Il mondo verso un futuro post-pandemico - L'impatto geopolitico del Covid-19 sul sistema internazionale, il lascito del 2020 - Geopolitica.info

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Il mondo verso un futuro post-pandemico - L'impatto geopolitico del Covid-19 sul sistema internazionale, il lascito del 2020 - Geopolitica.info
Il mondo verso un futuro post-pandemico.
       L’impatto geopolitico del Covid-19 sul sistema
            internazionale, il lascito del 2020.
Approfondimento a cura di Alessia Sposini, con il contributo di Laura Cesarino, Eugenio Consiglio,
Ilenia Giannusa, Davide Lo Prete, Davide Marcantoni, Luca Mazzacane, Jessica Pulsone, Nicolò
Rascaglia, Alessandro Savini, Nicolò Sorio, Arianna Testa, Elisa Ugolini e Olga Vannimartini.

L’epidemia da Covid-19 ha ineluttabilmente modificato gli equilibri di potere all’interno del sistema
internazionale. In questo approfondimento si è cercato, dunque, di fornire un breve spunto circa gli
avvenimenti che hanno definito il filo narrativo del 2020. A partire dall’insorgere dell’epidemia e
dalle politiche di reazione ad essa adottate delle singole aree geopolitiche, l’analisi vuole porre le basi
per comprendere i presupposti strutturali sui quali si fonderà il 2021.

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Il Quinto Plenum: la risposta del dragone all’emergenza
                        sanitaria
A cura di Elisa Ugolini

Il 2020 è stato un anno estremamente complesso, la politica internazionale è stata notevolmente
scossa e influenzata dalla pandemia da Covid-19. La Repubblica Popolare Cinese, paese origine e
che quindi per primo si è trovato ad affrontare la crisi sanitaria, ha messo in campo diverse strategie
per contrastare l’emergenza e le relative ricadute sul sistema economico nazionale.

Il virus si ha, infatti, costituito inizialmente una battuta di arresto dell’internazionalizzazione
politica, culturale ed economica della Repubblica Popolare poiché ha esposto il paese alle critiche e
alla disapprovazione dei leader internazionali che hanno attaccato il governo di Pechino, colpevole
di una gestione fallace dell’epidemia.

Tra il 26 e il 29 ottobre scorso si è tenuto il Quinto Plenum del PCC, che ha avuto come obiettivi
principali quelli di formulare il quattordicesimo piano quinquennale di sviluppo economico e
sociale per l’arco di tempo 2021-2025 ed elaborare gli obiettivi a lungo termine per il 2035. Nelle
discussioni durante i quattro giorni di Plenum, è interessante notare che i delegati del Partito hanno
riservato poco spazio all’emergenza pandemica e alle relative conseguenze economico-internazionali.

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Ciò non vuol dire che il Covid-19 non abbia pesato enormemente sulla riunione che avrebbe dovuto
approvare obiettivi di crescita ambiziosi ma alla prova dei fatti oggi starebbe considerando di fissare
la soglia del 5% come l’unica possibile dopo la brusca frenata economica dovuta al Covid-19.

Al contrario, due tematiche hanno avuto particolare rilevanza: quella che viene definita come “dual
circulation strategy” (doppia circolazione) e l’autosufficienza tecnologica. La “dual circulation
strategy” rappresenta il tema cruciale del quattordicesimo piano quinquennale (2021-2025), come
abbozzato in occasione del Quinto Plenum. Per garantire pertanto lo sviluppo economico post-
emergenza la Repubblica Popolare Cinese punterà molto sulla doppia circolazione, ovvero una
strategia economica che riesca a bilanciare la circolazione economica interna con quella
internazionale; ciò implica l’intenzione di puntare sullo sviluppo economico domestico a fianco di
quello internazionale. Altro tema cruciale per il Quinto Plenum, pertanto, è la volontà del dragone di
conseguire l’autosufficienza tecnologica, e pertanto concretizzare l’autonomia completa in tale
settore. Infine, durante il Plenum è stata inoltre definita, seppur non dettagliatamente, la strategia a
lungo termine per il 2035.

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La risposta dell’UE al Covid-19: un passo in avanti nel
                 processo di integrazione
A cura di Eugenio Consiglio

Il Covid-19 ha cominciato a diffondersi in Europa da febbraio e a partire da inizio marzo i Paesi più
colpiti (l’Italia, seguita da Francia, Regno Unito e Spagna) hanno imposto diverse misure restrittive
e di quarantena sull’intero territorio nazionale. La pandemia ha determinato in Europa la più grave
crisi economica dal secondo conflitto mondiale e ha avuto un impatto pesantissimo sui sistemi
sanitari, anche a causa dell'alta percentuale di anziani tra la popolazione. Anche le aree meno toccate
dal virus in primavera (come la Germania e l’Est e Nord Europa) durante la seconda ondata autunnale
sono state colpite duramente. In Europa il Covid ha avuto un impatto molto più pesante rispetto a
Paesi dell’estremo oriente come Taiwan, Corea del Sud e Giappone. Questi ultimi hanno da subito
puntato ad un tracciamento tramite le app, rese obbligatorie. Tale sistema ha limitato la diffusione
del virus e le misure restrittive, ma in Europa non è stato replicato in maniera altrettanto funzionale
anche a causa di questioni legate alla tutela della privacy.

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A ciò si è aggiunta la scarsa efficienza degli apparati pubblici europei: i complessi sistemi decisionali
dei Paesi si sono rivelati inadeguati nel gestire la pandemia, rendendo evidente lo scarto tra le
democrazie orientali, basate sulla dimensione collettiva, quelli occidentali fondati sui princìpi liberali
in cui prevalgono le istanze individualistiche.

La pandemia ha segnato un passaggio storico per l’integrazione europea, soprattutto sul piano
economico. Dopo iniziali esitazioni e lunghe trattative, a luglio, i paesi Ue hanno deciso di dar vita
ad un programma comune di investimenti per il rilancio dell’economia, NextGenerationEu: 750
miliardi divisi in grants (finanziamenti a fondo perduto) e loans (prestiti a tassi favorevoli a
lunghissima scadenza). Il piano rappresenta una svolta in quanto per la prima volta, in aggiunta al
budget costituito dai contributi dei Paesi membri in proporzione al loro PIL, l’Ue si dota di un bilancio
vero e proprio, finanziato tramite l’emissione di titoli garantiti dalla Commissione. A marzo, la
Presidente della BCE Lagarde, aveva già dato il via al programma PEPP, un massiccio piano di
acquisto di titoli pubblici degli Stati da parte della BCE per un valore di 1850 miliardi. Tale
programma ha impedito il ripetersi della crisi dei tassi di interesse dei titoli pubblici come era
accaduto nel 2011, consentendo ai Paesi più in difficoltà di potersi finanziare con tassi di interesse
vantaggiosi. Inoltre, il piano comune europeo per i vaccini che alla fine di quest’anno ha fatto
partire una campagna vaccinale comune in tutti gli Stati ha dato un importante messaggio di unità e
solidarietà. NextGenerationEu, gli interventi della BCE e la campagna vaccinale hanno dimostrato
la volontà dell’UE di imporsi come attore decisivo e indispensabile per debellare il virus e rilanciare
l’economia portando avanti nel processo di integrazione.

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Covid-19: il protagonista del dibattito americano
A cura di Alessandro Savini

Il 2020, anno delle elezioni presidenziali per gli Stati Uniti, è stato inevitabilmente segnato ed
influenzato dalla pandemia di Covid-19, dichiarata come tale dall’Organizzazione Mondiale per la
Sanità (OMS) l’11 marzo. Infatti, è chiaro che la pandemia abbia giocato un ruolo chiave per quanto
riguarda gli equilibri politici interni nonché per la stabilità del sistema economico e sanitario
americano. In questo contesto, se prima dell’arrivo del Covid-19 l’esito delle elezioni sembrava
sostanzialmente scontato, la gestione ondivaga e poco chiara del virus da parte dell’Amministrazione
Trump ha cambiato le carte in tavola, portando una larga fetta di indecisi a votare per Biden piuttosto
che per il tycoon. Inoltre, la pandemia ha portato obbligatoriamente ad un ripensamento delle
campagne elettorali dei due candidati nonché delle Convention – anche se quella repubblicana si è
svolta in presenza – dei dibattiti e dello stesso voto. A proposito del voto, molti americani hanno
deciso di votare anticipatamente o per posta generando – all’indomani dell’Election Day – una serie
di accuse da parte del presidente Trump riguardo alla presunta illegalità del voto, poi sfociate in cause
legali che non hanno avuto nessun riscontro positivo. Il Covid-19 ha anche compromesso i rapporti
tra Washington e l’OMS.

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A metà aprile, il Presidente Trump aveva deciso di sospendere i fondi per un periodo tra 60 e 90
giorni accusando l’Organizzazione di aver gestito in maniera disastrosa la pandemia da Covid-19 e
di aver insabbiato, insieme alla Cina, la diffusione dell’epidemia. Il Presidente americano ha poi
criticato l’OMS per non aver agito abbastanza in fretta per contenere il virus e di essersi fidata dei
dati forniti da Pechino. Successivamente, il tycoon ha annunciato l’interruzione delle relazioni con
l’Organizzazione, accusandola di essere sottomessa a Pechino e di aver gestito in maniera disastrosa
la pandemia.

Tuttavia, il Coronavirus, oltre ad aver influenzato in maniera negativa la popolarità di Trump –
passata dal 48% di marzo/aprile al 38% di settembre/ottobre –, il suo operato e le elezioni
presidenziali, ha avuto un impatto disastroso sul sistema sanitario americano, sull’economia e sulla
disoccupazione – arrivata ai massimi storici. Gli Stati Uniti, infatti, sono stati uno dei paesi più
colpiti dal virus avendo raggiunto quasi 350mila morti. Da segnalare è sicuramente il piano record da
2 miliardi di dollari di aiuti economici (The Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act) in
risposta alla pandemia: una cifra senza precedenti nella storia degli Stati Uniti che ha dato man forte
a famiglie ed aziende, sotto forma di assegni di sostegni al reddito, prestiti e salvataggi per imprese
grandi e piccole. Nonostante l’economia e la disoccupazione si stiano riprendendo grazie anche a tale
piano, Washington sta ancora combattendo contro il virus. In questi ultimi giorni dell’anno però è
partita la campagna di vaccinazione: il presidente eletto si è posto come obiettivo quello di
somministrare 100 milioni di vaccini nei suoi primi 100 giorni di mandato e ha dichiarato di voler
utilizzare il Defense Production Act per accelerare la produzione di vaccini. Una cosa è certa: il
Covid-19 sarà assolutamente la priorità per Biden sin dall’Inauguration Day e la nomina di Xavier
Becerra come Segretario della Salute ne è una prova.

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Il rapporto centro-periferia e lo Sputnik V: la gestione
         della pandemia nella Federazione Russa
A cura di Luca Mazzacane e Nicolò Sorio

La Federazione Russa non è stata esente dalle gravi ripercussioni della pandemia di Covid-19. Il
Cremlino ha dovuto far fronte ad un aggravarsi della frattura centro-periferia, accentuata non solo
dalla crisi economica, ma anche dalla distanza istituzionale che, in questo caso, si traduce in uno
sviluppo asimmetrico dell’apparato sanitario. Emblematico è il fatto che, ad oggi, non vige alcuno
stato di emergenza, non vi sono cioè variazioni sostanziali dell’assetto istituzionale. Sono stati
emanati alcuni decreti presidenziali volti a lasciar margine di manovra ai governatori regionali. Non
si può, quindi, parlare propriamente di redistribuzione di potere verso le entità federate, ma piuttosto
di un tentativo, da parte del governo centrale, di condivisione di responsabilità. Nonostante ciò, si è
assistito all’emergere di figure politiche regionali carismatiche che si sono distinte nella lotta al virus.
Eretto a “flagman delle restrizioni”, il sindaco di Mosca, Sergey Sobyanin, è divenuto un punto di
riferimento non solo per la capitale, ma anche per le regioni vicine, esprimendo più volte il
malcontento dovuto alle posizioni del Cremlino nei confronti della pandemia.

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Difficile immaginare l’ascesa di una nuova leadership, il “se non Putin, allora chi”, dei primi anni
2000, rimane un motto ancora comune, tuttavia un recente studio del Levanda Center riporta che, in
media, i governatori regionali godano dello stesso consenso del Presidente. La popolarità è però un
fattore nel gioco della colpa, di difficile previsione con l'aumentare del pedaggio del virus.

L’avvento della pandemia ha rappresentato anche un’opportunità per la Federazione Russa per
ribadire il suo status quo nel teatro internazionale. Fin dalla prima ondata virale la Russia ha deciso
di intraprendere una corsa al vaccino indipendente. Il progetto, risultato come il primo vaccino da
Covid-19 registrato nel mondo, ha suscitato non pochi dubbi. I motivi di incertezza vertono sulla
velocità nella realizzazione dell’antidoto e sulla mancanza di dati sulla ricerca che ne ha portato al
campionamento. La corsa al vaccino ha presto assunto una forte connotazione politica, creando una
competizione tra le iniziative russe e quelle statunitensi. Stati come Argentina, Brasile, Bulgaria,
Israele, Messico e Uzbekistan hanno deciso di avviare la somministrazione del vaccino russo. La
collaborazione con Gerusalemme apre di fatto le porte al commercio dell’antidoto con il Medio
Oriente, dove la Russia rappresenta un portatore di interessi ben oltre il campo medico-sanitario. La
Bulgaria potrebbe essere il primo membro europeo a scegliere il prodotto russo rispetto alle
alternative occidentali. Nuovi dubbi circa l’affidabilità dello Sputnik V sorgono con la scelta di
affidare la produzione all’India, già sanzionata in passato per non aver rispettato le vigenti regole
internazionali sui principi attivi e le modalità di produzione. Il sostegno indiano servirà a mantenere
le promesse russe, che prevedevano un primo stock di 30 milioni di dosi, ma che al momento ne conta
a malapena cinquemila.

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Covid-19 nell’area del MENA, quanto sono cambiati gli
                  equilibri regionali?
A cura di Nicolò Rascaglia, Jessica Pulsone, Davide Marcantoni e Laura Cesarino

La pandemia di Covid-19 ha gravemente colpito anche l’area del Medio Oriente e del Nord Africa
(MENA). Dall’inizio della pandemia, sono stati stimati più di 4 milioni di casi positivi, di cui 2 milioni
in Turchia e più di 1 milione in Iran, i due paesi più colpiti. Le misure adottate dai vari Stati della
regione non sono state omogenee: Paesi come Tunisia, Libano e Israele hanno optato per un lockdown
totale o parziale, mentre altri come Turchia, Egitto e Iraq hanno invece adottato misure meno
drastiche come coprifuochi notturni o limitazioni alla circolazione per fasce di età. In numerosi Paesi,
il Covid-19 ha agito come un vero e proprio acceleratore di crisi già in atto. In Libano, ad esempio,
la crisi sanitaria si è aggiunta ad una crisi finanziaria iniziata mesi prima ed ulteriormente esacerbata
dalla dichiarazione di default e dall’esplosione del porto di Beirut. Secondo le stime ONU il tasso
di povertà del Libano è passato dal 28% del 2019 al 55% del 2020.

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In altri teatri di crisi come in Siria, Libia e Yemen, il nuovo Coronavirus ha ulteriormente colpito le
popolazioni locali, già estenuate da anni di violenti conflitti civili. Secondo le stime del Fondo
Monetario Internazionale, fra il 2020 e il 2021, le economie dei Paesi MENA subiranno una
contrazione media del -4,1% del PIL, che raggiungerà il -6,6% per i paesi esportatori di petrolio. La
United Nations Economic and Social Commission for West Asia (UNESCWA) prevede che la
pandemia farà scivolare sotto la soglia della povertà altri 8,3 milioni di persone nella regione,
determinando un drammatico aumento delle diseguaglianze sociali. Un altro dei settori più
danneggiati dall’emergenza Covid-19 sarà quello turistico. Secondo l’Organizzazione Mondiale del
Turismo (UNWTO), da gennaio a ottobre si è registrato un calo del 76,3% nell’afflusso di turisti
internazionali in Nord Africa. Anche il turismo religioso ha risentito di una brusca frenata, il caso più
eclatante è quello dell'Arabia Saudita, che per la prima volta ha sospeso il pellegrinaggio a Mecca,
che richiamava più di due milioni di pellegrini l’anno. La pandemia ha provocato anche una brusca
frenata della domanda di idrocarburi. Le economie dei cosiddetti “rentier states” hanno fortemente
risentito dello shock del mercato petrolifero e tra marzo e aprile 2020 il Brent oil ha toccato i 20
dollari al barile, perdendo il 70% del suo valore. La pandemia globale, tuttavia, non sembra aver
inciso in maniera decisiva né sui teatri di guerra come Libia, Siria e Yemen dove gli scontri si sono
protratti per quasi tutto l’anno, né sui fragili equilibri di potere regionali. Essa sarà dunque un'ulteriore
sfida con la quale i principali attori dell'area dovranno confrontarsi.

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Tra rigurgiti autoritari e recessione economica: come
     cambia il volto dell'America Latina ai tempi del
                        Coronavirus
A cura di Ilenia Giannusa

L'America Latina resta una delle regioni del pianeta più colpite duramente dalla pandemia, con circa
sessanta milioni di casi e 1.4 milioni di morti. Malgrado ciascun paese abbia vissuto situazioni
specifiche differenti in relazione alle conseguenze socio-politiche, una costante rimane: la pandemia
ha palesato e in alcuni casi acuito degli evidenti limiti strutturali, economici e politici della regione,
intensificando i rigurgiti autoritari, esacerbando le tensioni sociali e le disuguaglianze. La crisi
economica causata dal Covid-19 e il già evidente indebolimento democratico, non hanno fatto altro
che rafforzare il malcontento nelle piazze, in molti casi già presente prima che il virus si abbattesse
sull'America latina. Infatti in molti casi, la scarsa gestione della pandemia, dovuta ad evidenti deficit
nei sistemi sanitari nazionali, sommata alle conseguenze economiche del confinamento e alle
decisioni politiche prese nella fase emergenziale, hanno riacceso le proteste sociali delle classi sociali
più colpite. Alla richiesta di un miglioramento dei servizi pubblici quindi si è resa necessaria
l'esigenza di rinnovamento politico, di una democrazia più forte, di istituzioni meno corrotte.

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Non sempre tuttavia la risposta dei governi è stata positiva, anzi in molti casi, come in Cile e in
Bolivia, la pandemia è stata sapientemente sfruttata per rimandare gli appuntamenti elettorali. In altri
casi invece la crisi sanitaria non ha impedito che i risultati elettorali venissero manipolati o che le
opposizioni fossero silenziate. Inoltre si evince, in maniera trasversale, la tendenza insita nella cultura
latinoamericana ad affidarsi a uomini forti, leader politici il cui ruolo salvifico viene invocato per
trascinare il popolo fuori da qualsiasi crisi. I governi nazionali hanno agito com'è facile agire in un
momento di urgenza e rischio: accentrando ancor più i poteri governativi tramite decreti d'urgenza,
militarizzando il territorio e rafforzando i poteri delle forze di polizia, favorendo così, con la scusa
del controllo, anche la repressione politica. Dal punto di vista economico il Covid-19 ha dato il colpo
di grazia alla regione che registra il più alto tasso di disuguaglianza del globo. Con la pandemia sia
FMI che Cepal (Economic Commission for Latin America and the Caribbean) stimano una recessione
dell'area del 5.2%, causata dal crollo del commercio mondiale e dalla conseguente caduta dei prezzi
delle materie prime, una delle principali fonti di introito della regione. Riguardo ai prossimi mesi lo
scenario delineato rimane critico: la Cepal anticipa addirittura un aumento della povertà per 34
milioni di abitanti nella regione. Le conseguenze economiche dell'America Latina si avvertono anche
con i principali partner economici dell'area, in primis l'Unione Europea e la Cina, grande compratore
di materie prime e tra i primi fornitori di crediti.

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L’Africa e il diffondersi della pandemia
A cura di Olga Vannimartini
L’espandersi dell’epidemia di Covid-19 ha inevitabilmente comportato la sua diffusione anche in
Africa. Mentre il virus è stato lento a raggiungere il continente rispetto ad altre parti del mondo,
l’infezione è cresciuta in modo esponenziale e continua a diffondersi; dal primo caso di Covid-19 in
Africa Subsahariana, registrato in Nigeria il 28 febbraio, si è arrivati oggi a oltre 2 milioni di casi e
quasi 50 mila decessi.

Oltre alla fragilità del sistema sanitario – si pensi che in Africa è presente solo il 3% del personale
medico mondiale, nonostante vi siano sul suo territorio circa il 24% delle malattie a livello globale –
un’ulteriore preoccupazione riguarda le inevitabili ripercussioni economiche. Una serie di fattori,
come l’impatto causato dal crollo dei prezzi del petrolio, l’interruzione degli scambi e delle catene
globali dei valori, il blocco del turismo e degli investimenti diretti esteri, nonché il crollo dei
mercati finanziari, influiscono negativamente sull’economia dei Paesi africani. Secondo lo studio
dell’Unione Africana “Impact of the Coronavirus Covid-19 on the African Economy”, l’elevata
dipendenza delle economie africane rispetto alle economie estere prevede una ricaduta economica
negativa per il continente, si prevede che la crescita nell'Africa subsahariana scenderà a -3,3% nel
2020, spingendo la regione nella sua prima recessione in 25 anni.
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La contingenza economica ha portato quindi a un inevitabile aumento del debito; le stime dicono
che alla fine dell’anno corrente il debito mondiale aggregato, che include il debito di stati, imprese e
famiglie, raggiungerà quota 277.000 miliardi di dollari, pari al 365% del PIL mondiale. Questa
situazione va a peggiorare quello che già prima del propagarsi della pandemia era definito come una
delle peggiori crisi debitorie del continente. In tal senso i Paesi del G20 in aprile avevano lanciato
l’Iniziativa di Sospensione del Pagamento del Debito (Debt Service Suspension Initiative -DSSI-) per
73 paesi a reddito medio e basso, estesa poi fino al 30 giugno 2021.

La sospensione però, che garantirà ai Paesi aderenti una cifra vicina a 5 miliardi di dollari, è vincolata
all’uso delle risorse liberate per spese sociali e sanitarie legate al contrasto del Covid-19. Il supporto
internazionale nella lotta a questa sfida globale continuerà ad essere indispensabile, ma riscrivendo
allo stesso tempo il rapporto che i Paesi africani hanno con gli attori esteri. "Anche se la pandemia
non è finita e la persistenza e la diffusione del virus è incerta, i governi africani hanno iniziato a
mettere in atto politiche e programmi per sostenere una ripresa inclusiva e sostenibile post-
pandemica", ha detto Hafez Ghanem, Vicepresidente della Banca Mondiale per l'Africa orientale e
meridionale.

"I paesi stanno mettendo in atto politiche e programmi che aiutano a creare posti di lavoro e ad
accelerare la trasformazione economica per ridurre l'impatto economico della pandemia ora, e
costruire le capacità necessarie per garantire una crescita economica inclusiva in futuro".

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Dall’aumento delle minacce in rete, alla violazione della
libertà d’informazione: come la pandemia ha sconvolto
                    il cyberspazio
A cura di Davide Lo Prete e Alessia Sposini

La pandemia globale ha mutato notevolmente lo scenario globale del cyberspazio: ha rivelato, infatti,
maggiori e nuove vulnerabilità. I fatti più recenti dimostrano come gli attacchi informatici siano stati
sempre più indirizzati alle infrastrutture critiche, in particolare alle strutture sanitarie. Nel corso
dell’anno si sono susseguiti numerosi cyberattacks ad ospedali e centri di ricerca, essenziali nella
lotta contro il virus.

Due eventi sono rappresentativi di questa evoluzione. Il primo ha interessato, nel mese di marzo, gli
Stati Uniti. La sera del 16 marzo, infatti, lo Health and Human Services Department è stato colpito
da un attacco informatico che ha rallentato i server e ha diffuso il falso messaggio di una quarantena
nazionale                                                                                   imminente.
Sebbene non sia stato possibile individuare l’autore, si ritiene che l’attacco sia partito da un attore
statale.

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Col proseguire della pandemia, gli attacchi informatici sono stati indirizzati sempre di più sui centri
di ricerca sul vaccino. È il caso del notevole attacco perpetrato ai danni dell’Agenzia europea per i
medicinali (EMA). Il settore sanitario è stato sempre un obiettivo strategico, per la funzione vitale
che svolge all’interno dello Stato. In condizioni di emergenza, quali quelle provocate dalla pandemia,
gli ospedali e i centri di ricerca sono diventati delle preziose fonti di informazioni, oggetto, quindi, di
attacchi disruptive finalizzati all’interruzione del funzionamento delle strutture, o operazioni di
cyberspionaggio, perpetrate da attori statali per acquisire informazioni vantaggiose per la corsa al
vaccino.

Complessivamente, nel primo semestre del 2020 è stato registrato un incremento del 7% degli
attacchi informatici – soprattutto di opere di social engineering e phishing –, come segnalato
dall’ultimo Rapporto Clusit. Non solo, all’interno del dominio digitale c’è stato l’insorgere di una
pandemia parallela: l’Infodemics. Col termine “infodemia” s’intende la sovrabbondanza di
informazioni disponibili, soprattutto in rete, molte delle quali fuorvianti, se non totalmente false (fake
news). Varie le iniziative a livello internazionale per contrastare l’epidemia informativa, tra queste
quella della Commissione europea con il Codice di Condotta sulla Disinformazione. Il Codice
vuole assicurare la libertà di espressione e la presenza un dibattito democratico pluralistico. Così
come l’empowerment dei cittadini, il rafforzamento della consapevolezza e l’aumento della resilienza
sociale, tramite la garanzia del libero accesso all’informazione. A tal proposito, alcuni Governi
hanno operato una stretta autoritaria giustificata dalla necessità di filtrare l’accesso e la distribuzione
delle informazioni mediante l’utilizzo di Internet Shutdown o kill switches, interruzioni intenzionali
del servizio Internet o telefonico in un’area geografica – o per una popolazione – specifica, al fine di
controllare il flusso di informazioni, stando alla definizione di Access Now. Tra i governi che hanno
adottato lo shutdown di Internet a causa del Coronavirus, vi sono Etiopia, India, Bangladesh e
Myanmar.

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L’impatto del Covid-19 sul settore turistico: bilancio
                         finale
A cura di Arianna Testa

Il turismo è tra i settori più duramente colpiti dalla pandemia di Covid-19 e influenza peraltro diversi
settori collaterali, come la ristorazione, i trasporti o il commercio al dettaglio. Il 2019 si era chiuso in
positivo, con una crescita del 6% rispetto al 2018, una spesa turistica di 84 miliardi, 127,5 milioni di
arrivi e 434,1 milioni di presenze.

Con l’esplosione della pandemia di Covid-19, tuttavia, l’Italia ha registrato sin dal primo trimestre
una flessione vertiginosa: da gennaio a marzo 2020 gli arrivi internazionali sono calati del 38,2%, un
dato destinato a scendere sempre di più fino al -74,3% registrato all’inizio dell’estate.

Con la fine del lockdown la stagione estiva è stata vista come la chiave per la ripresa, almeno parziale,
del settore. Tuttavia, il turismo incoming, nonostante le riaperture dei confini in ed extra UE, ha
accusato un impatto significativo. Si è registrato infatti il 64% in meno di turisti pernottanti (pari a
circa 40 milioni di visitatori).

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Alla fine dell’estate, gli arrivi aeroportuali sono stati del -83% e per quanto riguarda le prenotazioni
dall’estero, l’Italia ha perso il 91,4% per il periodo giugno-luglio e il 92,5% per il periodo agosto-
ottobre.

Àncora di salvezza per la stagione è stato il turismo domestico, settore ampiamente sottovalutato in
favore del ben più redditizio incoming ma l’unico ad aver sofferto di meno durante i mesi estivi. Gli
italiani, infatti, incoraggiati dal rallentamento della curva dei contagi e soprattutto dal bisogno di
svago dopo il periodo passato in lockdown, hanno goduto di vacanze laddove possibile, o gite fuori
porta su territorio nazionale, queste ultime rivelatesi fondamentali per la sopravvivenza del settore in
quanto circa il 66% degli italiani ha potuto effettuarne almeno una. Le destinazioni preferite sono
state prevalentemente quelle di mare o montagna, ma anche vacanze di tipo naturalistico, culturale e
relax. Solo il 3% degli italiani ha invece scelto l’Estero.

Il Bonus Vacanze è stato importante ma non decisivo alla spesa turistica interna, poiché sebbene
sia stato richiesto dal 23% dei vacanzieri, solo il 9% di essi ne ha usufruito per l’estate, mentre il
restante 14% l’ha conservato per le vacanze invernali. Con le restrizioni e la chiusura delle attività
turistiche in risposta alla seconda ondata pandemica, la stagione invernale è però in gran parte
sfumata.

L’anno si chiude quindi con una perdita in termini di arrivi aeroportuali del -86,9% e di
prenotazioni del -98,1%, superiore ai due diretti competitor Spagna (-83,1% e -96%) e Francia (-
82,9% e -95,3%). I visitatori scendono a -68 milioni, i pernottamenti a -224 milioni e perdiamo 95
miliardi di euro di spesa turistica complessiva.

Attualmente si prevede che la ripresa avverrà nel 2022 per quanto riguarda il mercato interno e nel
2024 per i mercati internazionali, se tuttavia la situazione rimarrà stabile e non vi saranno nuove
ondate e restrizioni che porterebbero ad un ulteriore slittamento.

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