Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll - Cinzia Battistel

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Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll - Cinzia Battistel
Lewis Carroll

Alice nel Paese
delle Meraviglie

      Illustrazioni di
     Cinzia Battistel
Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll - Cinzia Battistel
Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll - Cinzia Battistel
In un tranquillo meriggio dorato
    placidamente abbiam navigato.
   Ma se a remare son tre bambine
    molto più lento si fa il cammino.
    Con poca spinta le dolci manine
   portano a spasso il nostro destino.

  Così per sbaglio mi devo inventare
     una storiella per far passare
  un pomeriggio tranquillo e ridente
    a questo trio davvero esigente.
      Poiché non posso dire di no
se mi domandano: “Racconta un po’!”

“State a sentire!” dice Prima imperiosa,
“Forza, comincia!” mi ordina frettolosa.
  Mentre Seconda, in tono speranzoso,
  dice “Papà, non fare il misterioso!”
    E infine Terza, la più piccolina,
 fa tante domande, da vera birichina.

    All’improvviso le voci si spengono
le bimbe con ansia la storia attendono:
      la fiaba di Alice che se ne va
     ma dove arrivi nessuno lo sa.
       In un paese fatato è caduta
     dove la logica sembra perduta.
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Ciò che vi ho detto è solo l’inizio
         ma di inventare ho già perso lo sfizio.
    Le bimbe chiedono: “Perché non vai avanti?”,
          gli occhi severi mi guardano attenti.
           “Più tardi saprete” dico a costoro,
          “è adesso più tardi” risponde il coro.

           Così inizia la grande avventura
            che Alice vive con disinvoltura.
          Una storia nata nella mia mente
         mentre il mondo scorreva lentamente.
           Ora la fiaba sta per cominciare
         presto torniamo, sta per tramontare!

            La fiaba di Alice presto s’arresta
            come un giorno lontano di festa,
          come un sogno che solo un bambino
             tiene stretto nel suo cuoricino,
            come il vivo profumo di un fiore
              nella tasca di un viaggiatore.

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Nella tana del Coniglio

  S eduta sulla riva del fiume accanto alla sorella,
Alice cominciava a stancarsi. Un paio di volte ave-
va buttato un occhio sul libro che la sorella stava
leggendo, ma era un libro senza figure né filastroc-
che.
   “Che me ne faccio di un libro senza figure e senza
filastrocche?” pensò tra sé.
   A dire la verità, le era difficile anche pensare, visto
che il caldo la rendeva assonnata e confusa; così, men-
tre si chiedeva se valesse la pena andare a raccogliere
margherite, non si stupì più di tanto quando passò di
fronte a lei un Coniglio Bianco con gli occhi rosa. E
non le parve poi così strano che il Coniglio dicesse fra
sé e sé:
   - Povero me, povero me! Arriverò troppo tardi!
   In un secondo tempo, ripensandoci, si rese conto
che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma al momento
le sembrò una cosa naturale.

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Quando poi il Coniglio estrasse un orologio dal ta-
schino del panciotto e affrettò il passo ancor di più,
Alice balzò in piedi sbalordita: non aveva mai visto un
coniglio con un taschino nel panciotto, e tantomeno
con un orologio dentro il taschino! Così, fremendo di
curiosità, lo inseguì per tutto il campo, giusto in tem-
po per vederlo infilarsi in una tana sotto una siepe.
  In un attimo anche Alice entrò dentro la tana, senza
pensare a come avrebbe fatto a uscire.
  Per un tratto la tana era dritta come una galleria,
poi sprofondava all’improvviso, così all’improvvi-
so che Alice non ebbe neanche il tempo di fermarsi,
prima di precipitare in quello che sembrava un pozzo
senza fine.
O il pozzo era molto profondo o Alice stava cadendo
molto lentamente, visto che, prima di arrivare in fon-
do, ebbe tutto il tempo di guardarsi attorno e chiedersi
cosa stava succedendo.
Inizialmente cercò di guardare in basso per vedere
dove stava andando a finire, ma l’oscurità era troppo
fitta, ed era impossibile vedere qualcosa. Allora guar-
dò le pareti del pozzo e si accorse che erano piene di
credenze e scaffali.
   Da ogni parte si vedevano mappe e quadri appesi a
chiodi.
   Alice afferrò al volo un barattolo: sull’etichetta c’era
scritto Marmellata d’arance, ma con delusione scoprì
che era vuoto. Non lo buttò via per paura che cadendo
potesse colpire qualcuno. Allora lo posò sopra un’altra
credenza, mentre stava cadendo.
   “Bene!” pensò tra sé e sé. “Dopo una caduta come
questa, un capitombolo lungo le scale mi sembrerà
uno scherzo! A casa penseranno tutti che sono mol-
to coraggiosa! Anzi, sono sicura che non avrei paura
nemmeno se dovessi cadere dal tetto di casa!”

                    ù , gi
                 Gi        ù , giù.

   La caduta era davvero senza fine?
   - Ma quanti chilometri avrò fatto in tutto questo
tempo? - gridò Alice. - Ormai sarò vicino al centro del-
la Terra. Fatemi ricordare: saranno seimila chilometri
di profondità...

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Aveva imparato molte cose di questo tipo a scuola,
e sebbene non fosse proprio il momento adatto per di-
mostrarlo, era pur sempre un’occasione per ripassare.
   - Sì, più o meno è la distanza giusta. Ma quali saran-
no le coordinate di longitudine e latitudine?
   Non sapeva neanche cosa fossero la longitudine e
la latitudine, ma le sembravano parole importanti, da
dire in una situazione simile.
   Poi ricominciò:
   - Mi chiedo se ormai non stia attraversando tutta la
Terra! Sarebbe divertente sbucar fuori tra la gente che
cammina a testa in giù! Li chiamano gli Antipati, se
non sbaglio…
   Stavolta era contenta che nessuno potesse ascoltar-
la, perché non era per niente sicura di aver detto la
parola giusta.
   - Bisogna che chieda a qualcuno il nome del paese,
si capisce. “Per favore, signora, questa è la Nuova Ze-
landa? Oppure l’Australia?”
   Cercò d’inchinarsi con gentilezza, mentre parlava…
ma... inchinarsi mentre si cade sospesi in aria... Pensa-
te un po’, ci riuscireste voi?
   - Chissà che bambina ignorante penserà che sono!
No, è meglio non domandare; forse lo troverò scritto
in qualche posto.

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ù , gi
                Gi        ù , giù.
   Non c’era nient’altro da fare, perciò presto Alice ri-
attaccò a parlare:
   - La gatta Dina sentirà la mia mancanza, stasera.
Spero non si dimentichino di darle il suo piattino di
latte, all’ora della merenda. Dina cara, vorrei che tu
fossi quaggiù con me! Certo, non ci sono topi per aria,
ma potresti sempre acchiappare un pipistrello: somi-
glia molto a un topo, no? Chissà se i gatti mangiano
anche i pipistrelli?
   A quel punto, Alice cominciò a sentir sonno, e così
continuò a domandarsi tra sé e sé, come in un dormi-
veglia:
   “I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pi-
pistrelli?”
   A volte, si diceva:
   “I pipistrelli mangiano i gatti?”
   Non trovando risposta, non dava neanche peso alle
domande che si poneva.
   Così, a poco a poco si addormentò e cominciò a so-
gnare di passeggiare a braccetto con la sua Dina e di
domandarle:
   - E adesso dimmi la verità, Dina: hai mai mangiato
un pipistrello?

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Ad un tratto...

                          bum!

   ...Alice arrivò finalmente in fondo al pozzo e atter-
rò su un mucchio di foglie secche. Era tutta intera, e,
dopo un attimo, già in piedi.
   Guardò in alto, ma sopra la sua testa c’era un buio
fitto. Davanti a lei si apriva un altro corridoio, in fondo
al quale riuscì a vedere il Coniglio Bianco scappar via.
   Non c’era un momento da perdere.
   Più veloce del vento si mise a inseguire il Coniglio,
appena in tempo per sentirlo esclamare:
   - Per i miei occhi, per i miei baffi, s’è fatto terribil-
mente tardi!
   Ormai Alice era a un passo dal Coniglio, ma appena
girò l’angolo non lo vide più. La bambina si trovò in
una sala lunga e bassa, illuminata da una fila di lam-
pade che pendevano dal soffitto.
   Intorno alla sala, c’erano numerose porte, ma erano
tutte chiuse. Alice cercò inutilmente di aprirle. Poi si
diresse verso il centro della sala, chiedendosi come sa-
rebbe potuta uscire da quel luogo.
   Ad un tratto vide un tavolino a tre gambe, tutto di ve-
tro, sopra il quale c’era una piccolissima chiave d’oro.

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Alice pensò subito che quella fosse la chiave di una
delle porte, ma non fu così: o le serrature erano trop-
po grandi, oppure la chiave era troppo piccola; l’unica
cosa certa era che nessuna porta si apriva.
   Comunque, provò a fare un’altra volta il giro della
sala. Stavolta si fermò davanti ad una tendina che pri-
ma non aveva notato; dietro, c’era una porta piccola,
alta non più di quindici pollici. Provò a infilare la chia-
ve dentro la serratura, e, con grande stupore, vide che
entrava benissimo.
   Aprì la porta e scoprì che conduceva a un passaggio
molto stretto, non più largo della tana di un topo. Si in-
ginocchiò per guardare attraverso il buco e le apparve
il più bel giardino che avesse mai visto. Le venne una
gran voglia di uscire dalla stanza buia e di passeggiare
tra quelle aiuole fiorite e quelle eleganti fontane. Attra-
verso quel buco, però, non poteva passare nemmeno la
sua testa!
   “Anche se ci passasse la testa, a cosa servirebbe sen-
za le spalle? Dovrei essere capace di ritirarmi come un
cannocchiale! Forse sarei anche capace, se solo sapes-
si da dove cominciare” pensò sconsolata.
   Le erano già successe così tante cose incredibili e in
così breve tempo, che cominciava davvero a pensare
che per lei non ci fossero cose impossibili: tornò indie-

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tro verso il tavolo, sperando di trovarvi un’altra chia-
ve o almeno un manuale che insegnasse alla gente ad
accorciarsi come un cannocchiale. Invece trovò una
bottiglietta che prima non c’era, con sopra un’etichetta
con stampata la parola Bevimi.
   Alice però non ebbe fretta.
   - No, prima controllerò se da qualche parte c’è scrit-
to Veleno oppure no.
   Troppe volte aveva sentito dire di bambini bruciati
o mangiati da bestie feroci, o vittime di altre terribili
cose, accadute proprio perché non avevano rispettato
alcune semplici regole impartite dai grandi: ad esem-
pio, che un attizzatoio per il fuoco brucia se lo si tiene
troppo a lungo tra le mani; oppure che se ci si taglia un
dito molto in profondità con il coltello, il dito di solito
sanguina; o ancora che se si beve il contenuto di una
bottiglia dove c’è scritto “veleno”, prima o poi capita di
sentirsi male.
   Comunque, su quella bottiglietta non c’era scrit-
to “veleno” da nessuna parte, cosicché Alice con at-
tenzione decise di assaggiarne il contenuto. Lo tro-
vò molto gustoso: era, per la precisione, una strana
miscela che ricordava la torta di ciliegie, la crema,
l’ananas, il tacchino arrosto, il croccante e i crostini
caldi imburrati.

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In un attimo, la bevve tutta.
    - Che strana sensazione! Sembra che mi stia accor-
ciando.
    Fu proprio così: in un baleno Alice era alta non più
di una ventina di centimetri.
    Il suo volto si illuminò al pensiero che era proprio
la misura che serviva per passare attraverso la piccola
porta ed arrivare nel magnifico giardino. Leggermen-
te innervosita, però, decise di aspettare ancora, per ve-
dere se avrebbe continuato ad accorciarsi.
    “Speriamo che mi fermi” si disse. “Se continuo così
va a finire che mi consumo tutta come una candela.
Cosa mai potrei diventare?”
    Cercò allora di immaginare che aspetto avesse una
fiamma quando si spegne, ma per la verità non ne ave-
va la minima idea.
    Dopo un po’, visto che non succedeva più niente, de-
cise di andare nel giardino.
    Quando si trovò dinanzi alla porta, si accorse che
aveva dimenticato la chiave d’oro. Ritornò subito verso
il tavolo, ma... non arrivava più a prenderla. La vedeva
attraverso il vetro e fece molti tentativi per arrampi-
carsi lungo una gamba del tavolo, ma scivolava sem-
pre. Dopo aver provato diverse volte si sentì così stanca
che si mise a sedere per terra e cominciò a piangere.

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“Ma perché piango? Non serve proprio a niente!” si
disse. E dopo un po’, con un tono deciso, aggiunse:
   - Ti ordino di smetterla immediatamente!
   Di solito Alice si dava degli ottimi consigli, però poi
li seguiva raramente. Qualche volta arrivava a sgrida-
re se stessa così severamente da farsi venire le lacri-
me agli occhi. Un giorno tentò addirittura di tirarsi
gli orecchi perché aveva provato a imbrogliare durante
una partita di croquet tra lei e lei stessa. Infatti preten-
deva a volte d’essere due persone.
   “Ma ora” pensava “non avrebbe senso pretendere di
essere due persone. Anche perché di me è rimasto tan-
to poco che basta appena a fare una sola persona che
si rispetti!”
   Ad un tratto, l’occhio le andò su una piccola scatola
di vetro riposta sotto il tavolino. La aprì e vi trovò un
pasticcino con la scritta Mangiami, elegantemente de-
corata con la crema.
   - Bene, lo mangerò - disse Alice. - Se mi farà cresce-
re, potrò arrivare a prendere la chiave sul tavolo. Se mi
rimpicciolirà ancora, passerò sotto la porta chiusa. In
ogni caso entrerò nel giardino!
   Addentò un boccone e, tenendosi la mano sulla te-
sta per sentire se la sua statura cresceva, si chiese
ansiosa:

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“Come diventerò? Come diventerò?”
  Restò molto sorpresa quando si accorse che era sem-
pre la stessa.
  Come tutti sanno, non succede mai niente di strano
quando si mangia un pasticcino. Alice però s’era or-
mai abituata a vedere solo cose straordinarie: adesso
che andava tutto nella maniera normale, si sentiva ve-
ramente delusa.
  Così continuò a mangiare e ben presto il pasticcino
era finito.

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