GIAMPAOLO ZAGONEL MICHELE COLOMBO E LA SUA FIGURA DI LETTERATO BIBLIOFILO E POLIGRAFO NEL 2500 ANNIVERSARIO DELLA NASCITA.

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Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°10 - 1997 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

                     GIAMPAOLO ZAGONEL

                     MICHELE COLOMBO E LA SUA FIGURA DI LETTERATO
                     BIBLIOFILO E POLIGRAFO NEL 2500 ANNIVERSARIO DELLA
                     NASCITA.

                     Michele Colombo nacque il 5 aprile 1747 a Campo di Pietra, una frazione del
                     comune di Salgareda (Treviso), da una modesta famiglia e morì, carico di anni,
                     tra molti riconoscimenti ufficiali, il 17 giugno 1838 a Parma. Della sua vita
                     conosciamo pressoché tutto ed è quindi inutile qui riproporre il suo itinerario
                     biografico(1).
                     Purtroppo la sua fama venne progressivamente spegnendosi con l'avanzare della
                     seconda metà del!' Ottocento, come conseguenza del mutato clima culturale e
                     letterario venutosi a formare con l'Unità del nostro paese e con l'affievolirsi
                     delle polemiche linguistiche legate al Romanticismo. Le edizioni delle sue opere
                     si andarono rarefacendo, poi scomparvero dal mercato librario, dai banchi delle
                     scuole; finirono con l'essere dimenticate, e lo sono ancora oggi(2). E se non
                     fosse per l'amicizia contratta in gioventù con il

                     1) Le prime notizie apparvero lo stesso anno della morte in un opuscolo dal titolo Aiquanti
                     cenni intorno alla vita di M. C. di Angelo Pezzana, Parma, Giuseppe Paganino, 1838. L'autore
                     del libretto si era servito in gran parte di notizie manoscritte che M. C. aveva redatto negli ultimi
                     anni di vita. Da questo lavoro hanno attinto tutti i biografi successivi, fino a F. Tadeo, estensore
                     della voce Michele Colombo per il Dizionario Biografico degli Italiani, XXVII, 1982, pp. 238-
                     41. Uno studio recente (che contiene in più tutti i ritratti di C.) è quello di Nicoletta Agazzi,
                     Intorno all'abate M. C., Vittorio Veneto, H. Kellermann, 1995.
                     2) Fa eccezione l'operetta Trattatelli tradotti dalla lingua malabarica nell'italiana favella,
                     riproposta in un'antologia di Scrittori di aforismi (vol. I) a cura di Gino Ruozzi per la collana
                     Meridiani di Mondadori nel 1995. Nel volume, al capitolo Ottocento, M. C. sta in buona
                     compagnia, insieme con Giacomo Leopardi e Niccolò Tommaseo.

                     GIANPAOLO ZAGONEL. Laureato in Economia e Commercio, dirigente
                     industriale. Appassionato di studi letterari, ha al suo attivo numerose ricerche di
                     letteratura italiana pubblicate in diversi periodici.

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                     condiscepolo del seminario di Ceneda Lorenzo Da Ponte(3) del suo ricordo, già
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                     fortuna egli vive ancora a Parma dove ci sono molti segni tangibili e indelebili
                     rimembranze del suo operato. Per di più la Biblioteca Palatina ebbe la ventura di
                     vedersi donata, qualche anno dopo la sua morte, l'intera biblioteca, nonché gran
                     parte dei manoscritti, autografi e carteggi(4).

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La svolta della sua vita - quella che gli procurò per il resto dei suoi giorni
un'esistenza serena anche sotto l'aspetto economico - avvenne nel 1796 (all'età
di quarantanove anni) quando accettò l'invito di recarsi a Parma, in qualità di
precettore del diciottenne Giovanni Bonaventura Porta, rampollo di una
famiglia di elevata condizione sociale.
Lì Colombo mise radici. In breve il suo impiego perse la connotazione di
maestro trasformandosi in un legame di reciproca ed affettuosa amicizia. Verso
la fine dei suoi anni, poi, Colombo divenne un'istituzione della famiglia Porta,
stante la fama universale che ormai circondava il vecchio letterato.
Man mano che scorre il tempo Colombo può quindi dedicarsi completamente
alla sua attività preferita, alla raccolta e classificazione di testi e manoscritti
della letteratura italiana, alla compilazione di repertori bibliografici, allo studio
della lingua, alla cura editoriale di alcuni nostri classici e attendere alla
pubblicazione dei suoi scritti.
Da giovane Colombo si era avventurato nei campi della poesia scrivendo versi
per quelle raccolte chiamate di circostanza o d'occasione, che gli aristocratici
commissionavano alle persone colte (o supposte tali) per celebrare eventi lieti o
dolorosi che accadevano nelle loro famiglie. Erano così solennizzate nascite,
nozze, vestizioni religiose, lauree, morti e altri avvenimenti per mezzo di
raccolte, in genere diversi, composte da più autori, quasi sempre pescati
nell'ambito territoriale in cui dimoravano queste famiglie.
Era la moda del tempo e naturalmente le composizioni, non essendo frutto di
ispirazione, ma dettate appunto da circostanze, agli occhi nostri, ma non solo(5),
appaiono - salvo rare eccezioni - fredde, stereotipe, noiose,

3) Cfr. Gino Buttazzi, Storia di un'amicizia: Michele Colombo e Lorenzo Da Ponte, in "Il
Flaminio", Vittorio Veneto, Anno III, n° 3, settembre 1984.
4) La storia della raccolta e successiva collocazione della biblioteca colombiana alla Palatina
di Parma è descritta da Nicoletta Agazzi, op. cit, pp. 29-32.
5) A questa moda non si sottrassero neppure letterati di fama come ad esempio i fratelli Gozzi
e in gioventù Giuseppe Panni e Giuseppe Baretti. Stava però montando l'onda contraria a

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ridondanti di incomprensibili erudizioni accademiche e mitologiche. Servivano
però ai praticanti poeti a fare i primi passi nell' accidentato terreno delle lettere e
a mettersi in mostra davanti alle persone colte e benestanti del tempo.
A questa usanza non poté certo sottrarsi il nostro povero abate. Per molti anni
diede anch'egli un discreto contributo, concorrendo con canzoni e sonetti a
raccolte di circostanza, soprattutto negli anni di Ceneda e Conegliano(6). La sua
produzione in versi cominciò a diradare nei soggiorni di Venezia e Padova, ma
non cessò del tutto neppure a Parma(7). Qualche sonetto lo continuò a comporre
pure in vecchiaia - ne conosciamo uno scritto in occasione del suo novantesimo
genetliaco - ma fu poi sempre restio nel darli alle stampe.
Più tardi, quando a Parma provvide personalmente a pubblicare i propri scritti
oppose un costante e categorico rifiuto a chi lo invitava ad inserire nella raccolta
la sua produzione in versi. Vi radunò solo pochi sonetti, ripudiando quasi tutta
la poesia scritta in gioventù, considerandola solo frutto di esercitazioni di
irrilevante valore e lasciando manoscritti i versi composti nella maturità(8).
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queste pletoriche composizioni, con a capo Francesco Algarotti, che le apostrofa col nome di
"dissenterie incredibile di sonetti e d'ogni altra maniera di poesie". Sull'argomento cfr.
Francesco Colagrosso Un 'usanza letteraria in gran voga nel Settecento, Firenze, Le Monnier,
1908.
6) Nel Saggio di Bibliografia del Vittoriese di Vincenzo Ruzza, Vittorio Veneto, 1987 l'elenco
delle opere del Colombo, per questi anni non è completo. Vi mancano almeno:
- 1773. Componimenti poetici in occasione che vestì l'abito religioso di 5. Domenico nell
'insigne monistero di 5. Rocco di Conegliano la nob. Sig. Co. Donata Zuliani col nome di Maria
Domenica, In Ceneda, nella stamperia Cagnani, 1773 (contiene versi di M. C.).
- 1780. Poesie per il solenne ingresso di 5. E. Mss. Zorzi Pisani procuratore di 5. Marco...
(Contiene un sonetto di M. C.).
- 1794. Anno poetico, ossia Raccolta annuale di poesie inedite di autori viventi, Venezia,
Tipografia pepoliana, 1794 (contiene tre sonetti e una poesia anacreontica di M. C.).
- 1796. Tributo dell'amicizia al Rev. Sig. Piovano Giuseppe Bassi nel giorno del suo ingresso
alla chiesa di 5. Luca, Venezia, Palese, 1796 (è un lavoro a due mani di Angelo Dalmistro e
Michele Colombo).
7) Per le nozze degli illustrissimi Signori Giuseppe Ziliani e Maria Conti, versi dedicati
all'egregio genitore dello sposo da Michele Colombo, Parma, Bodoni. 1805. (Non segnalato
nella Biblioteca, op. cit., di Vincenzo Ruzza).
8) Scriveva infatti nel 1819, a proposito della poesia, "che pochissimi sono i favoriti d'Apollo:
e quanto agli altri, meglio sarebbe che impiegassero il tempo nell'esercizio di qualche utile
professione quel tempo che gittan via nel far cattivi e stucchevoli versi" (cfr. Lettera ad un
amico intorno al regolamento degli studi di un giovanetto di buona nascita, p. 140).

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L'unica opera in prosa che vide la luce prima del trasferimento a Parma
- poi compresa nell'edizione definitiva dei suoi scritti - fu la Lettera al dott.
Giovanni Nardi intorno ad alcune specie di animalini acquatici osservati col
microscopio. Scritta a Conegliano nel 1786 venne pubblicata l'anno seguente a
Venezia nel quarto volume del Giornale per servire alla storia ragionata della
medicina(9). Lo scritto è un resoconto scientifico, redatto in forma di lettera, ad
un amico-medico di Conegliano ed è significativo almeno per due aspetti
meritevoli di una breve sottolineatura.

Il primo è la sorprendente preparazione scientifica dell'autore, che non può
risalire agli anni del4 seminario di Ceneda dove si seguiva un diverso percorso
di studi. Come racconta nella sua biografia, raccolta da Angelo Pezzana,
chiamato, poco tempo dopo l'uscita dal seminario, ad istruire i figli del conte
Folco Lioni a Ceneda, si rese conto delle sue lacune nel campo della matematica
e delle scienze in genere. Si mise alacremente a studiare e "in poco tempo tanto
si addomesticò co' teoremi e co' problemi di quel gran geometra (Euclide) che,
riflettendovi un poco sopra,d'ordinario ne trovava la soluzione e la
dimostrazione da sè, senza ricorrere a quella che n' avea data l'autore... Con
egual piacere si diede poi allo studio dell'algebra e dell'analisi, e con questi aiuti
volse l'animo allo studio della fisica(10)".
Il secondo motivo ci lascia invece stupefatti per la prosa. A mio parere trova
pochi riscontri per chiarezza, sinteticità, concretezza e facilità di comprensione
negli scrittori di scienze della fine del Settecento. Ancora nel campo scientifico
egli propose delle modifiche e migliorie da apportarsi al microscopio e qualche
anno più tardi, a Venezia, si intrattenne più volte a colloquio con il naturalista
Lazzaro Spallanzani proprio sui metodi da tenere nella sperimentazione e
osservazione dei fatti naturali.
Fu solo nell 812 (all 'età di sessantatré anni) che si risolse a pubblicare un
volume dal titolo Catalogo di alcune operette attinenti alle scienze, alle arti e ad
altri bisogni dell'uomo... Aggiuntevi tre lezioni su le doti di una culta favella
(11).
Questo lavoro, trattenuto manoscritto da gran tempo, lo aveva fatto

9) Durante il soggiorno di Conegliano, mentre attendeva all'istruzione del figlio del conte Pietro
Caronelli, venne ascritto nell'Accademia degli Aspiranti della città. Cominciò da qui a usare lo
pseudonimo di Agnol Piccione che mantenne in alcuni scritti successivi e col quale firmava a
volte scherzosamente la corrispondenza con gli amici più intimi. (Anche questo scritto
colombiano non è riportato nella Bibliografia, op. cit. di Vincenzo Ruzza).
10) Angelo Pezzana, op. cit. p. 15.
11) L'opera stampata a Milano da Luigi Mussi in una pregevolissima edizione (oggi molto
ricercata) ha per titolo completo Catalogo di alcune opere attinenti alle Scienze, alle Arti e ad
altri bisogni dell 'Uomo, le quali quantunque non citate nel Vocabolario della Crusca, meritano
per conto della lingua qualche considerazione. Aggiuntevi tre lezioni su le doti di una culta
favella.

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circolare solo nelle mani di pochi intimi, che tessendone gli elogi ne
caldeggiavano la pubblicazione. Quando fu costretto a cedere alle insistenze
degli amici, la sua proverbiale modestia e ritrosia lo convinsero a pubblicarlo
anonimo, anche se l'autore non poteva sperare di passare in incognito, data la
rilevanza e l'interesse che il volume avrebbe destato.
Venne così alla ribalta del pubblico colto un ammirabile quanto documentato
bibliofilo e un insigne linguista. Colombo fu considerato da quel momento -
senza esagerazione - un punto di riferimento per letterati ed editori di Milano,
Venezia e Firenze. Erano anni ricchi di fervore editoriale, di dibattiti sulla
nostra lingua, di promozioni di ristampe dei nostri classici. Anni che presero il
via con il Regno d'Italia e con una spinta che non si esaurì neppure con la
Restaurazione seguita al Congresso di Vienna.
Che Colombo non avesse sprecato invano la sua vita lo testimonia
indirettamente la corrispondenza ed i nomi con i quali teneva relazioni epistolari
('2). Per sua stessa ammissione, gli anni trascorsi a Venezia e Padova furono
ricchi di studi, di opportunità sfruttate a dovere, di occasioni irripetibili, di
ricerche e conoscenze ineguagliabili. A testimonianza di ciò basterà una prova
sola: la lettera del 26febbraio 1787 da Padova a Girolamo Tiraboschi autore
della prima moderna Storia della letteratura italiana edita in più volumi a
Modena, tra gli anni 1772-82. Nella lunga lettera Colombo passa in rassegna,
collazionandoli, due esemplari del Canzoniere La bella mano di Giusto de'
Conti. Oltre a riportare le varianti fra le due edizioni del 1589 e 1595, con
appropriate considerazioni, riassume la storia di quelle e delle edizioni
successive. A sostegno delle sue tesi dichiara di essere in possesso dell'edizione
dell 589 e di confrontarla con un'altra presa a prestito da una biblioteca
patavina. Da anni si accingeva a raccogliere edizioni antiche dei nostri classici
per future riedizioni critiche(13).

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12) Lettere dell'Abate Michele Colombo, raccolte dal cav. Angelo Pezzana, Bologna, Tipografia
all'Ancora, 1856, vol. I. (La lettera a Girolamo Tiraboschi è alle pp. 309-19). Con l'occasione
rileviamo che Angelo Pezzana(1772-1862) bibliotecario della Palatina e intimo amico di M. C.
aveva in animo di raccogliere in più volumi le lettere di Colombo, ma si fermò purtroppo al
primo volume. Inoltre, seguendo una norma dell'epoca, le lettere osservano il criterio alfabetico
dei corrispondenti e non quello cronologico. Mancano poi totalmente anche di brevi ragguagli
dei corrispondenti, sono del tutto prive di note e purtroppo contengono numerosi errori. Con
tutti questi difetti, non essendoci nulla di meglio è pur sempre un utile documento a disposizione
degli studiosi. Certo che non sarebbe male provvedere ad una moderna e più completa edizione
critica di tutte le lettere di M. C.
13) Le annotazioni di M'C., riguardanti l'opera di Giusto de' Conti furono inserite da Bartolomeo
Gamba nel suo Serie dei testi di lingua..., Venezia, Co' tipi del Gondoliere, 1839, p. 116. In una
postilla sulle ultime pagine del volume Gamba dichiara in questa edizione di aver aggiunto
nuove osservazioni bibliografiche "lasciate inedite dal chiarissimo uomo

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Come dicevo poc'anzi, partito da Conegliano, Colombo entrò in qualità di
istitutore a Venezia nella casa del patrizio Giovan Battista Da Riva, persona di
ragguardevole cultura e provvista di una ricca biblioteca con volumi in tutte le
lingue europee. Colombo ne approfittò ampiamente per i suoi studi ed anche per
conoscere e stringere amicizia con i numerosi letterati che frequentavano e la
biblioteca e la casa. Incontrò così Carlo Gozzi(14), Jacopo Morelli(15) e
soprattutto Angelo Dalmistro(16). E' probabile che risalga a quel periodo anche
la conoscenza di Bartolomeo Gamba, ancora dipendente dei Remondini di
Bassano, che spesso si recava a Venezia per effettuare controlli e supervisioni
nella prestigiosa libreria che gli editori bassanesi possedevano nella città
lagunare. Ma non disdegnava le conversazioni scientifiche con il già ricordato
Spallanzani e i contatti con lo scultore Antonio Canova. Quando Da Riva venne
nominato podestà e capitano di Padova, non volle privarsi della presenza di
Colombo e lo portò con sé nella città del Santo. Poco tempo dopo Colombo
venne introdotto nel Gabinetto di lettura della città, cui si accedeva soltanto per
riconosciuti meriti, e che era quasi esclusivo appannaggio di professori
dell'università patavina.
Fra i membri di questo club( 17) Colombo ricorderà Melchiorre Cesarotti( 18),
Simone Stratico(19), i fratelli Girolamo e Niccolò Da Rio(20) e Daniele

Michele Colombo". Osserviamo che già in una precedente edizione (del 1812) in Serie dei testi
di lingua..., stampato a Milano, Bartolomeo Gamba scriveva" sappiasi intanto che alla bontà,
allo zelo, all'amicizia principalmente di due dottissimi e cortesissimi amici l'abate Michele
Colombo, ora domiciliato in Parma, e ..., debbo un'assistenza indefessa e utilissima
Credo sia il primo riconoscimento pubblico che compare in un volume del valore, come
bibliografo, di M. C.
14) Carlo Gozzi (1720-1806), fratello minore di Gasparo, fu autore di testi di teatro, di favole,
della Marfisa bizzarra e di un libro biografico dal titolo Memorie inutili.
15) Jacopo Morelli (1745-18 19) ebbe per oltre un quarantennio l'incarico di responsabile della
Biblioteca Marciana. l~enne una sterminata corrispondenza con i maggiori letterati europei del
suo tempo.
16) Angelo Dalmistro (1754-1839) dopo l'ordinazione sacerdotale si impiegò presso lo
stampatore veneziano Zatta come correttore, ma nello stesso tempo ebbe incarichi di istitutore in
diverse case patrizie della città. Ricordiamo che per un breve periodo (1788) ebbe come allievo
il giovanissimo Ugo Foscolo. Fu il compilatore dell "Anno poetico" (1793-1800) una
pubblicazione in cui companivano annualmente poesie inedite di autori viventi (cfr. sopra nota
6). Autore di poesie, sermoni, traduttore dei poeti inglesi Alexander Pope e Thomas Gray, curò
la prima edizione completa delle opere di Gasparo Gozzi. Tra lui e Colombo sorse un vero
sodalizio che si trasformò successivamente in una intensa corrispondenza epistolare. 17) Il
circolo letterario portava proprio il nome inglese di Club.
18) Melchiorre Cesarotti (1730-1806): lo ricordiamo qui solo per le sue battaglie linguistiche
che lo vedevano in una posizione equidistante tra il rigore purista e gli eccessi innovatori. 19)
Simone Stratico (1730-1824) originario di Zara, studiò a Padova dove per lunghi annni insegnò
medicina, matematica e nautica. Fu autore di un Dizionario di marina in tre lingue

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Francesconi(21). Sfogliando ancora le sue lettere non mancano altre importanti
relazioni nate negli anni padovani. Citiamo i nomi di Pierantonio Meneghelli
(22) e Giovanni De Lazzara(23). Si era costruito una fitta ragnatela di amicizie
che per la maggior parte si cbllocavano tra linguisti, bibliofili, poligrafi e
lessicografi del suo tempo. Trasferitosi a Parma, oltre che a provvedere
all'istruzione del giovane Porta ebbe l'incarico di compiere numerosi viaggi, sia
in Italia che all'estero con l'allievo e a volte con più discepoli. Così visitò la
Toscana ed a Firenze avvicinò lo scontroso Vittorio Alfieri(24) e gli studiosi più
eminenti della città, ed inoltre potè entrare in diverse biblioteche nobiliari, in
primo luogo in quella di Angelo Maria D'Elci, rinomato cultore di letteratura
greca e latina. In seguito andò in Spagna, Francia e Inghilterra e in queste
occasioni non si lasciò mai sfuggire (soprattutto a Parigi e Londra) le aste dei
libri antichi di classici italiani. E pur con le sue modeste possibilità economiche
mise assieme una preziosa biblioteca(25).

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Possiamo ora entrare nel merito di questa pubblicazione colombiana del 1812
per cercare di capire la sua risonanza nell'ambito letterario. Come già

(italiano, francese e inglese). Durante la sua lunga vita ricevette continue onorificenze per meriti
scientifici, prima dalla Repubblica Veneta, poi dal Regno italico e più tardi dall'imperatore
d'Austria Francesco I. Negli anni giovanili era stato in amicizia e corrispondenza con Giacomo
Casanova.
20) Girolamo e Niccolò Da Rio, padovani, fondatori e direttori del Giornale dell'ltaliana
Letteratura.
21) Daniele Francesconi (1761-1835) nato a Cordignano studiò a Padova dove conseguì la
laurea in legge nel 1782 e qualche anno più tardi fu consacrato sacerdote. Dopo vari incarichi il
governo veneziano lo nominò nel 1793 precettore di geometria e fisica nel collegio di S. Marco
a Padova. Fu considerato un vero portento poichè i suoi studi spaziano in campi vastissimi dalla
fisica alla matematica, dalle lettere alla filologia ed ebbe in comune con Colombo l'amore per i
libri preziosi e rari. Più volte e per molti anni ricoprì l'incarico di bibliotecario all'Università di
Padova.
22) Pierantonio Meneghelli professore a Vicenza e poi vice-bibliotecario e custode del
Gabinetto numismatico dell 'Università di Padova.
23) Giovanni De Lazzara ebbe dalla Repubblica veneta l'incarico di conservatore del patrimonio
artistico della città di Padova.
24) Invano M. C. chiese un colloquio a Vittorio Alfieni che gli fu negato. Allora si procurò una
bella edizione delle opere di Sallustio e con questo stratagemma superò tutte le reticenze del
poeta tragico.
25) La biblioteca colombiana venne venduta alla Palatina nel 1843. Comprendeva 6700 volumi,
corredati da molte note manoscritte, volumi che si trovano attualmente smembrati nelle varie
sezioni della Palatina stessa. Tra le rarità bisogna almeno ricordare il Tesoro di Brunetto Latini,
edito a Treviso nel 1474.

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recita il titolo del volume, si tratta di un repertorio alfabetico di un centinaio di
autori (con oltre duecento titoli) che parte dagli inizi del Cinquecento per finire
al Settecento inoltrato. Il catalogo è preceduto da una lunga prefazione nella
quale l'autore si lamenta che i lessicografi redattori della recente edizione del
Vocabolario della Crusca, pur incrementando il numero dei testi che i
precedenti compilatori avevano trascurato, ne escludessero ancora una quantità
considerevole.
Scrive Colombo che "la massima parte di questi novelli testi di lingua
apparteneva ancor essa alle belle lettere; pochissimi affatto a studi più gravi. Ciò
è tanto vero, che di quegli Autori medesimi che in ambidue questi generi
avevano esercitate le loro penne, furono adottate le Opere pertinenti alla bella
letteratura, e quelle che trattavan di Scienze, dimenticate"(26). Deplorando
quindi la scarsità di vocaboli tratti da testi di scienze osserva che "sarebbe
necessario pertanto che altri si pigliasse la briga di rendere il Catalogo de' nostri
Testi di Lingua più ricco in quelle parti spezialmente in cui tutt'ora esso è
povero anzi che no, acciocché poscia principalmente di là fossero tratti que'
vocaboli e quelle maniere di favellare, che sono le più proprie della lingua e le
più acconcie ad esprimere ciò che concerne le Scienze, le Arti meccaniche e le
liberali, ed altre materie di questa sorte"(27). Continua quindi
scrivendo"m'arrischierò non già di eseguire, ma solamente di tentare un lavoro
riserbato a mani più esperte, e verrò indicando alcune delle opere de' migliori
nostri scrittori, le quali, quantunque non allegate nel Vocabolario della Crusca,
né mentovate nella Giunta che fu proposta nel 1786, mi sembrano meritevoli per
lo vantaggio che può ridondarne alla nostra favella di venir ancor esse infra le
classiche degl'italiani scrittori in qualche maniera annoverate"(28).
Sempre nella prefazione ci informa di un altro criterio seguito nella
compilazione del repertorio, che dimostra la sua scelta di campo tra i linguisti
contemporanei "...mi sembra egualmente ingiusto e il non voler concedere una
sorta di preminenza quanto alla purgatezza ed eleganza della lingua agli scrittori
toscani; e il voler talmente ristrignere ad essi questa bella prerogativa, che non
abbiano a parteciparne eziandio quelli dell'altre provincie dell'Italia, i quali
facendo un lungo studio sopra i migliori maestri dello scrivere, possono molto
bene divenir ancor essi eleganti e tersi scrittori. Chi nacque sulle rive dell'Arno,
succiata avendo col latte una lingua quasi così pura com'essa si scrive, ebbe
senza dubbio un vantaggio grandissimo sopra quelli che nati in altre parti
d'Italia la succiarono impurissima e corrottissima.

26) Cfr. ed. cit. p. XIII.
27) Op. cit. p. XVIII.
28) Op. cit. pp. XIX-XX.

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Sono pertanto i Toscani naturalmente atti ad esprimere le cose con maggior
purità di favella che quelli dell'altre italiche contrade... Ond' è che io preferirò a
qualunque altro il più che io potrò gli autori toscani; ma verrò ricordando
eziandio alcuni di quelli ch'ebbero fuori dalla Toscana la culla, sì veramente che
coll'avere molto studiata la lingua siensi acquistati fama essi pure di purgati
scrittori"(29).
Riportiamo infine la chiusa della prefazione che mostra con disarmante candore
la modesta considerazione che aveva di sé: "se tuttavia sarà trovata questa mia
opericciuola troppo manchevole e difettosa, e troppo ancora lontana dal poter
conseguire quel laudabil fine che io mi sono proposto, che altro da far mi resta?
Due cose ancora: da pregare istantaneamente coloro i quali ne rileveranno le
imperfezioni, che vogliano usarle alcuna indulgenza, e da sperare che uomini
più di me intelligenti e di maggior senno dotati conducano a compimento ciò, a
che io mi sono arrischiato di por mano sospintovi dall'amor di una lingua che
richiede tutte, e tutte merita senza dubbio le nostre cure"(30).
Un altro aspetto non trascurabile dell'opera è che Colombo non si limitò a
considerare solo testi della nostra letteratura, ma vi inserì traduzioni dal francese
e dall'inglese di scelti scrittori toscani(31).
In margine al catalogo uno studio dal titolo Delle doti di una culta favella,
suddiviso in tre lezioni, diretto ai giovani studiosi. Da questa appendice "emerge
la sua teoria della lingua e dell'educazione linguistica che, partendo da
un'esigenza di chiarezza e semplicità nell'eloquio, è indirizzata verso un
moderno purismo secondo il modello dei trecentisti"(32).

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Come abbiamo detto, la pubblicazione riscosse un largo successo che si
materializzò in poco tempo nella nomina a socio di diverse accademie. Nel 1816
fu eletto socio onorario dell'Ateneo di Treviso e nel 1817 socio corrispondente
dell'Accademia della Crusca, dopo aver vinto un concorso indetto nel medesimo
anno(33). Iniziò quindi con alcuni editori la collabora-

29) Op. cit. pp. XXIII-XXIV.
30) Op. cit. p. XXIX.
31)1 titoli spaziano dall'economia all'educazione, dall'idraulica alla religione.
32) Nicoletta Agazzi, op. cit., pp. 33-34.
33) Ne diede notizia all'amico lontano Lorenzo Da Ponte con una lettera del 6novembre 1818.
"Io ti manderei, s'io sapessi come, due miei libriccini, uno de' quali ottenne la corona
dall'Accademia della Crusca. Arde oggidì gran guerra fra' letterati d'Italia, i quali si odiano
cordialissimamente, e si mordono e si lacerano come cani arrabbiati. Vedi urbanità e
gentilezza che attignesi a' fonti della letteratura!" (Cfr. Lettere di M. C., op. cit., p. 35).

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zione per la riedizione di classici italiani tra i quali ricordiamo il Decameron di
Giovanni Boccaccio(34), La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso(35) e Le
cento novelle antiche secondo l'edizione del 1525(36).
Entrato in corrispondenza con il lessicografo Antonio Cesari(37) e sollecitato ad
intraprendere lavori di più ampio respiro nel campo linguistico, rispose con
solita modestia, questa volta frammischiata con sottile arguzia, che "il lavoro al
quale Ella mi esorta, non è cosa da farsi da un povero vecchio di settant'anni, e
per giunta indisposto della salute, qual son io; e mattezza sarebbe la mia, se io
sol vi pensassi(38)".
Nel 1817 l'ex allievo Porta convolò a nozze con Elena Bulgarini e Colombo
donò agli sposi una pubblicazione, non più in versi, dal titolo Lettera ad un
amico intorno al regolamento degli studi di un giovanetto di buona nascita. In
queste pagine il curriculum di studi proposto da Colombo prevedeva prima le
discipline scientifiche, poi la logica e la metafisica, quindi lo studio delle lingue:
italiano, latino e greco e come lingue straniere la francese e l'inglese. Per ultimo
consigliava l'eloquenza. L'operetta è piena di concetti pedagogici innovativi per
il periodo nel quale Colombo opera, come quando afferma che per la diversità
di caratteri e delle disposizioni di un giovane rispetto ad un altro "un metodo di
studi plausibile ed eccellente quanto si voglia, non dee un abile educatore
attenersene fedelmente ed

34) Decameron di Messer Giovanni Boccaccio, corretto ed illustrato con note, Parma, dalla
Stamperia Blanchon, 1812-1814 in 8 voll. In una lettera ad Antonio Cesari (Parma, 26 febbraio
1817) a proposito di questa ristampa scrive, con la solita modestia: "Nella impressione, che si
fece qui, del Decameron del Boccaccio io non ho avuta altra parte che quella del correggere la
stampa e nell'apporvi qualche postilluzza o dove m'è paruto che la lezione adottatasi nella
edizione di Milano non fosse la migliore, o dove qualche altra somigliante cagione mi ci ha
indotto. Del resto io era tanto lontano dal promuovere la ristampa di un libro sì pericoloso alla
gioventù, che anzi mi adoperai quando seppi acciocchè non si facesse, ma sull' animo dello
stampatore l'allettamento del guadagno ebbe più forza che le mie dissuasioni". (Cfr. Lettere di
M. C. op. cit., p. 40) Questa edizione del Decameron è considerata una delle più corrette
dell'Ottocento.
35) La Gerusalemme liberata, poema di Torquato Tasso, ridotta a miglior lezione; aggiuntov i il
confronto delle varianti tratto dalle più celebri edizioni, con note critiche sopra le medesime,
Firenze, presso Giuseppe Molini, 1824.
36) Le cento novelle antiche secondo l'edizione del 1525, corrette ed illustrate con note, Milano,
per cura di Antonio Tosi, 1825. La prefazione e la cura del testo sono di M. C. che ancora una
volta non firma il suo lavoro.
37) Antonio Cesari (1760-1828) scrisse su tanti argomenti,ma il suo nome è legato alle dispute
linguistiche come propugnatore di un ritorno alla purezza della lingua trecentesca ancora esente
da influssi stranieri.
38) Cfr. Lettere di M. C., op. cit., p. 40.

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invariabilmente, ma dove ristringere, dove ampliare; e qui aggiungere, e là
toglier via(39)".
Purtroppo dopo solo due anni Giovanni Bonaventura Porta rimase vedovo e in
uno stato di grande depressione. Colombo colse l'occasione per tessere un
elogio di Elena Bulgarini, con un libretto, in caratteri bodoniani, di poco più di
cento pagine, nelle quali approfittò per tracciare un modello ideale di
educazione per una giovane(40).
Non è però da credere che Colombo fosse solo dedito agli studi gravi e a volte
pedanti come quelli linguistici e bibliografici. Sapeva da buon educatore
divulgare e discettare su argomenti non attinenti alle lettere, e lo diede a vedere
con Il giuoco degli scacchi renduto facile a' principianti. Trattatello tradotto
dall'inglese con annotazioni ed aggiunte, edito a Parma, dal Paganino nel 1821,
mostrando così l'eclettismo dei suoi interessi e la vastità del suo panorama
culturale.
Scrive nella prefazione "....essendomi pervenuto alle mani un libriccino di
questa fatta, ed avendolo io trasportato nella nostra favella per mio passatempo,
è paruto ad alcuni de' miei amici che questa opericciuola potesse essere di
qualche vantaggio a que' giovinetti che cominciano ad addestrarsi agli scacchi; e
mi hanno perciò confortato a pubblicarne la traduzione(41)". Di nuovo uno
stimolo pedagogico fa da spinta alla risoluzione di dare al pubblico questo
lavoro, che ebbe un largo successo e vide decine di edizioni, in ogni parte
d'Italia, fino alla metà dell'Ottocento, per comparire subito nelle edizioni delle
sue opere.

                                        **********

Colombo, pur raggiungendo un'età molto al di sopra della media, eccezionale
per i suoi tempi, fu soggetto a lunghe malattie, anche negli anni giovanili,
malattie che lo lasciarono lungamente prostrato. Durante le convalescenze, per
scacciare la noia ed il malumore - come confermarono spesso i suoi amici -
componeva dei piccoli racconti o novellette. Osserva in proposito Angelo
Pezzana: "quanto valesse il Colombo nello stile festivo e

39) La Lettera... fu ripubblicata, ampliata, nel 1820 assieme ad altre "cianciafruscole", come
chiamava M. C. i suoi lavori, sempre a Parma da Giuseppe Paganino (cfr. pp. 145-46). Ancora
una volta nella pubblicazione non compare il suo nome, ma nella breve introduzione l'editore
scrive che "l'Autore non fu mai dominato da altra ambizione che quella di rendersi giovevole
alla gioventù; ed a questo scopo tiravano sempre i suoi scritti. Nutrendo ancor io la medesima
brama, m'avvisai di mettere insieme le sopraddette cose, e ripubblicarle in un volume, stimando
che con ciò si sarebbe renduto a' giovani studiosi un utile servigio".
40) Elogio di Elena Porta nata Bulgarini, Parma, co' tipi bodoniani, 1819.
41) Da Opere dell'abate D. M. C. di Parma, Milano, Silvestni, 1824, (p. 338).

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nella piacevolezza del novellare già è noto a' cultori delle lettere italiane per le
novelle che di lui sono a stampa sotto il nome di Agnolo Piccione(42)". L'autore
ne pubblicò solo tre, altre rimasero manoscritte, ma tutte ripropongono temi
della narrativa antica con uno stile e un linguaggio che richiamano modelli tre-
cinquecenteschi.
Un curioso episodio è legato alla novella Di una marioleria di Franceschin da
Noventa. Colombo, per mettere alla prova il giudizio dei letterati
contemporanei, fece passare un proprio scritto per un inedito del poeta-umanista
opitergino Giambattista Amalteo(43). I fatti si svolsero in questo modo. Un
letterato padovano, il conte Antonio Maria Borromeo stava raccogliendo testi
inediti di novellieri antichi per farne una pubblicazione. In relazione epistolare
con il nostro abate (siamo nel 1793) gli chiese di procuragli materiale raro o,
ancor meglio, inedito, ma non riuscendo Colombo ad accontentarlo, gli venne in
mente di scrivere, quasi per celia, un racconto sul gusto dei cinquecentisti.
Composta la novella la inviò a Borromeo facendola passare per un ritrovamento
inedito dell'Amalteo, citando falsi manoscritti, per render più credibile la cosa,
dai quali avrebbe copiato il racconto.
Possiamo immaginare la soddisfazione di Colombo quando apprese che i
letterati erano caduti nella trappola di questo suo parto. Solo allora fu certo di
aver imitato alla perfezione lo stile del Cinquecento. Meno entusiasta fu quando
vide la novella, sotto il nome di Giambattista Amalteo, compresa nel volume,
curato da Borromeo, Notizia dei Novellieri Italiani, stampato dai Remondini di
Bassano nel 1794.
Il tema di non attenersi ai soli modelli del Trecento, fu ripreso nella quinta delle
sue lezioni sulla lingua Del modo di maggiormente arricchire la lingua senza
guastarne la purità, pubblicata nel 1824. Era un lungo articolo preparato per
l'Ateneo di Treviso con il titolo di Ragionamento. In sintesi un'ulteriore
conferma del suo credo sulla bontà della matrice toscana della nostra lingua con
poche integrazioni da trarre dai testi scritti nei successivi secoli, in particolare
nel Cinquecento.
Non mancò Colombo di pubblicare (nel 1820) un libretto di sentenze dal titolo
Trattatelli tradotti dalla lingua malabarica nell 'italiana favella(a).

42) Angelo Pezzana, op. cit., p. 43.
43) Giambattista Amalteo (1525-1573) letterato, segretario per lungo tempo della Repubblica di
Ragusa (Dubrovnik), poi di San Carlo Borromeo, autore di composizioni poetiche in italiano e
latino, ma non di prose. Appunto per questo M. C. - conterraneo dell'Amalteo - per rendere più
facile l'inganno, attribuì il racconto ad un autore di cui non ci fosse nessuno scritto in prosa
italiana, onde evitare i confronti.
44) La prima edizione venne inserita negli Opuscoli letterari, Nobili, Bologna, 1820. Le edizioni
successive, a partire da quella parmigiana del Paganino del 1824, vedono aumentato il numero
degli aforismi, che passano da cento a centosette.

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Comprende una sequenza di cento aforismi che l'autore finse di aver tradotti
(scegliendoli fra migliaia) da un manoscritto recuperato sulle coste di un
immaginario paese, il Malabar appunto. Sotto le sembianze dell'autore
malabarico, Colombo ci propone una raccolta di sentenze morali, in genere
brevissime battute di poche righe, dove non mancano frecciate contro i vizi dei
letterati. I modelli a cui si rifà si possono facilmente individuare in Teofrasto e
nel suo epigono Jean de La Bruyère.
E' del 1826 invece la prima edizione della Breve relazione della Repubblica dei
Cadmiti, ghiribizzo diA gnolo Piccione illustrato daAgnolino suo figliuolo(45).
Non volendo entrare direttamente nel merito delle polemiche che scuotevano il
mondo dei letterati, Colombo si trincera ancora una volta dietro il paravento
dello pseudonimo e "polemizza ironicamente contro la repubblica dei letterati
per le inutili e artificiose contese, attraverso una presunta relazione sulla
fantomatica Repubblica dei Cadmiti. In una nota esplicativa dell'allegoria,
Colombo, nelle vesti del presunto autore, manifestava, sempre nella chiave
burlesca da lui scelta, il risentimento per l'incontentabilità dei critici, e
ironizzava sulla moderna narrativa francese mista di tragico e di patetico(46)".
Questo suo "ghiribizzo" non poteva certo passare inosservato e la recensione
che se ne fece nella rivista Biblioteca italiana, ancora nell'ottobre dello stesso
anno, anche se non negativa, fu critica nei confronti della forma, del modo
ironico e quasi irridente con il quale scendeva nell'agone delle polemiche
letterarie l'oramai famoso Colombo. Si vide pertanto costretto a scendere in
lizza con tanto di nome e cognome nel 1827 con il Ragionamento intorno le
discordie letterarie di oggidì, dove, stemperando i toni, con il consueto garbo,
senza nessuna acrimonia, affrontava storicamente, pur condannandoli, gli abusi
delle polemiche letterarie, per arrivare infine ai suoi giorni ed entrare nella
critica al Romanticismo, considerando egli estranei alla nostra indole il carattere
e l'immaginazione di una letteratura che arrivava da Oltralpe.

                                       **********

Nella brama di allargare la cerchia dei lettori, gli editori italiani, a partire dagli
anni 1820, misero sul mercato dei libriccini, chiamandoli strenne o almanacchi,
aventi di solito periodicità annuale. Coinvolgendo autori di lettere affermati si
tentava di avvicinare un vasto pubblico allettandolo con cosette amene, leggere,
in genere sentenze di varia umanità, ma di non grande impegno letterario. Il
nome di Michele Colombo era ormai conside

45) Edizione a cura di Bartolomeo Gamba a Venezia, nella tipografia di Alvisopoli, 1826.
46) Cfr. F. Tadeo, Colombo, op. cit., p. 240.

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rato un richiamo di grande risonanza se gli venne chiesta una collaborazione.
Per tre anni di seguito (dal 1828) comparve il suo nome su un almanacco che
ebbe rispettivamente i titoli di Paralipomeni(47), Nuovi paralipomeni e i
Paralipomeni dei paralipomeni. Anche se di modesto valore è giusto darne
notizia, poiché i biografi non ne fanno cenno o li tengono in scarsissima
considerazione, ma sono pur sempre operette che il nostro autore curò, come
tutti i suoi lavori, con estremo scrupolo.
Abbiamo sotto mano la prima edizione del 1828 (che riproduce in antiporta un
suo ritrattino) contenente cento sentenze tratte ancora - precisano gli editori -
dal manoscritto malabarico, ma dove si pesca a piene mani, citandolo più volte,
dal già ricordato Jean de La Bruyère.
Nonostante, a partire dal 1829, lo colpissero sempre più lunghe e gravi malattie,
che lo costringevano a letto per molti mesi, l'attività di Colombo pubblicista non
conosceva soste. E' del 1830, ad esempio, un'operetta di poche paginette:
Diceria in difesa dello scrivere con purezza, nella quale contesta l'accezione
negativa attribuita al terminepurismo dai suoi detrattori, che consideravano
riduttivo non ammettere nella lingua italiana locuzioni straniere. Ironicamente
scrive: "lodato sia il cielo, ché finalmente s'è discoperto il vero modo di dare al
dir nostro e chiarezza e forza e armonia e grazia, e colore quanto si vuole: basta
ad ottener tutto questo imbrodolar nelle nostre carte ben bene la nativa favella di
frasi venuteci dalla Senna, dal Tamigi, e dal Danubio. Peccato che non ci si
metta anche un po' di Svezzese, e di Russo, per renderla ancor più nobile, e
dignitosa: ma egli è da sperare che sien per far questo i posteri nostri; ché alla
fine egli è bene lasciare anche ad essi una porzione di cotal gloria(48)". Fino
agli ultimi giorni di vita prende parte attiva alle dispute letterarie, direttamente o
indirettamente legate alla lingua, mentre le sue opere, che avevano ricevuto
apprezzamenti da famosi letterati - Vincenzo Monti per tutti(49) - ottengono
sempre più lusinghiere recensioni, come quella di Giuseppe Montani
sull'Antologia fiorentina del Vieusseux nel 1830(50).

47) Paralipomeni dell'abate Don Michele Colombo di Parma, Milano, presso gli editori Pietro e
Giuseppe Vallardi, coi tipi di Felice Rusconi, s. d. ma 1828. (Manca alla Bibliografia di
Vincenzo Ruzza). A onor del vero C. dichiarò nella Gazzetta di Parma del 3 gennaio 1829 che
"quell'almanacco era tutta farina d'altro sacco e che di suo non ha là dentro ne pure una sillaba",
ma la sua smentita non è del tutto convincente.
48)Cfr.pp. 10-11.
49) In più occasioni Vincenzo Monti loda M. C. dicendo che "gli italiani non diventano classici
che dopo la morte, il Colombo è classico vivente". Inoltre nel 18371 'Accademia della Crusca
promosse un'edizione corretta della Divina Commedia: nella prefazione è riferito un giudizio di
M. C., che viene chiamato con l'appellativo di "maestro" in fatto di lingua.
50) Lezione dell 'ab. M. C. intorno alfavellare e scrivere con proprietà, Parma, Paganino, 1830
in "Antologia", XXXIX (1830) pp. 144-45.

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Verso la fine del 1837 un editore di Parma, volendo ristampare il romanzo di
Alessandro Manzoni, chiese a Colombo di fare una breve prefazione. Egli, che
aveva sempre manifestato una chiara contrarietà verso i romanzi storici, non si
tirò indietro, avendo in precedenza apprezzato I promessi sposi e il suo autore:
consegnò allo stampatore un breve scritto esprimendo un giudizio altamente
positivo. Il libro uscì agli inizi del 1838(51), quando il Colombo era ancora in
vita, e il suo nome spicca in grassetto nel frontespizio dell'opera manzoniana.
Morì serenamente, sempre in piena attività fino agli ultimissimi giorni(52), in
casa di Giovanni Bonaventura Porta, il 17 giugno 1838 all 'età di novantuno
anni. Gli furono tributate solenni esequie e la salma venne tumulata nel cimitero
pubblico nella tomba della famiglia Porta, mentre una lapide in marmo, a
perenne memoria, venne apposta all'interno della chiesa di Sant'Andrea
apostolo, dove si trova tutt'ora. Non si contarono nella città di Parma le
cerimonie pubbliche in suo onore culminate in una sottoscrizione per il conio di
una medaglia commemorativa. La prima sottoscrivente fu la duchessa Maria
Luisa alla quale venne poi consegnata l'unica medaglia d'oro appositamente
coniata.
E per concludere non troviamo pensiero più bello di quello pubblicato pochi
giorni dopo la morte da un amico, che scrisse sollecitando una biografia del
Colombo: "In questo semplice annunzio della morte di lui mi sia conceduto il
dire, che il biografo farà opera utilissima ai presenti e futuri, se narrerà
distesamente la naturale soavità dell'indole sua, la candidezza della fede, e
l'amore della giustizia; se celebreràla fermezza nelle amicizie, l'affetto
purissimo agli studi e agli studiosi, e la modestia sua; se noterà la moderazione
delle sue opinioni, la tolleranza di quelle altrui, il facile compatimento agli
errori d'altri, e la severità usata solo verso sé medesimo; se descriverà l'amor
ch'egli aveva agli uomini tutti, la compassione ai miseri, la carità fervida ed
operosa, la sua pietà, la semplicità e schiettezza, l'affabilità ed accostevolezza
con tutti quelli che o per consiglio o per sola riverenza traevano a lui, la cortesia
nelle maniere, e ancor più nell'opere, e la gratitudine per la quale
contraccambiava con più doppi ogni atto di gentilezza che ricevea(53)".
51) I promessi sposi, storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da A. Manzoni, Parma,
dai tipi di Pietro Fiaccadori, 1838, 2 voll.
52) Angelo Pezzana ci informa che l'ultimo scritto uscito dalle mani di M. C. fu un sonetto,
composto due o tre giorni prima di morire, in omaggio a Clelia Maestri, una ragazza morta a
ventun anni, figlia di un avvocato e letterato parmense.
53) Cenno necrologico intorno all'abate M. C., di Giovanni Adorni, Parma, dalla Stamperia
Carmignani, 26 giugno 1838, pp. IV e V.
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