PATRIZIA LA MARCA, GIADA PALAMARA - Strategie di nicchia nel settore moda Quaderno di ricerca n. 4 - febbraio 2005
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PATRIZIA LA MARCA, GIADA PALAMARA Strategie di nicchia nel settore moda Quaderno di ricerca n. 4 – febbraio 2005
COMITATO SCIENTIFICO Prof. Paolo AUTERI Prof. Carlo BERNINI CARRI Prof. Gabriele CIOCCARELLI Prof. Fulvio FRANCAVILLA Prof. Giorgio GIORGI Prof. Salvatorangelo LODDO Prof. Matteo MATTEI GENTILI Prof. Piero MELLA Prof. Enrico PEREGO Prof. Luigi RINALDI Prof. Ferdinando SUPERTI FURGA Prof. Vittorio VACCARI Prof. Dario VELO Prof. Antonella ZUCCHELLA I diritti di riproduzione e di adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (comprese le fotocopie, i films didattici e i microfilms) sono riservati per tutti i paesi Febbraio 2005 ________________________________ COPYLAND Via S.Felice, 4 - 27100 PAVIA Tel. 0382.30.17.97 2
Strategie di nicchia nel settore moda Patrizia La Marca∗, Giada Palamara⊥ Abstract Per poter definire le effettive opportunità di mercato di un’iniziativa imprenditoriale nel settore moda è necessario indagare, innanzitutto, le caratteristiche del settore tessile e dell’abbigliamento, definendo l’attuale struttura del mercato - caratterizzata da una forte criticità legata a fattori strutturali e congiunturali - e le sue caratteristiche evolutive. Le ricerche svolte e le informazioni raccolte attraverso interviste ad esperti del settore hanno permesso di definire le opportunità di mercato, le problematiche strategiche e di marketing, le potenzialità di sviluppo nell’ambito del settore del tessile- abbigliamento ed, in particolare, di un’attività di nicchia con caratteristiche innovative. In base alla problematiche strategiche di una progettualità di nicchia, al customer profiling e alle competenze possedute dai promotori dell’iniziativa, sono stati individuati quattro scenari alternativi in cui la nascente iniziativa imprenditoriale potrebbe inserirsi: si tratta del settore dell’alta moda, del vintage, della produzione con materiali alternativi e della sartoria innovativa. La creazione di uno stile e di un design definito e riconoscibile è tipica dell’alta moda; l’utilizzo ∗ Dottorando in Economia Aziendale, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Pavia. ⊥ Dottorando in Economia Aziendale, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Pavia. A Patrizia La Marca sono da attribuire le parti 1,5; a Giada Palamara le parti 2,3,4. Il paper nasce da una ricerca-azione volta a sviluppare una strategia da noi denominata “market driven business planning” per un’iniziativa imprenditoriale al femminile che intende inserirsi nel mercato della moda-abbigliamento con prodotti caratterizzati da alta innovatività e forte orientamento eco-solidale (Progetto FSE MIS. E 1 – ID 159187). Intendiamo ringraziare il Gruppo Centro Studi di Genere per l’occasione ed il supporto fornitoci durante l’intero progetto di ricerca, nonché la Dottoressa Clara Profeta 3
di abiti dismessi o in giacenza nei magazzini appartiene al settore del vintage; l’uso di materiali alternativi, la ricerca e l’utilizzo di materiali riciclati concerne la produzione eco-solidale. Infine, il riadattamento di capi finiti e l’utilizzo di stoffe, non sempre destinate all’abbigliamento, per la creazione di nuovi abiti accomuna il progetto ad un laboratorio sartoriale, con alcuni elementi di novità rispetto al contesto sartoriale tradizionale. L’individuazione della sartoria innovativa come scenario che meglio consente di sfruttare competenze distintive e vantaggi competitivi dell’iniziativa pone le basi per sviluppare una strategia di market driven business planning. 4
1. Introduzione Il cosiddetto Made in Italy è un fenomeno complesso che tocca diversi settori ed attività economiche del sistema Italia, spaziando dai beni industriali sino ai prodotti tipici dell’agricoltura e del turismo. Il Made in Italy non rappresenta solo un marchio di qualità, ma un modello di organizzazione industriale in cui un’impresa, nata con un forte legame con il territorio e con una spiccata vocazione artigianale, si trasforma in un nucleo di servizi avanzati in grado di gestire sia le fasi di produzione che quelle di creazione, di distribuzione e commercializzazione (Fortis, 1998; Quadrio Curzio e Fortis, 2000). Il Made in Italy negli ultimi 25-30 anni ha rivestito un ruolo crescente nel commercio estero: in particolare, l’aggregato sistema moda-arredo-casa- alimentazione mediterranea e la meccanica collegata hanno, nel loro insieme, costantemente presentato un saldo commerciale con l’estero attivo nel secondo dopoguerra (ICE, 2003) Il sistema tessile-abbigliamento-moda, nonostante la pesante crisi congiunturale che sta investendo il settore e l’economia 5
italiana in genere, rimane all’avanguardia a livello mondiale, soprattutto grazie ai fattori della creatività, dell’originalità, del design, delle technicalities e delle tecnologie, confermandosi uno dei settori trainanti per quanto riguarda il Made in Italy1. L’industria della moda italiana nel mondo, con un fatturato di 48 miliardi di euro, 70.000 aziende e 700.000 persone impiegate, rende il nostro Paese il più attivo al mondo, in termini quantitativi, secondo soltanto dopo la Cina, e detiene la leadership nel prêt-a-porter, sebbene l’Italia non sia favorita né dalla ricchezza di materie prime né dal costo del lavoro2. L’elevata dinamicità registrata negli ultimi anni sia sul fronte dei flussi in entrata che su quello delle esportazioni testimonia il continuo processo d’internazionalizzazione dell’industria italiana: negli ultimi quattro anni il grado di apertura al commercio internazionale è aumentato di undici punti, oltre il 56% della produzione nazionale viene esportata, mentre poco meno di 1/3 della domanda interna è soddisfatta da prodotti d’importazione (Eurostat 2002). A livello europeo, il peso 1 Cfr www.sistemamodaitalia.it. 2 Intervista a Mario Boselli, Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana. 6
della produzione italiana, in termini di valore, è circa il 35% di quella dell’intera Unione e, nel caso dell’abbigliamento (escludendo il tessile e il calzaturiero) la quota è ancora superiore arrivando al 37,3% (Eurostat 2002). Nonostante questo, il settore ha fortemente risentito della crisi generale, le cui principali ragioni si possono ricondurre ad aspetti congiunturali, legati all’apprezzamento dell’euro e alla debolezza della domanda, e ad un insieme di aspetti strutturali, legati all’indebolimento della posizione competitiva mondiale e alla variazione del comportamento del consumatore. Il sistema moda, infatti, ha accusato particolarmente la rivalutazione dell’euro rispetto al dollaro: la svalutazione della moneta statunitense ha bloccato la dinamica annua del settore al -4,3%, frenando la ripresa moderata che si era registrata negli ultimi mesi dell’anno passato. Le esportazioni delle industrie del tessile e dell’abbigliamento hanno mantenuto un andamento crescente nel tempo, sebbene con una diminuzione tendenziale del tasso di crescita, soprattutto nel caso dell’abbigliamento, fino al rallentamento avvenuto nel corso del 2002. Nell’ultimo anno il settore nel suo complesso ha 7
perso il 4% a causa, in particolare, della diminuzione delle esportazioni di prodotti tessili che ha sfiorato il 6%. Nella media del 2003 il fatturato dell’industria della moda si è così ridotto del 4,3%, un calo superiore a quello già subito nel 2002, anno in cui, però, la congiuntura negativa aveva colpito solo i settori a monte (Eurostat 2002). Fra i principali mercati di sbocco delle nostre produzioni, nel corso degli ultimi cinque anni, gli scambi con l’Europa dell’Est hanno assunto un ruolo di rilievo, sia per la progressiva diffusione dei prodotti Made in Italy in questi mercati emergenti sia, in particolare nel caso della Romania, come conseguenza dei maggiori interscambi commerciali derivanti dal traffico di perfezionamento passivo3. 3 Il traffico di perfezionamento (TP) è un regime doganale particolare dell’Unione Europea, il quale consente di rilevare separatamente dai flussi di scambio definitivi i movimenti di merci al di fuori del territorio economico della UE e destinate ad essere perfezionate al di fuori del territorio economico della UE (esportazioni temporanee) e quelli relativi alle importazioni nel territorio della UE di merci a scarico di esportazioni temporanee (reimportazioni). Parallelamente, vengono rilevati in questo regime tariffario i movimenti in entrata di merci destinate a subire il perfezionamento nel territorio economico della UE (importazioni temporanee) e quelli di esportazione a scarico di precedente importazione temporanea (riesportazioni). I primi due flussi misurano dunque il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP), gli altri due il Traffico di Perfezionamento Attivo (TPA). Cfr. S. Baldone, F. Sdogati, L. Tajoli, “Frammentazione internazionale della produzione e crescita”, in M. Cucculelli e 8
Le importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento, al contrario delle esportazioni, stanno aumentando nel tempo (Eurostat 2002). Questa tendenza può essere la conseguenza di due dinamiche: da un lato, la concorrenzialità di prezzo di merci interamente prodotte all’estero, soprattutto in paesi dell’Estremo Oriente, progressivamente avvicinatesi ai gusti e alle mode occidentali, ed entrate con gran forza sui nostri mercati grazie alla leadership di costo; e dall’altro la crescita della delocalizzazione produttiva come modalità di internazionalizzazione (Acocella e Schiattarella, 1989), che comporta un aumento di scambi commerciali senza un corrispondente ingresso sul mercato italiano di prodotti stranieri. Una quota rilevante di importazioni proviene da Cina e India (paesi a basso costo del lavoro e con grandi volumi produttivi), da Romania, Tunisia e Turchia (mete di TPP) e dai principali paesi europei tradizionalmente concorrenti dell’Italia per i prodotti tessili e di abbigliamento. Inoltre, le importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento da paesi R. Mazzoni (a cura di), Risorse e competitività, , Franco Angeli (2002), pagg. 256-257. 9
extra-UE, sono soggette a dazi in ingresso in Italia molto inferiori rispetto a quelli che le merci italiane subiscono all’ingresso negli stessi paesi. Ciò avviene, in particolare per alcune categorie merceologiche, anche nei confronti di economie forti (USA) e di paesi con elevati tassi di crescita (Cina, India) e provoca una forte penalizzazione nei confronti delle imprese italiane. Al fine di far fronte ad una concorrenza internazionale che ha visto l’emergere di nuovi competitori, le imprese italiane hanno consolidato un ruolo di leadership in alcune importanti nicchie di mercato: rispetto ai principali concorrenti internazionali, infatti, il sistema moda italiano ha spostato la propria specializzazione verso i segmenti a più alto valore aggiunto del comparto. Le imprese italiane tendono sempre più a posizionarsi, sia sul mercato domestico che sul quello estero, su fasce di mercato medio-alte, basando gran parte della propria forza su strategie brand-specific, competendo direttamente con i paesi sviluppati come Francia, Belgio, Spagna e U.S.A. Contemporaneamente, le fasce di mercato a minor valore aggiunto risultano sempre più appannaggio dei paesi emergenti, grazie a forti vantaggi nei costi dei fattori di 10
produzione, primi fra tutti la Cina: il valore medio unitario delle importazioni cinesi è inferiore del 60% rispetto alla media, segnale sia di una strategia di prezzo molto aggressiva, sia di standard qualitativi medio-bassi. (ACCI, 2002; Pittiglio, 2003). I nostri competitors, quindi, sono i paesi emergenti per quanto riguarda le fasce di mercato più basse, e i paesi sviluppati per quanto riguarda le fasce di mercato medio alte, considerando inoltre, che la produzione in paesi emergenti è spesso una mera delocalizzazione di imprese appartenenti a paesi sviluppati4. A questo proposito è utile sottolineare che la dinamica internazionale del sistema moda contiene in se una potenziale criticità: il modello competitivo globale si basa su un crescente investimento in Ricerca e Sviluppo da un lato (esigenze innovative continue, design, nuovi materiali) e in marketing dall’altro (branding, comunicazione, pubblicità, controllo sulla catena distributiva); ciò richiede alle maggiori aziende capacità organizzative e finanziarie elevate, mentre le 4 Questa situazione è incentivata dalla prossima scadenza dell’Accordo Multifibre (2005), che sebbene con effetti progressivamente minori limita ancora oggi le esportazioni di paesi emergenti sui paesi terzi. Cfr. G. De Felice, F. Guelpa, Sistema moda e prospettive sui mercati internazionali, Intesa BCI, Milano 2001. 11
aziende subfornitrici rischiano un crescente spiazzamento in seguito alla formazione di value chains globali. La crescente competizione con i paesi emergenti (la Cina che, assieme a Romania e Tunisia, i due tradizionali partner produttivi dell’industria italiana, è fra i principali fornitori del nostro paese), trova inoltre la sua ragione d’essere nel mutamento del comportamento dei consumatori italiani (Istat 2002). Se negli anni ’90, infatti si poteva contare ancora, nei confronti dei produttori di nuova industrializzazione a basso costo, sull'eccellenza qualitativa del prodotto italiano, per cui il consumatore finale percepiva una differenza in termini di tessuti utilizzati e di manualità manifatturiera tale da sostenere la produzione italiana, oggi invece il consumatore finale ha mutato la propria propensione al consumo ed ha mutato la propria scelta nel paniere dei consumi (Cozzi 1996; Calvi, 1996). Questo è dovuto non solo a ragioni economiche, ma anche legate all’evoluzione dei comportamenti sociali: le differenze ridotte in termini di qualità, creatività, design, utilizzo di tessuti e di tecniche di ‘nobilitazione’ tessile (tintura del tessuto, tenuta, solidità) vengono difficilmente percepite dal 12
consumatore, che tende a preferire il prodotto proveniente dai paesi emergenti, potendo contare su un prodotto affidabile, piacevole e a basso prezzo. La competizione non può quindi basarsi esclusivamente sul perseguimento della qualità, ma nasce l’esigenza di reinterpretare creativamente un mercato sempre più complesso ed attento ai significati ed alle meta- caratteristiche del prodotto. Da questa impostazione derivano forme innovative di micro segmentazione del mercato internazionale (Valdani, 1984, 1986; Cesarin, 1990), dove le nicchie che ne derivano sono il risultato di un processo creativo di rappresentazione delle opportunità di mercato. Il presente contributo intende dedicare particolare attenzione agli scenari di quest’ultimo tipo, attraverso un percorso di analisi qualitativa e di ricerca azione. 2. Metodologia di ricerca La ricerca si è caratterizzata per una impostazione proattiva, fondata sui metodi propri della case study research (Yin, 1989; Eisenhardt, 1989) e della ricerca azione (Lewin, 1946; McNiff, 1988; Vignali) volta alla individuazione di drivers e 13
caratteristiche fondamentali per un’azienda che intende operare nel settore del tessile-abbigliamento. Si è trattato, quindi, di una ricerca dall’impostazione empirica, volta alla ricerca di chiavi che consentano l’individuazione di un posizionamento e di una strategia competitiva iniziale, piuttosto che all’analisi del settore della moda e dell’abbigliamento dal punto di vista prettamente teorico. La metodologia della Action research, infatti, appare come la più indicata alla definizione di un percorso di crescita individuato in base alle risorse, alle competenze, alla loro funzione di utilizzo, il cui scopo sia fornire una linea guida allo sviluppo dei primi passi di uno start-up innovativo. Secondo Vignali (2004), infatti, l’action research può essere vista come un approccio di ricerca che si basa su una relazione di tipo problem-solving fra ricercatori e clienti, che simultaneamente porta alla risoluzione di un problema e alla generazione di nuove conoscenze. In base e per queste ragioni, lo studio si è svolto tramite l’utilizzo incrociato di: - un’analisi della letteratura esistente circa la struttura del mercato della moda e alle sue dinamiche - sia dal punto di 14
vista aziendalistico, strategico ed economico, che dal punto di vista sociologico, psicologico e semiotico5; - interviste a testimoni privilegiati, addetti del settore e di esperti del mercato6; - focus group fra iniziatori del progetto, persone direttamente coinvolte e campioni casuali di potenziali clienti7; - perception studies su potenziali clienti. Le informazioni raccolte hanno permesso di definire le opportunità generiche di mercato (pre-step), le problematiche 5 A questo proposito segnaliamo una scarsità di letteratura economica. Moda ed abbigliamento sono, infatti, due concetti profondamente diversi (Simmel, 1998): con il primo ci si riferisce ad un trend, ad una sublimazione del bisogno di beni sociali; l’abbigliamento, invece, rappresenta proprio la soddisfazione di tali bisogni. Se esiste una vastissima letteratura sugli aspetti sociologici e semiotici del vestire, sul significato degli abiti, sulle scelte dei consumatore, la letteratura economica si rivolge invece quasi esclusivamente all’alta moda. Seppure questa lettura sia in parte estendibile al settore dell’abbigliamento, appaiono scarsi i riferimenti ad analisi strategiche, analisi market oriented e macroeconomiche rivolte alle realtà aziendali non operanti nel mercato di nicchia “Alta Moda”. 6 Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda italiana; Massimo Zamagni, direttore Moda italia.net; Massimo Costa, Direttore Sistema Moda Italia; Angelo, Direttore di Angelo Vintage; Bruno Percudani, direttore commerciale Berrettificio Bruno Percudani Spa; titolare Maglificio Mapler; espositori de “Fashion Vintage Show” di Belgioso, “Milano Vende Moda”, “Vintagevent”. 7 Effettuati in occasione della fiera “Milano Vende Moda” svoltasi a Milano dal 26 al 29 febbraio 2004, del “Fashion Vintage Show” svoltasi a Belgioioso dal 24 al 27 aprile 2004, e del “Vintagevent” svoltosi a Milano dal 27 febbraio al 1 marzo 2004. 15
strategiche e di marketing (diagnosing) e le potenzialità di sviluppo nell’ambito del settore (planning, action taking ed evaluation) del tessile-abbigliamento per attività di nicchia con caratteristiche innovative (Coghlan e Brannick, 2001). Sulla definizione della strategia competitiva in un settore come quello dell’abbigliamento, rivestono grandissima importanza fattori psicologici legati alla scelta dei consumatori. Il consumo, infatti, non è solo l’espressione di un comportamento economico, condotto con maggiore o minore razionalità, ma è anche fortemente condizionato da fattori sociologici e psicologici (Fiocca, 1990). Nella definizione della strategia ci rifacciamo alla definizione di Andrews, secondo cui la strategia d’impresa è l’insieme dei principali obiettivi, scopi o fini, e delle politiche e piani necessari per conseguirli, in una formulazione tale da permettere di definire il business nel quale l’impresa opera, ed il genere di impresa che essa è o dovrebbe essere (Andrews, 1971). Accanto a questa letteratura deterministica del percorso strategico, si è reso necessario affiancare una prospettiva 16
“emergente” (Mintzbkeg, 1984), fondata sulla flessibilità continua nella risposta ed un mercato complesso. Una volta definite le opportunità di mercato del settore e le problematiche strategiche dello stesso, sono stati individuati quattro possibili scenari alternativi in cui l’iniziativa imprenditoriale potrebbe inserirsi. La loro individuazione è dovuta sia alla caratteristiche proprie dell’attività imprenditoriale oggetto d’analisi, sia agli orientamenti emergenti del mercato e al posizionamento individuabile dai perception studies e dai focus groups. Questi quattro scenari rappresentano quattro diversi business, la cui definizione segue il modello di Abell (Abell, 1980; 1986). Al fine di individuare, fra questi, lo scenario competitivo specifico del progetto e delineare gli elementi guida per il business planning successivo, è stata effettuata un’analisi di tipo swot sulla base dei risultati emersi dalle interviste effettuate a responsabili aziendali e dai test di mercato su gruppi di consumatori-tipo. All’interno di queste analisi per scenario, il customer profiling si è basato sui perception studies effettuati durante il periodo in cui si è svolta la ricerca. 17
3. Le fonti di vantaggio competitivo nel mercato dell’abbigliamento Secondo gli esperti di settore, si delinea chiaramente un assunto di base: la platea di piccole e medie imprese operanti nel settore possono sopravvivere solo nella misura in cui si orientino ad una nicchia di mercato di riferimento, sia nei comparti a monte (produttori di filati e tessuti) che in quelli a valle (imprese industriali che producono abiti confezionati). Il posizionamento su un mercato di massa appare non sostenibile, sia per ragioni strutturali che per ragioni congiunturali, ed il posizionamento su nicchie “mature”, quali la produzione di lusso, comporterebbe scontrarsi, con poche possibilità di successo, con elevate barriere d’ingresso e competere con aziende affermate, forti di brand globali. Non è, infatti, più possibile pensare di poter essere competitivi in un mercato in cui sono cadute molte barriere all’ingresso, caratterizzato da un’arena competitiva mondiale per quanto riguarda l’offerta (Zucchella e Maccarini, 1999), e da una domanda fortemente volubile, per cui la fidelizzazione del cliente ha perso importanza. La propensione al consumo è mutata e il paniere di riferimento dei beni accessori, quali 18
l’abbigliamento, è composto da beni fra loro sostituti, la disponibilità di denaro si è ridotta ed esiste una domanda di prodotti non standardizzati ma comunque a basso costo (“value for money”), rispetto alla quale le imprese industriali si stanno attrezzando sia per rispondere alla concorrenza asiatica, sia per competere con i laboratori artigianali che si sono inseriti in questo comparto. Di conseguenza, il primo imperativo per un’azienda che intenda entrar in questo settore consiste nell’individuare una strategia competitiva di tipo innovativo, basata sulla focalizzazione su una nicchia di nuova generazione all’interno del mercato, in cui si coniughino alta qualità, creatività, innovazione e tendenze socio-culturali. Lo step immediatamente successivo consiste nell’implementazione di strategie funzionali, non più caratterizzate da una visione per funzioni separate, ma basate su una gestione imprenditoriale e per progetti, dove R&D e marketing rappresentano le aree critiche, a maggior impatto sulla catena del valore (Brognara e Codeluppi, 1992). La produzione, rimane sempre un’area critica nella gestione aziendale, nonostante la relativa riduzione del suo peso 19
all’interno della value creation del settore: outsourcing e produzione interna rappresentano le due possibili alternative strategiche il cui impatto dipenderà dalle specificità aziendali. All’interno della nicchia individuata, la competitività può essere garantita solo se l’azienda realizza un prodotto che racchiude caratteristiche e valori che identificano un prodotto con personalità propria e non semplicemente un capo di abbigliamento. E’ necessario che si identifichi nel quadro delle offerte esistenti e acquisisca una “identità” distintiva in cui il consumatore possa ritrovarsi e tramite cui possa esprimere il proprio gusto, il “life style” proprio o a cui aderisce anche solo idealmente. Per questo, il capo d’abbigliamento non è solo un indumento, ma un insieme di caratteristiche che il consumatore ricerca all’interno di un unico prodotto (Fig. 1.1), una scelta di consumo tramite cui i consumatori trasmettono informazioni su se stessi (Holman, 1981). 20
Figura 1.1 - Cosa rappresenta un abito Fonte: nostra elaborazione. Una vastissima letteratura di taglio sociologico e semantico ha affrontato questo argomento, indagando il rapporto tra abbigliamento, identità sociale (Argyle, 1992; Hogg e Abrams, 1988; Simmell, 1998), personalità (Squicciarino, 1986; Davis, 1992; Caterina, 1995) e comunicazione (Davis, 1992; Caterina, 1995; Bonaiuto, 1995). Il contesto della moda è caratterizzato dalla sistematicità con cui vengono sviluppati nuovi design, che tendono a sostituire e rendere rapidamente obsoleti quelli precedenti: la moda è la logica dell’obsolescenza pianificata (Farshou, 1987). La 21
tendenza è addirittura verso un aumento continuo del numero delle collezioni annue da presentare e consegnare al punto vendita, fino ad arrivare al superamento del concetto di stagione (Saviolo, 2002). Appare allora evidente che in tale processo la generazione di nuove mode o design rappresenta, da un lato, la condizione necessaria a soddisfare la richiesta del mercato, dall’altro, a garantire la sopravvivenza nel tempo delle imprese che operano in tale contesto. L’innovazione rappresenta l’unica modalità attraverso cui è possibile assecondare i gusti di un consumatore sempre più esigente, educato al cambiamento continuo. La difficoltà più rilevante che si pone a questo proposito è legata al fatto che il medesimo consumatore richiede contestualmente un’offerta all’interno della quale sia possibile una selezione idonea a consentire una possibilità di distinzione rispetto agli altri consumatori. Allo stesso tempo l’abito nasce come strumento segnaletico attraverso cui il medesimo individuo che ricerca distinzione possa, di fatto, mostrare la propria appartenenza ad un gruppo o a una comunità di persone unite da una visione condivisa e da valori (Mason 1981, 1992; Bearden e Etzel, 1982; Simmel 1998), piuttosto che da caratteri socio- 22
economici (Veblen 1899; Leibenstein, 1950; Quelch, 1987; Wong e Ahuvia, 1998). Dal punto di vista della domanda, invece, il fenomeno del consumo della moda può essere studiato secondo diversi approcci ma, indipendentemente dalle interpretazioni teoriche, è evidente che vige una notevole soggettività nella produzione e interpretazione dei segnali sociali, che permette la coesistenza di gusti, scelte e comportamenti molto differenziati tra gruppi e dalla necessità che i consumatori hanno di utilizzare i prodotti e i servizi per sperimentare il loro valore segnaletico. Dal punto di vista dell’offerta, quindi, l’interazione dinamica che si viene a creare tra la crescente domanda di nuovi design e l’obsolescenza pianificata da parte delle imprese genera una sostanziale complessità gestionale per gli attori che operano in tale contesto, dovuta al fatto di dover comunque raggiungere gli obiettivi economici-finanziari necessari a mantenere il sistema-impresa (Golinelli, 2000) in equilibrio. D’altro canto è necessario per le imprese mantenere nel tempo una continuità nei loro processi di cambiamento, continuità che viene espressa nella brand identity costruita e consolidata nel 23
tempo, sedimentata nella personalità dell’azienda stessa (Brondoni, 1998; Bucci, 1998). Il consumatore di moda, utilizzando il prodotto per il suo potere segnaletico, definisce le proprie scelte in relazione alla proiezione della propria immagine verso uno specifico marchio che possa rappresentarla: una moda è tale quando diviene il punto di riferimento per una comunità di produttori e una comunità di utilizzatori (Abrahamson e Fairchld, 1999). Di conseguenza l’innovazione nel settore della moda trova manifestazioni poliformi, che si estendono a differenti aree di applicazione, dai prodotti, alla comunicazione, alla distribuzione ma quella relativa allo stile rappresenta sicuramente quella dominante le strategie sviluppate dalle imprese che operano in tale contesto. Definendo lo stile come una scelta estetica che riguarda i singoli capi di abbigliamento della collezione, le loro caratteristiche e la loro combinazione, si può affermare che l’innovazione nel settore della moda si realizza attraverso la generazione di uno stile radicalmente nuovo, attraverso dei mutamenti di carattere incrementale che interessano singoli 24
elementi dello stile o le modalità attraverso cui tali elementi vengono combinati tra di loro. La moda come stile contraddice il concetto stesso di moda come novità, contro la sua essenza parente che è il cambiamento, la sostituzione, l’obsolescenza sociologica, proponendo invece un numero limitato di stili diversi che evolvono nella sostanza e più lentamente nel tempo (Bucci 1998). All’interno di questo paradosso strutturale, la prima e indispensabile chiave di successo sul mercato è quindi lo stile di ogni singolo capo prodotto, che automaticamente, diviene lo stile della casa e l’identità di ogni collezione. L’innovazione sul piano stilistico è il tassello su cui si fonda la creazione di una realtà aziendale e fondamentale, quindi, è la figura dello stilista: un professionista che, unendo il patrimonio culturale e formativo accumulato al gusto e alla creatività personale, crea un prodotto con personalità propria, in grado di dialogare con il consumatore, che crea personalità e la trasferisce alla linea di prodotti. Il prodotto moda, infatti, non rientra nella sfera dei bisogni sociali: la moda è il risultato di un bisogno postmoderno di 25
consumare prima che oggetti, significati (Giancola, 1999), e di soddisfare l’esigenza di “non necessario” (Horiuchi, 1984). Il consumo di prodotti-moda non è tanto il frutto di un bisogno, quanto dei continui processi interpersonali di stimolo e creazione dei bisogni (Marris, 1964), e, conseguentemente, gli attori del sistema non devono puntare ad identificare bisogni, ma a soddisfare desideri inespressi, sfruttando la possibilità di non massificare e di rispondere alle esigenze dei consumatori, puntando sulla strategia di differenziazione piuttosto che su quella di leadership di costo. Il vantaggio concorrenziale, infatti, non risiede più esclusivamente nella capacità di offrire un insieme di valori, ma nella capacità di interrelazione delle componenti della domanda con le componenti dell’offerta (Fiocca, 1990). Ciò che costituisce il fattore vincente non è il prodotto: è la capacità di catturare l’intenzione di acquisto del consumatore come ricerca, come scelta personale e possibile scoperta (Bucci, 1992). Il valore aggiunto apportato dal creatore costituisce la base di tale strategia di differenziazione8. 8 La creatività è tema oggetto di molti studi di natura psico-sociologica centrati soprattutto sulle caratteristiche delle persone considerate creative. Alcuni hanno 26
La qualità e la ricerca sui materiali, in funzione della realizzazione di un prodotto che abbia caratteristiche estetiche, di funzionalità e di comfort, divengono vantaggio competitivo solo se abbinati ad un preciso modello, ad una collezione, ad uno stile proprio. Questi fattori contribuiscono a rafforzare lo stile e l’immagine di un determinato prodotto agli occhi del consumatore, ma non lo determinano. come punto di partenza la mente umana, sistema modellizzante che crea modelli a partire da informazioni ambientali, li riconosce, li immagazzina e li utilizza. Poiché la sequenza di arrivo determina il modo in cui queste devono essere elaborate in un modello, detti modelli sono sempre inferiori rispetto alla migliore elaborazione possibile dell’informazione. Allo scopo di aggiornare i modelli occorre un meccanismo di ristrutturazione intuitiva che non può essere il pensiero logico, il quale opera per mettere in relazione concetti, ma non per ristrutturarli. Si è parlato allora di pensiero laterale, il procedimento attraverso il quale la mente combina le informazioni in modi nuovi al fine di produrre nuove idee. Mentre il pensiero verticale si occupa di provare o sviluppare modelli concettuali, il pensiero laterale riguarda i vecchi modelli (intuizione) e la stimolazione di pensieri nuovi (creatività). Può dunque essere definito pensiero creativo. Negli anni la ricerca scientifica ha indagato sui legami tra pensiero creativo e aspetti della personalità individuale quali intelligenza, età, competenze, avversione al rischio. Il rapporto tra intelligenza e creatività non è, come si potrebbe ritenere, direttamente correlato: le ricerche hanno evidenziato che, al di sopra di un certo livello di intelligenza necessario per compiere una determinata mansione, il livello di creatività non risulta correlato a quello dell’intelligenza razionale. Il rapporto tra età e creatività sembra invece dimostrare una correlazione inversa, anche se in certi campi in misura maggiore che in altri. Per esempio, rispetto alle scienze, nelle arti l’esperienza che si raggiunge con l’età sembra più importante, ai fini della creatività. (Isaksen, 1987; Simon, 1988). 27
Se è vero che stile, creatività, innovazione e ricerca nei materiali, sono elementi fondamentali per creare un prodotto competitivo e per permettere ad un’impresa di inserirsi sul mercato della moda, è vero anche che essi sono sterili se non supportati, coordinati e gestiti da abilità imprenditoriali9: questi fattori, pur necessari, non sono sufficienti a garantire competitività sul mercato, a maggior ragione in un mercato segmentato e in crisi concorrenziale come quello della moda (Saviolo e Testa, 2000). Diviene quindi fondamentale la dimensione imprenditoriale, che si occupi, oltre che della funzione produttiva anche di quella gestionale-organizzativa, finanziaria e di marketing: che gestisca, quindi, l’intera catena del valore (Porter, 1987). Il sistema del tessile e abbigliamento si configura come una filiera produttiva fortemente integrata e con un elevato grado di complementarietà, che comprende diversi settori produttivi, composti da attività manifatturiere di base - quali il trattamento delle materie prime tessili - da attività di trasformazione industriale, fino alla distribuzione e ad altri servizi avanzati: la filiera produttiva del tessile e 9 Estratto dalle interviste effettuate a M. Zamagni e M.Boselli. 28
abbigliamento si compone di oltre 80 mila imprese che rappresentano più del 20% delle imprese operanti in settori del Made in Italy e il 14% delle imprese manifatturiere (IPI, 2000). Ogni filiera è composta da più fasi che costituiscono veri e propri settori, ulteriormente segmentabili al proprio interno secondo criteri merceologici e di fascia di prezzo: per questo, analizzando il mercato del tessile-abbigliamento in un ottica di market-driven business planning, è necessario tenere in considerazione anche quei settori che non sono disposti lungo il ciclo produttivo, ma che svolgono una funzione di supporto avanzato (editoria specializzata, fiere, agenzie di pubblicità e comunicazione, attività di design, ecc.). Il prodotto che arriva al consumatore è quindi il risultato dell’efficienza complessiva sia dei diversi segmenti della catena del valore, sia delle relazioni che si sviluppano tra le imprese che partecipano al processo produttivo. Data la particolarità delle caratteristiche e della struttura del sistema moda, le strategie interaziendali di filiera possono costituire una fonte di vantaggi competitivi difendibili sia per le singole imprese sia per l’intero sistema produttivo e distributivo. Per questo motivo, per la moda, come per gli altri grandi comparti 29
di specializzazione del sistema produttivo italiano, è opportuno ragionare in termini di efficienza della filiera produttiva piuttosto che dei singoli segmenti del processo (Demattè, 1994). All’interno del settore moda, quindi, è fondamentale l’esistenza di un imprenditoria forte e di un gruppo di management che sia in grado di gestire tutti i legami di filiera, e che, date le dinamiche concorrenziali all’interno del settore, attribuisca fondamentale importanza al Research & Development e alla funzione di marketing, che analizzi i bisogni dei clienti e crei un brand aziendale (Brognara e Codeluppi, 1992). Per poter sopravvivere ed essere competitiva, un’azienda deve investire nella ricerca di ispirazioni creative e tecnologie produttive per quanto riguarda il prodotto, e contemporaneamente sviluppare una funzione di marketing che permetta di individuare il marketing mix che meglio si adatta alle caratteristiche del segmento di riferimento e alle esigenze competitive: occorre pianificare e coordinare le scelte di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di vendita. 30
All’interno del marketing mix assumono rilievo fondamentale gli investimenti nell’area comunicazione e commerciale (Boggia, 1995; Abruzzese e Barile, 2001): la crescente complessità e la pressione competitiva sempre più intensa rendono particolarmente importante per le aziende del settore saper comunicare la propria offerta (Brioschi, 2000). In questo senso, le azioni pubblicitarie più dirette e, forse, più semplici da intraprendere sono la stampa e le fiere di settore. La pubblicità su stampa è la più costosa, a fronte del fatto che ha il vantaggio di rivolgersi ad un pubblico ampio. Per quanto riguarda il secondo canale, è necessario in primo luogo verificare le possibilità di accesso ai diversi eventi di settore, rispetto ai quali la selezione è molto significativa (Golfetto, 1991). 4. Analisi degli scenari e individuazione del percorso strategico: un case study L’importanza dei drivers di mercato – stile e creatività da un lato, imprenditorialità e management dall’altro – emerge chiaramente laddove si cerchi di posizionare nel settore un’iniziativa innovativa. 31
Dall’analisi delle risorse, delle competenze e della loro funzione di utilizzo, caratterizzanti sia la dimensione “stilistica”, sia la dimensione “imprenditoriale-manageriale” è possibile individuare scenari alternativi in cui uno start-up potrebbe posizionarsi. Valutando punti di forza e di debolezza dello start-up in relazione alle caratteristiche ambientali e competitive di ogni scenario, è possibile definire lo scenario più indicato alle peculiarità aziendali. L’attività oggetto della nostra indagine nasce dall’iniziativa di un gruppo di donne accomunate dall’interesse per il settore della moda, dall’impegno ambientalista e sociale e dalle elevate competenze professionali. Da questo nucleo nasce l’idea imprenditoriale: confezionare abiti caratterizzati da un design riconoscibile, una forte personalità e basati sull’estro creativo dello stilista. Si tratta di un laboratorio artigianale che confeziona abiti femminili utilizzando principalmente tessuti ed abiti usati o rimanenze di magazzino, o altri materiali provenienti da riciclo di altre materie. La produzione mira alla realizzazione di abiti nuovi basandosi su un comportamento eco-solidale del consumatore. L’obiettivo, infatti, è quello di evitare lo spreco 32
di tessuti e abiti giacenti nei magazzini e di recuperare abiti smessi, riadattandoli al gusto e alle tendenze dettate dalla moda. La produzione si rivolge ad un pubblico in grado di apprezzare l’alto contenuto di competenze tipico della sartoria e la particolare ricercatezza del tessuto “nobilitato” a cui è ridata nuova vita con la creazione di modelli unici. I perception studies svolti e i risultati dei focus group ci hanno portato ad individuare i potenziali consumatori come donne fra i 25 e i 50 anni, professionalmente e socialmente impegnate, caratterizzate da una forte sensibilità ai problemi dell’ambiente socio-economico che le circonda, che nell’”abito sociale” identificano il proprio stile di vita e tramite esso lo esprimono; che, di conseguenza, seguono un sentiero preciso non solo nelle scelte d’abbigliamento, ma di alimentazione, di abitazione, di vita. Il riferimento ideale è una donna che vive all’interno di una dimensione punto di incontro fra coloro che seguono un “life style” che richiama gli anni ‘60 e coloro i quali seguono una filosofia di vita di tipo “new age”, ma perfettamente inserito nella vita moderna. 33
Praticità, comfort, forte sensibilità ambientale ed impegno sociale sono le caratteristiche del cliente potenziale. Si tratta di un soggetto che esegue scelte di consumo responsabile, che si fonda sull’assunto che dietro alla produzione di alcuni beni e servizi di consumo vi sono una o più fasi, parte del loro ciclo di vita, che costituiscono comportamenti non corretti e che causano, in modo diretto o in modo meno evidente, ripercussioni sull’ambiente e sulle fasce meno protette della società (Bruntland Commission, 1987). Il consumatore responsabile ha a disposizione due strategie fondamentali: consumare meno o consumare meglio, scegliendo un prodotto più responsabile dal punto di vista etico, ecologico o sociale. Le due strategie non sono necessariamente contrastanti. La scelta di consumare meno, infatti, nell’ottica di un non spreco, del sorpasso della modalità di consumo “usa e getta”, infatti, può unirsi alla scelta di un paniere di consumo costituito da prodotti eco- solidali o di prodotti derivanti dal riciclo di materiali usati. Il progetto si va quindi a posizionare in un’area di nicchia altamente innovativa e ancora poco servita; non si pone 34
dunque come obiettivo la realizzazione di grossi volumi di fatturato come un’impresa industriale. Questa idea imprenditoriale evidenzia fattori tipici di diversi segmenti del settore moda-abbigliamento. La creazione di uno stile e di un design definito e riconoscibile è tipica dell’alta moda; l’utilizzo di abiti dismessi o in giacenza nei magazzini richiama il settore del vintage; l’uso di materiali alternativi, la ricerca e l’utilizzo di materiali riciclati concerne la produzione eco-solidale. Infine, il riadattamento di capi finiti e l’utilizzo di stoffe, non sempre destinate all’abbigliamento, per la creazione di nuovi abiti accomuna il progetto ad un laboratorio sartoriale. Per questo motivo è stato possibile ipotizzare quattro scenari alternativi, di seguito analizzati, per definire l’ambito di operatività del progetto. 4.1. L’alta moda L’alta moda si caratterizza per una produzione che nasce da grande abilità sartoriali e da elevate competenze stilistiche, da una superiore qualità dei materiali e da una profonda ricerca di un’idea innovativa e creativa. Il consumatore di alta moda 35
desidera non solo l’abito, ma lo “spread” che deriva da esso e con esso. Un abito è anche immagine, lusso, status symbol, originalità, personalità, estro, e, soprattutto, il marketing mix che rappresenta. L’alta moda è uno stile, un design, ma soprattutto è un brand: per posizionarsi sul mercato è quindi necessario un ingente investimento di capitali nel brand e nel suo marketing, nella creazione di immagine e di attrattività (Brioschi 2000; Bragnara e Codeluppi, 1995; Boggia, 1995). La cosiddetta “Brand Equity” si definisce come il valore (stato), in un dato momento, della specifica relazione instaurata da una definita offerta con un particolare mercato di riferimento; la stima del brand, quindi, non si limita alla stima di un fattore esogeno, ma si riconnette ad un più vasto sistema delle risorse invisibili (Brondoni, 1998). L’efficacia di un’iniziativa imprenditoriale nel settore dell’alta moda si basa quindi sull’estro e sulle capacità imprenditoriali e manageriali del gruppo che sta alla base. Questi fattori fanno si che il settore sia caratterizzato da un’elevata complessità verticale: non si tratta solo di produzione di una collezione, ma anche di marketing e design 36
a monte, commercializzazione e distribuzione a valle. L’esclusività del prodotto di un brand di alta moda non riguarda, quindi, solo il singolo abito, ma le modalità con cui esso è presentato, pubblicizzato e venduto. I prodotti di Alta Moda appartengono alla categoria dei beni di lusso, che possiedono un elevato contenuto simbolico, una forte componente ostentativa e di appartenenza ad un gruppo di élite (Fabris, 1998; De Martino, 2001). Le caratteristiche di un bene ad alto valore simbolico possono trarre origine dalla presenza di diversi fattori quali l’oggettiva superiorità qualitativa (estetica o tecnologica), l’immagine molto qualificata del prodotto e l’elevato contenuto moda (Poiani, 1994). Nel caso dei prodotti moda gli elementi simbolici ed evocativi risultano dominanti rispetto a quelli tecnico- funzionali e la marca diventa leva strategica per differenziare l’offerta e rendere sostenibile il vantaggio competitivo aziendale. I beni di lusso nascono da scelte di marketing mix: distribuzione elitario-selettiva, prezzo volutamente superiore a quello praticato dalle imprese produttrici di beni standard che operano nello stesso settore, immagine, design, qualità elevata 37
(De Martino, 2001). La scelta di marketing porta alla creazione di oggetti caratterizzati dall’eccellenza di realizzazione, dall’esclusività, dallo stile univocamente identificabile, dalla costosità, dalla rarità, dall’ammirazione creata nei confronti del possessore (Merlo e Chessa Pietroboni, 2001; McDowell, 2000). L’immagine assume un ruolo di primaria importanza. La notorietà di marca, che è la componente più appariscente dell’immagine, influenza in misura rilevante il comportamento del consumatore (Coda Spetta, 1994). Di conseguenza, il prodotto etichettato con un marchio di elevato prestigio fruisce di un apprezzamento supplementare rispetto a quello di equivalente livello qualitativo, ma etichettato con un marchio cui siano associate più ridotte componenti di visibilità. Tutto ciò si traduce in un notevole vantaggio competitivo per i produttori di beni ad alto contenuto simbolico; pertanto essi possono beneficiare di un premium- price. Nei comportamenti di acquisto del consumatore interviene la qualità apparente o percepita del bene, ma le positive performance su ampi orizzonti temporali sono il 38
frutto di fiducia e fidelizzazione che per le imprese italiane dell’alta moda hanno raggiunto livelli eccellenti. La distinzione tra prodotto e marca diventa a questo punto fondamentale: i prodotti sono ciò che l’impresa produce, la marca è ciò che il consumatore compra. La marca è spesso considerata unicamente come variabile marketing: in realtà la sua gestione è un processo strategico che inizia assai prima della formulazione del piano di marketing e che coinvolge tutte le risorse e le funzioni dell’impresa (Raviolo e Zara, 1997) focalizzandole in direzione di un obiettivo strategico: differenziare la propria offerta fornendo in via continuativa a un gruppo specifico di consumatori una combinazione ideale di attributi tangibili ed intangibili, frutto di una precisa strategia aziendale. 39
Il prét-à-porter Il concetto di moda, come stile condiviso da un’ampia comunità di riferimento, nasce con le aziende che realizzano prete-à-porter, con il quale si attua il processo di semantizzazione dell’abbigliamento che l’alta moda aveva reso possibile solo per un segmento ristretto i consumatori. Dal punto di vista creativo, il pret-à-porter, come evoluzione dell’alta moda, rappresenta il risultato di un processo di “democratizzazione” legato a una progressiva astrazione della moda dal valore. Dal punto di vista del marketing, una spiegazione può essere una progressiva democratizzazione del mercato del lusso, che caratterizza gli ultimi decenni. Le grandi imprese hanno intrapreso la strada delle estensioni di marca, rendendo alla portata di molti più consumatori alcuni di quei beni che prima erano privilegio di una elite (Brioschi, 2000). Tale astrazione si realizza, da un lato, attraverso la sottrazione di materia, ornamenti, fisicità e individualità, mentre dall’altro con la moltiplicazione dei clienti, dei fatturati e della popolarità di certe creazioni. Il pret-à-porter è l’espressione di una mediazione di questi due estremi; infatti, un’eccessiva astrazione porta alla “pura firma”, mentre un’eccessiva estensione al mercato porta alla fine della moda che deve riuscire a far riconoscere e, al contempo, a escludere. Dal punto di vista industriale, il pret-à-porter recupera alcune logiche delle “imprese orientate alla moda” ma le rivede alla luce delle influenze esercitate dall’alta moda. L’incontro tra le logiche dell’alta moda artigianale e le logiche delle imprese del tessile produce: 40
• realtà industriali che cercano un mercato di riferimento ampio e non elitario; • realtà industriali che producono sempre meno output fisici, per la soddisfazione di bisogni “funzionali” e sempre più linguaggi necessari alla comunità dei consumatori per comunicare e affermare la propria appartenenza a un determinato contesto socio-culturale. Il pret-à-porter è il risultato di: • una scelta, sostanzialmente obbligata, relativamente alla tipologia di capi di abbigliamento da utilizzare (piano sintagmatico) e alla loro combinazione (piano paradigmatico) (Volli, 1990); • una scelta effettiva relativamente agli elementi di taglio, colori, lunghezze, tessuti e fantasie (piano sintagmatico) e alla loro combinazione (piano paradigmatico). E’ possibile identificare diverse tipologie di offerta, declinazioni tutte del pret-à-porter, che si differenziano dal prezzo, dal contenuto stilistico e dal posizionamento complessivo, quali: • segmento “diffusion”: comprende le seconde e le terze linee dei grandi marchi di moda, cioè le proposte sviluppate al solo scopo di estendersi su fasce di mercato più ampie e spesso a un target più giovane; • segmento “bridge”: comprende i marchi industriali di fascia alta il cui fattore critico di successo è rappresentato dalla velocità di raggiungimento del mercato e dalla capacità distributiva capillare; • segmento “mass”: comprende i marchi rivolti a target molto ampi e che puntano su un fattore critico di successo specifico come la distribuzione o la velocità di esecuzione di un capo. Date le caratteristiche evidenziate, nello scenario “Alta Moda” emergono le criticità maggiori dell’idea imprenditoriale considerata. Sebbene si tenda a creare uno stile ed un design proprio, infatti, vi è ancora una carenza stilistica e manageriale in grado di sostenere lo sviluppo, il coordinamento e la gestione dell’azienda. Le competenze organizzative e gestionali 41
necessarie allo sviluppo dell’idea imprenditoriale dovrebbero essere ben delineate, sviluppate e in grado di confrontarsi nell’arena competitiva. Si intravede quindi la necessità di risorse finanziarie in grado di sostenere una forte campagna pubblicitaria per la promozione e la creazione di un forte brand, per progettare e realizzare una rete distributiva e commerciale, e per sostenere la ricerca stilistica ed il design. Infine il fattore esterno favorevole all’iniziativa è costituito dal social behaviour dell’iniziativa stessa, cui il consumatore potrebbe aderire acquistando gli abiti da essa prodotti. Occorre notare però che gli esperti di settore intervistati non individuano nell’utilizzo di tessuti in giacenza in magazzino, di abiti vecchi e di stoffe riadattate un fattore di appealing nel segmento alta moda, se non laddove si tratti di tessuti griffati. La percezione del consumatore finale, infatti, è che l’abito d’alta moda è un bene di lusso, “un giocattolo”, che rappresenta uno status symbol a cui è associato un prezzo alto. Il concetto di consumo responsabile a cui l’idea imprenditoriale si ispira non sarebbe coerente con quello di alta moda. Il consumatore potrebbe percepire questo 42
commitment aziendale come fattore negativo che scredita il brand dell’impresa e non come fattore positivo di appealing. L’agguerrita concorrenza, le modalità con cui questa si svolge, la non conoscenza del settore e dei mercati di approvvigionamento e di sbocco, costituiscono invece le minacce individuate in questo scenario. Tabella 3.1 - Analisi SWOT dello scenario Alta Moda Fattori Favorevoli Sfavorevoli Interni Forze Debolezze: - risorse umane nella - mancanza di uno stile e di funzione produttiva; un design proprio; - competenze - mancanza di un team sartoriali. manageriale; - mancanza di risorse gestionali, organizzative, finanziarie (campagna pubblicitaria, marketing) - mancanza di una rete distributiva e commerciale - mancanza di brand riconosciuto Esterni Opportunità Minacce - social behaviour; - alte barriere all’ingresso; - concorrenza elevata; - controllo della distribuzione; - alti investimenti pubblicitari e in comunicazione alti Fonte: nostra elaborazione. 43
4.2. Il Vintage Con questo termine ci si riferisce alla ricerca di vecchi capi d’autore e alla riscoperta dell’usato di qualità. Il consumatore di vintage è un esperto di alta moda che va alla ricerca di capi unici del passato, di abiti d’epoca firmati. Il vintage non si limita a vestiti e accessori, ma si estende a bijoux, pizzi e bottoni in stile retrò. Accanto al fenomeno di “pure vintage” appena menzionato, nel corso degli anni ’90 si è affiancato uno stile vintage, che possiamo definire “poor vintage”, che richiama forme, tessuti e volumi del passato. Esso è costituito da capi di abbigliamento usati o rimanenze di magazzino: ci si riferisce quindi a giacche di jeans e alle gonne a palloncino degli anni 80, alle giacche di pelle degli anni ’70. Ma è costituito anche da abiti nuovi che si rifanno a linee, colori e modelli tipici di mode del passato. Il poor vintage-costumer, quindi, sia che acquisti ai mercatini delle pulci, sia che si rivolga ai negozi specializzati sorti negli ultimi anni apprezza e ricerca uno stile particolare, che richiami un’epoca o un determinato periodo storico. 44
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