La Copertina d'Artista - Generazione Z - Smart Marketing

Pagina creata da Raffaele Martinelli
 
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La Copertina d'Artista - Generazione Z - Smart Marketing
La Copertina d’Artista – Generazione Z
Un’allegra adolescente in salopette e sneakers digita su uno smartphone una serie di like ed
emoticon che, come in un fumetto, vediamo rappresentati sulla sua testa come una nuvoletta, ma
meglio sarebbe dire cloud. Il suo entusiasmo è contagioso, la sua allegria evidente, la sua felicità
tangibile.

L’opera si intitola “#zgeneration”, e per rappresentarla l’’artista di questo numero, Giambo, al
secolo Giovanni Battista Montinaro, ci propone un’immagine che è una sintesi perfetta della
La Copertina d'Artista - Generazione Z - Smart Marketing
Generazione Z, argomento di questo numero di Smart Marketing.

Una generazione sempre connessa, che gestisce con estrema disinvoltura diversi device elettronici
La Copertina d'Artista - Generazione Z - Smart Marketing
ed è presente su diversi social network. Una generazione che ha semplificato la sua maniera di
comunicare e che preferisce la velocità e la leggerezza ad una comunicazione scritta e più lenta. Una
generazione sensibile, impegnata, green e politicamente disillusa, per la quale la realtà virtuale e
quella materiale sono la stessa cosa.

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Lo stile utilizzato dall’artista è un misto di fumetto e illustrazione, e se da un lato il legame ai manga
pare inevitabile, sia per gli occhi grandi che per la composizione in generale, dall’altra non possiamo
non notare riferimenti ed omaggi alti all’arte contemporanea ed ad artisti come Takashi
Murakami, soprattutto alle sue opere come “Miss Ko2” per lo stile della ragazza, ed a “Flower
Ball” per quanto riguarda la nuvoletta di like ed emoticon.
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Giovanni Battista Montinaro (classe 1991) ha studiato presso il liceo scientifico De Ruggeri, per poi
formarsi artisticamente presso “Grafite scuola di grafica e fumetto”. Specializzato in matite e
inchiostrazione tradizionale e digitale, storyboard e sceneggiatura.
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Tra i suoi lavori più recenti troviamo le locandine per il Moonwatchers Festival del cortometraggio
di Statte per il 2018 e il 2019 e la pubblicazione con il Grifo editore del fumetto “Leo e Martina a
spasso nel tempo”. Ha curato anche la sezione grafica per una serie tv diretta e scritta da Giorgio
Amato, e lo storyboard e il moodboard per un cortometraggio diretto e scritto da Ivan Saudelli.

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, Giovanni Battista Montinaro, in arte Giambo.

Inoltre ha maturato esperienze di insegnamento come tutor per il corso della scuola Grafite, sezione
Kids, e presso il centro diurno Progetto Popolare cooperativa sociale-onlus di Martina Franca per il
corso di fumetto “Graphic Novel” nel 2017/2018. Attualmente è impegnato nella realizzazione di
alcuni progetti indipendenti.

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Generazione Z - L'editoriale di Ivan Zorico
“Sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo
noi…”.
No, non sono Quelli che ben pensano (grandissimo pezzo di
Frankie Hi-Nrg e pietra miliare dell’hip hop italiano) o,
meglio, non lo sono in questo caso.

Sto parlando di una altra categoria di persone. Persone che hanno tratti ben distinguibili,
caratteristiche precise ed esigenze specifiche. Parlo di quelle persone che entro il 2020 (cioè
domani) rappresenteranno, secondo una stima dell’US Chamber of Commerce Foundation, circa il
40% del mercato totale retail e che avranno una capacità di spesa di circa 600 miliardi di
dollari, se consideriamo solo il mercato americano.

Persone nate e cresciute in mezzo alla tecnologia e permeate dal digitale in ogni aspetto della loro
vita. Persone capaci di utilizzare indistintamente 5 differenti device (smartphone, tablet,
desktop, iPod, televisione) e che trascorrono in rete una media di 26 ore settimanali (cfr. più di
un giorno sui 7 disponibili a settimana).
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Va bene, ma quindi chi sono queste persone?
Sto parlando della Generazione Z, ossia di quelle persone nate tra il 1995 ed il 2010 e che si
stanno preparando (e in molti casi l’hanno già fatto) a fare il proprio ingresso in società. Come detto,
hanno esigenze e caratteristiche specifiche. La prima, e forse la più importante, è che hanno una
soglia di attenzione bassissima: 8 secondi, conseguenza dell’utilizzo dei tanti dispositivi e del
loro fare più cose contemporaneamente.

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La Generazione Z è senza dubbio iperconnessa, predilige l’omnicanalità ed è a favore della
sostenibilità (il caso Greta Thunberg è sempre lì a dimostrarlo), del contatto emotivo e della
trasparenza. Sono evidentemente grandi fruitori dei social (soprattutto quelli a forte impatto visivo:
es. Youtube, Instagram e TikTok), sui quali si confrontano e si informano, utilizzando di buon grado i
vari gruppi di discussione.

Come comunicare con la Generazione Z?
Tutti questi elementi distintivi determinano almeno 4 fattori imprescindibili da tenere in forte
considerazione se si vuole avere una strategia di comunicazione efficace con questo specifico target.

1. Stop con la comunicazione “top down”: bisogna dire necessariamente addio alla
   comunicazione dall’alto verso il basso. Questo tipo di strategia di marketing e comunicazione che
   poggia sul marketing tradizionale, ancora tanto utilizzata nel marketing aziendale e che tanto è
   amata da chi concepisce il marketing come una disciplina ferma agli ’80, non può più essere usata
   con questa tipologia di persone. Il paradigma “Io sono l’azienda e dico al consumatore quello che
   deve comprare (e pensare) senza alcun tipo di reciprocità e condivisione” è destinato
   definitivamente ad andare in soffitta, con buona pace di quelli che ancora si ostinano a non
   vedere che il mondo è cambiato. E, ahinoi, sono ancora in tanti.
2. Trasparenza e autenticità: l’epoca dei bei slogan con dietro il nulla cosmico diventerà storia.
   Questa generazione non si ferma alla superficie e, anzi, è molto attenta alla veridicità dei
   messaggi che vengono veicolati. Va pertanto favorito il confronto continuo piuttosto che un
   atteggiamento impositivo. Attraverso uno scambio comunicativo alla pari si potranno giustificare
   anche errori o scelte sbagliate, senza perdere o rovinare la reputazione aziendale: vera moneta di
   scambio dei nostri tempi. Tutti possiamo sbagliare, l’importante è non nasconderlo o mistificarlo:
   questo deve essere il mantra.
3. Piccolo è bello: la Generazione Z vede di buon occhio il piccolo produttore che, attraverso il
   digitale, ha la possibilità di raccontarsi ad un costo contenuto. I media tradizionali sono invece
   ancora appannaggio delle multinazionali o delle grandi aziende, le quali, va detto, vengono viste
   con maggiore diffidenza. Un modo per quest’ultime di uscire da questo cul-de-sac potrebbe essere
   quello di parlare della filiera. In breve, occorre far percepire che il grande è composto dal piccolo,
   e che quest’ultimo viene valorizzato e contribuisce alla costruzione di valore per l’azienda, per il
   consumatore e per la società.
4. Sostenibilità: difficile non citare il fenomeno #fridayforfuture che vede milioni di ragazzi della
   Generazione Z (di cui Greta Thunberg è una riconosciuta autorevole esponente) scendere in
   piazza a manifestare. Un movimento portatore di un messaggio a difesa del clima, dell’ambiente e
   della sostenibilità produttiva. Questa generazione è assolutamente favorevole a tutto quel mondo
La Copertina d'Artista - Generazione Z - Smart Marketing
che ruota attorno all’economia circolare e a concetti come ,  e
  .

Queste nuove leve appartenenti alla Generazione Z “sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi
siamo noi…” e non possiamo fare finta che non sia così. Stanno arrivando.

Buona lettura.

                                                                                        Ivan Zorico

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commenti. Rispondo sempre.
Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link
giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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Generazione Z – L’editoriale di Raffaello
Castellano
La Copertina d'Artista - Generazione Z - Smart Marketing
Li abbiamo dispregiati in tutti i modi chiamandoli fanulloni,
ignoranti e più recentemente webeti e gretini. Ma se i
giovanissimi, i nativi digitali, la Generazione Z, quelli nati dal
1995 al 2010 fossero non solo una risorsa fondamentale ma,
addirittura l’unica speranza per la sopravvivenza dell’umanità?

Forse vi sembro troppo apocalittico, ma sono sicuro che questa generazione rappresenti la sola ed
unica possibilità di svolta che ci resta.

I giovanissimi di oggi saranno entro il 2025-2030 non solo il più vasto gruppo di consumatori, ma
anche il 30% della forza lavoro del mondo e basta sentirli parlare fra loro per rendersi conto di
quanto questa generazione sia ben consapevole della realtà che la circonda.

Sono nati in un mondo iperconnesso, utilizzano in media 5 dispositivi elettronici, sono molto sensibili
verso le problematiche ambientali (vedi il fenomeno innescato da Greta Thunberg), estremamente
mobili e pronti a spostarsi in altre nazioni sia per studio che lavoro, sono estremamente aperti verso
le questioni di genere, hanno uno spiccato spirito imprenditoriale, sono consumatori attenti ed
informati, ed hanno dimestichezza naturale verso tutte le nuove tecnologie.

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Insomma, sono tutto ciò che noi 40-45enni, nati fra il 1960 ed il 1980, la cosiddetta Generazione X,
non siamo: razzisti, omofobi, attaccati al posto fisso, pantofolai, un po’ mammoni, poco avvezzi alle
nuove tecnologie, patologicamente legati alla nostra terra di origine, con uno scarsissimo rispetto
dell’ambiente e dei beni comuni.

Eppure, quando si decide la nuova linea politica di un paese, di una regione, di una nazione, siamo
noi 45enni e la generazione precedente, i baby boomer, gente che per intenderci ha più di 65 anni, a
decidere le elezioni e la linea politica. Prendiamo il caso dell’Italia, uno dei Paesi più vecchi
d’Europa: ebbene, oggi il peso politico degli elettori italiani ultra 65enni rappresenta più del 26% e
incentiva politiche a breve termine, che penalizzano i Millennials e la Generazione Z.

Allora, una delle prime cose che questo governo giallo/rosso dovrebbe fare è quello di abbassare
l’età per votare, consentendo anche ai 16enni di farlo. La proposta è stata formulata a fine
settembre, dall’ ex premier, oggi professore dell’Istituto di Studi politici di Parigi, Enrico Letta, e
riportata e commentata dai principali quotidiani ed organi d’informazione.

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Insomma, la nostra visione corta e appannata, le nostre politiche dal fiato corto, il nostro incespicare
incerto e la nostra apatia sono solamente i sintomi dell’età, lasciare davvero spazio ai giovani,
lasciandoli votare a 16 anni, può essere un primo passo concreto verso un ricambio generazionale
che serve al nostro Paese in primis, ma anche all’Europa ed al Mondo.

            Scopri il nuovo numero > Generazione Z
Il gap fra le generazioni è sempre esistito e continuerà anche in futuro, ma un contrasto può essere
costruttivo e fecondo per tutti gli attori coinvolti, vecchi, giovani e giovanissimi.
Tutto quello che oggi diamo per assodato e culturalmente accettato, il rock, il punk, l’hip-hop, il
graffitismo, l’arte pop, la minigonna, i capelli rasta, etc. etc. prima di diventare mainstream erano
controcultura, erano il gesto di ribellione, alle volte anche violento, delle nuove generazioni per
andare contro il sistema, i valori e la cultura dei propri padri e inventare nuove rotte, nuovi percorsi,
nuove coordinate, per scoprire l’isola che non c’è, ma che si sapeva esisteva.

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L’utopia non appartiene alle vecchie generazioni, ma alle nuove, saranno le nuove generazioni
Millennials e Generazione Z quelle che inventeranno, edificheranno ed abiteranno il futuro, al quale
noi potremo contribuire al massimo con la nostra saggezza ed esperienza, le uniche cose che
possiamo e dobbiamo condividere con i nostri figli e nipoti.

Buona lettura.

                                                                               Raffaello Castellano

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Z generation: vento di cambiamento e
carichi pesanti.
C’era una volta Z la formica che era impegnata nella costruzione di un nuovo formicaio. Ma era
nevrotica e insoddisfatta del lavoro che portava ad un annullamento collettivo che non la faceva
sentire realizzata. Dopo molte peripezie il film Antz termina con un senso di compimento e una
morale. “Insomma, finalmente sento di aver trovato il mio posto. E sapete una cosa? E’ proprio dove
ho cominciato ma con la differenza che questa volta l’ho scelto io”.

Inizio con questa storia animal-ambientale che ha molti tratti in comune con i giovanissimi:
acquirenti attenti all’ambiente, animati dallo spirito di cambiamento e informati sull’ecosistema che
hanno ereditato.

L’Osservatorio PwC, basato su un campione di 2424 giovani sottolinea come quelli della
generazione Z sarebbero disposti a pagare un premium price del 5% per un prodotto
responsabile verso l’ambiente ed eticamente sostenibile verso le persone.

Anche Pinterest afferma che le generazioni Under 38 e in particolare la Z siano attenti all’impatto
verso le risorse. Si moltiplicano infatti i Pin per argomenti che riguardano il vivere in modo
sostenibile (+69% nel 2019 rispetto al 2018) riducendo la plastica o i rifiuti, utilizzando utensili e
oggetti di cucina eco-compatibili (+58%), nelle attività ludiche con i bambini (+59%) e nei regali
(+126%).

Un elemento da considerare visto che nel 2019 abbiamo indietreggiato di altri 2 giorni l’Earth
Overshoot day – il giorno in cui si esauriscono le risorse disponibili nell’anno per l’umanità – che
quest’anno è stato identificato il 29 luglio.
Per i nati tra il 1995 e il 2012 le nuove tecnologie sono imprescindibili. In molti sono convinti
che solo grazie a queste il mondo potrà cambiare e migliorare. La velocità è l’altra chiave di lettura
di questi giovani che non vogliono comunque rinunciare al benessere psicofisico.

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L’altra faccia della medaglia però è un aumento dei disturbi mentali tra i giovanissimi
dovuti probabilmente a un cervello più vulnerabile verso le nuove tecnologie e alla carenza
di sonno. Lo psicologo Jean Twenge, autore del libro “iGen”, ha condotto uno studio su 200.000
adolescenti tra i 12 e i 17 anni e 400.000 giovani adulti per 10 anni. Dalle sue osservazioni emerge
che gli adolescenti depressi sono aumentati del 52% dal 2005 al 2017 e del 63% le persone con età
compresa tra i 18 e 25 anni. Ben il 10,3% dei soggetti intervistati ha affermato di aver
seriamente valutato il suicidio. L’abuso tecnologico influisce negativamente sul cervello in
formazione dei teenager e lo porta a non riuscire ad adattarsi ai cambiamenti e ai nuovi trend
culturali. “Il problema ha dimensioni pandemiche e sarà necessario sviluppare interventi mirati e
capire meglio come la comunicazione digitale favorisca i disturbi dell’umore o addirittura l’ideazione
al suicidio” afferma Graziano Pinna dell’University of Illinois a Chicago.

Secondo uno studio di Sodexo su 4.000 studenti universitari nel nostro Paese, il 62% sono
insoddisfatti e i giovani depressi in Italia sono 800.000. La società Italiana di Farmacia Ospedialiera
afferma che la media nazionale di ricoveri per problemi psichiatrici nei giovani è di 27 al giorno.

Grandi strumenti, grandi sogni per la generazione Z ma forse difficoltà a governali e a sostenere la
fatica e il peso di un mondo in rapido cambiamento. Una dura selezione naturale che farà
sopravvivere solo i più forti? Speriamo di no!

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La comunicazione visuale che colpisce la
Generazione Z.
Tutti ormai, e non solo gli esperti del settore, avranno sentito nominare la definizione “Generazione
Z”, e tutti, almeno una volta, si saranno domandati incuriositi cosa, o meglio chi, indichi questo
appellativo.

La generazione Z, il cui nome è stato scelto con un contest sponsorizzato nel 2012 dal
quotidiano statunitense Usa Today, comprende i giovani digitali che vivono in un’epoca in cui
Internet permea l’intera esistenza, nelle più svariate sfaccettature e attività quotidiane. Per alcuni
sono i giovani nati tra il 1999 e il 2015, per altri tra il 1995 e il 2010, ma, poco importa la data se
consideriamo che è la generazione che utilizza Internet sin dalla nascita, non lo ha visto
entrare nella propria vita in un secondo momento come è accaduto ai Millennials, e che utilizza i
social network come agenti fondamentali nei processi di socializzazione.

Secondo una ricerca dell’agenzia newyorkese di marketing, Sparks and Honey, svolta nel 2014, il
41% degli adolescenti spende più di 3 ore davanti al pc o utilizzando lo smartphone, rispetto al 22%
del 2004, ed è una percentuale ben più alta rispetto alle ore di visione della televisione, un vero
cambiamento epocale rispetto alla precedente generazione.
Alla luce di questi chiari dati, le aziende non posso certo sottovalutare la potenza del mondo
virtuale, e, nella continua ed ossessiva ricerca di nuovi clienti, il marketing aziendale strizza ormai
sempre più spesso l’occhio al nuovo mondo online in cui vivono i ragazzi, per rafforzare la brand
awareness, e di conseguenza aumentare le vendite.

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Analizzando l’uso dei social network e delle app, appare chiaro che i giovani preferiscono
una comunicazione visuale, che si evidenzia nella propensione a guardare video: l’80% degli
adolescenti guarda abitualmente Youtube, che chiaramente diventa un mezzo per eccellenza da
parte delle aziende per mettersi in contatto con i teenager. E’ una comunicazione sicuramente
veloce, di impatto, che ben si addice alla frenesia della vita contemporanea. Nell’epoca della
generazione abituata al multitasking tecnologico, cioè all’utilizzo di più dispositivi
contemporaneamente, l’azienda deve saper essere presente su più fronti.

Se vi state chiedendo qual è il miglior modo di fare
marketing oggi, potremmo rispondere con certezza che ciò
avviene tramite lo sfruttamento dei social network, in
particolare quelli che permettono una fruizione di contenuti
video.
Youtube è lo strumento principe, utilizzato come una sorta di focus group da parte delle aziende.
Se nel passato il focus group, metodologia di raccolta dati molto utilizzata per le ricerche di mercato,
veniva svolto in presenza fisica, ora, all’insaputa dello spettatore, si realizza attraverso il Tubo, nella
scelta dei video e degli Youtuber da seguire.

  Per approfondire:

  ■   Generazione YouTube

Infatti, non si tratta più di un marketing che crea un messaggio pubblicitario, piuttosto di un
marketing che sceglie gli influencer ai qual far pubblicizzare il proprio prodotto, o più
semplicemente, ai quali chiede di mostrarne l’utilizzo nella loro vita quotidiana. Non è possibile
ignorare che, per la generazione nata nel boom di Internet, siano gli youtuber, gli influencer e i
blogger, le figure sulla cui popolarità le aziende stanno facendo leva, realizzando quello che viene
definito “Influencer Marketing”.

A monte vi è un’attenta e puntuale analisi dei professionisti aziendali nella scelta dell’influencer più
adatto alla propria brand reputation e corporate heritage, cioè ai valori che l’azienda vuol
comunicare, vendere, e al target al quale punta. Gli influencer possono essere scelti tramite
parametri vari, quali ad esempio la qualità dei contenuti, la reputazione o l’engagement sui social.
Spesso vengono realizzate delle vere e proprie partnership, come ad esempio la relazione
commerciale tra il noto brand Liu Jo e il canale per bambini/adolescenti “Me contro Te”, che si
esplica in un accordo per cui l’azienda, con il proprio marchio, vende esclusivamente nei punti
vendita monomarca e sul proprio sito internet il merchandising (scarpe, t-shirt, felpe) con il logo del
canale youtube, che, nello specifico, sta letteralmente facendo impazzire i bambini, generando un
boom di vendite. Già perché la generazione Z guarda video Youtube già dai primi anni di età, non si
tratta più di una tecnologia digitale alla quale approcciarsi in un’età adolescenziale, i nativi digitali
vivono con il web, che non è più solo un mezzo, ma elemento naturale presente nella vita.

Non meno importante risulta essere la comunicazione visuale attualmente creata tramite
Instagram: è consuetudine, nelle cosiddette storie, far pubblicizzare i brand dagli influencer.
Ultimamente proprio a riguardo è esploso un polverone di polemiche relativamente alla necessità di
dichiarare esplicitamente i casi di “advertising” durante le storie stesse, per differenziare appunto il
caso di pubblicizzazione dall’utilizzo personale di un prodotto.

  Per approfondire:

  ■   Cosa rende Instagram così irresistibile? L’evoluzione di una piattaforma dal visual storytelling
      all’e-commerce.
  ■   Instagram e la promozione dei brand di lusso
  ■   Instagram: la piattaforma ideale per la Fashion Industry.

La realtà che, dal 2016, sta letteralmente spopolando tra la Generazione Z è TikTok, un’app
che permette la realizzazione di brevi video musicali, che nel 2018 ha registrato 75 milioni di utenti
nel mondo. Chi si occupa di social media marketing non può certo non considerare questa nuova
opportunità per realizzare strategie di web marketing. Molte company si stanno avvicinando con
varie tecniche, ad esempio McDonald’s Malesia ha utilizzato l’app per organizzare delle sfide tra
utenti, la squadra calcistica Inter ha realizzato un canale a proprio nome; sicuramente è una strada
ancora da percorrere, che mostra forti potenzialità di sviluppo della creatività dei professionisti del
settore.

L’attenzione del marketing alla comunicazione visuale veicolata tramite il web è un
fenomeno che ha riguardato essenzialmente il mondo della moda e della cosmetica, ma che negli
ultimi tempi si sta allargando anche ad altri settori. Ed è per questo motivo che il marketing
aziendale non può ignorarlo, nonostante, al momento, la tipologia di pubblicità più
utilizzata sia ancora quella definita tradizionale, cioè in tv. Non si può non valutare le nuove
opportunità da cogliere che, se ben sfruttate, potrebbero creare un “oceano blu”, come definito da
Chan Kim e Renée Mauborgne nel loro libro che, appunto, esplica consigli per realizzare strategie di
marketing innovativo e alternativo.

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L’economia della felicità. Il contributo
delle imprenditrici di Confcommercio al
Terziario Donna LAB 2019.
Si è tenuto a Palermo dal 24 al 26 ottobre l’incontro chiamato TD LAB 2019, organizzato dal
gruppo di Terziario Donna di Confcommercio. Le quote rosa del commercio organizzano con cadenza
annuale un convegno dai temi di massima attualità e quest’anno è stata trattata l’economia della
felicità. Attraverso dibattiti e discussioni e con gli interventi di massimi esponenti del campo tra cui
il prof. Sandro Formica docente dell’Università della Florida, sono emerse interessanti valutazioni su
come l’uomo moderno affronta il tema della felicità.

Ma che cos’è la felicità?
La felicità è uno stato d’animo di durata variabile che quando arriva permette di vivere un
momento di grande entusiasmo nonostante la presenza di problemi che tuttavia persistono. È
un’emozione in divenire che non può essere né definitiva né permanente ma che spesso viene
utilizzato come obiettivo da raggiungere. La felicità è stata studiata e affrontata nei secoli passati,
cercando sempre di offrire al povero essere umano una modalità per raggiungerla. Già Aristotele ci
informava che la felicità è nelle nostre mani e come lui molti filosofi più recenti hanno
confermato questo potere nelle mani dell’uomo. Altri pensatori e in particolari religiosi rimandano
ad un bene superiore la possibilità di elargire tale sentimento.

In tutti i casi, oggi come oggi, possiamo affermare che la felicità è una competenza. Ci si può
impegnare per raggiungerla e insieme si può dare un senso più profondo al proprio valore. Il
raggiungimento di tale momento di estatico piacere può essere considerato diverso da individuo a
individuo, è una questione puramente personale.

Come posso misurare il mio avvicinamento alla felicità?
Non è una cosa insensata ma assolutamente fattibile. Si tratta di analizzare la propria vita e
rispondere e far luce sulla propria esistenza. Già Maslow, famoso sociologo, aveva trascritto su una
piramide la scalata ai bisogni dell’uomo, dal primario via via salendo nelle sempre più alte
aspettative dell’uomo. Insomma per scoprire se siamo sulla strada giusta per la felicità dobbiamo
farci questa domanda: quali sono i miei bisogni? Li sto soddisfacendo? Spiegata meglio, una
volta che ho soddisfatto i miei bisogni primari di fame, sete, sonno, cosa ritengo necessario per me,
per vivere una vita appagante?

            Scopri il nuovo numero > Generazione Z
La domanda potrebbe a prima vista sembrare banale ma non lo è affatto. Nessuno ci insegna a
strutturare dei desideri reali e realizzabili, e soprattutto nessuno ci aiuta a comprendere il
senso di se stessi e della vita. Uno studio americano ha stimato in 20.000 ore il tempo dedicato
allo studio dalle scuole elementari alla maturità, considerando le ore passate a scuola e 10 minuti
al giorno per i compiti. Sapete quanto di questo tempo è stato dedicato allo studio di se stessi e al
raggiungimento della propria felicità? Zero!

Zero è il tempo che viene dedicato per spiegare alle nuove generazioni, ai bambini, ai ragazzi che
dopo la maturità dovranno affrontare il mondo, qual è il senso della loro vita.

Zero è l’investimento che la scuola, pubblica o privata che sia, attua per formare gli adulti di
domani.

Zero è il valore che viene attribuito alla realizzazione di esseri umani felici e pensanti.
Zero è quello che otterranno le generazioni che verranno dopo di noi se non insegneremo loro a
spegnere il cellulare ed accendere il cervello.

Allora la domanda corretta da fare ai nostri giovani, prima ancora di quali bisogni soddisfare
probabilmente potrebbe essere: conosci te stesso? Hai contezza dei tuoi talenti e delle tue qualità?
Cosa ti fa stare bene veramente ed in modo sano?

Solo fornendogli gli strumenti corretti potremo sperare di crescere ragazzi sani e consapevoli in
grado di affrontare con tenacia, curiosità e motivazione le sfide del futuro.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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Generazione Z: ecco come i Brand
dovrebbero approcciarli
Sia che li vogliamo chiamare iGeneration, kids o centennials i nati tra il 1995 ed il 2010, prendono
per tutti il nome di Generazione Z.
La Z per molti è l’ultima lettera dell’alfabeto, per il marketing diventa la prima. I millennials lasciano
lo scettro della giovinezza ad un target più giovane, nati nell’era dei social media e contraddistinti
da una maggiore visione imprenditoriale della vita e una lotta continua per l’indipendenza.
Fondamentale per le aziende trovare la giusta chiave di lettura per questa nuova generazione, che
proprio per il suo essere sempre connesso con il mondo, ha fatto registrare tratti comuni non
nazionali, ma bensì globali, creando al tempo stesso una nuova identità trasversale simile, se non
uguale, in tutti i Paesi.

Guardiamo, quindi, qualche aspetto fondamentale e come le
aziende devono approcciare a questi nuovi consumatori.
#FAST – È tutto più veloce, ma soprattutto è tutto scontato. Nati nell’era del mobile e delle nuove
tecnologie nulla per loro è nuovo, ma scontato e noioso. Vedono la tecnologia come qualcosa di
obbligatorio in quanto fruitori quotidiani di tutte le piattaforme social e non. I brand hanno solo 8
secondi per convincerli che quello che stanno proponendo possa essere per loro interessante, con
un messaggio che sia qualitativamente accettabile ma soprattutto interattivo.

#GIOCARE ONLINE – Amano i giochi online e i videogiochi classici. Per le aziende entrare
all’interno del gioco potrebbe essere una mossa vincente. È il caso dello spazzolino da denti
Sonicare della Philips che ha ben pensato di introdurlo all’interno del gioco The Sims.

           Scopri il nuovo numero > Generazione Z
#INFEDELI – Proprio per le ragioni che abbiamo già citato in precedenza, si annoiano facilmente in
quanto abituati ad avere il digitale nella loto vita quotidiana. Per le aziende è fondamentale, adesso,
cercare e trovare il canale sociale maggiormente influente nelle loro vite. Facebook? Sicuramente va
utilizzato con strategia e creatività (non bisogna trascurare il un pubblico anche più adulto) ma non
è più sufficiente (basta vedere il calo che ha subito negli ultimi anni). La domanda da farsi è:
“Dove si riunisce (virtualmente?) la Generazione Z”?

#SOLDI e #SALUTE – Chiedimi se sono felice… a questa domanda tutti potremmo rispondere in
maniera differente. La generazione Z risponderà che la felicità è raggiungibile con pochi e chiari
elementi. Avere un salario elevato ed essere in salute. Sono concreti e pratici e lo traslano anche nel
loro modo di pensare. In secondo piano l’autorealizzazione professionale; è tutto legato ad un fattore
economico.

#PASSIONALI – Continuando il discorso precedente, hanno un forte senso imprenditoriale e la
consapevolezza che per affermarsi hanno bisogno di “creare” una professione completamente nuova
ed innovativa. Cercano in tutti i modi di trasformare le loro passioni in lavoro a tempo pieno,
credendo fortemente in loro stessi.

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Nativi digitali, iperconnessi e shopper
omnichannel: è la Generazione Z tra le più
consapevoli delle opportunità che offre la
Digital Transformation
Gli anni passano velocemente e le generazioni si alternano.

E’ il ciclo della vita e ci siamo abituati. Forse, però, non ci siamo resi conto di come il tempo
trascorso tra la generazione tanto “chiacchierata” dei Millennials (nati ‘81-‘96) e la generazione
Z, che stiamo imparando a conoscere, sia stato così breve. Sono loro i consumatori del futuro, nati
tra la seconda metà degli anni Novanta e il primo decennio del secondo millennio che entro il 2020
saranno il più vasto gruppo di consumatori in tutto il mondo.

Nativi digitali per definizione, sono cresciuti con accesso alla rete e alle nuove tecnologie,
multitasking e multi-channel, utilizzano una media di 5 dispositivi. Sono ottimisti e spinti dalle
proprie ambizioni personali. Hanno un arco di attenzione molto breve non più di 8 secondi, in quanto
cresciuti in un continuo bombardamento di informazioni imparando a valutarne velocemente qualità,
utilità e scelta. Comunicano attraverso immagini e video.
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Sono una generazione on-demand, e preferiscono i servizi in streaming come Netflix. Possono
fare a meno di TV e PC, ma non di smartphone e laptop. Nati o cresciuti in piena crisi economica
sono attenti a come spendono il proprio denaro, ricercano prodotti dalle caratteristiche uniche che
valorizzino il loro stile personale. Sono esperti nell’effettuare ricerche online e sono
shopper omnichannel. Non considerano la visita al negozio inutile, non prediligono l’acquisto
esclusivo sul web ma necessitano dell’esperienza d’acquisto all’interno dello store.

           Scopri il nuovo numero > Generazione Z
Sono altruisti, ambientalisti, attivisti vogliono occuparsi del mondo, del loro futuro, cercando di
essere protagonisti del cambiamento e del rinnovamento. Sono molto consapevoli e preoccupati per
l’impatto dell’uomo sul pianeta. Sono imprenditori, o almeno hanno il sogno nel cassetto di avviare
una proprio attività. Ogni nuova opportunità deve essere considerata purché sia flessibile,
stimolante, interessante, emozionante.

E’ una generazione nata con la tecnologia a disposizione, connessa in ogni come e dove,
vivendo contesti sociali diversi tra le unioni civili, i flussi migratori, la crescita delle minoranze.
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Si tratta di giovanissimi che hanno mosso i primi passi nel mondo in una società che ha vissuto
eventi disastrosi ed impattanti. Hanno vissuto l’11 Settembre, la crisi finanziaria del 2008 è entrata
nelle loro case, l’elezione di Trump e la Brexit stanno ponendo le basi per un cambiamento globale.

L’incertezza economica, il risentimento degli adulti, la sfiducia nei confronti delle istituzioni e la
possibilità di avere informazioni continue a portata di click, hanno influito nel creare in loro fascino
e curiosità non è più tanto la distanza anagrafica, ma la profonda differenza di comportamento,
di scelte e modalità di consumo, di priorità nella vita e sul posto di lavoro.

Con caratteristiche così spiccate non si può certo essere indifferenti se si pensa che sono i nuovi
consumatori e saranno quelli del domani.

Le aziende devono essere consapevoli di entrare in contatto con consumatori che prestano meno
attenzione, ma sono in grado di filtrare le informazioni più velocemente e sono super-informati.
Vanno generate strategie di engagement e conversioni, per far crescere la fiducia nel proprio brand,
si dovranno studiare strategie ad hoc personalizzate e con forti leve del marketing emozionale.

Potrebbe essere una strategia vincente coinvolgere la Generazione Z nella co-creazione delle
campagne, in quanto si tratta di giovani che sognano una propria attività e vogliono metterci del
loro. Vivono l’esperienza come una parte necessaria nel processo di acquisto, vanno trovati modi
innovativi per attirare la Generazione Z nei negozi e creare relazioni durature.
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Potrebbe essere utile coinvolgerli mostrando il lato umano dell’azienda, raccontando attraverso
immagini e video il dietro le quinte e la quotidianità, non dimentichiamoci che sono attratti dalle
story su instagram.

  Per approfondire:

  ■   Cosa rende Instagram così irresistibile? L’evoluzione di una piattaforma dal visual storytelling
      all’e-commerce.
  ■   Instagram e la promozione dei brand di lusso
  ■   Instagram: la piattaforma ideale per la Fashion Industry.

I social sono l’habitat naturale, è quindi necessario essere presenti sui social media con contenuti
brevi ed accattivanti, Facebook non è più il social di riferimento per questa generazione, tenere
presente dove trascorrono il tempo, dove condividono le loro esperienze e dove esprimono le loro
opinioni. Amano agire per una causa, si pensi al Friday for future “Dear adults, use your power”,
la giornata di sciopero globale degli studenti per chiedere ai propri governi di intervenire con
politiche ambientali mirate a contrastare i cambiamenti climatici, un po’ tutti seguaci del fenomeno
Greta Thunberg e fanno della green economy un valore. Per questo dalle aziende esigono
trasparenza in merito ai processi di fabbricazione di un prodotto e sono interessati alla
responsabilità sociale e al rispetto dell’ambiente. Parole come ‘naturale’, ‘sostenibile’ e ‘organico’
hanno un forte impatto su di loro.

Non da ultimo, siamo di fronte ad una generazione consapevole delle proprie responsabilità e
delle opportunità che offre la Digital Transformation sia per gli strumenti di cui sono in
possesso sia per la conoscenza alla quale hanno accesso e fortemente consapevoli della loro
influenza.

Ingaggiarli nel processo di acquisto sarà una grande sfida… vedremo chi meglio ci riuscirà!

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Millennials e Generazione Z: il nuovo
mondo del lavoro
Parlare, nel 2019, di Millennials e di Generazione Z significa parlare dei protagonisti dell’attuale
mondo del lavoro, ma cosa caratterizza e in cosa si differenziano questi due gruppi demografici?
Sicuramente entrambi sono sempre connessi, più attenti all’ambiente e ai temi sociali, ma anche alla
cura del corpo e al benessere psicofisico.

D’altro canto i giovani lavoratori tendono ad essere più ambizioni per quanto riguarda la ricerca
del lavoro e le aziende devono impegnarsi per fermare la fuga all’estero di questo capitale prezioso.
Vediamo come, a partire dall’investimento in tecnologie.
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La Generazione Z: una generazione iperconnessa

I fratelli minori dei Millennials, ovvero i nati tra il 1995 e il 2012, sono ragazzi cresciuti a pane ed
internet e abituati al multitasking e all’uso contemporaneo di diversi dispositivi fino ad essere, se
possibile, ancora più interconnessi dei Millennials. Possiamo parlare di una generazione
iperconnessa, formata da un esercito di circa 2 miliardi di giovani di tutto il mondo che nel 2025
rappresenteranno il 30% della forza lavoro.

La maggior parte di questi talenti del futuro sta già cambiando le aziende in cui andrà a lavorare,
che devono volenti o nolenti diventare sempre più tecnologiche per integrare al meglio queste nuove
risorse tra i dipendenti. In particolare la Varkey Foundation di Londra sottolinea come sia
importante l’investimento in nuove tecnologie, data la convinzione per l’84% della generazione Z che
proprio la tecnologia potrà contribuire alla costruzione di un domani migliore.

Quali sono le caratteristiche della generazione Z sul lavoro, quindi? Sicuramente è una
generazione che vuole far vedere ai “grandi” come il mondo sia cambiato, una generazione più
ottimista, ma anche più ambiziosa dei Millennials. Secondo la ricerca ben il 17% dei giovani vuole
diventare imprenditore di se stesso e mettersi alla prova creando qualcosa di suo.
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Il lavoro che cambia: la ricerca condotta da Umana

All’interno del panorama italiano Umana ha condotto una ricerca su 2.000 giovani con domande
mirate ad indagare le loro aspettative sul lavoro e su 41 imprese, in particolare HR Manager.

I risultati dello studio mostrano come oggi i giovani abbiano un approccio molto più pragmatico
al lavoro, considerato dal 94% uno “strumento per procurare reddito”, ma allo stesso tempo un
“luogo di impegno personale e autorealizzazione” (93%). Ecco, quindi, come l’offerta di lavoro ideale
è quella che corrisponde non tanto alle dimensioni e al prestigio dell’azienda, ma a criteri economici
oltre che alla coerenza con passioni, interessi e opportunità di carriera.

  Leggi anche:

  ■   Cercare il lavoro nell’era di LinkedIn, di Google e del digitale: guida e consigli pratici.

Non solo: il giovane della generazione Z è soggetto a demotivazione se non trova gli stimoli giusti e
se le sue capacità non sono adeguatamente valorizzate.

Parlando delle risposte date dagli HR Manager emerge, invece, come il titolo di studio sia una
condizione non necessaria (13%) e nella valutazione del candidato si presti maggiore attenzione alla
capacità di adattarsi (45%) e alle competenze digitali e in tema di nuove tecnologie.
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Proprio in questo la Generazione Z si distingue dai Millennials, con i primi molto più attenti
all’aggiornamento continuo. Si nota, a questo proposito, un interessante divario tra i due gruppi di
giovani, in cui la Generazione Z è la prima ad essere consapevole del fatto che esistono skills
digitali che vanno oltre la progettazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Infine, nella scelta dell’azienda per cui lavorare la Generazione Z dà maggiore valore alla flessibilità
oraria e al buon clima aziendale, mentre gli HR Manager apprezzano i giovani che abbiano fatto
esperienze all’estero.

In conclusione, in un mondo del lavoro che cambia in fretta sembra che le aziende dovranno lavorare
per assecondare le aspettative della Generazione Z, una generazione iperconnessa e, per
questo, molto esigente.

Il documentario “Tony Driver” di Ascanio
Petrini chiude la Settimana Internazionale
della Critica al Teatro Fusco di Taranto
Ultima giornata di proiezioni al Teatro Fusco di Taranto della SIC – Settimana Internazionale della
Critica, curata da Gemma Lanzo. Sette giorni che hanno permesso ad un pubblico, che è cresciuto
di serata in serata (e che, durante la giornata conclusiva, contava oltre 100 presenze), di ritrovare
voglia di esplorare, attraverso filmografie diverse ed alternative, le nuove rotte dell’immaginario e le
nuove geografie cinematografiche mondiali.

Il film di chiusura è stato l’irriverente ed amaro documentario “Tony Driver” del talentuoso regista
barese Ascanio Petrini, che racconta le idiosincrasie e i paradossi dell’America di Donald Trump.
Attraverso la vera vicenda umana di un deportato al contrario, Pasquale Donatone, americano di
origine italiana, tassista di giorno e trasportatore di migranti messicani di notte, che viene arrestato
e per evitare la galera viene estradato in Italia, finendo a vivere in una grotta a Polignano a Mare.

Il film parla di radici recise e di innesti che non sempre attecchiscono: Pasquale Donatone, che si fa
chiamare Tony Driver, non riesce a farsi una vita in Italia, patria che non sente propria, e cerca
disperatamente di tornare in America, per riabbracciare una ex moglie e due figli. Attraverso un
rocambolesco piano che prevede di scavalcare il muro fra Messico e Stati Uniti, percorrendo un
vasto deserto, assistiamo all’epopea di un antieroe, fra il Trevis Bickle di Taxi driver e il Willy Coyote
dei Looney Tunes, che non si arrende mai al suo destino e con il quale non possiamo fare a meno di
empatizzare.

In collegamento telefonico, il regista ha raccontato come il film sia evoluto da semplice
documentario quando ha conosciuto il protagonista, Pasquale Donatone, e la sua storia, che è poi
diventata centrale nella struttura del racconto.

Nei giorni di programmazione che abbiamo seguito, noi di Smart Marketing abbiamo assistito alla
proiezione di 6 lungometraggi e 5 cortometraggi, tutti a loro modo sorprendenti e esemplari di
cinematografie geograficamente, sentimentalmente o idealmente lontane dalla nostra, e proprio per
questo ancora più interessanti e stimolanti per tutti quegli spettatori curiosi e affamati di estendere
il proprio orizzonte visuale, emozionale e immaginativo.

Vi riproponiamo il titoli che abbiamo visto e che vi consigliamo di recuperare e vedere.
Lungometraggi (tutti in lingua originale sottotitolati in italiano):
Rare Beasts (Regno Unito) l’esordio alla regia della cantante britannica Billie Piper, che mette in
scena la vita frizzante ma complicata di una moderna casalinga disperata sullo stile dei film di
Almodovar, con un gruppo di interpreti effervescenti e perfettamente calati nei loro ruoli.

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El Principe (Cile, Argentina, Belgio) di Sebastian Muñoz (presente a Taranto). Un film cupo ed
ossessivo, a tratti disturbante, che mette in scena le dinamiche all’interno di un carcere maschile
all’arrivo di un giovane e affascinate detenuto. Il film accende i riflettori sull’amore omosessuale
all’interno di un perimetro ben definito come il carcere, con una fotografia magistrale ed una
scenografia che citano i quadri di Caravaggio e un gruppo di attori superlativo.
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Saydat Al Bahr | Scales (Emirati Arabi uniti, Iraq, Arabia Saudita), di Shahad Ameen. Una storia di
emancipazione femminile raccontata attraverso il mito ancestrale delle sirene. Girato in un bianco e
nero slavato molto evocativo, alle volte quasi espressionista, il film ha la sua forza nella
sceneggiatura e nella protagonista Hayat, che cerca in ogni modo di sfuggire al suo destino deciso
da una società profondamente maschilista.

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Sanctorum (Messico, Qatar, Repubblica Dominicana) di Joshua Gil. Un film che racconta la vita di
poveri contadini sfruttati dai cartelli della droga che li costringono a coltivare la Cannabis e vessati
dall’esercito regolare che cerca di porre un freno al traffico di droga. Su tutti e tutto però
sopraggiunge il castigo apocalittico di una natura lussureggiante e vendicativa. Il film è
caratterizzato da un contrappunto sonoro e musicale potente e da una fotografia superlativa.

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Bombay Rose (Regno Unito, India, Francia, Qatar) di Gitanjali Rao. La storia di amore fra una
ragazza indù e un giovane mussulmano sullo sfondo di una Bombay divisa fra il rispetto delle
tradizioni e il desiderio di modernità. La forza del film risiede nella tecnica di animazione 2D
utilizzata con colori molto saturi e vividi, che richiamano sia i film di Bollywood che l’arte pop,
tecnica molto complessa che ha richiesto 6 anni di lavorazione.

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Tony Driver (Italia, Messico) di Ascanio Petrini. Un documentario che racconta la storia vera di
Pasquale Donatone, cittadino americano di origine italiana che sperimenta una deportazione al
contrario quando viene cacciato dagli Stati Uniti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Amaro ed irriverente atto d’accusa all’America di Donald Trump girato come un road movie fra la
Puglia ed il confine messicano.

Cortometraggi (tutti in lingua italiana):
Fosca di Maria Chiara Venturini. Una favola nera che racconta la vita di una giovane cenerentola
immergendola in uno scenario preso di forza da un film di Tim Burton. La giovane protagonista vive
con il padre e i due fratelli che la vessano e maltrattano, ma la sua vendetta sarà cruda e spietata e
permetterà alla ragazza di affrancarsi dalla sua misera condizione. Una storia di emancipazione
femminile raccontata con gusto dell’orrido ed originalità.

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Monologue di Lorenzo Landi e Michelangelo Mellony. La storia drammatica di un cacciatore di
suoni e musicista che dopo il tradimento del suo migliore amico, piano, piano diviene sordo da un
orecchio. L’handicap trasformerà per sempre la sua percezione e la sua vita, che diventano mutilate
come il suo udito. Il film, inutile dirlo, presenta una interessantissima colonna sonora ed è girato in
uno stile che amalgama videoclip, documentario e cinema sperimentale.
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Destino di Bonifacio Angius. La storia di un dimesso e fallito borgataro, probabilmente vittima del
malocchio. La sua vita diviene sempre più sciatta, fino al giorno in cui addirittura perde la propria
nipote che aveva portato a spasso in passeggino. Una storia di periferie ed individui al margine
raccontata con uno stile quasi neorealista che strizza l’occhio a Pasolini.

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Il nostro tempo di Veronica Spedicati. Una storia lieve e delicata che racconta una famiglia del sud
Italia, concentrandosi sul rapporto fra un padre ed una figlia di 10 anni. Girato in Puglia, il film
celebra la bellezza struggente del paesaggio e ha la sua forza in un cast di attori che gira a
meraviglia, con la sorprendente interpretazione della giovanissima protagonista Emanuela Minno, al
suo esordio.
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Veronica non sa fumare di Chiara Marotta. La storia della diciasettenne Veronica che
frequentando Alessia ed i suoi amici entrerà in un mondo del tutto nuovo. Romanzo di formazione
che racconta il passaggio della fatidica linea d’ombra fra la fanciullezza e la vita adulta. Il film è
caratterizzato da uno stile di ripresa, un uso del suono, ed una colonna sonora in stile videoclip.

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Ultimi giorni di proiezioni della SIC -
Settimana Internazionale della Critica in
trasferta a Taranto
Due i film proiettati ieri alla SIC – Settimana Internazionale della Critica, che domani giunge al
termine dopo una settimana di proiezioni che piano, piano hanno avvicinato un pubblico sempre più
numeroso, che dapprima era solo curioso ma poi si è scoperto affascinato ed appassionato.

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e docente di cinema Angela Bianca Saponari e la critica cinematografica e curatrice della SIC
a Taranto Gemma Lanzo.

Ieri, per il penultimo giorno, in una serata tutta al femminile, curata dalla critica cinematografica
Gemma Lanzo, coadiuvata per l’occasione dalla critica e docente di cinema Angela Bianca
Saponari, è stato proiettato prima il corto “Veronica non sa fumare” di Chiara Marotta,
vincitore del Premio Miglior Cortometraggio della sezione SIC@SIC. Il film racconta quel delicato
passaggio dall’adolescenza alla maturità di una diciasettenne che entra in un gruppo di ragazzi
molto diversi da lei. La cifra del film è tutta nell’originale messa in scena, ed è girato come un
videoclip (l’autrice è un’esperta della materia). Inoltre presenta una calzante punteggiatura musicale
ed una fotografia che, spesso e volentieri, indugia in effetti visivi e sfocature che sottolineano lo
straniamento della protagonista che si appresta a varcare la fatidica linea d’ombra.

Se possibile, ancora più straniante è stata la proiezione del lungometraggio di animazione “Bombay
Rose” di Gitanjali Rao (evento speciale e film di apertura alla SIC di Venezia), realizzato con una
tecnica di animazione 2D, dipingendo a mano ogni fotogramma, procedimento che ha richiesto un
lavoro durato 6 anni. Il film racconta una storia di amore sullo sfondo di una Bombay disegnata in
caldi e sfolgoranti colori che celebrano da una parte i film della Bollywood e dall’altra l’arte pop.
L’autrice si immerge spesso nella tradizione indiana, consegnandoci uno spettacolo visuale profondo
e lieve allo stesso tempo, dove la poesia aleggia come il profumo dei gelsomini, i veri protagonisti
floreali della pellicola.

Quindi abbiamo altre due visioni che vi consigliamo caldamente di recuperare per ampliare
l’orizzonte visuale nel quale ci muoviamo; fidatevi, ne varrà la pena, imparerete a guardare il mondo
e le cose da altri, ed alti, punti di vista.
Continuano le proiezioni della SIC -
Settimana Internazionale della Critica in
trasferta a Taranto
La Settimana Internazionale della Critica è in pieno svolgimento a Taranto, ospitata negli eleganti
ambienti del Teatro Fusco.

Nel quinto giorno di proiezioni, come al solito, si sono visti un corto della sezione SIC@SIC ed un
lungometraggio fra quelli selezionati o fuori concorso.

Ieri è toccato al cortometraggio vincitore del premio alla regia “Il nostro tempo” della giovane
regista Veronica Spedicati, presente in sala e che noi abbiamo intervistato. Il corto è una poetica e
lieve esplorazione delle dinamiche parentali di una famiglia pugliese attraverso il rapporto fra un
padre e una figlia. Una bellissima fotografia e la bravura degli attori contraddistinguono questo
piccolo gioiello in cui spicca l’intensa interpretazione della giovanissima protagonista Emanuela
Minno, di soli 12 anni ed alla sua prima prova di attrice.

Una vera sorpresa il lungometraggio proiettato “Sanctorum” di Joshua Gil, che racconta delle vite
dei poveri abitanti di un piccolo villaggio dell’America latina costretti a coltivare e raccogliere piante
di cannabis dai signori della droga e per questo maltrattati anche dall’esercito che combatte i
cartelli dei narcotrafficanti. A risolvere e risollevare le misere vite dei contadini sarà la maestosa
natura in cui si svolge la storia: la grande foresta pluviale. Il film è uno strano ma riuscito mash-up
fra un film di fantascienza e uno drammatico in salsa ecologista, dove la vera protagonista è
l’intricata foresta che incombe minacciosa sulle vite di tutti gli uomini e che ricorda la natura
maligna del film “E venne il Giorno” di M. Night Shyamalan, filmata in una fotografia superlativa.

Due visioni da recuperare per accrescere il nostro immaginario e, grazie a ciò, comprendere meglio
il mondo in cui viviamo.

La SIC – Settimana Internazionale della
Critica dalla Città del Lido alla Città dei
Due Mari
Dal Lido ai Due Mari, da Venezia a Taranto, la SIC – Settimana internazionale della Critica è in pieno
svolgimento presso il Teatro Fusco, tutti i giorni di questa quarta settimana di ottobre, dalle ore
19:00 in poi.
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