L'ENIGMA DEL PARAGLUCOSO - Elio Distante

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L’ENIGMA DEL PARAGLUCOSO

    A cura di A. E. Distante e M. Poci.
    Relatore Distante A. Elio

 Nel “Corso di Lezioni cliniche”, dettate nel 1872 e raccolte nella sua opera Patologia e
Terapia del Ricambio Materiale, edita da Francesco Vallardi nel 1883, il Dott.
Commendatore Arnaldo Cantani*, professore e direttore di Clinica Medica nella Regia
Università di Napoli, descrive la sua scoperta, a pagina 308 della lezione XII, come di
seguito.
 Io veramente penso che non essendo probabile la diretta combustione dei zuccherini
nel sangue [...] il zucchero introdotto subisca in qualche luogo una trasformazione
preventiva, che ne renda possibile la finale combustione e decomposizione in acqua e
acido carbonico [...] e così anche [...] il zucchero, prodotto entro l’organismo dal
glicogeno, venga subito [...] in statu nascente, trasformato per la influenza del
rispettivo fermento in modo da diventare ulteriormente combustibile nel sangue stesso
[...]. Nel diabete questo fermento mancherebbe, non prodotto dagli organi destinati nel
sangue alla sua produzione, e quindi il zucchero inalterato, incombusto, lascerebbe
l’organismo, comparendo in molti secreti, specialmente nelle urine [...].
 Che il zucchero prodotto dal glicogeno “nel sano” sia lo stesso zucchero glucoso
destroso pare dimostrato completamente, ma non sarebbe necessario che il zucchero
dei “diabetici” fosse ugualmente glucosio destroso [...]. Io mi immaginava che questo
zucchero potesse differire dal vero glucosio per una minore fermentescibilità nel
sangue, per cui si sottraesse alla combustione [...] così una tarda o mancante
fermentazione ed ossidazione avrebbe potuto distinguere il zucchero diabetico dal vero
glucosio, anche senza che si conoscesse un’altra differenza chimica fra il zucchero del
sangue normale e il diabetico [...].
 Che cosa sappiamo noi di esatto dei tanti zuccherini che incontriamo negli organismi
viventi? Bisognerebbe essere troppo chimici e troppo poco fisiologi per credere che due
zuccheri che ugualmente rispondono alla potassa caustica od alla prova di Trommer o
di Fehling siano per questo solo fatto lo stesso zucchero!.
 Riporta infatti le esperienze di Vohl che trovò nelle urine dei diabetici uno zucchero
non fermentescibile, che forse era inosite, ma non glucosio; ed anche quella del
Campani che trovò nelle urine diabetiche un corpo organico che riduceva la soluzione di
Fehling quattro volte di più del glucosio, ma veniva precipitato dall’acetato basico di
piombo ed era privo di ogni potere rotatorio, ma di certo era uno zucchero “anormale”
non ancora chimicamente stabilito.
 Il Nostro pensa che questa trasformazione anormale degli zuccheri nel diabetico debba
ricercarsi in un’alterazione del fermento normale che invece di decomporre lo zucchero

*
  Cantani Arnaldo nasce nel 1837 ad Hainsbach (odierna Lipova in Slovacchia) dove il padre, di origine italiana, esercitava
la medicina. Si laurea a Praga nel 1860, dove resta quattro anni come assistente all’ospedale della capitale. Giunto in Italia
passa, in quattro anni, da professore straordinario di Farmacologia a Pavia (1864), a professore di Clinica medica e a
primario all’Ospedale Maggiore di Milano (1867); l’anno successivo diviene ordinario e direttore della II Clinica medica di
Napoli, dove rimane fino alla morte (1893), ricoprendo, nel 1888, la direzione della I Clinica medica, rimasta vacante dopo
la morte di Salvatore Tommasi (1813-1888).

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lo trasformerebbe soltanto in uno zucchero anormale [...] resistente nel diabetico ad
ulteriore trasformazione e combustione nei tessuti e nel sangue. Continua poi nel dire di
aver chiamato, già dal 1865, questo zucchero nuovo nel sangue diabetico col nome di
“paraglucoso” il quale potesse trasformarsi nei reni, convertendosi nelle urine a glucosio
vero. Ed ammettendo che questa fosse un’ipotesi fondata, cioè che lo zucchero nel
sangue diabetico era diverso da quello nelle urine diabetiche, bisognava però
dimostrarlo: pertanto, con l’aiuto del professor Paladino, nel giugno del 1872, e poi
ancora nel marzo 1873, salassò ogni volta quattro pazienti diabetici ricoverati: nel 1872
esaminò separatamente il sangue dei quattro salassati, mentre la seconda volta, nel
1873, riunì insieme il sangue dei quattro pazienti per sperimentare sopra una quantità
più grande il zucchero diabetico [...] e riporta che nel primo quanto nel secondo caso vi
fu un’evidente ed importante differenza fisica tra il zucchero del siero sanguigno e
quelle delle orine degli stessi ammalati.
 Descrive poi il metodo adoperato, ponendo cioè gli ammalati a dieta ricca di amidi e
zuccheri, e prelevando il loro sangue dopo aver notato un incremento dello zucchero
nelle orine emesse in precedenza. Separato il siero dal coagulo, una parte fu testata con
la soluzione di Fehling, ottenendo una manifesta riduzione, con un’altra parte si fece la
valutazione quantitativa dello zucchero che vi era contenuto: si ottennero concentrazioni
variabili, sotto lo 0,5% in due dei pazienti del 1872, mentre negli altri due tale
concentrazione era al di sopra del predetto limite. Invece nel siero di sangue rimasto dei
quattro diabetici, salassati nel marzo 1873, la quantità esatta del zucchero contenuto fu
di otto per mille [equivalente allo 0,8%].
 Proseguendo l’indagine, usando un polarimetro di Soleil-Ventzke, preso a prestito dal
professor Sebastiano de Luca, il Cantani testò le proprietà fisiche del zucchero e rilevò
che il zucchero del sangue diabetico non polarizza. Si esaminò ulteriormente dopo
aggiunta di acido solforico, ma ugualmente non polarizzò. In base alle predette
esperienze il Cantani concluse che il zucchero del siero sanguigno dei diabetici
somiglia completamente in tutto al glucosio delle orine diabetiche per le reazioni
chimiche come per la sua facoltà di fermentare, sotto l’influenza di lievito, e di dare
acido carbonico ed alcool: ne differisce unicamente per ciò che non polarizza la luce.
 Il Nostro continua il suo dire illustrando le metodiche seguite.
 Il sangue riunito [...] ci fornì duecentocinquantasei centimetri cubici di siero per
l’esame al polarimetro. Una piccola porzione di questo siero [...] fu sottoposta
separatamente alla più completa analisi chimica. Il peso specifico era 1026, la reazione
leggermente alcalina; per l’analisi del zucchero si è separata l’albumina con l’acido
nitrico ed anche con l’ebollizione, e poi si è filtrato; il liquido ottenuto [...], privo di
albumina, si è saturato (per l’eccesso di acido nitrico) con potassa caustica, e dopo [...]
si è ricercato [qualitativamente] il zucchero, tanto col metodo cupropotassico
[Trommer, Fehling et alii], quanto con quello della potassa semplice e con l’altro della
potassa e del magistero di bismuto [Böttcher]. Con i suddetti metodi si è avuta una
reazione molto spiccata e l’analisi quantitativa, con la soluzione titolata di Fehling
[...], diede per risultato la esistenza nel siero [...] di grammi otto per litro di zucchero
diabetico [0,8%].
 La porzione maggiore di questo siero [...] fu destinata all’esame con il polarizzatore
[...] e per renderlo limpido e trasparante e per toglierne ogni traccia di albumina, lo si
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è esposto alla temperatura di 60-70 gradi. Nel contempo si sono aggiunte due gocce di
acido acetico [...] poi tutta la massa si è passata per panno. Al liquido ottenuto si è
aggiunto acetato di piombo e indi si è filtrato [...] attraverso il filtro di carta svedese e,
contenendo eccesso di acetato di piombo, lo si trattava con idrogeno solforato e,
restando un po’ gialletto, lo si trattava con carbone animale*; il liquido, completamente
limpido, poteva osservarsi perfettamente al polarimetro.
 Benché [...] il polarimetro desse [già] un risultato evidente con cinque grammi di
glucosio per mille di acqua, si è [...] concentrato il siero al bagnomaria [fino] a
quindici grammi di zucchero per mille di siero limpidissimo, trasparentissimo, privo
[assolutamente] di albume, che potesse perturbare il risultato del polarimetro. Per il
confronto dello zucchero del sangue diabetico con lo zucchero delle orine diabetiche, si
è voluto sottoporre anche l’orina [...] al trattamento con l’acetato di piombo, con
l’idrogeno solforato e con il carbone animale per scolorarla.
 Il Cantani continua nella descrizione dei suoi esperimenti, scrivendo che il risultato fu
che mentre lo zucchero contenuto nella orina dei diabetici in esame deviava la luce
polarizzata a destra [+52°,74], quello contenuto nel siero di sangue degli stessi
diabetici restava indifferente, non provocava cioè alcuna rotazione al polarimetro.
 Eppure l’esame chimico sul siero di sangue dimostrava che la sostanza contenuta
riduceva il reattivo cupropotassico, e con l’aggiunta di lievito di birra produceva la
fermentazione alcolica, fino ad alcool ed acido carbonico, e che pur aumentando la
concentrazione serica all’1,5%, nonostante il polarimetro fosse sensibile già allo 0,5%,
lo zucchero del sangue non polarizzava e non era neanche invertibile, rimanendo
indifferente anche dopo il trattamento con acidi; non mostrava cioè potere rotatorio**.
 Il Nostro cerca di spiegare tale fenomeno, ammettendo un’alterazione qualitativa del
fermento che nel sano preparerebbe lo zucchero alla completa combustione, ma non
esclude la possibilità della mancanza di fermento per incapacità di produrne
dell’organo all’uopo deputato.
 Basandosi quindi sulla non combustione del zucchero nel diabetico, unitamente alla
diversità del zucchero del sangue e della orina del diabetico, il Cantani viene portato a
concludere che la causa organica produttrice del diabete, o meglio della melitemia
diabetica, consista in un perturbamento funzionale di uno o più organi e tessuti [...] che
producendo forse un fermento anormale fa esso stesso subire al zucchero
un’alterazione che lo rende intrasformabile, e quindi inetto all’ossidazione entro
l’organismo vivente” ed egli a conclusione di quanto detto si domanda ancora: … che
tessuto od organo è quello che, spiegando la sua influenza perturbatrice sui normali
processi di trasformazione dei zuccheri nell’organismo vivente, diventa la causa
dell’inservibilità del zucchero nel sangue diabetico e della sua trasformazione
anormale in paraglucoso? In altre parole, in quale tessuto od organo dobbiamo riporre
*
   Carbone animale, o nero animale, o carbone d’ossa, è quello che si ricava dalla distillazione secca di ossa
sgrassate o di sangue; si usa come decolorante ed anche come adsorbente.
**
   Il potere rotatorio è la proprietà comune a molte sostanze, otticamente attive in soluzione: esse, attraversate da
un raggio di luce polarizzata, fanno ruotare il piano di polarizzazione a destra o a sinistra (destrogiro o levogiro)
di un determinato angolo. Il potere rotatorio (specifico) è l’angolo di rotazione dato da una soluzione contenente
un grammo di sostanza attiva in un centimetro cubico, per lo spessore di dieci centimetri. Il potere rotatorio è
quindi influenzato dalla natura del solvente, dalla luce impiegata (lampada a vapori di sodio), dalla temperatura,
dalla concentrazione e dallo spessore dello strato liquido attraversato.
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la sede propria del processo diabetico? A questa domanda è anche oggi difficile
rispondere e cominciano le congetture, più o meno probabili, basate sulle nostre
sperienze e su alcune autopsie.

 I moderni metodi di misurazione della glicemia con l’enzima glucossidasi, con il
colorimetro e con il rifrattometro, dimostrano che lo zucchero del sangue è del tutto
simile a quelle delle orine del soggetto diabetico. In che cosa sbagliava allora il
Cantani? Forse nella concentrazione del liquido testato al polarimetro, o nella
temperatura della soluzione, o in che cosa altro? Di sicuro le conoscenze dell’epoca non
erano al massimo.
 Bisognerebbe perciò, a mio modesto avviso, ripetere oggi, se non è stato già fatto, la
prova al polarimetro, nelle stesse condizioni descritte dal Cantani, per scoprire la verità.
Oppure dobbiamo lasciare che il “paraglucoso” rimanga un enigma nella storia del
diabete?

                                                                  Convegno di Squinzano del 15.11.2008.
 Bibliografia

   •   Ambrosioni F., Dello zucchero nelle urine e nel sangue dei diabetici. Annali universali di Medicina,
       1835.
   •   Bouchardat A., De la glycosurie ou Diabete sucrè. Paris, 1875.
   •   Cantani A., Patologia e terapia del ricambio naturale. Vallardi. Milano, 1881.
   •   Capezzuoli S., Trattato di chimica organica. Firenze 1860.
   •   Castiglioni A., Storia della medicina. A. Mondadori. Verona, 1948.
   •   Dall’Olio G., Il controllo e l’autocontrollo della glicosuria nell’Ottocento. G.I.D.M. 24, 2004.
   •   Dall’Olio G., Diabete e laboratorio nell’Ottocento. La rivista italiana di medicina di laboratorio, 3,
       2007.
   •   Eichhorst H. L., Manuale dei metodi di esame fisico… I edizione. Milano, 1886.
   •   Introzzi P., Trattato italiano di medicina interna. Utet-Sansoni. Firenze, 1969.
   •   Primavera G., Manuale di chimica clinica. Androsio, III edizione. Napoli, 1883.

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GLICOSURIA DIABETICA: INDAGINI CHIMICO-CLINICHE NELL’OTTOCENTO

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     A cura di A. E. Distante e S. Lagravinese.
     Relatore: A. E. Distante.

      In un libro di Ceylon, dal titolo Yoga Ratnakere, tradotto dal sanscrito in cingalese trecento anni
    prima che Christie lo esaminasse nel 1817, il diabete veniva chiamato Madu-mèhè, cioè “urina di
    miele”, quindi il sapore dolce dell’urina era già conosciuto da tempo (A. Cantani, 1837-1893).
      Il medico greco Demetrio (nato nel 275 a.C.), allievo di Erofilo di Alessandria, distingue la
    poliuria dalla idropisia, chiamando la prima “diabete”.
      Areteo di Cappadocia (81-135 d.C.) chiama diabete la “urinae profluvio [...] carnium ac
    membrorum in urinam colliquatio [...] causa est” l’abbondante eliminazione di urina, che provoca
    grave dimagrimento [cap. II, De diabete, pg. 51].
      Aulo Cornelio Celso (I sec. d.C.) nel “Medicinae Libri Octo”, scrive nel Libro IV, Cap. XX [par.
    2, pg. 215] “At cum urina super [supra] potionum modum etiam sine dolore profluens maciem et
    periculum facit [...]” (descrive i sintomi del diabete, ma i latini lo chiamavano con altri nomi).
      Avicenna (980-1037 d.C.) a proposito del diabete dice che “…i reni assorbono dal fegato… gli
    umori che… poi non trattengono. Le urine lasciano depositare un residuo simile al miele”.
      Vittore Trincavella (1476-1568), professore a Padova, riferisce che alcuni parenti di un paziente
    diabetico, assaggiando la sua urina, l’avevano trovata uguale alla tisana da lui ingerita il giorno
    prima e, volendo dimostrare che nel diabete le bevande passano inalterate nelle urine, conclude in
    tutta fretta che la tisana era di sicuro zuccherata.
      Paracelso (1493-1541), nell’Opus Paramirum, ritiene, come anche i suoi seguaci, che il diabete è
    una malattia generale, con sede nel sangue, dovuta a un fermento di tipo salino, che provoca nel
    sangue un guasto e che, portato ai reni, produce la poliuria.
      Gerolamo Cardano (1501-1576), autore del “De Utilitate Ex Adversis Capienda…”, Basilea
    MDLXI, affetto anch’egli da diabete, fu il primo a raccogliere da una ragazza diabetica trentasei
    libbre di urina, quantità cinque volte superiore ai liquidi ingeriti con le bevande e i cibi; tale
    fenomeno, chiamato nel 1800 paradosso diabetico, venne studiato da Giuseppe Polli (1812-1880).
      Guillame Rondelet (1507-1566), nella “Opera Omnia Medica”, Ginevra, MDCXXVIII, collega il
    diabete con l’ereditarietà.
      Thomas Willis (1621-1675), nella sua “Pharmaceutice Rationalis”, alla Sez. IV, cap. III, De
    diabete (pp. 89-99) afferma che l’urina da lui assaggiata “quasi melle aut saccharo imbuta, mire
    dulcescebat”.
      Richard Morton (1637-1698) evidenzia nel 1696 il diabete nei padri e nei figli, e finanche in un
    bambino che aveva già perso tre fratelli per tale affezione.
      Matthew Dobson (1745-1784) asserisce che il “dolce” avvertito dal Willis era dovuto allo
    zucchero che entra nel sangue con gli alimenti e che, non venendo utilizzato, fuoriesce con le urine.
    Dimostra altresì la fermentazione alcolica ed acetica dell’urina diabetica, ed ottiene dalla sua
    evaporazione una massa bianca, del medesimo sapore dello zucchero bruno [di canna].
      Ma il merito maggiore, per avere precisato nel 1815, che lo zucchero, contenuto nell’urina dei
    diabetici, altro non era che glucosio (o zucchero d’uva), spetta al chimico francese Michel Eugene
    Chevreul (1786-1889)*, che così scrive nei suoi “Annales de Chimie”: … Chevreul, facendo
    concentrare l’urina in sciroppo chiaro e lasciandola a se stessa, ha ottenuto la sostanza zuccherina
    sotto forma di piccoli cristalli, simili a quelli che si producono nello sciroppo d’uva; li ha fatti
    sgocciolare, li ha pressati e li ha disciolti in alcool bollente; per evaporazione, spontanea e lenta,

*
  M. E. Chevreul nacque ad Angers il 31 agosto 1786 e morì a Parigi il 09.04.1889, all’età di centotre anni. Noto per i suoi
studi sugli acidi grassi, fu anche l’inventore della margarina e della candela stearica. Direttore della Gobelin, fabbrica di
tappeti, scrisse un trattato sul contrasto dei colori, che venne utilizzato anche dai pittori impressionisti, tra i quali Seurat. Fu
insignito di Medaglia al merito nel suo centesimo compleanno. Postuma gli venne dedicata una statua a Parigi.

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ha ottenuto dei cristalli di bianchezza perfetta che, esaminati comparativamente con lo zucchero
d’uva [glucosio], hanno presentato tutte le sue proprietà, come la cristallizzazione, la solubilità in
acqua e in alcool, la caratteristica di fondersi al calore moderato, ecc.
 La quantità di glucosio urinario può essere dedotta, dal potere rotatorio delle soluzioni, misurato
col polariscopio, inventato dal fisico e matematico francese Jean-Baptiste Biot (1774-1868), il cui
principio venne applicato al diabetometro, costruito dall’ottico Jean-Baptiste-Francoise Soleil
(1798-1878); nel 1854 Louis Jules Duboscq (1817-1886), ottico, pittore e fotografo, oltre che
successore e genero del Soleil, scopre il famoso colorimetro, che verrà impiegato postumo, nel
1887, rimanendo però nei laboratori per oltre un secolo.
 Altro metodo utilizzato fu quello della fermentazione alcolica del glucosio, ottenuta con l’aggiunta
all’urina diabetica della muffa della Torula cerevisiae.
 Per gran parte dell’Ottocento lo studio si incentrerà particolarmente sulla ricerca del glucosio
nell’urina con i reattivi cupropotassici usati nel 1841 dal chimico tedesco Carl August Trommer
(1806-1879), poi nel 1844 dal chimico francese Charles Arthur Barreswil (1817-1870), col suo
“liquido blu” e nel 1848 dal chimico tedesco Hermann von Fehling (1812-1885).
 Il reattivo del Fehling, ancora usato in alcuni laboratori, è costituito da una soluzione
cupropotassica, preparata sulla base di una soluzione di solfato di rame e di una liscivia di soda,
contenente il sale di Seignette (o di Rochelle, o cremore di tartaro). La positività del test, sensibile
anche alla quantità di 1 mg. di zucchero per litro di urine, viene svelata dal colore blu della
sospensione che vira al verde e dalla formazione di un precipitato rosso (ossidulo di rame); il
chimico americano Stanley Rossiter Benedict (1884-1936) propone la sua soluzione, variante di
quella del Fehling: si compone infatti di sodio citrato cristallizzato, carbonato anidro di sodio, cui si
aggiunge solfato di rame cristallizzato; il vantaggio di questa soluzione è la sua stabilità, non
necessitando quindi di preparazione al momento.
 Passiamo ora ad elencare i metodi, alcuni dei quali già esposti, illustrati da insigni personaggi
dell’Ottocento.
  Hermann Heichhorst, professore all’Università di Gottinga prima, e a quella di Zurigo poi, nel suo
  Manuale dei Metodi di Esame Fisico (o di Semeiotica) delle Malattie Interne (tradotto da Aurelio
  Bianchi, professore all’Università di Parma) elenca, per la ricerca dello zucchero nelle urine, le
  seguenti reazioni chimico-cliniche principali.
   - Con la potassa in soluzione concentrata si ottiene, riscaldando, un colore dal giallo al bruno.
   - Con la potassa in soluzione (2 cc.) e poche gocce di soluzione di solfato di rame al 2,5% si
  ottiene un colore azzurro scuro, e dopo riscaldamento si ottiene un precipitato giallo, o giallo
  rossastro, di ossidulo di rame, con decolorazione del liquido in provetta (Trommer, ecc.).
   - Con il sottonitrato di bismuto (ctg. 12) e 2 cc. di soluzione concentrata di potassa si ha una
  colorazione giallastra, o giallo bruna, o scura.
   - Con il bicromato di potassa al 5%; con 6 cc. di urina, 1 cc. di soluzione ed alcune gocce di acido
  solforico si forma un colore verde chiaro o scuro.
   - Pietro Grocco (1856-1916) propone una miscela di una parte di fenilidrazina cloridrato e 1,5 di
  acetato di soda in 20 parti di urina; si agiti e si ponga a bagnomaria per 15, 20 minuti. Si lasci
  riposare qualche tempo, poi si esamini il precipitato al microscopio: i cristalli fini gialli sono dati
  dalla combinazione del glucosio col reattivo, e sono bruni in urine cariche di pigmento…
   - L’Agostini con una soluzione di cloruro di oro all’1% e di idrato di potassio 1:20 ha ottenuto un
  reattivo sensibile già alla presenza dell’10/00 dello zucchero nell’urina: si versino in provetta 5
  gocce di soluzione aurica, 2 gocce di quella potassica e 5 gocce di orina, previamente
  decolorata: dopo ebollizione si ottiene un colore rosso vinoso.
   - Il George per la ricerca pratica dello zucchero, adopera l’acido picrico e la potassa. In una
  provetta mette 2 cc. di orina e 2 cc. di acqua, vi aggiunge un granello di potassa caustica e
  dell’acido picrico; fa poi bollire per mezzo minuto.
    I metodi per “dosare lo zucchero” sono moltissimi: uno buono, ma delicato, è quello della
  fermentazione, oggi quasi in disuso; ma potendo avere il polarimetro (di Soleil) si può con facilità
  e sicurezza conoscere la quantità di zucchero contenuto nell’orina: l’urina da testare per il

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contenuto in glucosio deve essere decolorata, facendovi cadere dentro alcune gocce di
sottoacetato di piombo, filtrando poi il tutto con nero animale [o carbone animale, o carbone
d’ossa, ricavato dalla distillazione secca di ossa sgrassate o di sangue; è molto poroso e adatto sia
come decolorante, sia come adsorbente in terapia], poi filtrare di nuovo finché essa non sia
limpida e incolore. Dopodichè, posto nel polariscopio il tubo con l’orina da esaminare, le due
metà del disco ottico divengono di colore diverso; oltre ad avere, in presenza di zucchero, la
deviazione a destra della luce polarizzata [per il glucosio è +52,74], sarà possibile dedurre il
contenuto in glucosio dell’urina in questione, dai gradi di rotazione della manopola, necessari per
far ridiventare azzurrine le due metà del disco, come erano ad apparecchio azzerato (ogni grado di
spostamento equivale a 2,256 g. di glucosio per litro).
  Una valutazione approssimativa si può ottenere esaminando i diversi colori ottenuti, facendo
bollire l’urina zuccherina con la potassa: se l’orina della capsula in cui si pone un pezzetto di
potassa assume, riscaldandola un colore malaga uniforme, il contenuto in zucchero potrà
calcolarsi intorno a 50 g. per litro; se tale colore occupa solo l’area centrale, 40 g. per litro; se il
colore è rosso-giallo cupo, 30 g. per litro; se sbiadito, 20 g. per litro; se color arancio, 10 g. per
litro; se il liquido diviene tutto nero, la quantità di glucosio presente è superiore a 50 g. per litro di
urina.
  Con il “liquore di Fehling” si ottiene un miglior risultato per l’esatto dosamento del glucosio:
qualora però l’urina sia carica di urati, bisognerà trattarla con soluzione di acetato nero di piombo,
indi filtrare; se è carica di albumina, trattare con acido acetico ed ebollizione; se ammoniacale,
con un eccesso di soda. Per il liquore di Fehling si preparano separatamente, a mite calore, tre
soluzioni: la prima con soda caustica (grammi 130 in 510 di acqua distillata); la seconda con
tartrato neutro di potassio, o sale di Seignette (grammi 160 in 110 di acqua). Mescolate a caldo le
due soluzioni, si aggiunga a poco a poco, agitando, la terza soluzione di solfato di rame (grammi
40 in 160 di acqua). Il liquido ottenuto è di un bel colore azzurro; si porta infine il tutto a 1155 cc.
e poi si filtra. Secondo il Fehling questo liquore, alla dose di 10 cc., è ridotto da 5 ctg di glucosio,
che lo scolora e provoca un precipitato rosso sangue. A tale proposito il Mayet propone la sua
tavola per facilitare tale calcolo: in essa infatti il reattivo usato è sempre di 10 cc., mentre la
quantità di glucosio varia da 50 g. per litro di urina a 0,50 g. per litro.
  Il nostro Francesco Roncati (1832-1906), primario medico al Manicomio di Bologna, nonché
professore di Igiene e Psichiatria nella stessa Università, dichiara che lo zucchero d’uva, al
contrario di quello di canna, in presenza degli alcali, ha una pronta e potentissima azione
disossidante e riduttiva. Dichiara altresì che la presenza reiterata e continua di zucchero,
associata a poliuria, e sete [polidipsia] e fame [polifagia] fuor dell’ordinario, nonché da
progressivo dimagramento [sui-consumo, phthisuria] qualifica la malattia detta diabete
zuccherino. Continua col dire che l’urina nel diabetico può contenere da 6 a 15 grammi di
glucosio, fino ad arrivare ad un chilogrammo nelle urine delle ventiquattrore, determinando da un
lato un’urina anormalmente pallida ed al tempo stesso di straordinario peso specifico, potendo
questo variare da 1030 a 1060. Elenca poi le proprietà della urina diabetica che ha grande potenza
di rifrazione della luce polarizzata facendola deviare a destra ed enumerando alcuni modi di
scoprire lo zucchero d’uva nella urina che per semplicità meritano [...] tanto riguardo [...] a
vantaggio dei medici di campagna.
  Tra questi metodi elenca i seguenti:
1) si fa cadere una goccia di urina diabetica su pezzetto di carta bianca, lasciandola evaporare al
calore della stufa [...]; essa si asciuga più lentamente dell’urina ordinaria oppure dell’acqua [...]
e lascia sulla carta una macchiuzza di sciroppo appiccicaticcio, la quale [...] rende la carta
stessa pressoché trasparente come farebbe l’olio.
2) un pezzetto di carta bianca da scrivere viene qua e la bagnato con urina diabetica; esposto a
forte calore di bragia [...] si ha rapida colorazione bruna: l’urina diabetica potrebbe scrivere
[...] come inchiostro simpatico.

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3) una goccia di urina diabetica, lasciato cadere su un panno di tinta scura, esposto [...] a
mitissimo calore affinché evapori lentamente [...], rilasciando una macchia bianchiccia alquanto
viscosa.
4) oppure l’esperienza proposta da un medico inglese [...]: si metta l’urina diabetica in un vaso
di terra cotta, sprovvisto di vernice da entrambe le sue superfici (un comune vaso da fiori);
l’urina imbeve tutta la grossezza delle pareti, e l’esterna superficie se ne copre [...] di una polvere
o [...] fioritura bianchiccia che è la sostanza zuccherina.
5) Metodo di Maumené: su un tessuto di lana [...], inzuppato di bicloruro di stagno e poi
disseccato, si lascia cadere una goccia di urina diabetica che, per successivo riscaldamento, vi
produce una macchia nera. Ma questo metodo [...] semplice e speditivo [...] ha il grave
inconveniente [...] dacché, oltre allo zucchero, anche altre sostanze idrogenocarbonate possono
dare un’eguale reazione.
6) Messa l’urina diabetica in un vaso, chiuso lassamente con carta, esposto a mite calore [...] ed
aggiuntovi un po’ di lievito di birra, dopo due giorni, se ne ha un odore come di mosto [...] e la
[sua] superficie comincia a coprirsi di muffa. Il fungo di tale muffa è la Torula cerevisiae [...].
Un’altra orina, non contenente zucchero, fermenta e fa muffa, ma ha odore di materie organiche
in putrefazione.
7) Reazione del Malaguti [...] - consiste nel far bollire urina diabetica, mista a parte eguale di
una soluzione concentrata di potassa, donde [...] il liquido prende un colore bruno miele, o
perfino nero di pece, dovuto al prodursi di acido melassico. Anche l’ebollizione con acido
solforico darebbe egual cambiamento di colore. Aggiungendo, dopo ebollizione, alcune goccie
d’acido nitrico, si potrà avere [...] il caratteristico odore di miele.
8) Reazione di Trommer – questa è la più difficile ad essere ben eseguita [...] e la più
raccomandata nei libri scolastici; si aggiungono all’urina, introdotta all’altezza di un pollice
circa in un tubetto, alcune gocce di potassa ed una o due gocce di soluzione di solfato di rame
[...]. Dapprima si ha un color giallo, per il sott’ossido di rame idrato, che poscia facendosi
anidro coll’ebullizione successiva, prende colore rossastro. Nel fare [tale] reazione […] deve la
quantità di potassa essere in eccesso, per bastare non solo alla scomposizione del solfato di rame
[…] ma anche per decomporre lo zucchero d’uva. Tutte le combinazioni dello zucchero cogli
alcali hanno la proprietà di impedire che gli alcali precipitino gli ossidi metallici […] perciò
l’ossido di rame non precipita dopo l’aggiunta di potassa […] ma il liquido, per l’ossido di rame
sciolto, assume un intenso coloramento azzurro […] si avrà già così un forte indizio della
presenza dello zucchero […] nel solo fatto della non precipitazione per l’aggiunta della potassa
[...].
Accenna poi al “liquore di Barreswil” ed al “liquore di Fehling”, avvertendo che col tempo e con
la luce essi si alterano, dando reazioni inattendibili.
9) Reazione di Böttcher – si espone “all’azione riduttiva del glucosio, invece dell’ossido di rame,
quello di bismuto. Si introduce poca quantità di urina in un tubetto con alcuni grani di nitrato di
bismuto; indi si fa bollire e poi si aggiunge soluzione di carbonato di potassa (una parte di
carbonato di soda cristallizzato su tre parti di acqua) in volume uguale a quello dell’urina e si fa
bollire di nuovo. Il nitrato di bismuto viene dapprima ridotto a ossido di bismuto, il quale è
gialliccio, ma - per la presenza di glucosio viene ridotto - a stato di sottossido, che ha colore nero.
  Avverte altresì di accertarsi che non esista albume nell’urina diabetica, nel qual caso deve venire
allontanato; raccomanda comunque questa reazione di Böttcher più di quella del Trommer, in
quanto [il reagente] non corre i pericoli della riduzione per opera di altre sostanze dell’urina,
all’infuori del glucosio, come appunto il protossido di rame.
10) Metodo di Trusseau e Dumontpallier che si esegue con la tintura di iodio, ma il Roncati ne
evidenzia la fallacia, in quanto non solo lo zucchero d’uva possiede proprietà di poter scolorare il
bruno della tintura di iodio, ma anche l’urina acida pel contenuto di acido urico (Corvisart) o per
l’urato di ammoniaca (Terreil).
11) Metodo di Cutton e Krause - in esso viene esposto all’azione riduttiva del glicoso l’acido
cromico o perossido di cromo, che viene ridotto, per disossidamento, a stato di protossido od

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ossidulo, talché l’urina se ne trova tinta in verde, anziché in rosso, come avverrebbe per l’acido
cromico.
  Per quanto riguarda poi la determinazione quantitativa dello zucchero nell’urina, in modo
semplice e veloce, indica il Metodo di G. Vogel che ha base nella reazione del Malaguti e su una
scala comparativa di tinte brunicce, ottenute sperimentalmente sopra ben note quantità di
glucosio […], dalle tinte meno cariche man mano fino alle più cupe e nere: tanti centigrammi di
zucchero d’uva in tanti grammi di liquido danno, per l’aggiunta della potassa e dell’ebullizione,
una tinta X [ics]; dunque un’urina diabetica […] conterrà, ogni tanti grammi, tanti centigrammi
di glucosio; ed un semplice raffronto, tra la piccola quantità esaminata e la complessiva quantità
delle ventiquattrore, ci darà la totalità dello zucchero uscito con l’urina nello stesso spazio di
tempo.
  Disapprova grandemente la valutazione quantitativa dello zucchero fondata sul solo peso
specifico; conclude con l’elencare molteplici situazioni in cui, per malattie infettive (meningite,
tubercolosi, ed altro), o per avvelenamento (cloroformio) o per eccessiva introduzione di zuccheri,
può verificarsi una glicosuria transitoria e temporanea.
  Anche il nostro Gaetano Primavera (1832-1899) da Ortona, professore all’Università di Napoli,
già allievo del professore Salvatore Tommasi (1813-1888), al quale dedica con riconoscente
affetto filiale il suo Manuale di Chimica Clinica, indica tre metodi analitici per la ricerca della
glicosuria.
  Cita per primo quello con la potassa che aggiunta, in cilindretto da tre centimetri, in una capsula
di porcellana, produce – previo riscaldamento ed ebollizione – un colore giallo canarino al
principio, poi passa al rosso ranciato e spesso ancora al colore del vino di Malaga, od anche al
nero quasi di inchiostro, variazioni queste che indicano la presenza del glucosio.
  Nel secondo metodo si pongono in una provetta 4 cc. di urina, aggiungendo mezzo volume della
soluzione di solfato di rame, indi vi si fa cadere un cilindretto di potassa caustica, lungo un
centimetro e il tutto si mescola ben bene; si riscalda sulla lampada fino alla prima ebollizione; [si
forma] un precipitato verde-bluastro al primo cadere della potassa che, rimescolando a freddo, si
trasforma in un magnifico liquido blu, per poi di nuovo precipitare col riscaldamento, sotto forma
di un corpo giallo ranciato, o rosso chermes, indicando la presenza del glucosio. E spiega il
perché: […] al principio succede lo sprigionamento dell’ossido di rame, che è appunto verde-
bluastro, perché la potassa si impadronisce dell’acido solforico; in un secondo tempo l’ossido si
ridiscioglie, dando una colorazione blu, perché esso, in presenza di un eccesso di potassa, si
combina al glucoso, formando il gluconato di rame, che è appunto di un bel blu e solubile.
Questo composto, che è poco stabile, specialmente al caldo, si scompone e da luogo […] alla
disossidazione dell’ossido di rame, divenendo quindi sottossido, altrimenti detto ossidulo di rame,
che è insolubile nei liquidi alcalini e di color giallo-ranciato, quando è idrato, e rosso-chermes
quando è anidro.
  Questo metodo, presentato nel 1841 da Carl August Trommer, a detta di Gaetano Primavera,
venne messo a punto per la ricerca dello zucchero nelle urine, dal nostro Serafino Capezzuoli
(1813-1888), allievo del chimico Gioacchino Taddei (1792-1860), in Firenze nel 1843, usando
l’ossido idrato di rame insieme alla potassa, dopo che il suo maestro, l’aveva usato per iscoprire
lo zucchero di latte in certi preparati chimici e del commercio e d’uso farmaceutico.
Nell’ammettere che: il Trommer aveva proposto il suo reagente di solfato di rame e potassa,
nell’essenza uguale a quello del Capezzuoli, precisa che tale reattivo venne usato dall’inventore
non per l’urine diabetiche, sibbene per distinguere i diversi zuccari fra loro, non meno che dalla
fecola, dalla destrina […] come ancora per la ricerca del glucosio nel chimo, nel chilo e nel
sangue, e non già nelle urine!
  Nel terzo metodo indicato dal Primavera si adopera il cromato di potassio, aggiunto ad un quarto
del volume della soluzione di 4 centimetri cubici di urina, posta in provetta; indi si fa bollire e si
verifica immediatamente dopo che vi si fa cadere, a poco a poco, da quindici a venti gocce di
acido solforico concentrato […], una magnifica colorazione verde smeraldo, [che] annunzia del
pari l’esistenza del glucosio – e continua scrivendo che – al cader dell’acido solforico, tutto

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l’acido cromico si mette in libertà, e allora questo cede la metà del suo ossigeno […] riducendosi
     a sesquiossido di cromo che, a sua volta, si combina con l’eccesso dell’acido solforico. […]
     Dall’un canto il glucosio si scompone […], dall’altra si forma il solfato di sesquiossido di cromo
     […] di un magnifico colore verde smeraldo.
       In questa breve, seppur onerosa rassegna di personaggi, non voglio tacere il nome del dottor
     Cesare Pratesi, allievo di Serafino Capezzoli (1813-1888), nell’Arcispedale di Santa Maria Nuova
     in Firenze, per avere egli proposto, nel 1873, alla Società Medico-Fisica Fiorentina, per la ricerca
     del glucosio nell’urina, dei reattivi allo stato secco, posti su una lamina di latta*, o su strisce di
     tela, da utilizzare al bisogno, immergendole nelle urine da esaminare ed osservando il colore che
     si sviluppa. Il Pratesi, con una comunicazione nel 1873 al giornale di Firenze Lo Sperimentale, e
     prima di lui il chimico francese Edme Jules Maumené (1818-1898), con una relazione del 1850
     alla Accademia di Scienze di Parigi, furono i precursori della dry chemestry, intendendo così
     venire incontro alla necessità - come dice il Nostro - di un processo facile e comodo, che non
     obbligasse il medico a portare a casa sua le orine, o al letto dell’ammalato dei liquidi incogniti e
     pericolosi, quali sono la soluzione di potassa caustica e l’acido solforico.
       Anche Frederick William Pavy (1829-1911) propose le Pavy’s pellets, palline reattive per la
     ricerca del glucosio nelle urine; ed ancora George Oliver (1841-1915) propose, nel 1883, le sue
     urinary test papers, strisce reattive che avranno miglior sorte, rispetto alle precedenti di Pratesi e
     di Maumené, perché più stabili e di più facile conservazione.
       Alcuni decenni più tardi (1954) comparirà il Clinitest della Ames*, contenente in una compressa
     i reattivi della metodica di Benedict; il calore necessario per la reazione viene prodotto dalla
     compressa stessa: la reazione genera un colore da confrontare con apposita scala. L’anno
     successivo compare anche l’Acetest per la ricerca dei corpi chetonici nelle urine. Nel 1956 a
     Dallas, nel Texas, Keston e Corner presentano all’American Chemical Association la prima
     striscia reattiva per la determinazione della glicosuria con metodica enzimatica (glucoso-ossidasi):
     nasce così il Clinistix della Ames.
       Nel 1967 compaiono i primi lettori della reazione cromogena chiamati “reflettometri”, perché
     funzionano con la lettura della luce che viene “riflessa dalle aree reattive delle strisce” e non con
     la lettura della luce “che passa attraverso le strisce”, come avviene per i colorimetri, già in uso da
     decenni. Nel 1968, sempre della Ames, nascono il Chetodiastix (glucosio e chetone) ed il Labstix
     (glucosio, chetoni e proteine).

       E qui mi fermo ringraziandovi per avere avuto la pazienza di ascoltarmi.

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*
  Il Pratesi scioglie a freddo, in 60 g. di silicato di potassa, g. 2,5 di potassa caustica e g. 2 di bicromato di potassio;
deposita poi, a più riprese, una goccia della soluzione anzidetta sull’estremità di listelle di latta (cm. 7X1), appositamente
preparate, asciugando ogni volta. Queste listelle, ben conservate, riscaldate al momento dell’uso, diventano più grosse e
giallicce: ponendo sull’estremità riscaldata alcune gocce di urina, e asciugando alla fiamma di lume o di candela, apparirà
una colorazione verde se l’urina testata contiene glucosio.
*
  Ames Company, oggi Bayern Diagnostic.

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