Giovani Anime Antiche - Giulia Tarquini - Elpis Editrice
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Giulia Tarquini Giovani Anime Antiche
Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti storici, personaggi o luoghi reali è completamente fittizio. Altri nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore, e qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone rea- li, viventi o defunte, è del tutto casuale. ©2018 Giulia Tarquini ©2018 Elpìs Prima edizione Stampato in Italia ISBN 978-88-99682-18-7 Immagine di copertina realizzata in base a un’idea dell’autrice. Contatti della casa editrice: www.elpiseditrice.it info@elpiseditrice.it Facebook: Elpìs Editrice Instagram: elpis_editrice
Giunse il giorno fatidico: Dia e Peo andarono all’Accademia d’Arte. Una volta superati il cancello d’ingresso e metà del cortile, si fermarono per osservare quella struttura alta, bianca e ricoperta da splendidi e coloratissimi murales. Il cortile era popolato da ragazzi a dir poco bizzarri. Erano quasi tutti vestiti di nero, rosso, viola e bianco, con unghie laccate e capelli tinti in diverse tonalità. I due amici andarono verso l’ingresso con un certo nervosismo. – Qui sembriamo noi quelli fuori posto – sussurrò Dia. – Perché è così! – si intromise Zaf. – Già… Alcuni sembrano usciti da un film horror – ribatté Peo. Finalmente i due entrarono all’interno, sottraendosi agli sguar- di dei curiosi. Si diressero verso la portineria, dove chiesero di po- ter visitare l’Accademia, promettendo di non dare fastidio. Una volta ricevuto il permesso, Dia aprì l’opuscolo con gli ora- ri delle lezioni e la piantina della struttura regalatale dal custode per potersi orientare. Attraversarono un corridoio e sbucarono in un secondo cortile rettangolare sistemato a giardino. C’era un via vai di gente e l’atmosfera era serena. Dia si sentì come catapultata su un altro pianeta. Proseguirono il giro, visitando la sala di scultura, dove era ap- pena finita la lezione. Si soffermarono a guardare i tavoli da lavo- ro, con i materiali e gli attrezzi. Il professore di scultura rispose gentilmente a tutte le loro domande. Il percorso continuò nella sala dove si lavorava la creta, in cui non rimasero a lungo, per non disturbare la lezione in corso. Poi fu la volta della sala della lavorazione del legno, dove il professore permise loro di osservare le sculture fatte dagli studenti più gran- di, conservate dentro una vetrina. Giunsero alle scale e le salirono. – Caspita! Questo posto è davvero bellissimo! – esclamò Peo. – Non posso che essere d’accordo con te. Mi piace da morire! – gli sorrise l’amica, consultando nuovamente l’opuscolo.
– Io invece mi sto rompendo! – Smettila di fare i capricci. – Non faccio i capricci! – si inasprì subito Zaf. – Cosa visitiamo ora? – le chiese Peo. – La sala d’anatomia. – – E cosa sarebbe? – – Se ci stanno di mezzo vivisezioni o cadaveri, mi rifiuto. – – Credo che ci insegnino a ritrarre le persone dal vivo, per stu- diarne l’ossatura e la muscolatura – rispose a entrambi Dia. – Ma andiamo a casa… che rottura! – sbuffò. – Quindi c’è una persona che fa da modello? – proseguì Peo. – Esattamente. Oh, ecco, siamo arrivati. Dovrebbe essere questa. – Si fermarono davanti alla porta in questione. Dia bussò con delicatezza e aprì. Si aspettava di trovare un modello mezzo nudo su uno sgabel- lo di fronte a una schiera di studenti intenti a ritrarlo. E fu esattamente ciò che trovò. L’unica differenza, che la colse del tutto impreparata, fu il modello. Successe tutto nel giro di pochi secondi. Dia aprì la porta e sbarrò gli occhi nel riconoscere Arun sedu- to su uno sgabello al centro della stanza. Quest’ultimo si volse, la riconobbe a sua volta, sbarrò occhi e bocca e Dia sbatté istinti- vamente la porta, troncando ogni possibile parola. – No! Il pavone no! – esclamò Zaf. Peo la guardò confuso. – Dia ma che succede? Perché hai sbattuto…? – Arun spalancò la porta. Era quasi nudo. – Sei venuta! – esclamò. Era sorridente, gli occhi d’onice lucci- canti di buonumore, i boccoli neri spettinati e i boxer bianchi in contrasto sulla pelle caffelatte. Peo e Dia ingoiarono simultaneamente il groppo di saliva che si era formato nelle loro gole. – Pupazzo da copertina Harmony! – fu il commento sprezzante di Zaf.
Dia smaltì l’imbarazzo e la sorpresa per prima. – Sì! – disse. Arun inclinò la testa, sempre più divertito. – Sono contento che tu abbia seguito il mio consiglio. Vieni, ti presento il mio pro- fessore – disse, facendole segno di entrare. La ragazza si riscosse del tutto e ritrovò le buone maniere. – Ah, lui è Peo. Peo, questo è Arun. Possiamo entrare tutti e due? – Peo era ancora impalato a fissare il ragazzo, le guance dello stesso colore delle fragole mature. – Non c’è problema – rispose intanto Arun. – Piacere di cono- scerti, Peo – lo salutò. Dato che l’amico non dava cenni di reazione, Dia fu costretta a rifilargli un pizzicotto. Peo sussultò. – P-piacere mio – balbettò, se possibile, ancora più rosso di prima. Arun fece loro spazio per lasciarli entrare. Una volta entrati, chiuse la porta e li precedette. Gli sguardi dei due amici scivolarono lungo la sua schiena muscolosa e non rima- sero delusi. – Secondo te quella sarà una chiazza di colore o qual- cos’altro?! – Zaffiro! – Punta lo sguardo altrove. Subito – ordinò lui con piatta tranquillità. Dia fu attraversata da un brivido gelido e non osò di- sobbedire. Non era in vena di affrontare una delle sue emicranie. – Professore, loro sono Dia e Peo, due miei amici. Possono rimanere ad assistere alla lezione? – chiese Arun, del tutto incon- sapevole della scansione a cui era stato sottoposto. Il vecchio professore, alto sì e no un metro e cinquanta, si av- vicinò ai due nuovi arrivati. – Arun, torna al tuo posto! – ordinò in modo burbero. – Ok, prof! – rispose, facendo un ultimo occhiolino a Dia, prima di appollaiarsi di nuovo sullo sgabello. Peo faticava ancora a staccargli gli occhi di dosso e le sue guance rimanevano due chiazze accese sulla pelle chiara.
Il professore, ormai di fronte a Dia, la studiò da sopra gli occhiali a mezzaluna. – Sono il professor Verucci. Cosa vi porta qui? – – E io che pensavo fosse Brontolo! – Dia dovette arricciare le labbra nel tentativo di non ridere. Pre- se un respiro per tornare seria. – Vorrei venire a studiare qui do- po il liceo. Peo invece mi ha solo accompagnato – spiegò, senza distogliere un attimo gli occhi da quelli del professore. – Come ti chiami? – chiese l’uomo. – Diamante De Santis. – – Diamante… – disse piano il professore, assaporandone il suono. Dopo un breve momento di silenzio, le sorrise. – Potete rimanere. Venite. – disse, diventando improvvisamente affabile. – No, forse è Gongolo. – L’uomo li accompagnò a degli sgabelli accostati alla parete dell’aula. Dia notò che la maggior parte degli studenti presenti li stava osservando. Il disagio fu grande, ma i due amici fecero finta di nulla. Una volta seduti, il professor Verucci la squadrò ancora. – Mi sembri una ragazza a modo. Come fai a conoscere quel farfallone di Arun? – mormorò incuriosito. – Ci siamo incontrati per caso – rispose con cautela, anche lei a bassa voce. – Capisco. – L’uomo voltò la testa di scatto. – Qualcuno vi ha dato il permesso di fare una pausa? A lavoro! – Gli studenti sussultarono e ripresero a disegnare. Peo e Dia assistettero alla lezione nel più completo silenzio e, quando si concluse, andarono dal docente per ringraziarlo. – Dia? Ehi, ragazzi, aspettate! – urlò Arun mentre, circondato da ragazze adoranti, tentava di rivestirsi. Dia si voltò e non riuscì a non sorridere a quella vista. Peo invece tremava, accanto a lei. – Andiamocene, ti prego! – sussurrò, in preda all’ansia. – Sia benedetta la sua insicurezza cronica – mormorò Zaf, quasi sperando che Dia non lo udisse.
Guarda che ho sentito, stupido. – Dà retta a Peo: andiamo via – propose suadente. Dia sospirò. – Perché, Peo? Non dirmi che ti senti ancora in imbarazzo per prima? – L’altro arrossì di nuovo. – Mi dovevi avvertire. Ho fatto la fi- gura dell’idiota. – – Non essere così tragico, sembravi giusto un po’ fesso. – – Come potevo descrivertelo?! – ribatté lei. – Bada Dia, stai intraprendendo la via della “cazzata” – – Potevi benissimo trovare le parole – mormorò Peo. – Ma non gli avrei mai reso giustizia! – Dia udì nella testa un suono simile a un applauso. – E l’ha detta! I miei complimenti! – Peo osservò Arun, ormai vestito di tutto punto, intento a libe- rarsi delle sue innumerevoli fan. – Su questo non posso darti tor- to – ammise alla fine. Arun finalmente li raggiunse. – Venite! Voglio presentarvi ai miei amici. Dovrebbero essere di fronte all’Accademia ad aspettarmi. – I tre ragazzi si avviarono verso l’uscita. Durante il tragitto Arun salutò la maggior parte dei passanti. – Allora… – iniziò con finta noncuranza. – Prima non ho avuto modo di chiedervelo, ma… voi due state insieme? – chiese incuriosito. – Proprio così! – rispose di getto Peo, prendendo a braccetto l’amica. Dia non disse nulla. – È proprio un cacasotto. – La ragazza tentò di non alzare gli occhi al cielo. Arun li osservò sorpreso e continuò a camminare verso l’uscita. Una volta attraversato il portone d’ingresso dell’Accademia, percorsero parte del cortile in direzione di alcune panchine semi- nascoste dagli alberi. Su un paio di esse c’erano dei ragazzi vestiti di nero intenti a fumare. Lo sguardo di Dia venne agganciato da un paio d’occhi castani. Lei non ne fu cosciente, ma le sue gambe smisero di incedere.
I suoni divennero distanti, quasi muti. Le persone intorno sbiadirono. C’erano solo lei, il misterioso ragazzo in nero e il suo cuore in piena tachicardia. Lo sguardo del ragazzo, serio e penetrante, era perfettamente accostato a una bocca ben disegnata e a lineamenti regolari. I ca- pelli neri erano rasati su entrambe le tempie. Al centro invece erano lisci e lunghi fino al collo, dove erano legati in un piccolo codino. Era l’unico che non stava fumando e si trovava in una posizione rilassata, con le mani infilate dentro le tasche dei jeans neri. Trasudava sicurezza, fascino oscuro e magnetismo. Dia non riuscì a smettere di fissarlo e, si rese conto, anche lui sembrò avere la stessa difficoltà verso di lei. Lo osservò sfilare lentamente le mani dalle tasche per posarle sulle cosce, dove fletté le dita più volte. Poco dopo raddrizzò la schiena sulla panchina e si alzò in pie- di, districandosi dall’abbraccio della bionda che aveva accanto. Dia notò due spalle ampie e una vita stretta. Era molto magro, asciutto, ma ben proporzionato. Le si avvicinò quasi con cautela, i passi flessuosi e disinvolti come quelli di un gatto. Il suo sguardo la percorse da capo a piedi e, quando tornò su- gli occhi, vi si soffermò quasi con stupore. La fronte aggrottata rivelava pensieri confusi e turbamento. Quando furono a un passo di distanza, vennero attraversati da una scossa che li colse di sorpresa, quasi come se fossero due cavi elettrici messi uno di fronte all’altro. Con la coda dell’occhio Dia intravide un tatuaggio sbucare dal- la felpa scura che teneva arrotolata fino ai gomiti, ma non riuscì a soffermarsi su questo particolare: i suoi occhi rifiutavano di ab- bandonare quelli di lui. Ora che le era così vicino, tutto era più vivido. Il castano delle sue iridi era denso come la cioccolata fondente, dolce e amaro al- lo stesso tempo. Dia percepì sensibilità, caparbietà, acutezza ma anche qualcosa di familiare che non riuscì a identificare. L’incanto fu rotto dalla voce allegra di Arun.
– Damiano, lei è Dia; Dia, lui è il mio amico Damiano. – Dia sollevò una mano quasi in maniera automatica e il ragazzo la accolse nella sua. Il contatto fu quasi doloroso ed entrambi sciolsero immediatamente la stretta. – Ma chi è quest’avanzo di galera?! E perché ti fissa in questo modo? – proruppe Zaf. Dia stiracchiò la mano ancora dolorante. Il palmo le bruciava quasi come se qualcuno lo avesse preso ripetutamente a schiaffi. Zaf, hai sentito? – No. Non riesco a capire cosa provi… ma che ti prende? – Nulla. Forse è solo un po’ d’emozione, pensò confusa. – Emozione dovuta a cosa?! – Dia decise di ignorare sia lui che l’espressione confusa di Da- miano. – Piacere di conoscerti, Damiano. –
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