EVOLUZIONE POLITICA IN TUNISIA

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EVOLUZIONE POLITICA IN TUNISIA
                                                                Stefano Cera

L        a Tunisia sembrerebbe avere tutte le carte in regola per essere
         il paese, tra quelli della c.d. “primavera araba”, con le migliori
         possibilità di realizzare una transizione efficace verso la demo-
crazia. Ciò sulla base di diverse, importanti, caratteristiche: la tradizio-
nale esistenza di forti legami con l’occidente; la presenza di un governo
guidato da una partito islamista moderato; un forte impegno in vista
del raggiungimento dell’importante compito di riscrivere la Carta co-
stituzionale post-rivoluzionaria, dopo la fine del regime ventennale di
Zine El Abidine Ben Ali. Eppure, dopo oltre un anno dallo svolgimen-
to delle elezioni dei deputati dell’Assemblea Costituente (in attesa della
prossima tornata elettorale che si svolgerà nel mese di giugno 2013) il
governo si trova di fronte a un ampio malcontento su diverse questioni
che rappresentano importanti sfide per il paese: dalla difficile situazione
economica alla necessità di ridurre l’alto tasso di disoccupazione, dalla
lotta alla corruzione ai difficili rapporti tra stato e religione; dalle cre-
scenti tensioni interne al governo ai rapporti tra questo e le opposizioni
e tra questo e le posizioni estremiste degli integralisti.

                      La coalizione di governo

Iniziamo la nostra analisi dalla situazione politica. Alle elezioni del 23
ottobre 2011 il partito islamista moderato Ennahda (Movimento della
Rinascita) ha ottenuto 89 seggi su un totale di 217 (pari al 41% delle
preferenze). In seguito, si è unito ad altri due partiti in una coalizione
di governo retta dalla c.d. “Troika”, composta dal presidente della Re-
pubblica Munsif Marzuqi - del Congresso per la Repubblica, dal capo del
governo, Hamadi al-Gibali - dello stesso Ennahda - e dal presidente
dell’Assemblea costituente Mustafa bin Gafar - del partito social-de-
mocratico Ettakatol (Forum democratico per il Lavoro e la Libertà).

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     Ennahda è un partito confessionale (appartenente alla famiglia della
     Fratellanza musulmana) e i suoi leader hanno conosciuto durante il
     regime di Ben Alì il carcere e l’esilio1. Negli anni della clandestinità
     l’Islam è diventato fonte di “rinascita”, morale e politica, con l’obiet-
     tivo, una volta terminato il regime, di superare l’affarismo corrotto e
     filo-occidentale del periodo precedente. La vittoria alle elezioni del
     2011 è arrivata anche grazie all’organizzazione offerta dal suo tessuto
     religioso e ora il partito si dimostra davvero “di massa”, pur sicura-
     mente composito al suo interno. Da alcuni il suo ruolo nel paese è pa-
     ragonato a quello avuto dalla Democrazia Cristiana italiana negli anni
     della ricostruzione post-fascista2. Rachid Gannouchi, ha affermato di
     voler intraprendere una piena direzione democratica, sottolineando
     l’impegno a continuare a collaborare con i partner di governo per
     costruire il futuro del paese, attraverso lo smantellamento del sistema
     di corruzione e dispotismo e la costruzione di un pieno consenso.
     Tuttavia, questo volto moderato e collaborativo si mostra soprattut-
     to al centro, ossia nella capitale Tunisi, mentre nelle periferie e nelle
     campagne la situazione appare diversa, mettendo in evidenza aspetti
     più conservatori, confessionali e tradizionalisti.
     Questi si mostrano attraverso alcuni importanti “segnali”, come ad
     es. il dibattito intorno all’uso del niqab, il velo che copre il volto
     delle donne nei luoghi pubblici. Ennahda lo ha ammesso cambian-
     do radicalmente il precedente assetto normativo. Tale decisione è
     in linea con l’impressione generale che, sul fronte dei diritti delle
     donne, dopo la Rivoluzione si siano registrati, purtroppo, alcuni
     passi indietro. Infatti, nel mese di agosto, la deputata all’Assemblea
     costituente, Salma Mabruk (del partito di sinistra), ha “smaschera-
     to” il tentativo di Ennahda3 di “relegare”, nel quadro della nuova
     costituzione, la donna tunisina a un ruolo “complementare” nella
     società e in famiglia. L’iniziativa ha determinato forti proteste e ma-
     nifestazioni di piazza, dei partiti laici e delle associazioni femminili.
     Alla fine di settembre la Commissione mista per il Coordinamento
     e la redazione della costituzione ha eliminato la “complementarie-
     tà”, ripristinando la parità tra uomo e donna, tuttavia le perplessità
     legate all’iniziativa sono rimaste intatte.

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Inoltre nel partito di maggioranza non mancano segnali circa l’esisten-
za di un clima difficile, dovuto a divisioni interne soprattutto in seguito
alla lotta tra le fazioni facenti capo a Gannouchi e ad al-Gibali. Per
quanto riguarda invece la politica estera, Ennahda si propone una di-
rezione equilibrata che pur riavvicinandosi a Egitto e Turchia intende
tuttavia mantenere solidi rapporti con Europa e Stati Uniti (nonostante
si registri nel paese un sentimento anti-americano diffuso non solo fra
i religiosi, ma anche nella cittadinanza e nella borghesia francofona).

                        Le forze di opposizione

Come detto in precedenza, nel paese le critiche verso il governo di co-
alizione sono sempre più frequenti e nell’ultimo periodo si è registrata
una crescita dei partiti di opposizione. Tra questi, innanzitutto il partito
Nidaa Tounes, movimento di destra fondato da Beji Caid el Sebsi (ex-
primo ministro del governo del Presidente Habib Bourghiba) dopo le
elezioni dell’inizio del 2011. L’obiettivo del partito è ambizioso perché
intende occupare, nei cuori dei conservatori “nostalgici”, lo spazio una
volta occupato dal partito di Ben Alì. Per la verità i recenti sondaggi
(fine ottobre) sembrano premiare questa impostazione facendo regi-
strare un incremento notevole delle preferenze (che si attesterebbero
intorno al 28%), mentre risulterebbero notevolmente calati quelli dei
partiti di governo (soprattutto Ennahda)4.
Sul fronte sinistro troviamo invece una decina di partiti minori, compresi
i comunisti e i baathisti, raggruppati nelle elezioni dell’ottobre 2011 sotto
la bandiera di un nuovo movimento, il Fronte Popolare. Una delle sue figure
di riferimento è Hamma Hammami, che è riuscito a mantenere intatta la
sua credibilità fra i sostenitori della rivoluzione durante questo lungo pe-
riodo di transizione. Per quanto riguarda questi ultimi, essi appaiono piut-
tosto divisi al loro interno, non hanno un preciso punto di riferimento nei
partiti tradizionali e hanno atteggiamenti anti-autoritari, spesso anarchici,
che esprimono nelle manifestazioni di piazza e nelle discussioni on-line.
I partiti di opposizione contestano agli uomini di governo diverse
cose: l’incapacità di proporre idee efficaci per trasformare la nazio-
ne in una piena democrazia; la mancanza di risposte nei confronti di

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     due argomenti-chiave per l’opinione pubblica, ossia sviluppo eco-
     nomico e giustizia sociale; l’atteggiamento ambiguo (le opposizioni
     laiche parlano addirittura di “connivenza”)5, troppo “morbido”, nei
     confronti dei salafiti – vedi paragrafo successivo.
     Nel quadro delle forze che si oppongono al governo, una menzione
     particolare merita l’attività portata avanti dal settore giovanile del par-
     tito Ennahda, ossia il movimento denominato Ekbess, che a partire
     dal mese di agosto ha organizzato diverse manifestazioni di piazza per
     chiedere al governo di rompere i legami con il vecchio regime e di non
     tradire le speranze nate con la Rivoluzione. Tale forma di opposizio-
     ne rappresenta per alcuni un’ulteriore dimostrazione del malcontento
     esistente nel paese, oltre che della delusione dei giovani del partito nei
     confronti dei propri leader, anche se non manca chi ritiene che l’attività
     del movimento non sia finalizzata tanto ad atteggiamenti di “opposi-
     zione esterna”, quanto al tentativo di spronare “all’interno” il partito
     ad agire nei confronti degli altri partiti di governo. In pratica, sarebbe
     frutto di una decisione in qualche modo “strategica”.

                           Il rapporto con i salafiti

     La Troika è inoltre messa sotto pressione dai salafiti, ultra-conservato-
     ri, che hanno tratto beneficio dall’apertura dello spazio democratico
     conseguente alla fine del regime di Ben Alì. Essi chiedono al partito
     Ennahda di avere un atteggiamento più duro nei confronti dell’oppo-
     sizione secolare e criticano fortemente la coalizione di governo, perché
     si è allontanato dal vero “cammino” verso l’Islam. Il sistema politico
     vagheggiato dai salafiti è di carattere teocratico, contrapposto a quello
     democratico-islamico difeso e promosso dal partito di maggioranza.
     Le violenze (conseguenti all’uscita di un film americano su Maometto
     e alla pubblicazione di vignette su un settimanale satirico francese e
     che hanno causato un moto di vasta indignazione in tutto il mondo
     musulmano) che il 14 settembre scorso hanno portato la guerriglia
     urbana nella capitale Tunisi e causato la morte di quattro manifestan-
     ti, hanno riproposto in modo drammatico il rapporto con l’estremi-
     smo religioso. Sicuramente fino a questo momento il governo non è

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riuscito (le opposizioni rincarano la dose sottolineando che non abbia
voluto) contrastare in maniera forte le posizioni salafite, come dimo-
strato anche da un recente rapporto di Human Rights Watch, che ha
messo chiaramente in evidenza che le autorità non si sono dimostrate
in grado di difendere i cittadini dagli attacchi degli estremisti religiosi6.
Solo dopo queste il Presidente di Ennahda Gannouchi ha definito
l’esistenza dei salafiti un “pericolo” per la democrazia e il premier
al-Gibali ha emesso mandati di arresto nei confronti dei leader più ra-
dicali (alcuni dei quali, peraltro, rilasciati dopo solo alcuni giorni). No-
nostante ciò, il partito di maggioranza si è tuttavia dimostrato restio
a prendere le distanze dalle frange più radicali dell’islamismo, condi-
videndo con questo non certo i metodi ma l’ispirazione religiosa. In
una recente intervista pubblicata dal Corriere della Sera7, Gannouchi,
ha sottolineato che il reale obiettivo del governo è quello di «assorbi-
re gli estremisti», sull’esempio di quanto fatto in precedenza in Italia
con le Brigate Rosse e in Germania con la Baader-Meinhof: «E così
vorremmo fare anche noi nella nuova Tunisia del dopo Ben Ali con i
salafiti e con chi predica la violenza in nome dell’ Islam».
Le posizioni del governo nei confronti dei salafiti si inseriscono in
un rapporto molto complesso, quale quello che si configura tra stato
e religione in Tunisia. In particolare, secondo alcuni (ad es. Lorenzo
Declich, su Limes), il dibattito su stato e religione nel paese «non
può prescindere da un modello di laicità alla francese che in Italia
molti bollano con un “ismo” (laicismo) e che la Tunisia ha assor-
bito quasi integralmente con Ben Alì»8. Tale rapporto sfocia in un
Islam nazionale, «ovvero in un meccanismo di rappresentanza delle
istanze religiose attraverso organizzazioni formalmente riconosciute
dallo Stato»9 che non sembra tuttavia essere adatto per il paese, dove
il partito di maggioranza (Ennahda) non assomiglia certo al modello
rappresentato dai moderni partiti conservatori europei (ad es. quello
francese e quelli nord-europei) e a cui, peraltro, non si contrappon-
gono forze di sinistra significative. Gli analisti ritengono che sebbene
in Tunisia il pericolo del radicalismo non sia ancora così rilevante,
resta però il fatto che il suo peso “relativo” sta crescendo nella po-
polazione, così come la sua struttura organizzativa. Infatti, se durante

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     le repressioni del regime di Ben Alì gli estremisti avevano preferito
     andare via dal paese, dopo la sua caduta sono prontamente tornati
     in patria, unendosi peraltro a una nuova generazione di estremismo
     proveniente dalle fila del sotto-proletariato urbano.

                                    Conclusioni

     Come abbiamo visto, dopo meno di un anno dalle elezioni il governo
     tunisino sta vivendo una fase di transizione molto delicata. La stampa
     ne critica l’operato; la disoccupazione è in netta crescita; il turismo stenta
     a riprendere; il paese corre il rischio di un crack economico e finanzia-
     rio. Di fronte a queste difficoltà, alcuni analisti auspicano che, in qualche
     modo, le pressioni salafite possano contribuire ad aiutarlo a risolvere le
     tante contraddizioni che ancora lo caratterizzano. Con l’obiettivo di ge-
     stire alcune delle sfide che stanno emergendo dalla “nuova” Tunisia: la
     condizione delle donne, il ruolo dell’islam politico, la libertà di espressio-
     ne e le risposte alla crisi economica e alla disoccupazione.
     Sicuramente il partito Ennahda sembra essere immune alle derive
     “estremiste”, anche se non dobbiamo dimenticare che esistono se-
     gnali preoccupanti circa il tentativo di annullare quella laicità che
     rappresentava il “fiore all’occhiello” della Tunisia nel mondo arabo.
     Ad es. Aliyya Allani, ricercatrice di storia e islam nel Maghreb all’U-
     niversità di Manuba (Tunisi) ha sottolineato che dopo le elezioni
     «gli islamisti hanno iniziato a proporre un discorso diverso rispet-
     to a quello pre-elettorale, caratterizzato dalla volontà di islamizzare
     il diritto e di indicare esplicitamente la legge islamica come fonte
     della legislazione nella futura costituzione»10. Inoltre, restano le per-
     plessità circa le reali intenzioni del partito (oscillanti tra le istanze
     del liberalismo politico e la propensione verso il conservatorismo
     religioso), in considerazione dei tentativi di introdurre nella società
     e nella cultura tunisina alcuni temi “islamizzanti” (come ad es. la
     questione del velo e la presenza nella costituzione di un riferimento
     alla legge coranica come fonte del diritto).
     Per quanto riguarda invece la crisi economica, nonostante gli obiettivi
     proclamati prima delle elezioni da parte dei leader di Ennahda (ad es.

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la creazione di quasi 600.000 posti di lavoro nel periodo 2012-2016,
con la riduzione del 50% della disoccupazione), il governo non è stato
ancora in grado di chiarire come intende, nel concreto, raggiungere
l’obiettivo. In breve, così come per altri paesi della “primavera araba”,
anche per la Tunisia l’orizzonte appare pieno di interrogativi.

Note

1
   Sul passato del presidente del partito Rachid Gannouchi il Corriere
   della Sera scrive: «Nato nel 1941 da una famiglia di poveri contadini,
   in gioventù fu militante pro Nasser, poi affascinato dall’esistenziali-
   smo francese, sino a legarsi ai gruppi islamici che sin dai primi anni
   Settanta cercavano un’alternativa radicale tra gli studenti di origine
   araba. La sua consacrazione a leader e ideologo di Ennahda è avve-
   nuta durante i lunghi anni di carcere duro sotto il vecchio regime»,
   Cremonesi, «Dateci un po’ di tempo. I governi islamici domeranno
   gli estremisti», Corriere della Sera, 23 settembre 2012.
2
  Baragli, Offensiva salafita in Tunisia, Affari Internazionali, 17 otto-
   bre 2012.
3
  Per i dettagli, Declich, La Tunisia nel guado democratico, in Limes,
   Fronte del Sahara, n.5/2012, 209 e Baragli, cit.
4
   Caputo, Tunisia. Ennahda sempre meno legittimato a governare,
   Rinascita, 29 ottobre 2012.
5
  Cremonesi, «Vietate in Tunisia le manifestazioni anti-occidentali »,
   Corriere della Sera, 21 settembre 2012.
6
  Tunisia’s challenges, The New York Times, 30 ottobre, 2012.
7
  Cremonesi, 23 settembre 2012, cit.
8
  Declich, cit., 207.
9
  Declich, cit., 207.
10
   Declich, cit., 211.

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