Discorso di Benvenuto agli studenti Graduate 2021 dell'Università Bocconi

Pagina creata da Michele Giglio
 
CONTINUA A LEGGERE
Discorso di Benvenuto agli studenti Graduate 2021
                dell’Università Bocconi

Oggi siamo qui per salutare l’inizio di un nuovo viaggio, il vostro viaggio.
Tutti voi sapete da dove partite, ma nessuno di voi sa dove arriverà. E questo
può far paura, ma è anche il bello della vita. Questo, dopotutto è ciò che
rende la vita speciale ed unica.

Nel vostro caso, questo viaggio ha, tra le sue destinazioni, quello di diventare
classe dirigente. Gli studi che state facendo e la grande scuola che avete
scelto vi danno titolo ad aspirarci.
La classe dirigente mondiale, ma soprattutto italiana, ha ereditato una cattiva
reputazione quando si tratta di non essere all'altezza dei compiti che la storia
ha assegnato loro dal momento in cui l'Italia si è formata per la prima volta,
fino agli ultimi decenni, fino ad oggi.

Se dunque essere qui oggi vi garantisce il diritto di aspirare a diventare
classe dirigente, al tempo stesso essere qui vi obbliga a guadagnarvelo con il
dovere della responsabilità. Dovrete distinguervi dalle classi dirigenti che vi
ha preceduto cambiando molti dei loro principi e delle loro azioni.

Dovrete far fronte alla complessità che caratterizza il nostro tempo e che
subirà un’accelerazione ad oggi imprevedibile dotandoci di strumenti culturali
adeguati e di esperienze non tradizionali.

Il vostro viaggio inizia in una fase di incertezza senza precedenti esasperata
da una funesta crisi sanitaria. La profonda incertezza che logora le
fondamenta della nostra comunità ha radici lontane ed effetti sia di tipo
razionale che sull’inconscio. È a rischio il benessere che sembrava raggiunto
o raggiungibile; è a rischio il lavoro, o almeno lo sono molti lavori tradizionali;
è a rischio il welfare che rappresentava una conquista ormai acquisita; è a
rischio la pace globale; è a rischio il pianeta. Molte esasperazioni politiche e
sociali degli ultimi anni trovano in queste paure il loro trigger alle quali non fa
da bilanciamento una classe dirigente capace di creare speranza e fiducia e
di proporre soluzioni e progetti a lungo termine.

La sempre maggiore incertezza nel sistema della conoscenza - incertezza
che continua a crescere anche in funzione della digitalizzazione -, reclama di
costruire frames of mind del tutto nuove dove si integrano sensibilità
tecnologiche e umanistiche, una nuova “noosfera” direbbe Theillard de
Chardin.
La nuova classe dirigente viene chiamata a costruire un nuovo ruolo per il
nostro Paese. Per immaginare un futuro sostenibile serve avere una visione
complessiva del proprio Paese e bisogna conoscerne il passato mentre noi
studiamo poco e male la storia, soprattutto quella recente. Il nostro futuro
sarà in un mondo inevitabilmente globalizzato e fatto di potenze globali in
concorrenza tra di loro: speriamo solo in concorrenza culturale ed economica
e non che non degeneri in conflitti. È chiaro a tutti noi che solo se saremo
protagonisti nella costruzione di una Unione Europea capace di muoversi da
potenza globale, che non è il caso di oggi, avremo un futuro di libertà e
benessere.

Quali sono le caratteristiche che oggi dovrebbero distinguere una classe
dirigente veramente utile?

Non credo sia il caso di entrare qui nel tema delle competenze e del rispetto
della meritocrazia. Ricordatevi sempre del valore del merito, siatene
testimoni e alfieri nelle grandi e nelle piccole scelte di ogni giorno.
Soprattutto, nella scelta delle persone intorno a voi e dedicatevi alla loro
coesione e motivazione, perché più ancora delle vostre competenze, a
determinare i vostri risultati saranno le persone di cui saprete circondarvi e il
clima che saprete costruire per loro e con loro. Non potrete definirvi leader
fino a quando non comincerete a crearne di nuovi intorno a voi.
La migliore definizione di leader che posso darvi è questa: un leader è
qualcuno che crea altri leader.

Questo non significa ovviamente che le competenze tecniche che si
imparano all’università non siano importanti. Sono e restano fondamentali e
ne avrete un bagaglio di partenza maggiore di molti altri grazie alla scuola
che avete scelto. Ma dovrete sviluppare sul campo anche altre competenze,
che definirei emotive e di cui la più importante è la capacità di gestire il
cambiamento.

Oggi i leader si trovano continuamente a guidare i loro collaboratori
attraversare fiumi burrascosi verso terreni sconosciuti, ignoti, spesso
inaspettati. Non solo per loro ma anche per gli stessi leader.

Gestire il cambiamento significa parlare sia alla testa che al cuore che alla
pancia delle persone. Serve disegnare e indicare un futuro per il quale valga
la pena di “spaccarsi la schiena”. Per questo i leader devono comprendere le
ansie che il cambiamento comporta nelle persone che hanno intorno. Serve
coraggio, perché i nemici del cambiamento sono molti e spesso molto forti.

Una classe dirigente che vuole esser utile unisce, non divide e non si divide
continuamente su tutto. Sa capire la diversità e sa combinarla con le altre
diversità. Non è solo tollerante, ma ricerca differenza e dissenso, perché
portano valore e innovazione. Non pretende totale allineamento, ma valorizza
ciò che unisce. Ricerca sempre nuovi equilibri tra valori anche contrastanti.
Guardate a cosa sta succedendo alla nostra società. La nostra società si sta
spaccando e polarizzando per non saper trovare equilibrio tra valori solo
apparentemente alternativi: libertà e uguaglianza, merito e solidarietà, identità
e apertura, fede e laicità. Ma appunto è una incompatibilità solo apparente
perché non può esserci libertà senza uguaglianza, non può esservi
valorizzazione del merito senza cura delle fragilità, non può esserci identità
senza la prova della differenza e rispetto per le diverse provenienze. Noi
siamo gli altri, siamo fatti di tante cose, siamo un parlamento interiore,
direbbe Freud.

E tutto ciò non solo a parole ma con l’esempio. La più grande forza che crea
fiducia – in famiglia come in azienda come nella società - è l’esempio.
Ciascuno di noi è responsabile di ciò che fa e di ciò che non fa e contribuisce
non tanto per ciò che dice, ma per l’esempio concreto che ogni giorno dà con
le sue posizioni e le sue azioni concrete.

È in questo senso, e solo in questo, che la classe dirigente di oggi deve
riscoprire un’idea positiva dell’ambizione, che non ha nulla a che fare con
l’arroganza. Ricordatevi che non c’è niente di male nell’ambizione, anzi.
Basta con il complesso di Calimero anche a livello nazionale! Troppo spesso
sottovalutiamo le possibilità del nostro Paese e con esse il nostro ruolo nel
raggiungerle. Troppo spesso indulgiamo nel dileggio dell’Italia, attività che è
diventata uno sport nazionale e che però è solo nostra, non esiste in nessuna
altra grande nazione. Troppo spesso inculchiamo ai nostri giovani la
convinzione che “in Italia non si può” e quindi cerchiamo scuse e alibi per i
nostri fallimenti: la burocrazia, i sindacati, le infrastrutture, ecc.

Questa narrazione autoindulgente e vittimistica va rifiutata con orgoglio. Ma
soprattutto è falsa. In Italia si può, eccome, realizzare grandi progetti. E si
può, eccome, farlo in tempi limitati! In Italia non solo si può ma spesso si è
più bravi di molti altri paesi che godono di migliore stampa.

La vita continua a farmi incontrare persone che lo dimostrano. E la vita me ne
ha data anche dimostrazione concreta. Faccio tre esempi di vicende vissute
direttamente che mi hanno convinto “anche in Italia si può” e mi stimolano ad
andare “oltre”: Poste Italiane, Intesa SanPaolo e illimity.

   • Quando abbiamo iniziato a ripensare le Poste, quasi tutti dicevano che
     non era possibile trasformare quella immensa burocrazia in una
     azienda moderna, efficace, capace di mutare il proprio dna secolare
     che la poneva in grave crisi e prossima a una inevitabile liquidazione. E
invece la gente della Posta ce l’ha fatta in pochi anni e oggi è un
      esempio positivo a livello mondiale.

   • Intesa SanPaolo è diventata una delle migliori banche europee sia per
     risultati che per responsabilità sociale, ma quando abbiamo iniziato
     eravamo una media banca di provincia. Non in molti avrebbero
     scommesso che una banca italiana si sarebbe trovata nelle posizioni di
     testa in Europa in pochi anni.

   • illimity tre anni fa era la PowerPoint presentation di una nuova startup e
     oggi è una delle prime banche di nuovo paradigma e ha attirato quasi
     700 talenti da oltre 200 diverse organizzazioni. Cresciamo, facciamo
     utili e siamo utili perché ci occupiamo di credito difficile: credito alla
     crescita, credito di ristrutturazione e distressed credit. Attirando capitali
     in Italia da tutto il mondo.

Le leve del successo in tutti e tre i casi sono sempre state le stesse: persone
e innovazione.

Per essere un buon leader si DEVE amare il successo. Non solo il proprio,
ma anche quello degli altri. E qui c’è un’altra cattiva abitudine della nostra
classe dirigente che dobbiamo correggere. Basta con la Top Poppy
Syndrome! Il papavero che riesce a crescere più alto non va tagliato, va
ammirato, emulato, aiutato perché rappresenta un esempio positivo.
L’abitudine, molto italiana, di cercare i modi più diversi per bloccare chi
innova, chi va più veloce, chi riesce è un virus pericoloso che non deve
contagiarvi.

Da tutto questo emerge un profilo abbastanza preciso di una classe dirigente
utile per sé stessa e per l’intera società. Voi sarete chiamati a fare evolvere il
nostro sistema capitalistico verso un capitalismo più responsabile. Tre le
direzioni prioritarie e in tutte e tre la responsabilità del privato e del pubblico si
intersecano profondamente:
    • Un capitalismo responsabile socialmente: vanno corrette le
       esasperazioni di un sistema che tende per sua natura a esasperare le
       diseguaglianze e a tollerare fasce di estremo disagio. Ma gli strumenti li
       abbiamo: dall’istruzione di base alla formazione continua, dal welfare
       alla vera meritocrazia in tutti i campi.
    • Un capitalismo responsabile ecologicamente: la legittimazione di un
       sistema economico viene anche dalla sua capacità di consegnare alle
       generazioni future un pianeta più sano di quello ricevuto. Abbiamo
       toccato con mano che oggi non stiamo andando in questa direzione.
    • Un capitalismo responsabile finanziariamente: la finanza fine a se
       stessa, l’esplosione del debito, la concentrazione di potere finanziario
vanno corrette attraverso sanzioni legali oltre che sociali. La filosofia
      della sostenibilità, anche se più accettata, non è ancora stata
      pienamente colta e diffusa.

Una classe dirigente contemporanea che voglia essere utile deve sentirsi
investita della costruzione del bene comune. Se non sarà in grado di fare
fronte a queste tre sfide, se non saprà lavorare nell’interesse comune oltre
che nel proprio, la nuova classe dirigente avrà fallito il proprio compito.

Un’ultima parola sul bene comune è necessaria. Il bene comune è una
responsabilità condivisa e non delegabile nemmeno allo Stato. Non date
retta a chi dice che il bene comune deriva automaticamente dal
perseguimento dei singoli interessi, al soddisfacimento degli animal spirits.
Non è vero o comunque non è più vero anche solo guardando i danni e le
aberrazioni che sono derivati da questa specie di ideologia. Quella è stata
un’interpretazione del tutto superficiale della “mano invisibile” del mercato che
Adam Smith non aveva certo in mente e che continua a turbarlo laddove si
trova adesso. L’interesse del singolo fine a sé stesso non solo non crea bene
comune ma spesso lo impedisce.

Oggi non si può non essere consapevoli che partecipiamo tutti a una
comunità planetaria - come direbbe Edgar Morin - , siamo tutti esseri
accomunati da un unico destino globale che richiede una nuova idea di
salvezza e di realizzazione. Certo che ciascuno di noi ha il dovere di pensare
innanzi tutto a sé stesso, alla propria famiglia, alla propria impresa. Perché
anche in aereo, se succede qualcosa, prima si indossa la propria maschera
dell’ossigeno e poi si aiutano gli altri. Se si è prosperi e solidi individualmente
si può essere più facilmente solidali verso gli altri. Per essere classe dirigente
utile occorre restituire una parte di sé – della propria azione, del proprio
tempo, del proprio successo - alla comunità.

Oggi ci sono tanti modi di restituire. Nel settore privato, incluse tutte le sue
associazioni, nel settore pubblico e attraverso le organizzazioni no profit e le
NGOs. Nessuno di questi tre mondi è perfetto e nessuno ha il monopolio
della virtù: i più grandi risultati vengono, però, quando si riesce a lavorare
insieme, valorizzando le differenze e rendendo comunicanti mondi
apparentemente incompatibili.

Infine, una classe dirigente è tale se è capace di assumersi concretamente la
responsabilità, cioè se sa sporcarsi le mani perché “è difficile fare del bene
senza sporcarsi le mani” come dice Papa Francesco. Per farlo occorre la
passione per la realtà, ma anche per lo spirito di gioventù che non è un dato
biologico che finisce dopo un certo numero di anni, ma uno stato dello spirito,
l’assoluto amore per la libertà, mai neanche una volta scambiala per il
successo. Gioventù è la vittoria del coraggio sulla paura, è non abbandonare
i nostri ideali, è aver fiducia in se stessi e negli altri. Gioventù è guardare
avanti ed essere aperti a tutto.

Tanto altro vorrei dirvi se avessi il tempo.

Portate comunque con voi questo ultimo pensiero: non siamo nati leader,
impariamo come diventarlo.

Congratulazione per la scelta di questo percorso: il meglio deve ancora
venire!
Puoi anche leggere