi competitivi difendibili sia per le singole
imprese sia per l’intero sistema produttivo e distributivo. Per
questo motivo, per la moda, come per gli altri grandi comparti

                               29
di specializzazione del sistema produttivo italiano, è
opportuno ragionare in termini di efficienza della filiera
produttiva piuttosto che dei singoli segmenti del processo
(Demattè, 1994).
All’interno del settore moda, quindi, è fondamentale
l’esistenza di un imprenditoria forte e di un gruppo di
management che sia in grado di gestire tutti i legami di filiera,
e che, date le dinamiche concorrenziali all’interno del settore,
attribuisca   fondamentale     importanza     al   Research     &
Development e alla funzione di marketing, che analizzi i
bisogni dei clienti e crei un brand aziendale (Brognara e
Codeluppi, 1992).
Per poter sopravvivere ed essere competitiva, un’azienda deve
investire nella ricerca di ispirazioni creative e tecnologie
produttive    per     quanto     riguarda     il   prodotto,    e
contemporaneamente sviluppare una funzione di marketing
che permetta di individuare il marketing mix che meglio si
adatta alle caratteristiche del segmento di riferimento e alle
esigenze competitive: occorre pianificare e coordinare le
scelte di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di vendita.

                                30
All’interno del marketing mix assumono rilievo fondamentale
gli investimenti nell’area comunicazione e commerciale
(Boggia, 1995; Abruzzese e Barile, 2001): la crescente
complessità e la pressione competitiva sempre più intensa
rendono particolarmente importante per le aziende del settore
saper comunicare la propria offerta (Brioschi, 2000). In questo
senso, le azioni pubblicitarie più dirette e, forse, più semplici
da intraprendere sono la stampa e le fiere di settore. La
pubblicità su stampa è la più costosa, a fronte del fatto che ha
il vantaggio di rivolgersi ad un pubblico ampio. Per quanto
riguarda il secondo canale, è necessario in primo luogo
verificare le possibilità di accesso ai diversi eventi di settore,
rispetto ai quali la selezione è molto significativa (Golfetto,
1991).

4. Analisi degli scenari e individuazione del percorso
strategico: un case study
L’importanza dei drivers di mercato – stile e creatività da un
lato, imprenditorialità e management dall’altro – emerge
chiaramente laddove si cerchi di posizionare nel settore
un’iniziativa innovativa.

                               31
Dall’analisi delle risorse, delle competenze e della loro
funzione di utilizzo, caratterizzanti sia la dimensione
“stilistica”, sia la dimensione “imprenditoriale-manageriale” è
possibile individuare scenari alternativi in cui uno start-up
potrebbe posizionarsi. Valutando punti di forza e di debolezza
dello start-up in relazione alle caratteristiche ambientali e
competitive di ogni scenario, è possibile definire lo scenario
più indicato alle peculiarità aziendali.
L’attività oggetto della nostra indagine nasce dall’iniziativa di
un gruppo di donne accomunate dall’interesse per il settore
della moda, dall’impegno ambientalista e sociale e dalle
elevate competenze professionali. Da questo nucleo nasce
l’idea imprenditoriale: confezionare abiti caratterizzati da un
design riconoscibile, una forte personalità e basati sull’estro
creativo dello stilista.
Si tratta di un laboratorio artigianale che confeziona abiti
femminili utilizzando principalmente tessuti ed abiti usati o
rimanenze di magazzino, o altri materiali provenienti da
riciclo di altre materie. La produzione mira alla realizzazione
di abiti nuovi basandosi su un comportamento eco-solidale del
consumatore. L’obiettivo, infatti, è quello di evitare lo spreco

                                32
di tessuti e abiti giacenti nei magazzini e di recuperare abiti
smessi, riadattandoli al gusto e alle tendenze dettate dalla
moda.
La produzione si rivolge ad un pubblico in grado di
apprezzare l’alto contenuto di competenze tipico della sartoria
e la particolare ricercatezza del tessuto “nobilitato” a cui è
ridata nuova vita con la creazione di modelli unici.
I perception studies svolti e i risultati dei focus group ci hanno
portato ad individuare i potenziali consumatori come donne
fra i 25 e i 50 anni, professionalmente e socialmente
impegnate, caratterizzate da una forte sensibilità ai problemi
dell’ambiente    socio-economico      che   le   circonda,    che
nell’”abito sociale” identificano il proprio stile di vita e
tramite esso lo esprimono; che, di conseguenza, seguono un
sentiero preciso non solo nelle scelte d’abbigliamento, ma di
alimentazione, di abitazione, di vita. Il riferimento ideale è
una donna che vive all’interno di una dimensione punto di
incontro fra coloro che seguono un “life style” che richiama
gli anni ‘60 e coloro i quali seguono una filosofia di vita di
tipo “new age”, ma perfettamente inserito nella vita moderna.

                               33
Praticità, comfort, forte sensibilità ambientale ed impegno
sociale sono le caratteristiche del cliente potenziale.
Si tratta di un soggetto che esegue scelte di consumo
responsabile, che si fonda sull’assunto che dietro alla
produzione di alcuni beni e servizi di consumo vi sono una o
più fasi, parte del loro ciclo di vita, che costituiscono
comportamenti non corretti e che causano, in modo diretto o
in modo meno evidente, ripercussioni sull’ambiente e sulle
fasce meno protette della società (Bruntland Commission,
1987). Il consumatore responsabile ha a disposizione due
strategie fondamentali: consumare meno o consumare meglio,
scegliendo un prodotto più responsabile dal punto di vista
etico, ecologico o sociale. Le due strategie non sono
necessariamente contrastanti. La scelta di consumare meno,
infatti, nell’ottica di un non spreco, del sorpasso della
modalità di consumo “usa e getta”, infatti, può unirsi alla
scelta di un paniere di consumo costituito da prodotti eco-
solidali o di prodotti derivanti dal riciclo di materiali usati.
Il progetto si va quindi a posizionare in un’area di nicchia
altamente innovativa e ancora poco servita; non si pone

                                 34
dunque come obiettivo la realizzazione di grossi volumi di
fatturato come un’impresa industriale.
Questa idea imprenditoriale evidenzia fattori tipici di diversi
segmenti del settore moda-abbigliamento. La creazione di uno
stile e di un design definito e riconoscibile è tipica dell’alta
moda; l’utilizzo di abiti dismessi o in giacenza nei magazzini
richiama il settore del vintage; l’uso di materiali alternativi, la
ricerca e l’utilizzo di materiali riciclati concerne la produzione
eco-solidale. Infine, il riadattamento di capi finiti e l’utilizzo
di stoffe, non sempre destinate all’abbigliamento, per la
creazione di nuovi abiti accomuna il progetto ad un
laboratorio sartoriale.
Per questo motivo è stato possibile ipotizzare quattro scenari
alternativi, di seguito analizzati, per definire l’ambito di
operatività del progetto.

4.1. L’alta moda
L’alta moda si caratterizza per una produzione che nasce da
grande abilità sartoriali e da elevate competenze stilistiche, da
una superiore qualità dei materiali e da una profonda ricerca
di un’idea innovativa e creativa. Il consumatore di alta moda

                                35
desidera non solo l’abito, ma lo “spread” che deriva da esso e
con esso. Un abito è anche immagine, lusso, status symbol,
originalità, personalità, estro, e, soprattutto, il marketing mix
che rappresenta.
L’alta moda è uno stile, un design, ma soprattutto è un brand:
per posizionarsi sul mercato è quindi necessario un ingente
investimento di capitali nel brand e nel suo marketing, nella
creazione di immagine e di attrattività (Brioschi 2000;
Bragnara e Codeluppi, 1995; Boggia, 1995). La cosiddetta
“Brand Equity” si definisce come il valore (stato), in un dato
momento, della specifica relazione instaurata da una definita
offerta con un particolare mercato di riferimento; la stima del
brand, quindi, non si limita alla stima di un fattore esogeno,
ma si riconnette ad un più vasto sistema delle risorse invisibili
(Brondoni, 1998). L’efficacia di un’iniziativa imprenditoriale
nel settore dell’alta moda si basa quindi sull’estro e sulle
capacità imprenditoriali e manageriali del gruppo che sta alla
base.
Questi fattori fanno si che il settore sia caratterizzato da
un’elevata complessità verticale: non si tratta solo di
produzione di una collezione, ma anche di marketing e design

                               36
a monte, commercializzazione e distribuzione a valle.
L’esclusività del prodotto di un brand di alta moda non
riguarda, quindi, solo il singolo abito, ma le modalità con cui
esso è presentato, pubblicizzato e venduto.
I prodotti di Alta Moda appartengono alla categoria dei beni
di lusso, che possiedono un elevato contenuto simbolico, una
forte componente ostentativa e di appartenenza ad un gruppo
di élite (Fabris, 1998; De Martino, 2001). Le caratteristiche di
un bene ad alto valore simbolico possono trarre origine dalla
presenza di diversi fattori quali l’oggettiva superiorità
qualitativa (estetica o tecnologica), l’immagine molto
qualificata del prodotto e l’elevato contenuto moda (Poiani,
1994). Nel caso dei prodotti moda gli elementi simbolici ed
evocativi risultano dominanti rispetto a quelli tecnico-
funzionali e la marca diventa leva strategica per differenziare
l’offerta e rendere sostenibile il vantaggio competitivo
aziendale.
I beni di lusso nascono da scelte di marketing mix:
distribuzione elitario-selettiva, prezzo volutamente superiore a
quello praticato dalle imprese produttrici di beni standard che
operano nello stesso settore, immagine, design, qualità elevata

                               37
(De Martino, 2001). La scelta di marketing porta alla
creazione   di   oggetti   caratterizzati   dall’eccellenza   di
realizzazione, dall’esclusività, dallo stile univocamente
identificabile, dalla costosità, dalla rarità, dall’ammirazione
creata nei confronti del possessore (Merlo e Chessa
Pietroboni, 2001; McDowell, 2000).
L’immagine assume un ruolo di primaria importanza. La
notorietà di marca, che è la componente più appariscente
dell’immagine,     influenza    in    misura     rilevante    il
comportamento del consumatore (Coda Spetta, 1994). Di
conseguenza, il prodotto etichettato con un marchio di elevato
prestigio fruisce di un apprezzamento supplementare rispetto a
quello di equivalente livello qualitativo, ma etichettato con un
marchio cui siano associate più ridotte componenti di
visibilità. Tutto ciò si traduce in un notevole vantaggio
competitivo per i produttori di beni ad alto contenuto
simbolico; pertanto essi possono beneficiare di un premium-
price. Nei comportamenti di acquisto del consumatore
interviene la qualità apparente o percepita del bene, ma le
positive performance su ampi orizzonti temporali sono il

                               38
frutto di fiducia e fidelizzazione che per le imprese italiane
dell’alta moda hanno raggiunto livelli eccellenti.
La distinzione tra prodotto e marca diventa a questo punto
fondamentale: i prodotti sono ciò che l’impresa produce, la
marca è ciò che il consumatore compra. La marca è spesso
considerata unicamente come variabile marketing: in realtà la
sua gestione è un processo strategico che inizia assai prima
della formulazione del piano di marketing e che coinvolge
tutte le risorse e le funzioni dell’impresa (Raviolo e Zara,
1997) focalizzandole in direzione di un obiettivo strategico:
differenziare la propria offerta fornendo in via continuativa a
un gruppo specifico di consumatori una combinazione ideale
di attributi tangibili ed intangibili, frutto di una precisa
strategia aziendale.

                               39
Il prét-à-porter

Il concetto di moda, come stile condiviso da un’ampia comunità di
riferimento, nasce con le aziende che realizzano prete-à-porter, con il
quale si attua il processo di semantizzazione dell’abbigliamento che
l’alta moda aveva reso possibile solo per un segmento ristretto i
consumatori. Dal punto di vista creativo, il pret-à-porter, come
evoluzione dell’alta moda, rappresenta il risultato di un processo di
“democratizzazione” legato a una progressiva astrazione della moda dal
valore. Dal punto di vista del marketing, una spiegazione può essere una
progressiva democratizzazione del mercato del lusso, che caratterizza gli
ultimi decenni. Le grandi imprese hanno intrapreso la strada delle
estensioni di marca, rendendo alla portata di molti più consumatori
alcuni di quei beni che prima erano privilegio di una elite (Brioschi,
2000).
Tale astrazione si realizza, da un lato, attraverso la sottrazione di materia,
ornamenti, fisicità e individualità, mentre dall’altro con la moltiplicazione
dei clienti, dei fatturati e della popolarità di certe creazioni.
Il pret-à-porter è l’espressione di una mediazione di questi due estremi;
infatti, un’eccessiva astrazione porta alla “pura firma”, mentre
un’eccessiva estensione al mercato porta alla fine della moda che deve
riuscire a far riconoscere e, al contempo, a escludere.
Dal punto di vista industriale, il pret-à-porter recupera alcune logiche delle
“imprese orientate alla moda” ma le rivede alla luce delle influenze
esercitate dall’alta moda. L’incontro tra le logiche dell’alta moda
artigianale e le logiche delle imprese del tessile produce:

                                      40
• realtà industriali che cercano un mercato di riferimento ampio e non
    elitario;
    • realtà industriali che producono sempre meno output fisici, per la
    soddisfazione di bisogni “funzionali” e sempre più linguaggi necessari
    alla comunità dei consumatori per comunicare e affermare la propria
    appartenenza a un determinato contesto socio-culturale.
   Il pret-à-porter è il risultato di:
    • una scelta, sostanzialmente obbligata, relativamente alla tipologia di
    capi di abbigliamento da utilizzare (piano sintagmatico) e alla loro
    combinazione (piano paradigmatico) (Volli, 1990);
      • una scelta effettiva relativamente agli elementi di taglio, colori,
      lunghezze, tessuti e fantasie (piano sintagmatico) e alla loro
      combinazione (piano paradigmatico).
  E’ possibile identificare diverse tipologie di offerta, declinazioni tutte del
  pret-à-porter, che si differenziano dal prezzo, dal contenuto stilistico e dal
  posizionamento complessivo, quali:
     • segmento “diffusion”: comprende le seconde e le terze linee dei grandi
     marchi di moda, cioè le proposte sviluppate al solo scopo di estendersi su
     fasce di mercato più ampie e spesso a un target più giovane;
     • segmento “bridge”: comprende i marchi industriali di fascia alta il cui
     fattore critico di successo è rappresentato dalla velocità di raggiungimento
     del mercato e dalla capacità distributiva capillare;
     • segmento “mass”: comprende i marchi rivolti a target molto ampi e che
     puntano su un fattore critico di successo specifico come la distribuzione
     o la velocità di esecuzione di un capo.

Date le caratteristiche evidenziate, nello scenario “Alta Moda”
emergono le criticità maggiori dell’idea imprenditoriale
considerata.
Sebbene si tenda a creare uno stile ed un design proprio,
infatti, vi è ancora una carenza stilistica e manageriale in
grado di sostenere lo sviluppo, il coordinamento e la gestione
dell’azienda. Le competenze organizzative e gestionali

                                      41
necessarie allo sviluppo dell’idea imprenditoriale dovrebbero
essere ben delineate, sviluppate e in grado di confrontarsi
nell’arena competitiva. Si intravede quindi la necessità di
risorse finanziarie in grado di sostenere una forte campagna
pubblicitaria per la promozione e la creazione di un forte
brand, per progettare e realizzare una rete distributiva e
commerciale, e per sostenere la ricerca stilistica ed il design.
Infine il fattore esterno favorevole all’iniziativa è costituito
dal social behaviour dell’iniziativa stessa, cui il consumatore
potrebbe aderire acquistando gli abiti da essa prodotti.
Occorre notare però che gli esperti di settore intervistati non
individuano nell’utilizzo di tessuti in giacenza in magazzino,
di abiti vecchi e di stoffe riadattate un fattore di appealing nel
segmento alta moda, se non laddove si tratti di tessuti griffati.
La percezione del consumatore finale, infatti, è che l’abito
d’alta moda è un bene di lusso, “un giocattolo”, che
rappresenta uno status symbol a cui è associato un prezzo alto.
Il   concetto   di   consumo     responsabile    a   cui   l’idea
imprenditoriale si ispira non sarebbe coerente con quello di
alta moda. Il consumatore potrebbe percepire questo

                               42
commitment aziendale come fattore negativo che scredita il
brand dell’impresa e non come fattore positivo di appealing.
L’agguerrita concorrenza, le modalità con cui questa si
svolge, la non conoscenza del settore e dei mercati di
approvvigionamento e di sbocco, costituiscono invece le
minacce individuate in questo scenario.

          Tabella 3.1 - Analisi SWOT dello scenario Alta Moda
   Fattori           Favorevoli                  Sfavorevoli

 Interni      Forze                      Debolezze:
                  - risorse umane nella     - mancanza di uno stile e di
                  funzione produttiva;      un design proprio;
                  - competenze              - mancanza di un team
                  sartoriali.               manageriale;
                                            - mancanza di risorse
                                            gestionali, organizzative,
                                            finanziarie (campagna
                                            pubblicitaria, marketing)
                                            - mancanza di una rete
                                            distributiva e commerciale
                                            - mancanza di brand
                                            riconosciuto
 Esterni      Opportunità                Minacce
                     - social behaviour;    - alte barriere all’ingresso;
                                            - concorrenza elevata;
                                            - controllo della
                                            distribuzione;
                                            - alti investimenti
                                            pubblicitari e in
                                            comunicazione alti
       Fonte: nostra elaborazione.

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4.2. Il Vintage
Con questo termine ci si riferisce alla ricerca di vecchi capi
d’autore e alla riscoperta dell’usato di qualità. Il consumatore
di vintage è un esperto di alta moda che va alla ricerca di capi
unici del passato, di abiti d’epoca firmati. Il vintage non si
limita a vestiti e accessori, ma si estende a bijoux, pizzi e
bottoni in stile retrò.
Accanto al fenomeno di “pure vintage” appena menzionato,
nel corso degli anni ’90 si è affiancato uno stile vintage, che
possiamo definire “poor vintage”, che richiama forme, tessuti
e volumi del passato. Esso è costituito da capi di
abbigliamento usati o rimanenze di magazzino: ci si riferisce
quindi a giacche di jeans e alle gonne a palloncino degli anni
80, alle giacche di pelle degli anni ’70. Ma è costituito anche
da abiti nuovi che si rifanno a linee, colori e modelli tipici di
mode del passato. Il poor vintage-costumer, quindi, sia che
acquisti ai mercatini delle pulci, sia che si rivolga ai negozi
specializzati sorti negli ultimi anni apprezza e ricerca uno stile
particolare, che richiami un’epoca o un determinato periodo
storico.

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