L'Umbria tra declino strutturale, crisi e rinascita economica - AGEI

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Luca Ferrucci

L’Umbria tra declino strutturale,
crisi e rinascita economica

Summary: UMBRIA BETWEEN STRUCTURAL DECLINE, CRISIS AND ECONOMIC REVIVAL

The situation of Umbria has changed starting from that regionalism that hypothesized the existence of unique models and
exalted the specificities of the territories, often generating “closures” with the near territories and bonding opportunities and
contaminations. In fact, in some moments the vision of an Umbrian model, different compared to that of central Italy, has
emerged clearly, especially with respect to contiguous regions which it had shared several fundamental social, cultural and
political aspects with on the plan Historical. Nevertheless, in the end, an Umbria of “rebirth” is possible and necessary
and passes for the mobilization of all the best cultural, institutional, entrepreneurial and youth energies of the region.

Keywords: Regionalism, Umbrian Model, Economy.

   Spesso il regionalismo italiano ha spinto il di-                te a quanto riferibile alle Marche, alla Toscana o
battito politico, culturale ed economico ad esal-                  all’Emilia Romagna. Insomma, i distretti tessili
tare le specificità dei propri territori, arrivando a              di Prato, calzaturieri di Fermo, conciari di Santa
ipotizzare l’esistenza di veri e propri modelli uni-               Croce sull’Arno o della maglieria di Carpi e così
ci, non riproducibili e non omologabili a quelli                   via non sono riconducibili alle configurazioni pre-
presenti in altre aree del nostro Paese (Bracalen-                 senti, sul piano locale, in Umbria. Ciò non signi-
te, 1986). Non vi è regione italiana che, perlome-                 fica che non esistono piccole imprese o che non
no in alcuni periodi della storia, non sia caduta                  vi sono localismi manifatturieri ma che, al con-
in questa interpretazione che spesso tende a reci-                 trario di queste regioni contigue, prevalgono mo-
dere legami con altri territori regionali, nonché a                delli produttivi diversificati o, comunque, privi di
“chiudersi” in una sorta di isolamento “culturale”                 quell’addensamento di numerose piccole imprese
che inibisce azioni cooperative inter-regionali e                  (tanto per citare un esempio, nel distretto tessile
l’assimilazione di best practices ed esperienze mu-                di Prato vi sono circa 7000 imprese specializzate)
tuabili da altre realtà. Insomma, a fianco dei tanti               presenti altrove. C’è dunque evidentemente una
pregi di una visione regionalista, essa ha generato                storia manifatturiera umbra che la rende diffe-
qualche volta “chiusure” che hanno limitato op-                    rente da quella riferibile all’Italia centrale, nono-
portunità e contaminazioni auspicabili (Segatori,                  stante vi siano rintracciabili alcune omogeneità,
2010).                                                             dal ruolo storico assunto da specifiche forme di
   In questo loop cognitivo collettivo, anche l’Um-                conduzione del patrimonio fondiario (mezzadria
bria – in alcune circostanze della storia – ha of-                 e piccola proprietà contadina) all’età dei Comuni
ferto la sua visione, parlando di modello umbro,                   nel Rinascimento sino all’omogeneità politico-
eterodosso rispetto a quello dell’Italia centrale,                 amministrativa (le famose regioni “rosse” del pas-
in particolare rispetto a regioni contigue con le                  sato), come evidenziato nella letteratura economi-
quali aveva condiviso diversi fondamentali aspetti                 ca e sociale (Bagnasco, 1988).
sociali, culturali e politici sul piano storico.                      La diversità del modello umbro è dunque più
   Sul piano economico, in effetti, l’Umbria non                   nelle piattaforme manifatturiere contemporanee
è mai stata una regione composta da distretti in-                  che non in taluni fondamentali connotati sociali,
dustriali marshalliani (Becattini, 2000; Ferrucci,                 storici e istituzionali. Ciò non significa necessaria-
Varaldo 1997; Becattini, Bellandi, Propris 2009).                  mente che si possa parlare di un modello umbro,
Quell’addensamento localistico di numerose pic-                    ma sicuramente esso presenta connotati di etero-
cole imprese manifatturiere, specializzate in una                  dossia rispetto a quello prevalente nelle regioni
sola lavorazione ma compenetrate tra loro dal                      contigue del centro Italia.
punto di vista della filiera produttiva, non si ri-                   Ma c’è stato un periodo storico durante il qua-
leva nelle varie aree dell’Umbria, contrariamen-                   le, anche a livello nazionale, l’Umbria è stata vi-

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sta e interpretata come un modello auspicabile al        imprese manageriali private. Sembra che, quasi
quale far riferimento?                                   come un paradosso della Storia, il fatto che l’Um-
   È assai verosimile che la Golden Age dell’Um-         bria non avesse originariamente un tessuto mani-
bria sia riconducibile al periodo storico tra la fine    fatturiero distrettuale, con quelle economie ester-
degli anni Settanta e la prima metà degli anni           ne di agglomerazione identificate da Marshall, ha
Ottanta. Il dualismo territoriale umbro, tra l’area      indotto il sistema ad un processo di selezione evo-
ternana – contraddistinta dalla presenza di gran-        lutiva maggiormente penetrante, influenzando
di imprese manifatturiere legate alla siderurgia         e inducendo, pena la sopravvivenza, percorsi di
e alla chimica – e quella perugina – fondata su          crescita dimensionale e organizzativa delle singo-
un’industrializzazione “leggera” di piccole impre-       le imprese che altrove potevano non riscontrarsi.
se – sembra costituire all’epoca un bilanciamen-             Un sistema industriale la cui crescita è stata
to “perfetto” capace di assecondare la crescita          resa possibile anche dalla presenza di un diffuso
economica e occupazionale di queste aree. Le             e capillare sistema di banche locali, dalle casse di
grandi imprese della conca ternana costituiscono         risparmio alle banche popolari sino alle banche
due poli di specializzazione manifatturiera unici        di credito cooperativo, presenti, come assetti pro-
nel panorama italiano legati alla filiera chimica        prietari e come processi decisionali, all’interno
del polipropilene e della siderugia con gli assetti      dei singoli localismi manifatturieri. Un’Umbria,
proprietari statali. Nell’area del perugino, invece,     infatti, dove la presenza di banche esogene era
imprese dinamiche – espressione di un capitali-          praticamente assente mentre dominavano istituti
smo familiare – si muovono nei mercati interna-          di credito fondati storicamente in ogni piccola cit-
zionali dell’epoca (ovvero nord-America e Europa         tà di questa regione.
occidentale) con una capacità di marketing e di              Queste imprese manifatturiere sono state “cre-
innovazione di prodotti particolarmente ammi-            atrici” di una ricchezza economica diffusa in tutta
revole. Basti citare brand come la Buitoni-Peru-         l’Umbria, contribuendo anche a processi di inur-
gina nell’alimentare, la Primigi nelle calzature da      bamento delle principali città. Ci sono stati interi
bambino, l’Ellesse nell’abbigliamento sportivo,          quartieri urbani che sono nati e cresciuti – qual-
la Luisa Spagnoli nell’abbigliamento femminile,          che volta in modo caotico – per soddisfare le esi-
la Sangemini nelle acque minerali, la Spigadoro          genze di flussi migratori dalla campagna o dalle
nella pasta alimentare, la Mignini e la Petrini nei      regioni del sud Italia orientati ad andare a lavo-
mangimifici. Imprese capaci di fare investimen-          rare nelle imprese umbre. Ciò ha dato una spinta
ti per esportare su mercati esteri, per innovare         alla crescita, per induzione, di imprese legate alla
prodotti o per sviluppare strategie qualificanti di      filiera delle costruzioni e dell’edilizia, comparto
marketing in modo da conseguire profitti rischio-        che irrobustitosi inizialmente in questo periodo
si e, di conseguenza, garantire un’occupazione           grazie agli investimenti privati delle imprese e del-
qualificata e crescente e pagare salari dignitosi        le famiglie andrà, come vedremo successivamen-
ai propri dipendenti e collaboratori. Un’alleanza        te, a costituire un’ossatura del tessuto economico
virtuosa tra profitti rischiosi e salari dignitosi se-   regionale, con implicazioni non sempre virtuose
condo la teoria neoclassica di ricardiana memo-          sul piano della competitività strutturale regio-
ria alla base del modello umbro di questi anni.          nale.
Un tessuto imprenditoriale, dunque, diversifica-             La ricchezza economica generata da questi “lo-
to, composto da famiglie capitalistiche locali che       comotori” industriali appare in tutta la sua impor-
hanno saputo assecondare la crescita delle pro-          tanza anche in altri ambiti della vita sociale, cul-
prie imprese, superando rapidamente quella sca-          turale e istituzionale della regione. I centri storici
la di piccola dimensione che spesso caratterizza il      sono luoghi di consumo per servizi commerciali
nanismo imprenditoriale italiano. Insomma, per           qualificati (dai bar ai ristoranti sino ai negozi di
certi aspetti, l’assetto manifatturiero perugino si      abbigliamento); le istituzioni universitarie benefi-
fonda, sin dalla fine degli anni Settanta, su medie      ciano di un’attrazione di popolazione universita-
imprese, quando ancora nelle regioni contigue            ria dal sud Italia, grazie alla buona qualità della
prevalgono modelli distrettuali fondati sulla pic-       vita che si riscontra in queste città e alle opportu-
cola dimensione (Ferrucci, 2008). In altri termini,      nità di lavoro, per i futuri laureati, che vi sono nel-
l’Umbria, nell’area del perugino, è stata pioniera       le medie e grandi imprese manifatturiere; la vita
di quel “quarto” capitalismo, di cui la letteratu-       culturale e sociale è alimentata da eventi (non è
ra economica parla solo negli ultimi anni (Colli,        casuale che l’Umbria sia pioniera in Italia di gran-
2002), alternativo a quello delle piccole imprese,       di manifestazioni culturali come Umbria Jazz o il
delle imprese di proprietà pubblica o delle grandi       Festival dei Due Mondi a Spoleto o il Festival delle

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Nazioni a Città di Castello) nonché da stagioni te-      gionale della popolazione studentesca. In alcuni
atrali di particolare qualità; l’agonismo sportivo       casi, addirittura, la stessa fabbrica è progressiva-
vede l’Umbria protagonista in diverse discipline         mente venuta meno, lasciando solamente la me-
a livello nazionale; l’innovazione politica e isti-      moria collettiva del passato e un brand oggetto di
tuzionale esprime una capacità di riforme nel            acquisizione (come Ellesse ma, per taluni aspetti,
campo sociale e della sanità di particolare pregio       anche Primigi), senza più di fatto un valore ag-
(basti pensare che l’Umbria è stata la prima re-         giunto nell’economia regionale. Una competitivi-
gione nella quale si è implementato il modello di        tà strutturale quindi sempre più dipendente dal
abrogazione delle strutture manicomiali secondo          costo del lavoro operaio e sempre meno legata a
le indicazioni di Basaglia); e così via. Insomma,        fattori immateriali che, però, nella moderna com-
un capitale economico, un capitale sociale, un           petizione internazionale, costituiscono fonti rile-
capitale culturale e un capitale istituzionale che       vanti del valore economico dei prodotti e dei ser-
coevolvono assieme e che vanno a comporre l’im-          vizi. In un certo qual modo, con l’inizio del ciclo
materialità del modello umbro di allora. In altri        storico della globalizzazione all’inizio degli anni
termini, l’Umbria può definirsi, in questi anni,         Novanta, e quindi con la necessità di potenziare
un vero e proprio modello virtuoso sul piano eco-        i fattori competitivi immateriali legati alla capaci-
nomico, sociale, culturale e istituzionale. Un’Um-       tà di fare internazionalizzazione in altre aree del
bria sicuramente piccola nelle dimensioni ma par-        mondo diverse dall’Europa e dal nord America e
ticolarmente “visibile”, come best practices, nella      innovazione, fondata su design, marketing, R&S,
percezione collettiva nazionale.                         logistica e retailing, il capitale umano qualificato
   Purtroppo, a partire dalla seconda metà degli         umbro si restringeva a favore di altre città e luo-
anni Ottanta, i “locomotori” industriali sia terna-      ghi italiani o europei dove magari risiedono gli
ni che perugini si sono “inceppati” e i processi di      headquarters delle holding industriali.
acquisizione talvolta hanno costituito le uniche             A fianco di un’economia manifatturiera etero
possibilità di “salvezza”. Le crisi industriali dei      diretta, negli stessi anni si attivano processi di
grandi complessi della siderurgia e della chimica        acquisizione e di concentrazione del sistema ban-
si sono associate a cambiamenti, anche radicali,         cario umbro alimentano la perdita di autonomia
negli assetti proprietari, trasferendo altrove i ri-     gestionale e decisionale dei preesistenti istituti di
ferimenti decisionali e gli headquarters (spesso         credito locali (dalle casse di risparmio alle ban-
tra la Germania e gli USA). Nel perugino, molte          che popolari). I nuovi poli decisionali bancari si
medie imprese (con i grandi nomi dell’imprendi-          situano fuori dall’Umbria, spesso nel nord Italia,
torialità privata) hanno smesso di correre, hanno        contribuendo a generare una situazione di “al-
cessato o sono stati ceduti ad altri. Errori gestiona-   lungamento” anche temporale dei processi deci-
li e strategici, limitazioni del capitale finanziario    sionali nella concessione del credito alle imprese,
per sostenere la crescita, problemi di successione       di maggiore burocratizzazione delle relazioni e di
familiare e così via sono stati fattori alla base del    minore capacità di monitorare il valore intangibi-
tramonto di diverse dinastie perugine (Braca-            le dell’imprenditorialità locale ai fini degli affida-
lente, 1989). I processi di acquisizione esogeni         menti. Non solo, in taluni casi, lo stesso supporto
hanno contribuito nel breve periodo a “salvare”          finanziario provenienti dalle banche locali e fina-
queste imprese ma, nel lungo periodo, hanno di           lizzato al sostegno di eventi culturali storicamente
fatto generato un’economia regionale etero diret-        presenti in questa regione tende a ridursi, limitan-
ta (visti gli assetti proprietari non umbri e spesso     do di fatto la reputazione e l’attrattività turistica
stranieri), attivando strategie di ristrutturazione      dei medesimi. Il tutto costituendo un secondo fat-
che in diversi casi hanno trasformato l’impresa in       tore di etero direzionalità dell’economia umbra.
una fabbrica composta essenzialmente da operai,              Così, l’Umbria è entrata nel ciclo storico del-
mentre l’occupazione a maggior valore aggiunto           la globalizzazione, all’inizio degli anni Novanta,
legata a funzioni come quella del marketing, della       con un sistema produttivo relativamente fragile, e
finanza, della R&S o dell’innovazione di prodot-         quindi incapace di cogliere le opportunità emer-
to si sono trasferite altrove (Ferrucci, Zazzerini,      genti ma “vittima” economica di questi destabi-
2007). In altri termini, il management di queste         lizzanti processi economici internazionali (dai
imprese ha attinto sempre meno al capitale uma-          flussi di capitali e di imprese sino alla mobilità
no qualificato generato nelle scuole e nelle istitu-     delle persone). E il preesistente modello umbro
zioni universitarie locali, contribuendo a ridurre       va perdendo la sua capacità propulsiva comples-
in modo indiretto la vivacità del mercato del la-        siva, delineando l’inizio di un percorso di decli-
voro per i laureati e la stessa attrattività extra re-   no e di trasformazione strutturale. Basti pensare,

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che il Pil pro capite regionale dal 1995 ad oggi        do le tendenze imprenditoriali verso la “cattura”
è progressivamente diminuito rispetto alla media        della rendita economica, anziché perseguire inve-
nazionale, ma anche comparativamente a regio-           stimenti per realizzare profitti rischiosi (e quindi
ni come Toscana e Marche. Come dire, il declino         pagare salari dignitosi). Una rendita economica
economico dell’Umbria non è di oggi (o degli ul-        fondata su valori di prossimità relazionale e su
timi anni, legati alla crisi economica recente) ma      attività economiche subordinate a processi auto-
risale alla fine degli anni Ottanta.                    rizzatori pubblici (come nel caso della filiera del-
    Come fronteggiare questo cambiamento econo-         le costruzioni e dell’edilizia o dei grandi centri
mico? Tra gli anni novanta e i primi anni duemila       commerciali artificiali). A dimostrazione di ciò,
l’economia regionale si è riposizionata a favore        è sufficiente ricordare come l’Umbria, comples-
di un’economia dove il settore pubblico, in senso       sivamente, presenti una specializzazione nella fi-
allargato, diveniva particolarmente significativo       liera delle costruzioni e dell’edilizia superiore a
(Bracalente, 2010). Il crowdiing out dall’econo-        quanto rilevabile nelle statistiche medie naziona-
mia manifatturiera preesistente ad un’economia          li e che gli indicatori statistici sulla presenza di
pubblica emergente è l’espressione sia del declino      medie e grandi strutture commerciali la posizioni
della prima che dell’avanzare della seconda. E as-      tra le regioni italiane con la maggiore intensità
sai plausibilmente non è neppure l’espressione di       (Ferrucci, Picciotti 2012). Non solo, la stessa agri-
una vera e propria progettualità “sostitutiva” ma,      coltura, grazie alle significative risorse finanziarie
per un’insieme di fattori, il sentiero delineato dal-   europee, ha goduto e gode da anni di un sostegno
la Storia ha portato in questa direzione evolutiva.     particolarmente rilevante, con colture come il ta-
Tuttavia, il potenziamento, intenzionale o meno,        bacco che, addirittura per decenni, hanno potuto
del settore pubblico allargato ha portato ad allon-     beneficiare passivamente di tale contribuzione
tanarsi dalle esigenze di innovazione, potenzian-       pubblica. E, per converso, l’economia umbra da
do quelle forze sociali, culturali ed economiche        allora registra un tasso di internazionalizzazione,
della conservazione e del protezionismo. La cre-        intenso come rapporto tra export e Pil regionale,
scita del settore pubblico in senso allargato, in ef-   inferiore a quello medio nazionale, dimostrando
fetti, non ha seguito logiche neo-keynesiane, con-      che il manifatturiero non solo ha perso incidenza
nesse al perseguimento di investimenti pubblici         relativa sulle statistiche complessive, ma addirit-
produttivi, capaci di stimolare in modo indiretto       tura è maggiormente home-oriented rispetto ad
nuovi sentieri di crescita dell’economia privata,       altre regioni. Ancora, da anni, la R&S e l’innova-
ma piuttosto si è fondata su occupazione pubbli-        zione, misurata sulla base di diversi indicatori sta-
ca diretta o indiretta alimentata da spesa pubbli-      tistici, in Umbria sono essenzialmente alimentate
ca corrente o da investimenti pubblici di dubbia        da risorse finanziarie pubbliche, piuttosto che da
qualità, produttività e efficacia (che talvolta ap-     imprese manifatturiere. C’è stata dunque una
parivano essere maggiormente utili alle imprese         metamorfosi lenta ma significativa nell’economia
che realizzavano talune opere, anziché alla stes-       regionale: dai profitti rischiosi alla rendita econo-
sa cittadinanza). L’occupazione pubblica diretta,       mica. Imprese, ma anche professionisti presenti
grazie all’amministrazione statale (basti pensare       nelle diverse attività, hanno sviluppato un orien-
agli organi presenti istituzionalmente in un capo-      tamento alla “cattura” della spesa pubblica piut-
luogo di regione, dalla magistratura alle forze di      tosto che una capacità di rendersi competitivi su
polizia oppure alle istituzioni universitarie stata-    mercati nazionali o, addirittura, internazionali.
li), regionale (con le varie ramificazioni, sino alla      La rendita economica di queste diverse fonti ha
sanità) e municipale è solo una parte del sistema       consentito di “galleggiare” all’economia regiona-
economico pubblico in senso allargato. Altre atti-      le ma non di ritrovare vie per una rigenerazione
vità private quali quelle dei servizi professionali,    (Covino, 2007). Di fatto, le rendite economiche
quelle connesse a specifici regimi autorizzatori        hanno “avvitato” il sistema economico in un circu-
pubblici oppure dipendenti dall’erogazione di           ito al “ribasso” pernicioso e talvolta consociativo.
sussidi finanziari strutturali pubblici ed, infine,     Ma questo sistema tendeva a dipendere sempre
quelli legati ad appalti di lavori e servizi pubblici   più da una fonte finanziaria extra-regionale: le
sono un’altra parte rilevante dell’economia pub-        risorse statali e comunitarie. Le uniche davvero
blica regionale.                                        in grado di poter finanziare importanti opere edi-
    Diverse imprese umbre, di settori assai diffe-      lizie (che in qualche caso potevano sembrare più
renti, hanno optato, nei fatti, per privilegiare un     utili a chi le realizzava che non a coloro che le
relazionamento con gli attori istituzionali pubbli-     dovevano utilizzare, i cittadini), supportare e sus-
ci, nei loro diversi livelli decisionali, accentuan-    sidiare le produzioni agricole, aiutare giustamen-

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te la ricostruzione post-sismica del 1997 (Segatori,     l’Antitrust, a fronte di operazioni societarie na-
2007) e intervenire, anche in modo rilevante, per        zionali di Unicredit e Intesa San Paolo impose la
le ristrutturazioni delle grandi imprese industria-      cessione di sportelli in Umbria – e non in altre
li in crisi e per la riconversione economica dei         regioni – a favore di altri operatori bancari per
territori (l’esperienza dell’area ternana è emble-       evitare situazioni di abuso di potere di mercato),
matica).                                                 vi è stata anche la gestione discutibile di alcune
   In questo percorso, si è rafforzata l’idea che l’e-   banche del centro Italia (per esempio, Banca
conomia regionale, in attesa di ritrovare proprie        Marche, Banca Popolare dell’Etruria, Monte dei
endogene condizioni di sviluppo e di crescita, po-       Paschi di Siena, Banca Popolare di Spoleto). Non
tesse fondarsi su questa nuove fonte di “salvatag-       certo la situazione migliore, per l’Umbria e per
gio” delle imprese e dei consumi familiari. L’in-        gli umbri, di difendersi dagli effetti negativi del-
vecchiamento della popolazione, in atto da anni,         la crisi. Insomma, se l’Umbria ha avvertito un ef-
ha tra l’altro garantito a diversi nuclei familiari,     fetto amplificato della crisi economica nazionale,
grazie ai trasferimenti statali indotti dalle varie      c’erano tutte le ragioni, dalle rendite economiche
forme di previdenza, un’ulteriore forma di “gal-         in alcuni settori alla dipendenza maggiore delle
leggiamento” dell’economia regionale e dei relati-       imprese da mercati domestici sino al comporta-
vi consumi privati.                                      mento di alcune banche.
   Ma è evidente che, per tutto questo, l’econo-             Ma quali insegnamenti ci lascia questo percor-
mia umbra ha evidenziato una nuova forma di              so storico dell’Umbria economica?
governo etero diretto, dopo quello già rilevato              La prima cosa riguarda la miopia di poter in-
in precedenza ossia quello riferibile alle imprese       travedere un futuro economico di un territorio
industriali e alle banche, ossia quello dipendente       se ci ancoriamo prevalentemente alla rendita
dall’erogazione di risorse finanziarie pubbliche         economica e non ai profitti. In questa linea, reci-
statali o europee. In altri termini, uno sviluppo        diamo i legami con l’innovazione, con altri spazi
economico sempre meno autonomo e fondato su              economici internazionali, pensiamo solo alla con-
forze endogene e sempre più dipendente da fat-           servazione di piccoli privilegi e all’avvitamento al
tori esogeni (sui quali le istituzioni regionali e le    ribasso di sistemi di relazioni inconsistenti e per-
forze economiche e culturali locali possono inci-        niciose. Credo che la Storia ci lasci questo impor-
dere poco ai fini decisionali).                          tante insegnamento e, pertanto, tutti gli sforzi, di
   Siamo entrati nella crisi economica del 2008 ve-      tutti i protagonisti e gli attori sociali e istituzio-
nendo da questa Storia, deboli all’inizio della glo-     nali dovrebbero mirare verso questo sforzo col-
balizzazione, piuttosto malati alla vigilia di questa    lettivo straordinario: ridare centralità ai profitti
crisi. Ma questa crisi ha fatto anche “scoprire” la      rischiosi (e ai salari dignitosi) e ridimensionare
debolezza strutturale dell’equilibrio pernicioso         gli spazi della rendita economica. Ecco, quindi,
verso il quale stavamo tendendo, con la polarità         la necessità di riposizionare il sistema produttivo
attrattiva della rendita. Le imprese che avevano         regionale nella direzione di conseguire profitti ri-
investito nella rendita delle relazioni, che avevano     schiosi. Negli anni della crisi, abbiamo visto che,
mirato a fare attività di rent seeking, che si era-      anche in Umbria, vi sono importanti imprese re-
no “adagiate” nel mercato domestico – pubblico e         silienti, di tutte le dimensioni (artigianali, picco-
privato –, sono state le prime a soffrire, ad uscire     le, medie, grandi), che hanno saputo crescere in
dal mercato, ad abbandonare. Certo, la cessazio-         termini di fatturato, di occupazione, di valore ag-
ne delle imprese si porta dietro problemi dram-          giunto e di export (Ferrucci, Guelpa, 2015). Sono
matici, come la chiusura di altre imprese (magari        le imprese che hanno accettato, quando molte al-
fornitori delle prime) o di nuovi disoccupati privi      tre negli anni Novanta e nella prima metà degli
di un futuro. Il costo sociale ed economico è sta-       anni Duemila pensavano alla convenienza della
to enorme. La drammaticità della crisi in Umbria         rendita economica, la sfida di investire rischiando
è stata maggiore che altrove anche per l’opera-          nell’internazionalizzazione e nell’innovazione.
re, qualche volta truffaldino, di banche aventi la       Esse hanno saputo avere prodotti di qualità, di re-
sede legale nella nostra regione oppure in aree          lazionarsi con clienti esteri, di conseguire brevetti
limitrofe. E quando una banca è gestita male, la         o di aprirsi a nuovi mercati lontani e ostici. Sono
prima soluzione che i dirigenti applicano è spesso       le imprese che hanno creduto nel profitto che vie-
la rarefazione del credito alle imprese e l’innal-       ne dal rischio imprenditoriale e non dalle relazio-
zamento dei tassi di interesse praticati. Insomma,       ni privilegiate (Segatori, 2008). Sono le imprese
in una regione dove la concentrazione bancaria           che, proprio per questo, hanno potuto garantire
era già a livelli massimi (Ferrucci, 2008; perfino       occupazione qualificata e salari dignitosi. Il pro-

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fitto rischioso (e non la rendita economica) è la         settori economici (dall’agroalimentare all’indu-
migliore garanzia, nel lungo periodo, dei salari          stria all’high tech al commercio al turismo), frut-
dignitosi e non è l’espressione demoniaca di un           to dell’intelligenza e della capacità innovativa dei
capitalismo selvaggio. Le imprese resilienti sono         giovani capaci e meritevoli. Il rinnovamento e il
quelle che, meglio di chiunque altro, sanno fare          rafforzamento della capacità competitiva regiona-
internazionalizzazione e possono accompagnare             le avviene infatti anche tramite la nascita di nuo-
in questo percorso altre imprese umbre. Sono              ve imprese. In ogni settore dell’economia, giovani
le imprese che meritano la fiducia della comu-            capaci e meritevoli sono in grado di portare avan-
nità regionale e delle istituzioni competenti sul         ti nuove idee imprenditoriali, con una forte carica
piano delle politiche industriali. In quali settori       innovativa. L’Umbria deve dare fiducia a questa
prevalenti si trovano queste imprese resilienti?          nuova generazione di imprese, capaci di innestare
Meccanica, agroalimentare e tessile costituiscono         nuovi business model all’interno di ogni settore
tre traiettorie settoriali dove si rinvengono nume-       e di contribuire alla rinascita e al rinnovamento
rose imprese umbre aventi performance partico-            di settori, di mestieri e di professioni. Dobbia-
larmente significative. Si tratta di imprese forte-       mo divenire una regione capaci di far coltivare
mente radicate nei territori, che attingono alle          le migliori opportunità imprenditoriali ai nostri
competenze dei lavoratori e dei fornitori locali,         giovani di talento, evitando di essere cronicamen-
consapevoli che buona parte del loro vantaggio            te una terra di emigranti per le nostre migliori
competitivo risiede nel territorio, prima ancora          e talentuose risorse umane qualificate. Tutto ciò,
che all’interno dei confini della propria impresa         ovviamente, richiede una capacità di sviluppare
(Becattini, 2009; Ferrucci, Picciotti 2017). È su         una politica industriale regionale insieme ai di-
questa scia che molte di esse divengono paladine          versi attori presenti in Umbria e che lavorano al
di un’identità territoriale (basti pensare ad alcu-       fianco dei nostri migliori giovani, dalle istituzioni
ni prodotti agroalimentari, come alcuni vitigni           culturali e scientifiche alle filiere della formazio-
riconducibili all’area di Montefalco oppure nel           ne tecnico-professionale sino al ruolo strategico
tessile a Cucinelli SpA) e quindi perseguono com-         delle banche e delle associazioni di categoria im-
portamenti socialmente responsabili finalizzati a         prenditoriale.
generare un binomio forte e virtuoso tra territo-            Insomma, un’Umbria della “rinascita” è possi-
rio e corporate identity.                                 bile e necessaria e passa per la mobilitazione delle
    Ma il legame con il territorio si manifesta rile-     migliori energie culturali, istituzionali, imprendi-
vante anche per altre due traiettorie di sviluppo         toriali, del lavoro e giovanili della nostra regione.
presenti in Umbria. Da un lato, nella green eco-
nomy si sono generate nuove realtà imprendito-
riali particolarmente dinamiche e che operano             Bibliografia
nella chimica verde, nelle energie rinnovabili o
nella cosiddetta economia circolare. Si tratta di         Bagnasco A., La costruzione sociale del mercato. Studi sullo sviluppo
una proiezione multisettoriale particolarmente               di piccola impresa in Italia, Il Mulino, Bologna, 1988.
importante anche perché capace di intercettare e          Becattini G., Il distretto industriale. Un nuovo modo di interpretare
                                                             il cambiamento economico, Torino, Rosenberg & Sellier, 2000.
di rispondere ad una domanda crescente e qualifi-         Becattini G., A Handbook of Industrial Districts, co-edited with M.
cata presente in tutti i paesi del mondo. Dall’altro         Bellandi and L. De Propris, Cheltenham, Elgar, 2009.
lato, il territorio è, come è sempre stato, un valore     Becattini G., Ritorno al territorio, Bologna, Il Mulino, 2009.
tangibile e intangibile per l’attrattività turistica. I   Bracalente B., Il modello industriale dell’Umbria, Il Mulino, Bolo-
beni storici, artistici, paesaggistici e architettoni-       gna 1986.
                                                          Bracalente B., L’Umbria nel modello di industrializzazione diffusa,
ci dell’Umbria, insieme agli eventi culturali che            in Covino R., Gallo G. (a cura di), Storia d’italia. Le Regioni
da sempre si tengono in molte città, costituisco-            dall’Unità ad oggi, Einaudi, Torino 1989.
no leve per l’attrattività di un turismo particolar-      Bracalente B., Caratteri strutturali e scenari di sviluppo regionale.
mente qualificato. Purtuttavia, l’Umbria sconta              L’Umbria verso il 2020, Franco Angeli Editore, Milano, 2010.
                                                          Colli A., Il quarto capitalismo: un profilo italiano, Marsilio Editore,
ancora oggi un problema di raggiungibilità e di
                                                             2002.
accessibilità che ancora limita le potenzialità di        Covino R., Tra due secoli. L’Umbria dell’ultimo ventennio, Crace,
sviluppo di questo settore.                                  2007.
    Infine, vi è la necessità di credere, asseconda-      Ferrucci L, Picciotti A., I distretti industriali italiani tra strategie
re, promuovere e accompagnare la nascita di una              di international outsourcing e strategie di back-reshoring, Piccola
                                                             Impresa, 2017.
nuova generazione di imprese giovanili. Si tratta         Ferrucci L., Guelpa F., Le imprese resilienti: possibili leve per una
di stimolare, con gli strumenti della politica indu-         crescita futura, in AA.VV., L’Umbria nella lunga crisi. Scenari e
striale regionale, la natalità di imprese, in tutti i        dinamiche, AUR, Perugia, 2015.

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Ferrucci L., Picciotti A., Le dinamiche di terziarizzazione delle regio-      e logiche di impresa, in collaborazione conVaraldo R. (a cura
   ni italiane tra post-industriale e neo-industriale, Economia dei           di), F. Angeli, Milano, 1997.
   Servizi, n. 3, 2012.                                                    Segatori R., La ricostruzione post-sismica in Umbria come modello di
Ferrucci L., La metamorfosi dell’industria manifatturiera in Umbria,          governance, in S. Sacchi (a cura di), Oltre la ricostruzione. Pro-
   in Agenzia Umbria Ricerche, Rapporto Economico e Sociale, Den-             fili economici e dimensioni sociali in un processo di cambiamento,
   tro L’Umbria, Perugia, 2008.                                               Regione Umbria, Quattroemme, Perugia, 2007.
Ferrucci L., Zazzerini G., Le multinazionali estere in Umbria: la          Segatori R., Eccellenze e parabole nella tradizione industriale dell’Um-
   R&D, i brevetti e l’innovazione, AUR&S, 2007.                              bria, in “Diomede”, III, 9, 20 agosto 2008.
Ferrucci L., Il settore bancario in Umbria tra concentrazione e effetti    Segatori R., Le debolezze identitarie del regionalismo italiano, in
   sul mercato del credito, AUR&S, n. 10/2008.                                «Istituzioni del Federalismo», nn. 5-6, settembre/dicembre
Ferrucci L., Varaldo R., Il distretto industriale tra logiche di sistema      2010.

          AGEI - Geotema, 55                                                                                                                 51
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