EffEtti collatErali Come le case farmaceutiche ingannano medici e pazienti - Ben Goldacre

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Ben Goldacre

                            Effetti collaterali
                   Come le case farmaceutiche ingannano medici e pazienti

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Traduzione di Tullio Cannillo

                                                  ISBN 978-88-04-62926-9

                                              Copyright © Ben Goldacre 2012
                                      © 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
                                                 Titolo dell’opera originale
                                          Bad Pharma. How Drug Companies Mislead
                                                 Doctors and Harm Patients
                                                    I edizione aprile 2013

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Effetti collaterali

                                                                A chi fosse interessato

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I
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              I finanziatori ottengono la risposta che vogliono
                 Prima di iniziare dobbiamo affermare una cosa vera al di là
              di ogni dubbio: i trials finanziati dall’industria hanno maggiori
              probabilità di produrre un risultato positivo, compiacente, ri-
              spetto a quelli finanziati in modo indipendente. Questa è la no-
              stra premessa essenziale, e il paragrafo che vi accingete a leg-
              gere è molto breve, perché si tratta di uno dei fenomeni meglio
              documentati nel campo della «ricerca sulla ricerca». Negli ulti-
              mi tempi il fenomeno è diventato anche più facile da studiare
              perché le norme sull’obbligo di dichiarare il finanziamento da
              parte dell’industria si sono fatte un po’ più chiare.
                 Possiamo cominciare da qualche indagine recente: nel 2010
              tre ricercatori di Harvard e di Toronto presero in esame tutti i
              trials relativi a cinque importanti classi di farmaci – antidepres-
              sivi, medicine per l’ulcera, e così via – e poi valutarono due ele-
              menti chiave: erano positivi? Erano finanziati dall’industria?1
              Rintracciarono oltre cinquecento trials in totale: l’85 per cento
              degli studi finanziati dall’industria erano positivi, mentre dei
              trials finanziati dallo Stato lo erano soltanto il 50 per cento. Si
              tratta di una differenza assai significativa.
                 Nel 2007 alcuni ricercatori presero in considerazione tutti i
              trials pubblicati che si proponevano di esplorare i benefici di
              una statina.2 Le statine sono farmaci destinati ad abbassare il
              tasso di colesterolo, allo scopo di ridurre il rischio di un attac-
              co cardiaco; vengono prescritte in grandi quantità, e avranno
              un ruolo di primo piano in questo libro. Tale studio individuò

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              192 trials in tutto, che confrontavano una statina con un’altra,
              oppure una statina con un tipo diverso di trattamento. Una
              volta che i ricercatori ebbero escluso l’influenza di altri fattori
              (vedremo meglio in seguito che cosa questo significhi), consta-
              tarono che i trials finanziati dall’industria avevano una proba-
              bilità venti volte maggiore di dare risultati favorevoli al farma-
              co testato. Di nuovo, si tratta di una differenza molto grande.
                  Faremo ancora un esempio. Nel 2006 un gruppo di ricerca-
              tori prese in esame tutti i trials di farmaci psichiatrici riportati
              su quattro riviste accademiche in un periodo di dieci anni, rin-
              venendo 542 risultanze in totale. Le industrie sponsor avevano
              ottenuto esiti favorevoli per i loro medicinali nel 78 per cento
              dei casi, mentre i trials finanziati in modo indipendente aveva-
              no dato un risultato positivo soltanto nel 48 per cento dei casi.
              Un farmaco in competizione nel trial con quello del finanziato-
              re avrebbe avuto non poco filo da torcere: infatti avrebbe vinto
              soltanto il 28 per cento delle volte.3
                  Questi sono risultati penosi e spaventosi, ma provengono
              da singoli studi. Quando in un campo si sono fatte molte ricer-
              che è sempre possibile che qualcuno – come me, per esempio –
              selezioni ad arte i risultati e ne dia un quadro parziale. In so-
              stanza, potrebbe darsi che io stia facendo precisamente quello
              di cui accuso l’industria farmaceutica, e vi stia parlando soltan-
              to degli studi che sostengono la mia tesi, nascondendovi quel-
              li rassicuranti.
                  Per mettersi al riparo da questo rischio, i ricercatori hanno
              inventato la revisione sistematica. Esamineremo questo stru-
              mento in modo più approfondito nel capitolo i, dato che è un
              punto chiave della medicina moderna, ma una revisione siste-
              matica è una cosa piuttosto semplice: invece di scorrere a caso
              la documentazione di ricerca, scegliendo qua e là consapevol-
              mente o inconsapevolmente gli articoli che confermano le pro-
              prie convinzioni, si affronta in modo scientifico, sistematico, lo
              stesso procedimento di ricerca dei dati scientifici, assicurando-
              si che i propri dati siano quanto più possibile completi e rap-
              presentativi di tutti gli studi che sono mai stati fatti.
                  Le revisioni sistematiche sono decisamente onerose. Nel 2003,
              per coincidenza, ne furono pubblicate due che riguardavano

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Dati mancanti    15

              entrambe le questioni cui siamo interessati. Esse prendevano
              in considerazione tutti gli studi pubblicati in precedenza vol-
              ti a indagare se il finanziamento da parte dell’industria fosse
              associato a risultati favorevoli all’industria stessa. Le imposta-
              zioni dei due studi in merito all’individuazione degli articoli
              di ricerca erano leggermente differenti, ma entrambi conclude-
              vano che i trials finanziati dall’industria avevano nel comples-
              so una probabilità quattro volte maggiore di dare risultati po-
              sitivi.4 Un’ulteriore revisione del 2007 prese in esame i nuovi
              studi che erano stati pubblicati nei quattro anni successivi alle
              prime due revisioni: individuò altri venti lavori, e tutti eccetto
              due confermavano che i trials finanziati dall’industria avevano
              maggiori probabilità di dare risultati compiacenti.5
                 Sto dando ampio risalto a queste prove perché voglio esse-
              re assolutamente chiaro sul fatto che non c’è alcun dubbio sul-
              la questione. I trials finanziati dall’industria danno risultati fa-
              vorevoli, e questa non è una mia opinione, né un’impressione
              ricavata da un superficiale studio occasionale. Si tratta di un
              problema ben documentato, su cui si sono condotte estese ri-
              cerche, senza che nessuno sia uscito allo scoperto per intrapren-
              dere una qualche azione efficace.
                 C’è un ultimo studio di cui vorrei parlarvi. Risulta che questa
              situazione, per cui i trials finanziati dall’industria hanno pro-
              babilità enormemente maggiori di dare risultati positivi, per-
              siste anche quando ci si allontana dagli articoli accademici
              pubblicati e si prendono in considerazione gli esiti dei trials
              provenienti dai congressi accademici, ove i dati spesso com-
              paiono per la prima volta (anzi, come vedremo, i risultati dei
              trials a volte emergono soltanto in un congresso accademi-
              co, con scarsissime informazioni sulle modalità con cui è sta-
              to condotto lo studio).
                 Fries e Krishnan hanno studiato tutti i compendi di ricer-
              ca presentati alle riunioni del 2001 dell’American College of
              Rheumatology che riferivano di un qualsiasi trial, e dichiarava-
              no il finanziamento dell’industria, per verificare quale frazione
              di essi riportasse risultati che favorivano il farmaco dello spon-
              sor. Per comprendere una piccola frase a effetto che seguirà è
              necessario che ci facciamo un’idea di come si presenta un arti-

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              colo accademico. In generale, la parte sulle conclusioni è am-
              pia: vengono forniti per ogni risultato, e per ogni possibile fat-
              tore causale, i numeri grezzi, ma non soltanto in forma grezza.
              Vengono indicati gli «intervalli», a volte vengono analizzati i
              sottogruppi, vengono effettuati test statistici, e ogni aspetto del
              risultato viene esposto sotto forma di tabella, oltre che in for-
              ma descrittiva più breve nel testo, dando spiegazioni delle con-
              clusioni più importanti. Questo lungo procedimento occupa di
              solito parecchie pagine.
                 Nel lavoro di Fries e Krishnan del 2004 tale livello particola-
              reggiato non era necessario. La parte sulle conclusioni è costi-
              tuita da un’unica frase, semplice e – mi piace pensare – di tono
              alquanto «passivo-aggressivo»:
                      I risultati di tutti gli rct (Randomized Clinical Trials, trials
                   clinici casualizzati) (45 su 45) erano favorevoli al farmaco del-
                   lo sponsor.
                 Questa conclusione estrema ha un effetto collaterale mol-
              to interessante per quanti apprezzano le scorciatoie che fan-
              no risparmiare tempo. Dal momento che ogni trial finanziato
              dall’industria aveva un risultato positivo, non c’era bisogno di
              sapere altro su una ricerca per predirne l’esito: se era finanziata
              dall’industria, si poteva prevedere con assoluta certezza che il
              trial avrebbe concluso che il farmaco era ottimo.
                 Come è possibile? Come riescono i trials sponsorizzati dall’in-
              dustria a ottenere quasi sempre un risultato positivo? Si trat-
              ta, per quanto è dato sapere, di una combinazione di fattori. A
              volte i trials sono intenzionalmente falsati. Si può confronta-
              re il nuovo farmaco con qualcosa che si sa essere scadente: un
              medicinale esistente in dosaggio inappropriato, o una pillo-
              la di zucchero placebo che non fa quasi nulla. Si possono sce-
              gliere i pazienti con molta cura, in modo che abbiano maggiori
              probabilità di migliorare con il trattamento testato. È possibile
              osservare i risultati ancora parziali e arrestare il trial prematu-
              ramente se questi sembrano buoni (il che costituisce – per inte-
              ressanti ragioni che discuteremo – veleno statistico). E così via.
                 Ma prima di arrivare a tali affascinanti contorsioni e sotter-
              fugi metodologici, a questi aggiustamenti e forzature che im-

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Dati mancanti     17

              pediscono a un trial di essere un test imparziale dell’efficacia di
              un trattamento, c’è qualcosa di molto più semplice.
                 Talvolta le compagnie farmaceutiche conducono numero-
              sissimi trials e, quando vedono che i risultati sono insoddisfa-
              centi, si limitano a non pubblicarli. Questo non è un problema
              nuovo, e non è limitato alla medicina. In realtà il problema dei
              risultati negativi di cui si perdono le tracce affligge praticamente
              ogni area della scienza. Altera le conclusioni in campi disparati
              come l’imaging cerebrale e l’economia, vanifica tutti gli sforzi
              di escludere la distorsione dai nostri studi, e nonostante tutto
              quello che vi diranno autorità di controllo, compagnie farma-
              ceutiche e perfino qualche accademico, è un problema che ri-
              mane irrisolto da decenni.
                 In effetti, ha radici talmente profonde che anche se lo risol-
              vessimo oggi – subito, una volta per tutte, definitivamente, sen-
              za lasciare alcun difetto o scappatoia nella nostra legislazione –
              ciò non migliorerebbe la situazione, perché continueremmo a
              praticare la medicina, prendendo serenamente decisioni su
              quale trattamento sia migliore, sulla base di decenni di dati
              clinici che sono – come ormai avrete compreso – fondamental-
              mente distorti.
                 Ma c’è una possibilità per il futuro.

              Perché i dati mancanti hanno importanza
                 La reboxetina è un medicinale che io stesso ho prescritto. Al-
              tri farmaci non avevano avuto effetto su un particolare paziente,
              e così volevamo provare qualcosa di nuovo. Avevo letto i dati
              dei trials prima di stilare la prescrizione, e avevo visto solo test
              ben concepiti, imparziali, con risultati positivi in misura schiac-
              ciante. La reboxetina era meglio di un placebo, e non inferiore a
              qualunque altro antidepressivo nei confronti diretti. È ammes-
              sa all’uso dalla Medicines and Healthcare products Regulatory
              Agency (l’mhra), che regola l’uso di tutti i farmaci nel Regno
              Unito. Milioni di dosi ne vengono prescritte ogni anno, in tutto
              il mondo. La reboxetina costituiva chiaramente un trattamen-
              to sicuro ed efficace. Il paziente e io discutemmo brevemente i
              dati, e convenimmo che era il trattamento giusto da provare a

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              quel punto. Firmai un pezzo di carta, una prescrizione, in cui
              dicevo di volere che il mio paziente prendesse questa medicina.
                 Ma eravamo stati entrambi indotti in errore. Nell’ottobre 2010
              un gruppo di ricercatori riuscì infine a mettere insieme tutti i
              trials che erano stati condotti fino a quel momento sulla reboxe-
              tina.6 Grazie a un lungo procedimento investigativo – ricerche
              sulle riviste accademiche, ma anche richieste di dati ai produt-
              tori e raccolta di documenti degli enti di controllo – il gruppo fu
              in grado di radunare tutti i dati, sia quelli provenienti da trials
              che erano stati pubblicati, sia quelli provenienti da altri che non
              erano mai apparsi su pubblicazioni accademiche.
                 Quando tutti questi dati dei trials furono riuniti, formaro-
              no un’immagine sbalorditiva. Erano stati effettuati sette trials
              che confrontavano la reboxetina con dei placebo. Di essi, uno
              soltanto, condotto su 254 pazienti, aveva ottenuto un risulta-
              to positivo chiaro, e quell’unico era stato pubblicato su una ri-
              vista accademica perché medici e ricercatori lo leggessero. Ma
              erano stati effettuati altri sei trials, su pazienti quasi dieci vol-
              te più numerosi. E tutti avevano dimostrato che la reboxetina
              non era meglio di un’innocua pallina di zucchero. Nessuno di
              questi trials era stato pubblicato. Io non avevo la minima idea
              che esistessero.
                 C’era di peggio. I trials che confrontavano la reboxetina con
              altri farmaci presentavano esattamente la medesima situazione:
              tre studi di piccole dimensioni, 507 pazienti in totale, indicava-
              no che la reboxetina valeva quanto una qualsiasi altra medici-
              na, ed erano stati tutti pubblicati. Ma i dati relativi a 1657 pa-
              zienti erano rimasti inediti, e mostravano che i pazienti trattati
              con reboxetina avevano risultati peggiori di quelli curati con
              altri farmaci. Come se non bastasse, c’erano anche i dati sugli
              effetti collaterali. Il medicinale sembrava comportarsi bene nei
              trials che comparivano sulle pubblicazioni accademiche; ma
              quando prendemmo visione degli studi non pubblicati, risul-
              tò che i pazienti avevano maggiori probabilità di presentare ef-
              fetti collaterali, di smettere di prendere il farmaco e di ritirarsi
              dal trial a causa degli effetti collaterali, se prendevano la rebo-
              xetina invece di uno dei suoi concorrenti.
                 Se mai aveste qualche dubbio che i fatti descritti in questo li-

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Dati mancanti     19

              bro mi mandino in bestia – e vi prometto che, qualunque cosa
              accada, mi atterrò ai dati, e mi sforzerò di darvi un quadro im-
              parziale di quanto si conosce – non avete che da considerare
              questa vicenda. Avevo fatto tutto ciò che ci si aspetta da un me-
              dico. Avevo letto tutti gli articoli, li avevo valutati criticamente,
              li avevo compresi, li avevo discussi con il paziente, e insieme
              avevamo preso una decisione, basandoci sulle prove disponi-
              bili. Stando ai dati pubblicati, la reboxetina era un medicinale
              sicuro ed efficace. In realtà non era migliore di una pallina di
              zucchero, e anzi faceva più male che bene. Come medico avevo
              fatto qualcosa che, alla luce di tutte le prove, aveva nuociuto al
              mio paziente, semplicemente perché i dati «scomodi» non era-
              no stati pubblicati.
                 Se trovate la cosa sorprendente, o immorale, siete solo all’ini-
              zio del viaggio. Dal momento che nessuno aveva infranto la
              legge in quella situazione, la reboxetina è ancora sul merca-
              to, e il sistema che aveva consentito tutto ciò è ancora in vigo-
              re, per tutti i farmaci, in tutti i paesi del mondo. I dati negativi
              scompaiono, per tutti i trattamenti, in tutte le aree della scien-
              za. Le autorità di controllo e gli ordini professionali da cui ra-
              gionevolmente ci aspetteremmo la repressione di simili prati-
              che ci hanno traditi.
                 Tra qualche pagina passeremo in rassegna la documentazione
              che dimostra tutto ciò al di là di qualunque dubbio, compro-
              vando che la publication bias (distorsione nella pubblicazione)
              – il processo per cui i risultati negativi non vengono pubblicati –
              è endemica in tutti i settori della medicina e dell’attività acca-
              demica; e che le autorità di controllo non hanno fatto nulla in
              merito, sebbene da decenni si accumulino dati che denunciano
              le dimensioni del problema. Ma prima di arrivare a quella do-
              cumentazione, è necessario che ne avvertiate le implicazioni, e
              quindi dobbiamo soffermarci sulla ragione per cui i dati man-
              canti hanno importanza.
                 Le prove fattuali sono l’unico modo possibile per sapere se
              qualcosa funziona – o non funziona – in medicina. Si procede te-
              stando i trattamenti, con tutta la cautela possibile, in trials di con-
              fronto diretto, e raccogliendo tutte le prove. Quest’ultimo passo
              è cruciale: se vi nascondo metà dei dati, mi sarà assai facile con-

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20          Effetti collaterali

              vincervi di qualcosa che non è vero. Se, per esempio, lancio una
              moneta cento volte, ma vi comunico i risultati soltanto quando
              esce testa, posso convincervi che si tratta di una moneta che ha
              una testa su entrambe le facce. Ma ciò non significa che io abbia
              realmente una moneta con due teste: significa che vi sto ingan-
              nando, e che voi siete degli sciocchi a permettermi di farla fran-
              ca. Questa è esattamente la situazione che tolleriamo, e abbiamo
              sempre tollerato, in medicina. I ricercatori sono liberi di condur-
              re quanti trials vogliono, e poi scegliere quali pubblicare.
                 Le ripercussioni di questo stato di cose vanno molto oltre la
              semplice disinformazione dei medici in merito ai benefici e ai
              danni che i loro interventi procurano ai pazienti. La ricerca me-
              dica non è un’attività accademica astratta: ha per oggetto le per-
              sone, cosicché ogni volta che non pubblichiamo una ricerca espo-
              niamo persone reali, vive, a sofferenze non necessarie ed evitabili.

              Il tgn1412

                 Nel marzo 2006 sei volontari si presentarono in un ospeda-
              le di Londra per prendere parte a un trial. Era la prima volta in
              assoluto che un nuovo farmaco chiamato tgn1412 veniva som-
              ministrato a esseri umani, e i volontari erano pagati 2000 ster-
              line a persona.7 Nel giro di un’ora questi sei uomini sviluppa-
              rono mal di testa, dolori muscolari e un senso di malessere. La
              situazione poi peggiorò: febbre elevata, agitazione, momenti in
              cui dimenticavano chi erano e dove si trovavano. Di lì a poco
              manifestarono brividi e arrossamenti, mentre il polso accelera-
              va e la pressione sanguigna calava. Poi le cose precipitarono:
              uno entrò in insufficienza respiratoria, con livelli di ossigeno
              nel sangue in rapida caduta mentre i polmoni si riempivano di
              liquido. Nessuno sapeva perché. Un altro vide la pressione san-
              guigna scendere a soli 65/40, smise di respirare normalmente
              e fu portato d’urgenza in un’unità di terapia intensiva, addor-
              mentato, intubato, ventilato meccanicamente. Nel giro di un
              giorno tutti e sei erano in condizioni disastrose: liquido nei pol-
              moni, difficoltà respiratorie, reni fuori uso, sangue che coagu-
              lava in modo incontrollabile in tutto il corpo e globuli bianchi
              che scomparivano. I medici rifilarono ai malcapitati tutto ciò
              che poterono: steroidi, antistaminici, bloccanti dei recettori del

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Dati mancanti    21

              sistema immunitario. Tutti e sei vennero ventilati in terapia in-
              tensiva. Smisero di produrre urina; furono messi in dialisi; il
              loro sangue fu sostituito, prima lentamente, poi rapidamente;
              erano carenti di plasma, globuli rossi, piastrine. La febbre con-
              tinuava. Uno prese la polmonite. E poi il sangue smise di ar-
              rivare alle regioni periferiche del corpo. Le dita delle mani e
              dei piedi divennero rosse, poi marroni, e nere per la cancrena.
              Con uno sforzo sovrumano, se non altro riuscirono tutti a ve-
              nirne fuori vivi.
                 Il ministero della Sanità convocò un gruppo di esperti scien-
              tifici per cercare di capire che cosa fosse accaduto, e questo sol-
              levò due interrogativi.8 In primo luogo, possiamo impedire che
              cose del genere si ripetano? È ovviamente assurdo, per esempio,
              somministrare un nuovo trattamento sperimentale nello stes-
              so momento a tutti e sei i partecipanti a un trial first-in-man, se
              tale trattamento costituisce un’incognita assoluta. Nuovi far-
              maci dovrebbero essere somministrati ai partecipanti con un
              procedimento in più fasi, gradualmente, nel corso di un’intera
              giornata. Quest’idea riscosse notevole attenzione da parte del-
              le autorità di controllo e dei media.
                 Meno ne ricevette un secondo interrogativo: si sarebbe potu-
              to prevedere questo disastro? Il tgn1412 è una molecola che si
              lega a un recettore chiamato cd28 sui globuli bianchi del siste-
              ma immunitario. Era un trattamento nuovo e sperimentale, che
              interferiva con il sistema immunitario in modi che sono scar-
              samente compresi, e difficili da riprodurre negli animali (a dif-
              ferenza, per esempio, di quanto avviene con la pressione san-
              guigna, perché i sistemi immunitari sono fortemente variabili
              tra differenti specie). Ma, come accertò il rapporto finale, c’era
              un’esperienza precedente con un intervento simile: semplice-
              mente non era stata oggetto di pubblicazione. Un ricercatore
              presentò alla commissione di inchiesta dei dati non pubblicati
              relativi a uno studio che aveva condotto su un singolo soggetto
              umano ben dieci anni prima, servendosi di un anticorpo che si
              legava ai recettori cd3, cd2 e cd28. Gli effetti di questo anticorpo
              avevano delle analogie con quelli del tgn1412, e il soggetto su
              cui era stato testato si era ammalato. Ma nessuno avrebbe avu-
              to la minima possibilità di saperlo, perché quei dati non erano

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22          Effetti collaterali

              mai stati condivisi con la comunità scientifica. Giacevano ine-
              diti, sconosciuti, mentre avrebbero potuto contribuire a salva-
              re sei uomini da una terribile ed evitabile sofferenza.
                 Quel primo ricercatore non avrebbe potuto prevedere il dan-
              no specifico cui aveva contribuito, ed è difficile biasimarlo come
              singolo, perché operava nell’ambito di una cultura accademica
              in cui era del tutto normale lasciare inediti dei dati. La medesima
              cultura sussiste anche oggi. Il rapporto finale sul tgn1412 conclu-
              deva che condividere i risultati di tutti gli studi first-in-man era
              essenziale: avrebbero dovuto essere pubblicati, fino all’ultimo, di
              routine. Ma i risultati dei trials in fase 1 non venivano pubblicati
              all’epoca, e non vengono pubblicati neanche ora. Nel 2009, per
              la prima volta, fu pubblicato uno studio che indagava su quanti
              di questi trials first-in-man vengono pubblicati, e quanti riman-
              gono sconosciuti.9 Furono presi in considerazione tutti i trials
              di questo tipo approvati da un comitato etico in un anno. Dopo
              quattro anni, nove su dieci erano ancora inediti; dopo otto anni,
              quattro su cinque non erano ancora stati pubblicati.
                 In medicina, come vedremo ripetutamente, la ricerca non è
              un’entità astratta: ha un rapporto diretto con la vita, la morte, la
              sofferenza e il dolore. Con ognuno di questi studi non pubbli-
              cati rischiamo potenzialmente un altro caso tgn1412. Neppure
              una clamorosa notizia di risonanza internazionale, con imma-
              gini raccapriccianti di giovani che dai letti di ospedale esibiva-
              no mani e piedi anneriti, è bastata a smuovere le acque, perché
              la questione dei dati mancanti è troppo complicata per essere
              riassunta in una frase.
                 Quando non condividiamo i risultati di una ricerca fonda-
              mentale, come nel caso di un piccolo studio first-in-man, espo-
              niamo le persone a rischi inutili in futuro. Questo era forse un
              caso estremo? Il problema è limitato ai primi trials di nuovi
              farmaci sperimentali, con piccoli gruppi di partecipanti? No.
                 Negli anni Ottanta del secolo scorso, i medici cominciarono a
              somministrare farmaci antiaritmici a tutti i pazienti che aveva-
              no avuto un attacco cardiaco. Questa pratica era perfettamente
              sensata sulla carta: sapevamo che i medicinali antiaritmici con-
              tribuivano a prevenire ritmi cardiaci anormali; sapevamo che le
              persone che avevano avuto un attacco cardiaco avevano elevate

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Dati mancanti        23

              probabilità di presentare ritmi cardiaci anormali; sapevamo che
              spesso tali sintomi passavano inosservati, non venivano diagno-
              sticati né curati. Dare antiaritmici a chiunque avesse avuto un at-
              tacco cardiaco era una misura preventiva semplice e ragionevole.
                 Purtroppo risultò che ci sbagliavamo. Questa pratica di pre-
              scrizione, pur seguita con le migliori intenzioni, e sulla base dei
              principi più sani, in realtà uccideva le persone. E siccome gli
              attacchi cardiaci sono molto comuni, le uccideva in grandissi-
              mi numeri: ben più di 100.000 persone morirono senza ragione
              prima che ci si rendesse conto che il delicato equilibrio tra be-
              neficio e rischio era del tutto differente per pazienti senza un
              ritmo cardiaco comprovatamente anormale.
                 Qualcuno avrebbe potuto prevederlo? Purtroppo sì. Un trial nel
              1980 aveva testato un nuovo farmaco antiaritmico, la lorcainide,
              in un piccolo numero di soggetti maschi – meno di cento – che
              avevano avuto un attacco di cuore, per vedere se era di qualche
              giovamento. Nove uomini su quarantotto che avevano assunto
              la lorcainide morirono, a fronte di un solo decesso su quaranta-
              sette tra coloro che avevano assunto un placebo. Il medicinale
              era nelle prime fasi del suo ciclo di sviluppo, e non molto tem-
              po dopo questo studio fu abbandonato per ragioni commerciali.
              Dal momento che non era sul mercato, non si pensò neppure di
              pubblicare il trial. I ricercatori supposero che si trattasse di una
              peculiarità della loro molecola, e non ci pensarono più. Se aves-
              sero pubblicato i dati del trial, saremmo stati molto più cauti nel
              provare altri farmaci antiaritmici su persone che avevano subito
              attacchi cardiaci, e l’enorme tributo di vite umane – oltre 100.000
              persone morte prematuramente – avrebbe potuto essere blocca-
              to prima. Più di un decennio dopo, i ricercatori pubblicarono fi-
              nalmente i loro risultati, con un mea culpa che riconosceva il dan-
              no che avevano fatto non comunicandoli prima:
                      Quando effettuammo il nostro studio nel 1980, pensammo
                  che l’accresciuta mortalità riscontrata nel gruppo della lorcaini-
                  de fosse un semplice caso. Lo sviluppo della lorcainide fu ab-
                  bandonato per ragioni commerciali, e questo studio non fu mai
                  pubblicato; oggi costituisce un buon esempio di publication bias.
                  I risultati descritti qui avrebbero potuto metterci in guardia dai
                  guai futuri.10

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24          Effetti collaterali

                 Come vedremo tra breve, questo problema dei dati non pub-
              blicati è presente in tutte le aree della medicina, e anzi in tutta
              l’attività accademica, sebbene la scala del problema e il danno
              che causa siano stati documentati oltre ogni dubbio. Esamine-
              remo casi relativi alla ricerca sul cancro, al Tamiflu, ai medi-
              cinali anticolesterolo che dominano il mercato, ai farmaci an-
              tiobesità, agli antidepressivi e non solo, con elementi di prova
              che vanno dagli albori della medicina fino al giorno d’oggi, e
              dati che vengono ancora tenuti nascosti, nel momento in cui
              scrivo, su farmaci ampiamente utilizzati, che molti di voi che
              leggete questo libro avranno preso stamattina. Vedremo anche
              come autorità di controllo e organi accademici abbiano ripetu-
              tamente mancato di affrontare il problema.
                 Poiché i ricercatori sono liberi di seppellire qualunque ri-
              sultato vogliano, i pazienti sono esposti al rischio di subi-
              re danni su una scala incredibile in tutti i settori della medi-
              cina, dalla ricerca alla pratica. I medici non possono avere la
              minima idea dei veri effetti dei trattamenti che somministra-
              no. Questo farmaco agisce davvero al meglio, o semplicemen-
              te sono all’oscuro di metà dei dati? Questa costosa medicina
              vale il suo prezzo, o i dati sono stati falsificati? Questo medi-
              cinale ucciderà i pazienti? C’è qualche indizio che sia perico-
              loso? Nessuno può dirlo.
                 È una strana situazione che si è creata nella medicina, una
              disciplina in cui ci si aspetta che ogni cosa sia basata su prove,
              e in cui la pratica quotidiana è pure condizionata dall’appren-
              sione per le questioni medico-legali. In uno dei settori più rego-
              lamentati dell’attività umana, abbiamo distolto gli occhi dalla
              cosa essenziale, e abbiamo permesso che le prove che guida-
              no la pratica fossero inquinate e distorte. Sembra inconcepibi-
              le. Ora vedremo quanto vada in profondità questo problema.

              Perché riassumiamo i dati
                 La questione dei dati mancanti è stata ampiamente studiata
              in medicina. Ma prima che io ne esponga le prove, dobbiamo
              comprendere esattamente perché ha importanza, da un punto
              di vista scientifico. E a questo fine dobbiamo capire cosa siano

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Dati mancanti    25

              le revisioni sistematiche e le «meta-analisi». Insieme, queste
              sono due delle idee più potenti della medicina moderna. Sono
              incredibilmente semplici, ma sono state inventate sorprenden-
              temente tardi.
                 Quando vogliamo scoprire se qualcosa funziona o no, fac-
              ciamo un trial. È un procedimento molto semplice, e il primo
              tentativo documentato di una qualche specie di trial si trova
              nella Bibbia (Daniele 1,12, se siete interessati). In primo luogo ci
              occorre una domanda in attesa di risposta, per esempio: «Som-
              ministrare steroidi a una donna che partorisce un bambino pre-
              maturo aumenta le probabilità di sopravvivenza del neonato?».
              Poi dobbiamo trovare delle persone che facciano al caso nostro,
              nello specifico madri in procinto di partorire un bimbo prema-
              turo. Ce ne vuole un numero ragionevole, diciamo duecento per
              questo trial. Quindi le dividiamo in due gruppi a caso, diamo
              alle madri del primo gruppo il miglior trattamento disponibi-
              le al momento (qualunque esso sia nella nostra città), mentre
              le madri del secondo gruppo ricevono il medesimo trattamen-
              to oltre ad alcuni steroidi. Alla fine, quando tutte le duecento
              donne hanno completato il nostro trial, contiamo quanti bam-
              bini sono sopravvissuti in ciascun gruppo.
                 Questa è una domanda che ci si è posta nel mondo reale,
              e numerosi trials sono stati condotti su tale argomento, dal
              1972 in avanti: due trials mostrarono che gli steroidi salva-
              vano delle vite, ma cinque non misero in luce alcun benefi-
              cio significativo. Ora, sentirete dire spesso che i medici sono
              in disaccordo quando le prove sono contrastanti, e questo è
              esattamente quel tipo di situazione. Un medico fortemente
              convinto dell’efficacia degli steroidi – magari concentrato su
              qualche meccanismo molecolare teorico, mediante il quale il
              farmaco potrebbe fare qualcosa di utile nel corpo – potreb-
              be dire: «Guardate questi due trials positivi! Certo che dob-
              biamo somministrare gli steroidi!». Mentre un medico incerto
              sull’efficacia degli steroidi potrebbe additare i cinque trials
              negativi e dire: «Nell’insieme i dati non mostrano alcun be-
              neficio. Perché rischiare?».
                 Fino a tempi molto recenti, la medicina procedeva fondamen-
              talmente in questo modo. Si scrivevano lunghi articoli di rasse-

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26          Effetti collaterali

              gna – saggi che esaminavano la documentazione esistente – ove
              si citavano i dati dei trials in cui ci si era imbattuti, operando in
              una maniera completamente priva di sistematicità, che spesso
              rifletteva i pregiudizi del ricercatore. Poi, negli anni successivi
              al 1980, si cominciò a fare una cosa chiamata «revisione siste-
              matica». Si tratta di una rassegna chiara e, appunto, sistematica
              della letteratura, condotta con l’intento di procurarsi tutti i dati
              dei trials in qualunque modo accessibili su un particolare argo-
              mento, senza alcuna propensione verso un insieme particolare
              di risultati. In una revisione sistematica, si descrive con preci-
              sione come si sono cercati i dati: quali database si sono esplo-
              rati, quali motori di ricerca e indici si sono usati, perfino quali
              parole si sono cercate. Si specificano preliminarmente i tipi di
              studi che possono essere inclusi nella rassegna, e poi si pre-
              senta tutto ciò che si è trovato, compresi gli articoli che si sono
              scartati, con una spiegazione del motivo per cui lo si è fatto. In
              questo modo si garantisce che i metodi utilizzati siano del tut-
              to trasparenti, replicabili e aperti alla critica, fornendo al let-
              tore un quadro chiaro e completo delle prove disponibili. Può
              sembrare un’idea semplice, ma le revisioni sistematiche sono
              estremamente rare al di fuori della medicina clinica, e rappre-
              sentano senz’altro una delle idee più importanti e trasgressive
              degli ultimi quarant’anni.
                  Quando si sono raccolti tutti i dati dei trials, si può eseguire
              una procedura chiamata meta-analisi, nella quale si riuniscono
              tutti i risultati in un gigantesco tabulato, si mettono insieme tut-
              ti i dati e si ottiene un’unica figura riassuntiva, la sintesi più ac-
              curata di tutti i dati concernenti un problema clinico. Il risulta-
              to del procedimento è chiamato «blobbogramma», o «grafico a
              foresta». Ne è un esempio il logo della Cochrane Collaboration,
              un’organizzazione accademica internazionale senza fini di lu-
              cro che produce fin dagli anni Ottanta del secolo scorso inecce-
              pibili rassegne di dati su importanti questioni mediche.
                  Questo blobbogramma rappresenta i risultati di tutti i trials
              effettuati in merito alla somministrazione di steroidi per favo-
              rire la sopravvivenza dei bambini prematuri. Ciascun segmen-
              to orizzontale è un trial: se il segmento è spostato più a sini-
              stra, il trial ha mostrato che gli steroidi avevano effetti benefici e

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salvavano vite. La linea verticale centrale è la «linea di effetto
              nullo», e se il segmento orizzontale del trial tocca la linea di ef-
              fetto nullo, vuol dire che il trial non ha evidenziato alcun be-
              neficio statisticamente significativo. Alcuni trials sono rappre-
              sentati da segmenti orizzontali più lunghi: si trattava di trials
              più limitati, il che significa che erano maggiormente suscetti-
              bili di errore, cosicché la stima del beneficio presenta un’incer-
              tezza più ampia, e quindi il segmento orizzontale è più lungo.
              Infine, la losanga in basso mostra l’«effetto complessivo»: cioè
              il beneficio globale dell’intervento, stimato mettendo insieme
              i risultati di tutti i singoli trials. Tali losanghe sono molto più
              limitate in orizzontale dei segmenti che corrispondono ai sin-
              goli trials, perché la stima è molto più accurata, riassumendo
              l’effetto del farmaco su un numero molto maggiore di pazien-
              ti. Questo blobbogramma mostra che, essendo la losanga ben
              lontana dalla linea di effetto nullo, la somministrazione di ste-
              roidi è altamente benefica. Di fatto, riduce quasi della metà le
              probabilità di decesso di un bambino prematuro.
                  La cosa sorprendente di questo blobbogramma è che lo si sia
              dovuto inventare, e che ciò sia accaduto così tardi nella storia
              della medicina. Per molti anni abbiamo avuto a disposizione
              tutte le informazioni che occorrevano per sapere che gli steroidi
              salvavano vite, ma nessuno era certo che fossero efficaci, perché

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              nessuno aveva condotto una revisione sistematica fino al 1989.
              Di conseguenza, il trattamento non fu somministrato su vasta
              scala, e morì un enorme numero di bambini che si sarebbero
              potuti salvare; non perché non avessimo le informazioni, ma
              semplicemente perché non ne facevamo una sintesi appropriata.
                 Nel caso pensaste che questo sia un fatto isolato, vale la pena
              di valutare con precisione in quale stato deprecabile si trovasse
              la medicina fino a tempi spaventosamente recenti. La figura del-
              la pagina accanto contiene due blobbogrammi che rappresenta-
              no tutti i trials condotti per verificare se la somministrazione di
              streptochinasi, un farmaco che arresta la coagulazione, aumenti la
              sopravvivenza in pazienti che hanno avuto un attacco cardiaco.11
                 Si consideri prima il grafico a foresta a sinistra. Si tratta di un
              grafico a foresta tradizionale, tratto da una rivista accademica,
              che risulta un po’ più laborioso di quello stilizzato presente nel
              logo della Cochrane. Ma i principi generali sono esattamente
              gli stessi. Ciascun segmento orizzontale rappresenta un trial, e
              si può vedere che c’è un guazzabuglio di risultati, in cui alcu-
              ni trials indicano un effetto benefico (non toccano la linea ver-
              ticale di effetto nullo, contraddistinta dall’«1» in alto) mentre
              altri non mostrano alcun beneficio (incrociano quella linea). In
              basso, però, si può vedere l’effetto complessivo: un punto, che
              in questo blobbogramma di vecchio tipo prende il posto di una
              losanga. E si può vedere con chiarezza che complessivamente
              la streptochinasi salva delle vite.
                 E allora che cos’è il grafico sulla destra? È una cosa chiama-
              ta meta-analisi cumulativa. Se si osserva l’elenco di studi sulla
              sinistra del diagramma, si vede che questi sono disposti in or-
              dine di data. La meta-analisi cumulativa sulla destra somma di
              volta in volta i risultati di ciascun trial, così come sono perve-
              nuti, a quelli dei trials precedenti. Ciò fornisce, per ogni anno,
              la migliore stima corrente possibile di come le prove sarebbero
              apparse in quel momento, se qualcuno si fosse dato la pena di
              effettuare una meta-analisi dei dati disponibili. In questo blob-
              bogramma si può vedere che i segmenti orizzontali, gli «effet-
              ti complessivi», si accorciano con il passare del tempo, via via
              che vengono raccolti dati sempre più numerosi, e la stima del
              beneficio complessivo di questo trattamento diventa più accu-

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Dati mancanti              29

              rata. Si vede anche che questi segmenti orizzontali hanno smes-
              so di incrociare la linea verticale di effetto nullo molto tempo
              fa, e, fatto cruciale, hanno smesso molto tempo prima che co-
              minciassimo a somministrare la streptochinasi a chiunque aves-
              se un attacco cardiaco.

              Meta-analisi tradizionale e cumulativa di 33 trials sulla somministrazione endovenosa di streptochinasi
              per l’infarto acuto del miocardio. I rapporti di previsione (odds ratios) e gli intervalli di confidenza
              al 95% per l’effetto del trattamento sulla mortalità sono rappresentati in scala logaritmica.

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                 Nel caso non l’aveste già indovinato da soli – a dire il vero,
              la stessa classe medica fu lenta a capire – questo diagramma
              ha implicazioni devastanti. Gli attacchi cardiaci sono una causa
              di morte molto comune. Disponevamo di un trattamento che
              funzionava, e avevamo tutte le informazioni che occorrevano
              per sapere che funzionava, ma ancora una volta non le aveva-
              mo organizzate in modo sistematico per desumerne la rispo-
              sta corretta. Metà delle persone coinvolte in quei trials nella
              parte inferiore del blobbogramma erano state destinate a caso
              a non ricevere streptochinasi, a mio parere in modo eticamen-
              te ingiustificabile, perché avevamo tutte le informazioni neces-
              sarie per sapere che la streptochinasi funzionava: quelle perso-
              ne erano state private di trattamenti efficaci. Ma non erano le
              sole, perché lo stesso era accaduto all’epoca alla maggior parte
              delle persone in tutto il mondo.
                 Queste vicende chiariscono, spero, perché revisioni sistema-
              tiche e meta-analisi sono così importanti: dobbiamo mettere in-
              sieme tutti i dati relativi a una questione, e non limitarci a sce-
              gliere i frammenti in cui ci imbattiamo, o di cui intuitivamente
              ci piace l’aspetto. Per fortuna i medici sono arrivati a renderse-
              ne conto nel corso dell’ultimo ventennio, e oggi le revisioni si-
              stematiche con meta-analisi sono usate in modo quasi univer-
              sale per garantire la sintesi più accurata possibile di tutti i trials
              condotti su un particolare problema.
                 Ma queste vicende dimostrano anche perché la mancata co-
              noscenza dei risultati dei trials è così pericolosa. Se un ricercato-
              re o un medico «scelgono a piacimento» quando riassumono le
              prove esistenti, e considerano soltanto i trials che sostengono la
              loro intuizione, possono produrre un quadro fuorviante della ri-
              cerca. Questo è un problema per quel singolo, e per chiunque sia
              tanto sprovveduto o sfortunato da farsi influenzare da lui. Ma
              se tutti, l’intera comunità medica e accademica, siamo all’oscu-
              ro dei trials negativi, quando raccogliamo le prove per ricavar-
              ne – come dobbiamo fare – la migliore visione possibile di ciò che
              funziona, siamo completamente fuorviati. Ci facciamo un’idea
              falsata dell’efficacia del trattamento: ne esageriamo erroneamen-
              te i benefici, o forse addirittura concludiamo erroneamente che
              un intervento è stato benefico, mentre in realtà ha nociuto.

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Dati mancanti     31

                Ora che comprendete l’importanza delle revisioni sistemati-
              che, potete capire perché i dati mancanti sono importanti. Ma
              potete anche convincervi del fatto che, quando spiego quanti
              dati dei trials restano sconosciuti, vi sto fornendo una rassegna
              onesta della letteratura, perché vi illustro la situazione serven-
              domi di revisioni sistematiche.

              Quanti dati mancano?
                  Se volete dimostrare che alcuni trials sono rimasti inediti,
              andate incontro a un problema non da poco: dovete provare
              l’esistenza di studi cui non avete accesso. Per aggirare questa
              difficoltà, si è escogitato un metodo semplice: si identifica un
              gruppo di trials di cui si sa che sono stati effettuati e completa-
              ti, e poi si verifica se sono stati pubblicati. Trovare un elenco di
              trials completati è la parte difficile dell’impresa, e per riuscir-
              ci si sono impiegate varie strategie: setacciare, per esempio, gli
              elenchi di trials che sono stati approvati da comitati etici (o da
              «commissioni di revisione istituzionali» negli Stati Uniti); op-
              pure scovare i trials discussi dai ricercatori nei congressi.
                  Nel 2008 un gruppo di ricercatori decise di verificare l’even-
              tuale pubblicazione di ogni trial che fosse stato notificato alla
              Food and Drug Administration (fda) statunitense in relazione a
              tutti gli antidepressivi immessi sul mercato tra il 1987 e il 2004.
              Non era un’impresa da poco. Gli archivi dell’fda contengono
              una ragionevole quantità di informazioni su tutti i trials sotto-
              posti all’autorità regolatrice in vista del conseguimento di una
              licenza per un nuovo farmaco. Ma questi non esauriscono as-
              solutamente la totalità dei trials, perché quelli condotti dopo
              che il farmaco è giunto sul mercato non vi compariranno; e le
              informazioni fornite dall’fda sono di difficile esplorazione, ol-
              tre che spesso limitate. Si tratta comunque di un considerevole
              sottoinsieme di trials, più che sufficiente per cominciare a inda-
              gare sulla frequenza con cui questi vanno dispersi, e sulla ra-
              gione di ciò. Inoltre si tratta di una porzione rappresentativa dei
              trials effettuati da tutte le maggiori compagnie farmaceutiche.
                  I ricercatori individuarono in totale settantaquattro studi,
              che rappresentavano i dati relativi a 12.500 pazienti. Trentot-

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32          Effetti collaterali

              to di questi trials fornivano risultati positivi, e concludevano
              che il nuovo farmaco funzionava; trentasei erano negativi. I ri-
              sultati, in realtà, erano quindi equamente suddivisi tra succes-
              so e insuccesso per i farmaci. Poi i ricercatori si misero a cerca-
              re questi trials nella letteratura accademica pubblicata, cioè tra
              il materiale disponibile per medici e pazienti. In questo modo
              si delineò un quadro assai diverso. Trentasei dei trials positivi
              – tutti eccetto uno – risultavano pubblicati integralmente, spesso
              con molta enfasi. Ma i trials con esiti negativi avevano una sor-
              te ben diversa: di essi soltanto tre erano stati pubblicati. Venti-
              due erano semplicemente perduti, non comparendo in nessun
              altro luogo che in quei polverosi, disorganizzati e scarni dos-
              sier dell’fda. I rimanenti undici che presentavano risultati ne-
              gativi nei compendi dell’fda comparivano sì nella letteratura
              accademica, ma erano presentati come se il farmaco fosse risul-
              tato un successo. Se pensate che ciò sia assurdo, sono d’accor-
              do con voi: vedremo nel capitolo iv, sui «cattivi trials», come i
              risultati di uno studio possano essere rimaneggiati e «addome-
              sticati» in modo da distorcerne e amplificarne le conclusioni.
                 Questo fu un lavoro davvero notevole, che riguardava dodici
              farmaci di tutti i maggiori produttori, senza che nessuno fosse
              messo nella parte del «cattivo». Lo studio smascherava chiara-
              mente un sistema corrotto: nella realtà abbiamo trentotto trials
              positivi e trentasei negativi; nella letteratura accademica ce ne
              sono quarantotto positivi e tre negativi. Per un momento pro-
              vate a passare mentalmente dall’una all’altra di queste due de-
              scrizioni: «trentotto trials positivi e trentasei negativi», oppure
              «quarantotto trials positivi e solo tre negativi».
                 Se stessimo parlando di un unico studio, di un unico gruppo
              di ricercatori, che avessero deciso di cancellare metà dei propri
              risultati perché non fornivano il quadro generale voluto, de-
              finiremmo tale comportamento come «frode scientifica». Ep-
              pure, in qualche modo, quando si verifica esattamente lo stes-
              so fenomeno, ma con la scomparsa di interi studi, per mano
              di centinaia e migliaia di persone sparse in tutto il mondo, sia
              nel settore pubblico che in quello privato, lo accettiamo come
              un fatto normale della vita.12 La cosa passa sotto gli occhi vi-
              gili delle autorità di controllo e degli ordini professionali che,

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Dati mancanti    33

              d’abitudine, non fanno nulla, nonostante l’innegabile effetto
              che ciò ha sui pazienti.
                 Ancora più strano è il fatto che siamo al corrente del proble-
              ma della scomparsa degli studi negativi praticamente da quan-
              do si è cominciato a fare scienza in modo serio.
                 Il fenomeno fu documentato in modo formale da uno psico-
              logo di nome Theodore Sterling nel 1959.13 Questi esaminò uno
              per uno tutti gli articoli pubblicati sulle quattro principali rivi-
              ste di psicologia dell’epoca, e scoprì che 286 su 294 riferivano
              un risultato statisticamente significativo. La cosa, spiegò, era
              ovviamente sospetta: non poteva essere una rappresentazione
              corretta di ogni studio che era stato condotto, perché se lo si
              fosse creduto, si sarebbe dovuto credere anche che quasi tutte
              le teorie mai sottoposte a verifica da uno psicologo in un espe-
              rimento si erano rivelate esatte. Se davvero gli psicologi erano
              così bravi nel predire i risultati, non ci sarebbe quasi stata ra-
              gione di prendersi la briga di condurre esperimenti di sorta.
              Nel 1995, al termine della sua carriera, il medesimo ricercato-
              re tornò sulla stessa questione, a distanza di oltre trentacinque
              anni, e constatò che quasi nulla era cambiato.14
                 Sterling fu il primo a esporre queste idee in un contesto ac-
              cademico formale, ma il punto essenziale era noto da diversi
              secoli. Francesco Bacone aveva spiegato nel 1620 che spesso ci
              fuorviamo da soli ricordando soltanto le volte in cui qualco-
              sa funziona, e dimenticando quelle in cui accade il contrario.15
              Fowler nel 1786 elencò i casi che aveva visto trattare con l’arse-
              nico, e sottolineò che avrebbe potuto nascondere gli insucces-
              si, come altri forse sarebbero stati tentati di fare, ma che li ave-
              va inclusi.16 Fare altrimenti, spiegò, sarebbe stato fuorviante.
                 Eppure è solo da una trentina d’anni che ci si è resi conto del
              fatto che i trials mancanti costituivano un problema serio per
              la medicina. Nel 1980 Elina Hemminki scoprì che quasi la metà
              dei trials condotti alla metà degli anni Settanta in Finlandia e
              Svezia era rimasta inedita.17 Poi, nel 1986, un ricercatore ameri-
              cano, Robert Simes, decise di fare uno studio sui trials relativi
              a un nuovo trattamento per il cancro alle ovaie. Fu uno studio
              importante, perché affrontava una questione di vita o di morte.
              La polichemioterapia per questo tipo di cancro ha effetti colla-

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              terali assai gravi, e molti ricercatori, sapendolo, avevano spera-
              to che potesse rappresentare un miglioramento la somministra-
              zione di un singolo farmaco, un «agente alchilante», prima di
              passare alla chemioterapia vera e propria. Simes prese in esame
              tutti i trials su tale questione citati nella letteratura accademi-
              ca, che viene letta da medici e docenti universitari. A giudica-
              re da questa, la somministrazione iniziale di un singolo farma-
              co sembrava una grande idea: le donne con un cancro ovarico
              in stato avanzato (che non è comunque una bella diagnosi), se
              prendevano l’agente alchilante da solo avevano una probabili-
              tà di sopravvivenza significativamente maggiore.
                  A questo punto Simes ebbe un’idea brillante. Sapeva che a
              volte i trials non vengono pubblicati, e aveva sentito dire che gli
              articoli contenenti risultati meno «entusiasmanti» erano quel-
              li che più facilmente andavano dispersi. Dimostrare che ciò
              sia accaduto, però, è una faccenda complicata: bisogna trova-
              re un campione rappresentativo non alterato di tutti i trials che
              sono stati effettuati, e poi confrontare i loro risultati con quelli
              dell’insieme più ridotto di trials che sono stati pubblicati, per
              verificare se vi sono differenze imbarazzanti. Non era sempli-
              ce ottenere queste informazioni dalle autorità di controllo sui
              farmaci (discuteremo in modo articolato questo problema più
              avanti), così Simes si rivolse alla Banca dati internazionale per
              la ricerca sul cancro. Qui c’era un registro di trials interessanti
              che erano in corso negli Stati Uniti, tra i quali la maggior parte
              di quelli finanziati dal governo; il registro ne conteneva anche
              molti altri provenienti da tutto il mondo. Non era assolutamen-
              te un elenco completo, ma aveva una caratteristica cruciale: i
              trials venivano registrati prima che pervenissero i loro risulta-
              ti, cosicché qualsiasi lista tratta da questa fonte sarebbe stata,
              se non completa, almeno un campione rappresentativo di tut-
              ta la ricerca condotta in precedenza, non distorto dagli esiti po-
              sitivi o negativi dei singoli trials.
                  Quando Simes confrontò i risultati dei trials pubblicati con
              quelli dei trials preregistrati, l’esito fu inquietante. Stando alla
              letteratura accademica – gli studi che ricercatori e direttori del-
              le riviste sceglievano di pubblicare – gli agenti alchilanti da soli
              sembravano un’idea di grande efficacia, che riduceva in misu-

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Dati mancanti    35

              ra significativa il tasso di mortalità per cancro ovarico in stato
              avanzato. Ma quando si prendevano in considerazione soltan-
              to i trials preregistrati – il campione non distorto rappresentati-
              vo di tutti i trials condotti in precedenza – il nuovo trattamento
              non risultava migliore della vecchia chemioterapia.
                 Simes comprese immediatamente – come spero farete anche
              voi – che la questione della maggiore efficacia di questo o di
              quel trattamento del cancro era poca cosa rispetto alla bomba
              che stava per far esplodere nell’ambito della letteratura medica.
              Tutto ciò che si pensava di sapere sull’efficacia dei trattamen-
              ti era probabilmente distorto, in una misura che poteva esse-
              re difficile da determinare con precisione, ma che di certo ave-
              va una grande influenza sulla cura dei pazienti. Si vedevano
              i risultati positivi, e si trascuravano quelli negativi. C’era una
              cosa ben definita che si doveva fare per questo: istituire un re-
              gistro di tutti i trials clinici, esigere che gli studi venissero re-
              gistrati prima dell’inizio, e insistere perché i risultati venisse-
              ro pubblicati alla fine.
                 Questo accadeva nel 1986. Da allora, nel corso di un’intera
              generazione, si è fatto ben poco. In questo libro prometto di non
              opprimervi con i dati. Ma allo stesso tempo, voglio che nessuna
              compagnia farmaceutica, nessuna autorità governativa, nessun
              organo professionale, o nessun altro che metta in dubbio tut-
              ta questa storia, abbia la minima possibilità di svicolare. Perciò
              ora prenderò in esame, quanto più rapidamente possibile, tutti
              i dati sui trials mancanti, illustrando le principali impostazioni
              che sono state adottate nell’analisi. Tutto ciò che state per leg-
              gere proviene dalle più attuali revisioni sistematiche sull’argo-
              mento, cosicché potete essere sicuri che si tratti di un compen-
              dio imparziale e non distorto dei risultati.
                 Un metodo di ricerca consiste nel raccogliere tutti i trials
              agli atti di un’autorità di controllo del farmaco, a cominciare
              da quelli iniziali condotti allo scopo di ottenere una licenza per
              un nuovo medicinale, e poi controllare se compaiono tutti nella
              letteratura accademica. Questo è il metodo adottato, come ab-
              biamo visto, nello studio menzionato sopra, in cui i ricercatori
              avevano scovato tutti gli articoli relativi a dodici antidepressi-
              vi, e scoperto che un insieme di risultati diviso in parti uguali

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              tra positivi e negativi si traduceva in quarantotto articoli posi-
              tivi e solo tre negativi. Questo metodo è stato ampiamente uti-
              lizzato in parecchie aree differenti della medicina:
              •    Lee e colleghi, per esempio, hanno individuato tutti i 909
                   trials presentati unitamente alle domande di commercializ-
                   zazione per tutti i novanta nuovi farmaci immessi sul mer-
                   cato tra il 2001 e il 2002: hanno verificato che il 66 per cen-
                   to dei trials con risultati significativi erano stati pubblicati, a
                   fronte del 36 per cento soltanto dei rimanenti.18
              •    Melander nel 2003 prese in considerazione tutti i quaran-
                   tadue trials su cinque antidepressivi sottoposti all’autori-
                   tà svedese di controllo del farmaco nell’intento di ottene-
                   re l’autorizzazione alla commercializzazione: tutti i ventuno
                   studi con risultati significativi erano stati pubblicati; soltan-
                   to l’81 per cento di quelli che non avevano riscontrato alcun
                   beneficio lo erano stati.19
              •    Rising e colleghi nel 2008 individuarono altri esempi di quel-
                   le valutazioni distorte che analizzeremo più avanti. Aveva-
                   no cercato tutti i trials effettuati sui farmaci approvati in due
                   anni. Nel compendio dei risultati dell’fda, una volta che si
                   era riusciti a trovarli, c’erano 164 trials. Quelli con esiti favo-
                   revoli avevano una probabilità di essere pubblicati su riviste
                   accademiche più di quattro volte maggiore rispetto a quel-
                   li con esiti negativi. Per di più, quattro dei trials con esiti ne-
                   gativi, una volta apparsi nella letteratura accademica, erano
                   diventati favorevoli al farmaco.20
                 Se si preferisce, si possono prendere in considerazione le
              presentazioni svolte ai congressi: un’enorme messe di ricerche
              viene presentata in tali occasioni, ma la nostra migliore stima
              attuale è che soltanto metà circa di esse appaia poi nella lette-
              ratura accademica.21 Gli studi presentati solo ai congressi sono
              quasi impossibili da trovare, o da citare, e sono particolarmen-
              te difficili da valutare a causa delle scarse informazioni dispo-
              nibili sui metodi specifici adottati nella ricerca (informazioni
              spesso ridotte a non più di un paragrafo). E come si vedrà tra
              poco, non tutti i trials rappresentano un test imparziale di un

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