I Romani sfidano il corona virus nel racconto di Martina Buccheri
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
I Romani sfidano il corona virus nel racconto di Martina Buccheri E’ la cassiera di ascendenze campane con il fratello Sebastiano in servizio a Persano, che si trova in prima linea in uno dei Todis della capitale, tra orde di gente Di GIULIA IANNONE Romani in strada, domenica, a fare jogging, in coppia, in bicicletta, aggregati in gruppo, strade vuote e con molti posti auto liberi, indizio che la gente non è rimasta a casa, ma ha approfittato per andare in giro. Nel quartiere di Talenti, nei pressi di Largo Pugliese, il Conad di zona, ed il Carrefour più grande, aperto giorno e notte, sono inaccessibili: la fila arriva spesso fin oltre la strada. Stesso scenario per farmacia e parafarmacia di zona, blindatissime, che segnalano, con appositi cartelli affissi all’esterno, che mascherine e guanti in lattice non sono più reperibili e che l’accesso è consentito a sole tre persone alla volta. Conosco questo quartiere da molti anni, ci abitavano i miei nonni fin dagli anni 50. Il “mio” supermercato più vicino è divenuto il Todis, sito altezza garage, a pochissimi metri da casa. Ci conosciamo tutti, frequentandolo abitualmente da anni. Nella discesa verso l’ingresso, c’è la fila organizzata e richiesta finanche dai cartelli. Si entra a gruppi di 10, con guanti e mascherine. Dipende dai giorni, il rispetto e la serenità della coda, in base al sentore di allarme dato dai telegiornali o dai social network. La gente, a giorni alterni, presa dal delirio, svaligia e svuota gli scaffali, compra di tutto, ogni genere alimentare. Prevalentemente verdura, surgelati, pane e pasta. Venerdì, quando sembrava che i supermercati chiudessero per il week end, abbiamo assistito all’ennesima ondata di persone in
preda al panico. Sugli scaffali, non sono più arrivati, guanti in lattice, mascherine, disinfettanti. Lunedì poi, il supermercato, straripava di clienti: abbiamo riconosciuto il cuoco e l’aiuto cuoco del ristorante di fronte, che ormai lavora solo con consegne a domicilio, ed abbiamo visto, un piccolo venditore al dettaglio di zona, assicurarsi varie cassette di olio, scatolette di legumi di diversa tipologia, che poi ripropone ai suoi clienti a ben altro prezzo. Alla cassa c’è la nostra “amica” Martina Buccheri, che ormai lavora al Todis da 4 anni. Giovanissima, 29 anni, padre napoletano e madre romana. E’ nata nella capitale, ma si sente napoletanissima, infatti, nei modi è estroversa, socievole, simpatica, solare sempre allegra e gioiosa. Tifosissima del Napoli, quando gioca la sua squadra di calcio del cuore, la postazione della cassa è addobbata con sciarpa e gagliardetto azzurro. Suo fratello Sebastiano, lavora quasi da un anno, alla Caserma di Persano, vicino Eboli, impegnato nel servizio civile, adesso “strade sicure”. Sta andando avanti ed indietro, tra Salerno e Roma, in base alla chiamata della caserma. “L’atmosfera lavorando in un supermercato è molto difficile – ci ha raccontato Martina – le persone non rispettano la distanza di un metro, litigano spesso, non si sanno comportare, sono maleducati, vogliono andare di fretta, non mostrano buon senso e comprensione del grave momento che stiamo vivendo, tutti noi, nella comunità, non individualmente. Fanno folla e confusione, ed a me, a noi operatori del negozio, mettono ansia e tensione. Temo che la gente non abbia capito che bisogna restare a casa il più possibile, sono tutti al supermercato a fare la spesa. Quando mi capita il turno lungo, trovo le stesse persone sia al mattino che di pomeriggio, che adducono la scusa banale, di essersi scordati qualcosa di urgente. Dunque, si comprende, che escono solo per fare una passeggiata. “ Hai paura e come hai accolto questa situazione straordinaria per noi, di pandemia?
“ Certo che ho paura! Noi che lavoriamo all’interno di un supermercato, stiamo molto a rischio. Mi dispiace vedere e toccare con mano, che la gente non è solidale o sensibile nei nostri confronti. Noi siamo molto esposti al rischio contagio di questo virus, aggressivo e sconosciuto. Vengono in negozio, litigano perché non vogliono fare la fila, e se ne disinteressano delle nostre esigenze umane” Cosa vuol dire fare un intero turno, con addosso mascherine e guanti. Quali sono le precauzioni che vi hanno impartito a lavoro? “Ci hanno assegnato più di una mascherina, i guanti in lattice, dobbiamo pulire la cassa con amuchina o sgrassatore a limone o al marsiglia, e metterci ogni tanto lo sgrassatore sui guanti, per fare meno contatto con la gente e con oggetti. Comunque, è alquanto difficile lavorare con la mascherina, perché ogni tanto non respiro, devo bere molto, perché altrimenti mi si secca la gola. I guanti non arrecano troppo disagio, ma è la mascherina che è davvero problematica” Tu in passato hai dovuto affrontare una rapina, mentre eri in turno. Puoi fare un paragone con le due situazioni? “La rapina, per assurdo, è stata più tranquilla, se posso usare questo termine. In questo stato di emergenza da virus, vedo la gente affollarsi, accalcarsi, spingere, pensare solo a se stessi. La rapina è stata un attimo, mi hanno obbligata ad aprire un cassetto, ho consegnato tutti i soldi e sono scappati. Qui dobbiamo vivere in questo stato, giorno per giorno e non si sa quanto durerà.” Ti aspettavi che facendo la cassiera di un supermercato, ti saresti trovata in prima fila, come categoria di lavoratore? ti piacerebbe restare a casa, come gli altri? “No, non me l’aspettavo proprio di dover essere impegnata in questa emergenza del nostro paese, restando salda e forte al mio posto. Vorrei ripetere, nel mio piccolo, che bisogna
uscire solo per reali e motivate necessità. Pensate anche, a chi, come me deve garantire un servizio importante ed infermabile, a favore della collettività. Il mio lavoro lo faccio nel migliore dei modi, mi aspetto che la gente pensi anche a non contagiare quelli come me. Noi siamo molto a rischio. Questo virus infetta tutti, non conta età e categoria sociale. Appena finirà tutto, saremo liberi insieme di fare quello che vogliamo” Hai avuto momenti di sconforto? “Venerdì scorso, sono dovuta uscire dal negozio repentinamente perché mi è venuto un attacco di pianto ed una crisi di sconforto. Credo sia stata la visione di tutta questa folla che si ammucchiava e accalcava alle casse, con carrelli buste e generi alimentari, non ce l’ho fatta più! Il direttore ha chiamato i miei genitori che sono giunti a darmi un supporto emotivo tangibile. Ho visto la mia famiglia e sono riuscita a calmarmi. “ Napoletana di origine e nel cuore. Lo spirito del Sud, che porti dentro di te, in che modo subentra, quando ci sono momenti di emergenza, come questo? “Secondo me, i meridionali hanno più calore e spirito di sopravvivenza, più coinvolgimento umano nel vivere le cose insieme, sono più socievoli e proiettati verso gli altri. Il senso della famiglia e dell’altruismo è molto spiccato. Nel sud Italia, il vicino di casa, il passante di strada, l’uomo comune è già parte di noi e della nostra famiglia”. Vogliamo citare e ringraziare tutti i colleghi del discount di via Jacopone da Todi? “Ringraziamo Giacomo, Danilo, Simone, Pamela, Giada, Emilia, Perla e Francesco, tutti i miei colleghi che condividono con me questo lavoro, nonché il Direttore, Alessandro Morganti”.
Voci dal Serraglio: Antonio Dell’Isola rubrica a cura di Olga Chieffi Una gabbia d’oro è pur sempre una gabbia Continua la nostra rubrica Voci dal Serraglio con i ricordi di Antonio Dell’Isola Lo scrivere queste brevi note crea già un sentimento di profondo dolore. Da uomo maturo e con testa bianca rifletto e ricordo, personalmente, e credo nella maggioranza ampia quanti abbiano vissuto questo triste percorso nell’ Orfanotrofio Umberto I, devono ringraziare la fortuna nell’avversità, di aver ricevuto un’accoglienza. Un’ opportunità che ha dato a molti di noi un’ educazione, un mestiere ed una carta da giocare al tavolo della vita. Io ero stato impostato sul clarinetto e ricordo che il maestro di solfeggio Sevosi mi sgridava di continuo, ma molti sono diventati Maestri di musica e hanno fatto parte di prestigiose orchestre, qualcuno è diventato un direttore d’orchestra, molti hanno trovato sbocco nelle Istituzioni Pubbliche, tanti hanno trovato sviluppo in imprese personali o presso terzi, con lo sguardo in avanti e testa alta sempre, in considerazione di quel seme piantato da quell’accoglienza, certo un’accoglienza difficile da digerire. Una mia qualità? La caparbietà e credo caratteristica della maggioranza di quanti abbiano varcato la soglia di quell’ Istituto, ricevendo questo bagaglio di conoscenza e affetti, che ha permesso loro di riuscire nella
vita con orgoglio e prestigio. La mia personale esperienza durata nove anni, vissuti nel Serraglio, ha segnato un solco profondo ed indelebile nel mio essere, ciò mi ha permesso di valorizzare tutto ciò che la vita mi ha donato e conquistato e di viverlo intensamente. E’ stata una esperienza dura e faticosa, ma una volta uscito dal quel guscio mi sono trovato ad affrontare una realtà molto più severa e spietata: la società, totalmente diversa dalla vita in collegio, una società che non regala niente e non perdona. Grazie a quelle fondamenta ricevute al Serraglio sono riuscito, con fatica ma sono riuscito a realizzare i miei progetti. Uscito dal collegio nel 1966 quindicenne, e non trovando risposte alle mie aspettative a Salerno sono partito con destinazione Nord. Amo Milano che mi ha accolto. Lì iniziai una nuova avventura per costruire un futuro, avendo opportunità di studio e di crescita personale e culturale. E’ stata dura, solo in una metropoli, ho incontrato delle belle persone, ma anche cartelli con scritto “affittasi non a meridionali”, oppure “Cercasi apprendista con esperienza non meridionale”. Piano piano mi sono inserito nel tessuto sociale, dedicandomi anche alla pittura e alla scultura, pur conservando nel mio cuore la nostalgia dei miei luoghi natii. Oggi nonno, la stanza dei ricordi è stracolma, la pagina di Fb del Serraglio ha aperto una porta ed è in atto un continuo scavo nei ricordi e nei volti delle persone ormai mature e mutate dal tempo. C’è un’immagine che è emblematica nella sua lettura: un bimbo solo, impaurito davanti ad uno spazio grande e vuoto, deve uscire dall’ombra (grembo materno) e affrontare la vita, questo è stato l’impatto vissuto che ancora tutt’ora ricordo, quel giorno triste e pieno di paura, solcai l’ingresso del Serraglio ed il portone si chiuse dietro di me. Un dolore profondo, sperso e privo del calore materno e familiare, un profondo vuoto che non dimentico.
De Luca: chiusi cantieri in Campania sino il 3 aprile 2020 Vincenzo De Luca ha chiuso con un’ordinanza la n. 19 della Regione (del 20/03/2020) tutti i cantieri della Campania fino il 03 aprile 2020 che non sono legati a servizi essenziali o all’emergenza sanitaria. Il governatore campano provvede anche a chiudere tutti gli uffici pubblici perché, a suo dire, non è possibile vedere ancora gente che chiede il certificato di nascita negli uffici anagrafe dei vari comuni.In sostanza nella Regione saranno interrotti tutti i lavori che non sono strettamente necessari alla gestione dell’emergenza come quelli per adattare gli ospedali alle nuove esigenze. I cantieri sono i luoghi di lavoro dove forse è più complesso mantenere le distanze di sicurezza viste le condizioni non facilissime presenti sui ponteggi. La chiusura dei cantieri limiterà ancora di più il numero di persone ”autorizzate” a circolare e quindi i controlli saranno sulle certificazioni false dovrebbero essere più semplici per carabinieri e polizia schierati in strada. Lo scopo del governatore è cercare quanto più possibile di evitare un contagio di massa in Campania per non dover far fronte a un’emergenza sanitaria insostenibile per la Regione.Per le conseguenze economiche della chiusura ai cantieri si potrà in molti casi far uso della cassa integrazione in deroga prevista nel decreto ”Cura Italia”.
Pontecaganano: grave incidente sul lavoro, muore operaio 26enne Gravissimo incidente sul lavoro a Pontecaganano Faiano. In un capannone e’ morto un ragazzo di 26 anni colpito da un rullo metallico caduto da molti metri. Sul posto intervenuti i sanitari che non hanno potuto fare altro di constatare il decesso del giovane. Sull’episodio indagano le forze dell’ordine. Coronavirus, smentita la morte del dottor Toro Smentita la notizia della morte del dottor Toro, primario a Villa malta di Sarno e colpito dal Covid 19. Lo chiarisce la figlia con un post dopo l’annuncio della notizia da parte di una tv. Coronavirus: i dati aggiornati, 749 positivi. 115
nel salernitano L’Unità di Crisi della Regione Campania comunica il riparto per provincia dei positivi al Coronavirus con il dato aggiornato alle ore 15 di venerdì 20 marzo. Provincia di Napoli: 416 Provincia di Salerno: 115 Provincia di Avellino: 97 Provincia di Caserta: 96 Provincia di Benevento: 8 Altri in fase di verifica da parte delle Asl: 17 Totale positivi in Campania: 749 Totale tamponi effettuati: 3845 Totale deceduti: 17 Totale guariti: 30 (di cui 3 totalmente guariti e 27 divenuti asintomatici per risoluzione della sintomatologia clinica presentata Il Covid fa un’altra vittima, muore prof di San Valentino Torio Non ce l’ha fatta l’insegnante di San Valentino Torio, Raffaele Bifulco, risultato positivo al Covid-19 lo scorso 6 marzo. Si trovava all’Ospedale Cotugno di Napoli. L’uomo insegnava all’Istituto comprensivo D’Assisi – Don Bosco di Torre del Greco. Il sindaco di San Valentino Torio, Michele Strianese ha dichiarato il lutto cittadino.
Vincenzo Monaco alla guida del comune di Ispani Si è insediato il nuovo commissario prefettizio, che ha preso il posto di Vincenzo Amendola. La sua prima ordinanza è una barriera a quanti possano azzardare una “discesa” nelle case estive in questi giorni di quarantena. Capitello e tutto il golfo si è trasformato in un “Carcere ‘e mare” Di OLGA CHIEFFI Ci eravamo lasciati con l’immagine del mare d’inverno, il 13 febbraio, data in cui dopo la messa in minoranza del sindaco di Ispani, Marilinda Martino, dai consiglieri Amerigo Pierro, Antonio Altomonte e Francesco Giudice di concerto con i consiglieri di opposizione del gruppo “LeAli per Ispani”, Piernicola Lovisi, Salvatore Avagliano e Antonio Pecorelli, rea a loro dire di aver portato avanti una politica accentratrice e poco affatto democratica, si era insediato il viceprefetto di Salerno, Vincenzo Amendola. Il commissario era in comune una volta la settimana, e la reggenza, se pur con diverse azioni da programmare, in vista della bella stagione, quando il comune da 1000 residenti quintuplica l’accoglienza. Poi, il corona virus è diventato un malefico incantesimo, e dopo una settimana dal mandato del commissario di ferro Amendola, in quel di Pagani, si è insediato in Ispani il nuovo commissario prefettizio Vincenzo Greco, che abbiamo raggiunto, assiso alla scrivania, in procinto di emanare un’ordinanza dedicata proprio alla pandemia che sta affliggendo il mondo. “ Sono qui solo da stamane – ha affermato con determinazione – e oggi me ne andrò soltanto quando avrò firmato l’ordinanza, che limiti i rientri qui, in comune, dei proprietari di seconde case, specialmente nei week-end, come è capitato lo scorso fine-settimana a Villammare. Per questo ho già avvertito il comandante dei Carabinieri di Vibonati di pattugliare la zona con attenzione, in particolare nei giorni festivi, oltre a
scoraggiare gli spostamenti non necessari”. “Lei conosce bene la zona? Frequenta questo territorio?”. “Si certo da vent’anni faccio parte della commissione mandamentale di Sapri e confesso che quando mi è stato dato il mandato di commissario qui ad Ispani ero in ferie, poiché dal 1 maggio sarò in pensione e avevo delle ferie non godute”. “Spostata ad ottobre la data delle elezioni lei andrà via il 1° maggio?” “No di certo, porterò a compimento questo traghettamento, venendo qui per i primi 15 giorni di lavoro solo il mercoledì in presenza del segretario comunale, naturalmente in assenza di emergenze”. “Stiamo riempiendo le pagine di notizie buie, ora da lei desidererei un pensiero positivo per il futuro prossimo, magari un progetto per la bella stagione che sta entrando e di cui questa giornata rappresenta la chiave”. “Vorrei tanto indicare una data certa che possa dare il La alla programmazione estiva. In tempi normali questo era il periodo giusto riuscire ad incastrare nelle caselle eventi di tutti i generi, servizi e quant’altro, per organizzare un’accoglienza tale da invogliare i turisti ad affollare la nostra spiaggia, i nostri bei luoghi. Se tutti rispettiamo le ordinanze e svolgiamo i compiti assegnati ne usciremo in tempi utili. Grazie al buon operato dei sindaci e di tutti i cittadini dell’intero Golfo di Policastro, qui casi di corona virus non ce ne sono. Dirigenti e cittadini continueranno a mantenere questa condotta severa per far uscire tutti noi indenni da questo castigo ma, per iniziare una qualsivoglia programmazione, saremo sempre sottoposti ai dettami del governo centrale di Roma e del consiglio regionale che, veramente sta cercando con tutti i mezzi di far restare tutti a casa, non ultimo invocando la partecipazione dell’ Esercito Italiano. Sarà una splendida estate e speriamo che giunga presto”. Intanto, la frazione marina di Capitello, si è trasformata in un “Carcere ‘e mare”, per dirla con Scugnizzi. La popolazione dell’intero comune di Ispani che annovera anche la frazione montana di San Cristoforo, conta sulla carta solo 1000 residenti e a vederli tutti in spiaggia o a Lungomare, la distanza del metro potrebbe essere ampiamente rispettata.
Ma qui, le ordinanze si rispettano e le immagini del corso principale del paese, quasi sempre deserto, rivela balconi e porte cui sono appesi arcobaleni e gonfaloni con l’immagine di Sant’ Antonio, con qualche lumino sempre acceso dinanzi a diversi portoni. Segno, questo, di timore nei confronti di un nemico invisibile che non si conosce e sembra sempre più difficile da sconfiggere. “Ho paura – confessa Filomena Giudice titolare di uno dello storico market nel centro del paesino La tua dispensa – ogni volta che vedo un viso nuovo, sconosciuto. Seguo ligia le regole e ripeto a tutti di rispettarle. Io fermerei tutto, escluso i rifornimenti medicinali e alimentari, neanche le sigarette farei circolare e desidererei tanto poter chiudere nel pomeriggio, tanto non passa un’anima. Ne usciremo ne sono sicura, ma ci vorrà tempo poiché noi, purtroppo, non abbiamo la fermezza del popolo cinese”. Fortuna ed Elena: chi può tener Testa a Pina? Le due figlie d’arte si raccontano schizzando la Signora della Danza, iperattiva, emotiva, metodica Di Elena Renna e Fortuna Capasso Descrivere nostra madre, Pina Testa, la Signora della Danza, non è cosa semplice. Ovviamente non è una madre come le altre, come quelle che ti chiamano 50 volte al giorno per sapere se hai mangiato; anzi lo fa, ma per ricordarti di non mangiare! Nostra madre ha un infinità di difetti, è testarda, è molto agitata, spesso per parlarti urla, e se fai una battuta in un momento secondo lei sbagliato, puoi stare certa che il litigio
è assicurato, anche per giorni. La mattina non è concesso riposare, e ama svegliare tutta la casa con un bel concerto di pentole. L’iperattività che la contraddistingue, non le consente di tornare a casa la sera e riposarsi come le persone normali: la giornata si deve concludere con la programmazione della giornata che segue. Nostra madre si commuove spesso. Si commuove se vede una bambina con i capelli rossi, forse perché le ricorda sua figlia Fortuna, da piccola, o forse perché inconsciamente vuole diventare nonna; si commuove se le dicono “Elena è tale a quale a te mentre danza”; si commuove quando parla dell’incidente che le ha stravolto la vita. Insomma è una persona molto emotiva, anche se non le piace darlo a vedere. Pina Testa ha solo un unico grande amore, la danza. Nonostante la sua età, diciamo che non è più una ragazzina, non riesce a stare ferma. Questa quarantena è un fulmine a ciel sereno per tutti noi, ma per lei è una punizione divina. Lei ha bisogno di ritmi serrati, di lezioni continue, di allievi che le girano intorno, la condanna domestica “a cucinare”, in realtà cucino io Fortuna, proprio non le va. Come potevamo crescere noi se non ambiziose e frenetiche? Mi presento sono Elena Renna ho 19 anni e sono una allieva dell’Accademia Nazionale di Danza, con l’aspirazione di ballare in una bella compagnia, perché no, anche all’estero. Le mie giornate si alternano tra lezioni di contemporaneo, lezioni di tecnica classica, anatomia e quant’altro. Come mia madre, per un periodo ho frequentato la scuola di ballo del “Teatro di San Carlo di Napoli”. Un momento importante di crescita. E’ bello pensare che mia madre, abbia trascorso i suoi anni più intensi tra quelle stesse prestigiose mura, ed è per questo che quando si entra in luoghi storici quali il San Carlo o il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, dove da un lato c’è il pianoforte ove studiò Vincenzo Bellini, si è spronati ancor più a percorrere le orme di chi ti ha preceduto, per meritare di studiare in quegli stessi spazi. Per il diploma mi sono trasformata in Odette, il cigno bianco, immedesimazione trasfigurante di pathos e amore. La mia aspirazione più grande, è rendere fiera mia madre, sperando di
diventare brava almeno la metà di lei. Io sono Fortuna, ho 28 anni, e non sono propriamente una ballerina. Amo la danza, mi nutro di essa, ma il mio fisico non mi ha consentito di fare una grande carriera. Da mia madre ho preso tante cose, come la caparbietà, l’iperattività, purtroppo, non il fisico. Mi considero una valida insegnante di danza. Amo le mie allieve e non si può immaginare quanto mi manchino in questo momento buio. Ormai già da sei anni, sono coreografa delle produzioni di diverse compagnie: La Compagnia dell’Arte, Le compagnia “Animazione 90” e “Teatronovanta” e La Stabile del Teatro delle Arti. La danza, essendo una disciplina meravigliosa che affianca diverse arti, mi ha portato al teatro. Mi sono riscoperta, già in tenera età, innamorata del palcoscenico ina qualsiasi sua espressione, su cui mi sento a mio agio. Mi piace ricoprire diversi ruoli: dalle dolci principesse, a brillanti personaggi di carattere, cabarettistici e comici, all’amante disinibita. Diciamo che mi sento una attrice poliedrica. Ci sono ruoli che ti appartengono, ti entrano nelle ossa; e altri alla quale ti affezioni dopo un po’. E’ sempre interessante però aprire un nuovo copione e scoprire chi diventerai. Un giorno mi piacerebbe interpretare “Filumena Marturano”, un personaggio di cui sono innamorata, per quel suo profilo di una donna e madre, che lotta con sacrificio per il valore sacro della famiglia, che è in grado di reggere lo sguardo degli uomini che la giudicano. La mia più grande aspirazione però, è il cinema. Incrociamo le dita e rimbocchiamoci le maniche. Intanto, un grande amore, conosciuto sulle note delle zingarelle del “La Traviata”, il tenore Salvatore Minopoli, mi ha avvicinato all’opera lirica. Per anni ho lavorato al Teatro Municipale Giuseppe Verdi, coreografata proprio da mia madre (dimostrazione che facciamo tutto insieme), ma non apprezzando mai l’opera, che fino a qualche tempo fa ritenevo pesante e noiosa (anche se confermo il mio giudizio su alcuni titoli). Purtroppo il mio peggior allievo, è proprio Salvatore, che indossando il frac del suo amato conte Danilo, protagonista
de’ “La vedova allegra”, ha tradito il “giro” del più famoso dei valzer. Anche se noi due nutriamo ambizioni disegnando progetti differenti, abbiamo un grande comune denominatore: l’amore per nostra madre. Siamo tre donne molto simili ma diverse, unite da un legame di sangue, e forse da uno più potente, la passione per la danza, nate sulle tavole di un palcoscenico e cresciute appoggiate alla sbarra di una magica sala. Francesca Pantano: quando tutto finirà balleremo tanto intensamente da emanare luce La testimonianza di una studentessa di Sapri dove la sorveglianza contro il corona virus è strettissima Di Francesca Pantano Scrivo questa pagina, traendola da un quaderno che avrei usato da settimane per prendere appunti all’Università. Vi chiederete: ‘Perché il condizionale? ’Perché le Università, le scuole, i parchi, i bar, le gelaterie, i negozi e tanto altro sono chiusi per decreto nazionale. Il 21 febbraio, proprio poche ore prima del mio compleanno, un ragazzo di 38 anni si è sentito male, a Codogno –paese che molti prima non conoscevano- ed è stata riscontrata la positività al COVID-2019. Immaginando di scrivere per voi –i miei posteri-, vi chiederete cosa sia questa strana sigla. Ebbene, nello specifico non lo sappiamo neppure noi. Sembra che sia una nuova malattia respiratoria, a tratti grave, soprattutto per gli anziani. In Italia oggi i contagiati sfiora la cifra di 27.000 i guariti e i morti si rincorrono, toccando quota 2500.
I Paesi di tutto il mondo sono colpiti, nessuno escluso, a tal punto che l’Oms ha dichiarato la Pandemia. Il virus è partito dalla Cina, sembra che sia arrivato all’uomo dai pipistrelli o dai serpenti, non si è capito bene. Mi auguro che voi a queste parole riderete e direte: ‘Ah sì, ora ricordo questa sigla strana! Ma esiste un vaccino da molti anni! Se potrete dirlo, sarà la nostra più grande vittoria, perché, vi assicuro, qui stiamo combattendo davvero tutti. Ci è fatto divieto di uscire, se non per motivi strettamente necessari, e dunque si verificano fenomeni fino a qualche settimana fa impensabili: ci sono famiglie separate da barriere prima inesistenti, fidanzati che non possono vedersi pur abitando nello stesso paese, proprio come me e Alfredo. Ogni giorno passa un’auto con un altoparlante; sentendolo da lontano, mi illudo per qualche secondo che sia il solito disturbatore del tipo ‘è arrivato l’arrotino! Vendiamo pezzi di ricambio per le cucine a gas’, e invece, aprendo il balcone, si può udire una voce severa, priva di entusiasmo, che, con perentoria autorità, annuncia: ‘Attenzione! Il sindaco comunica ai cittadini il divieto di uscire, pena una quarantena domiciliare di 14 giorni e chi non la rispetta verrà punito con il carcere fino a tre mesi e con un’ammenda di 206 euro’. Capita così che, seduta alla mia scrivania con l’intenzione di studiare per esami che chissà come e quando potrò sostenere, sento il bisogno di descrivere la situazione irreale che tutti stiamo vivendo. Chi esce per la spesa –motivo tra i pochi riconosciuti dal Governo- indossa una mascherina e un paio di guanti, soffrendo dinanzi alla vista, da lontano, del lungomare, bene incommensurabile per noi sapresi, a cui è vietato l’accesso. Infatti il virus si diffonde con le goccioline che tutti noi emettiamo respirando, per cui occorre mantenere una distanza di almeno un metro, evitare strette di mano, non scambiarsi abbracci. Al telegiornale, che ormai è un appuntamento atteso quotidianamente con speranza e timore, è stata trasmessa un’intervista a un gruppo di giapponesi, i quali hanno paragonato gli alberi in fiore, la cui visione è loro impedita, all’abbraccio per gli italiani: un gesto
ancestrale, nazionale, colorato di tricolore, che profuma di casa e di amore. Mi direte: ‘Ma non esistevano già i telefoni, i social network?’ Certo, esistono da tempo, ma non possono essere che supplenti provvisori, il cui assiduo utilizzo non fa che insegnarci quanto sia eterno l’attimo di uno sguardo e di un sorriso dal vivo. Avevamo tutti dimenticato, dandola per scontata, la fortuna di abitare sul mare; ce ne accorgiamo solo adesso, quando il vederlo lontano, indifferente, calmo o agitato, ci fa soffrire ancora di più, facendo sì che lo percepiamo come una meta irraggiungibile, simbolo di una libertà che chissà quando riacquisteremo. Ci siamo affacciati al balcone e, uniti, abbiamo fatto un applauso per i medici e gli infermieri che stanno combattendo per noi. Non mi crederete, ma il viso dei fruttivendoli sotto casa non era mai stato così bello, forse perché non lo avevamo mai guardato. Alle 18.00 tutta Italia sui balconi e alle finestre intona l’inno, sentendosi guerriera, fiera e convinta che sarà il calore dell’estate e della gente a vincere la prima battaglia, quella contro la paura, prima ancora che contro il virus. Un calore connaturato all’essere italiani, un calore trasversale, in grado di oltrepassare i muri delle case, di cantare sotto le mascherine. E’ tempo di scoprire, o meglio, di ritrovare modi dimenticati di stare insieme, come raccontare la propria giornata e i propri pensieri alla signora che abita di fronte, aiutare mamma a fare il sugo, scherzare con mio fratello, guardare la televisione con papà. Quando ci ricapiterà di essere legittimati legalmente a fermarci, ad ascoltare e non solo a sentire, a riflettere e non solo a pensare? Non nego di provare angoscia e malinconia, pensando alla spensieratezza del caffè a Viale Ippocrate con gli amici, ai selfie sul lungomare con Alfredo, quando ancora ci si poteva stringere senza contare i centimetri. A 23 anni si dovrebbe vivere fuori, viaggiare con un panino in mano, senza paura di offrire un morso al compagno di avventure. Sono convinta che quando tutto questo finirà, tutti avremo una voglia di ballare così intensa da emanare luce, come accadde dopo la guerra, secondo le parole di Guccini. Tutti allora festeggeremo in spiaggia,
ringraziando il mare per averci aspettato.
Puoi anche leggere