Delivery food con prodotti dop campani marchio di fabbrica di "Anima Verace"
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Delivery food con prodotti dop campani marchio di fabbrica di “Anima Verace” Sarà un delivery food con prodotti dop campani. Una pizza di qualità, con prodotti tipici delle nostre terre. Il marchio di fabbrica della Pizzeria Anima Verace di Piazza Portanova a Salerno. Fedele al clichè della pizzeria, che avvierà il servizio a partire da domani sera, il marchio di fabbrica di Angelo Attianese e della sua squadra sarà trasportato nelle case dei salernitani. “E’ un’esperienza tutta nuova, nonostante come nostra scelta questo tipo di servizio, come anche quello di asporto, non lo avevamo preso in considerazione. – afferma Angelo Attianese – Ma è un modo come un altro per far ripartire la nostra economia, fermo restando che ci cimenteremo anche con la pizza d’asporto, quando ci sarà data l’autorizzazione. Non abbandoneremo questo servizio, quando si ritornerà, spero, presto, alla normalità. Fermo restando che favoriremo la nostra scelta primaria, quella di servire i clienti ai tavoli». Angelo Attianese ha sempre preferito il contatto diretto con la propria clientela. Sovente, sia lui che i suoi collaboratori, si soffermano con i commensali spiegando le origini dei prodotti usati nella pizza classica napoletana. Prodotti tutti di origine dop, con Attianese che ha saputo sposare le tradizioni dell’Agro, originario di Sant’Egidio, con quelle del Cilento di cui è originaria la moglie. Tanto che la pizza cilentana nello scorso mese di novembre si è piazzata al terzo posto assoluto nel 3° Campionato Nazionale Pizza doc, svoltosi a Nocera Inferiore. «Una soddisfazione non di poco. – afferma Attianese – Contando anche che i partecipanti erano oltre seicento. Ora pensiamo a questa sfida del delivery food. Partiamo con qualche giorno di ritardo ma è stato necessario per ottemperare a tutte le normative». Una pizza di qualità, una
classica napoletana con prodotti tipici della Campania che vanno dal pomodoro San Marzano fino alla mozzarella di Agerola. Un percorso del gusto tutto campano con Attianese che fiero delle sue origini ha coniugato nel forno una pizza da podio. «Sono fiero delle mie origini. – riprende – Sant’Egidio patria dell’arte bianca della farina. Terra di maestri nell’arte del pane e della pizza. Non sono affiliato a circuiti di recensioni ma mi affido completamente al cliente per le recensioni». Resta la sfida che parte domani sera. «Preferisco fare poche consegne ma fatte bene. – chiosa Attianese – E’ un segnale di rinascita, la nostra dopo questa avventura contro un nemico invisibile e traditore». Delivery food, il ristorante Dimora Nannina di Filetta punta alla riapertura del locale Il delivery food come esperienza nuova, anche per restare ancor più in contatto con la propria clientela. Il ristorante Dimora Nannina di Filetta di San Cipriano anche in questa esperienza del tutto nuova ha deciso di mantenere il proprio target di piatti da soffrire alla clientela. Certo non al tavolo, visto che è impossibile vista la rigida normativa dettata dall’emergenza covid. «E’ una esperienza tutta nuova e che manterremo anche successivamente, quando sarà possibile ricevere i nostri clienti. – afferma il titolare Gianpaolo Zoccola – Una esperienza che continueremo perché fra i nostri obiettivi è mantenere il contatto diretto con la nostra clientela». Un contatto che non si è perso nemmeno durante i
giorni duri del lockdown. «Tramite dirette dalla nostra pagina face book abbiamo continuato a dialogare con la nostra clientela. – riprende – Facendo vedere anche la preparazione di qualche piatto, delle modalità di preparazione». La tradizione del ristorante Dimora Nannina è presentare un menù con piatti a base di mare. Il pescato viene scelto direttamente dallo chef ogni giorno, recandosi personalmente al mercato per quelle che saranno le prelibatezze marinare da proporre alla propria clientela. «La varietà del menù la presenteremo anche in questo esperimento di delivery food che stiamo facendo da lunedì scorso. I nostri piatti sono a base di pietanze “povere”, tipiche del nostro mare. Come dimenticare le nostre alici, che prepariamo nelle svariate modalità. Ma vorrei anche dire che il nostro ristorante è quello delle 3 P: Pane, Pasta e Pasticceria, che sono tutte di nostra produzione. Ma vorrei anche ricordare che nella proposta presentiamo anche frutta, ortaggi, verdura e olio che sono della nostra produzione personale». Chi chiama il ristorante Domina Nannina, ha la possibilità di una scelta ampia, oltre a ricevere un saporito cadeau. «Regaliamo a tutti quelli che ci chiamano, il pane con lievito madre di nostra produzione con 36 ore di lievitazione. – aggiunge Gianpaolo Zoccola – A questo c’è un menù che presenta due primi piatti, di cui uno che si può facilmente rigenerare al forno o nel microonde in pochi minuti. L’altro è di assemblaggio, con tutte il materiale che lo forniamo noi, in pratiche e sterilizzate buste monouso e sottovuoto. A questo ci sono le nostre spiegazioni dettagliate per cucinarlo. Tra l’altro il cliente, può anche seguire il tutorial sulla nostra pagina social».
Io e il lavoro Se penso alla parola lavoro, quindi, mi viene in mente la parola incertezza. Quando, da piccola, fantasticavo su me stessa a questa età, vedevo una persona realizzata, indipendente e autonoma. Forse se la bimba che ero allora vivesse il “mio oggi” sarebbe delusa. Di IMMA BASSO Esistono diverse definizioni della parola “lavoro”; stando a una delle interpretazioni più generica, il lavoro è “l’applicazione di una energia -umana, animale o meccanica- al conseguimento di un fine determinato”. Il fine più comune, per l’essere umano, è senza dubbio la remunerazione. Personalmente, se penso a questo termine mi torna alla mente la scena di un film di De Crescenzo: un autista di taxi cerca di approfittare di un incontro fortunato con un importante ingegnere perché lo aiuti a inserire suo nipote nel mondo del lavoro. Se penso al lavoro come problema, l’unica soluzione reale e potenzialmente utile è solo e unicamente questa: chiedere, sperare e pregare che qualcuno intervenga in aiuto, spinto da chissà quale flusso positivo dovuto a una precisa posizione degli astri. È facile banalizzare tutto così. Non mi riferisco a chi cerca delle scorciatoie, come notoriamente accadeva e accade, per ottenere una buona occupazione senza aver fatto nulla. Il mio pensiero, purtroppo, va a chi, con sacrifici enormi e impensabili, ha fatto di tutto per assicurarsi un futuro quantomeno dignitoso. Alcuni ragazzi impiegano tanto tempo e investono tante energie e speranze per cercare la propria strada, per capire quale sia davvero il giusto percorso che li proietti verso la realizzazione dei propri sogni, il lavoro stabile. Oggi la percentuale di coloro che raggiungono la tanto agognata meta pare sia notevolmente abbassata. Sicuramente la condizione economica mondiale non aiuta nessuno; eppure sembra dormire sogni tranquilli solo “il figlio di…”. Non conta quanto si sia
studiato nè quanto impegno, passione e dedizione sia stata investita, alla fine si avrà solo la sensazione di aver sprecato tempo e denaro. Questa insoddisfazione non è circoscritta più oramai a lavori prestigiosi, ma anche a tutti: sembra impossibile ottenere lavoro anche solo come parrucchiera, commessa e, perché no, come barista. Chi riesce ad ottenere occupazioni del genere deve comunque ringraziare qualcuno che è intervenuto in suo aiuto. Nè chi ha la fortuna di ottenere anche il più semplice dei lavori conduce, poi, una vita serena. La situazione sociale ed economica non sembra aiutare nessuno, soprattutto nel nostro Paese. Ed è proprio qui che si apre un altro problema. La maggior parte dei giovani lo sta lasciando per cercare fortuna altrove. A parer mio, questa è la soluzione giusta. Non trovo giusto, però, che debba essere costretto a farlo chi, invece, ha l’obbligo, morale e materiale di pensare alla propria famiglia. Se il lavoro è un diritto, dovrebbe esserlo anche poterlo svolgerlo nelle condizioni ottimali, sia dal punto di vista psicologico che affettivo. Tra l’altro, il più delle volte si tratta di persone che non ambiscono a un’occupazione in chissà quale importante multinazionale, ma di chi vorrebbe lavorare nella pizzeria da raggiungere a piedi o con i mezzi. Non abbiamo tutti le stesse ambizioni. Non sogniamo tutti di diventare personaggi importanti della politica. Ci sono persone che nel proprio cassetto hanno un sogno umile e penso sia giusto tutelare anche loro. Se penso alla parola lavoro, poi, subito, penso alla parola sconforto. È davvero un momento difficile. La mia esperienza personale è stata condizionata da diversi fattori, non ultime l’indecisione e l’insicurezza. Ho sempre pensato che aiutare gli altri potesse essere uno scopo di vita, ma non avevo mai pensato che potesse essere un lavoro. Ho sempre pensato, inoltre, che chi lo facesse come lavoro, non avesse nulla di nobile nell’anima tantomeno negli atti intrapresi. Ho percorso diverse strade
prima di capire l’importanza della mia passione: stare con i bambini. Casualmente ho conosciuto tre fratellini, purtroppo tutti affetti dal disturbo della sindrome di autismo, che hanno saputo donare tanta fiducia in me stessa. Parlando con le specialiste che seguono la loro crescita, mi sono ritrovata catapultata in un mondo sconosciuto. È un mondo fatto di tanti colori e io mi sento fortunata a conoscere tutte le sfumature che regala. Ho frequentato allora un corso e sostenuto degli esami, anche se che mi ero ripromessa che mai più avrei toccato un libro. è così che oggi ho trovato la strada giusta per me. Sto continuando a studiare soprattutto per passione. Nella pratica se da un lato è una meraviglia indescrivibile lavorare con questi bimbi, dall’altra mi ritrovo a 30anni senza un lavoro stabile che mi permetta di pensare a un futuro abbastanza vicino con dei figli miei da poter educare e far crescere. Se penso alla parola lavoro, quindi, mi viene in mente la parola incertezza. Quando, da piccola, fantasticavo su me stessa a questa età, vedevo una persona realizzata, indipendente e autonoma. Forse se la bimba che ero allora vivesse il “mio oggi” sarebbe delusa. Sì, è così. Non vedo ancora la famosa luce in fondo al tunnel; non ho fiducia in un futuro migliore. Posso, però, continuare ad impegnarmi e cercare di tutto per continuare a percorrere questa strada, perché è quella giusta: lo so, ci credo. Perciò, per ora, posso solo dire “ io speriamo che me la cavo”. Il lavoro o la vita? Lucia Azzolina, ha firmato l’ordinanza di costituzione e di nomina delle commissioni dell’esame di Stato, ormai ridotto a una prova orale. Ma non sarà un orale a distanza, si farà in aula. Panico! Quest’anno io non ho quinte, quindi non sono chiamata in causa direttamente, ma penso ai miei colleghi e ai
ragazzi Di Patrizia Polverino “Io credo nel popolo italiano. È un popolo generoso, laborioso, non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Non chiede quindi il paradiso in terra. Chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo.” Oggi faccio mie le parole pronunciate dall’amatissimo e indimenticato Presidente Pertini nel messaggio di fine anno agli Italiani del 1981. In un momento in cui l’ansia e la precarietà del futuro aleggiano su ciascuno di noi, voglio soffermarmi a riflettere. Da otto settimane la mia vita è scandita dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sulle misure per contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19. Vivo “rinchiusa” in casa, zona protetta, e provo a reinventarmi. Non è facile. Responsabilmente devo continuare a lavorare: sono una docente, ma soprattutto un’educatrice. Tra difficoltà, incongruenze e indicazioni spesso sibilline ho scelto di adottare anche io la “dad”, oggi argomento preferito nei discorsi degli addetti ai lavori e non. Ma non mi lamento: mantengo vivo il rapporto con i miei ragazzi. L’ansia, però, mi assale: il Ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, il 18 aprile ha firmato l’ordinanza attuativa del decreto legge dell’8 aprile, contenente le norme di costituzione e di nomina delle commissioni dell’esame di Stato, ormai ridotto a una prova orale. Ma non sarà un orale a distanza, si farà in aula. Panico! Sì, panico. È vero, quest’anno io non ho quinte, quindi non sono chiamata in causa direttamente, ma penso ai miei colleghi e ai ragazzi . “Siamo convinti di poterli garantire in sicurezza, il comitato tecnico-scientifico ci ha dato il via libera” così ha dichiarato. E come, chiedo io? Chi o cosa potrà garantire la sicurezza di non essere contagiati? Una mascherina (chirurgica, FFP2, FFP3, con filtro, senza filtro e chi più ne conosce più ne consideri) e un paio di guanti? Un dispenser di gel disinfettante posto all’entrata
dell’aula? Un termoscanner per la misura della febbre a distanza (per ora fantascienza nelle nostre scuole italiane!)? Se davvero questa sicurezza potrà essere garantita nelle scuole secondarie superiori, qualcuno sa spiegarmi perché “l’illustre” comitato tecnico-scientifico del MIUR non ha, né mi pare abbia intenzione di farlo a breve, dato il via libera agli esami, alle sedute di laurea o di dottorato in presenza negli Atenei italiani? Perché è garantita la validità di questi titoli in videoconferenza e non per un diploma di maturità? Non mi si risponda, per favore, con la melliflua affermazione che è un rito di passaggio. Sarebbe un’offesa alla mia professionalità, oltre che alla mia intelligenza! Siamo lavoratori e cittadini sacrificabili? Siamo oggetto di sperimentazione? Non so davvero cosa pensare…O forse sì. Sono pronta ad affrontare le sfide che mi si presentano quotidianamente, come tanti Italiani responsabili e savi mentalmente, ma non a rischiare la vita. Una mia storica e cara amica, nonché collega, mi definisce stacanovista ma, davanti alle precarie prospettive di sicurezza che si prospettano, se fosse toccato a me fare gli esami, sarei probabilmente rimasta con le braccia conserte. Se uscire dalla crisi economica e sociale di cui tutti si lamentano, significa essere pronti a sacrificare la vita, non ci sto. “Ci sono le bollette di luce, acqua, gas e condominio da pagare” – è mio marito che parla, prima di uscire per andare a lavoro. Va bene- penso- dopo provvedo: siamo tra i fortunati che ancora riescono a sostenere le spese mensili senza ricorrere a prestiti. Ne sono consapevole, ma lo sono anche del fatto che la vita è una. Se perdo la vita, a che mi serve il lavoro? Come diceva Saba “il meglio del vivere sta in un lavoro che piace” e io amo il mio lavoro, ma lotto, prima di ogni altra cosa, per il diritto alla vita mio, dei miei congiunti, dei miei ragazzi e dei miei colleghi .
Lunedì riapre anche il cimitero di Brignano Riaprirà al pubblico dal prossimo lunedì mattina il Monumentale cittadino di Brignano. Sarà, dunque, possibile ritornare a far visita ai propri cari al Cimitero di Salerno, dopo che lo stesso aveva chiuso al pubblico lo scorso 16 marzo per l’imperante emergenza del coronavirus. L’annuncio ufficiale dovrebbe essere fatto nelle prossime ore, con molti salernitani che stanno attendendo da tempo con impazienza. Vista la vastità del Monumentale di Salerno, sembra che non ci sarà bisogno di contingentare le presenze all’interno. Insomma, non sarà necessario, come accade in altre città della provincia salernitana, prenotare preventivamente per accedere al cimitero. Sarà indispensabile, comunque, mantenere il massimo del buon senso civico. Insomma, moderazione e opportuna precauzione e soprattutto evitare possibilità di assembramenti, in particolare alle fontanelle dell’acqua. Non ci sono limitazioni nel numero delle persone dello stesso nucleo familiare, con le stesse che dovranno comunque essere osservanti di tutte le normative vigenti. Quasi cinquanta giorni di chiusura al pubblico, dopo che agli albori dell’emergenza, l’orario di apertura era stato ridotto sensibilmente, con i cancelli che erano chiusi alle 14. Allo stesso tempo, con l’apertura del Cimitero cittadino, dovrebbe ripartire l’indotto che lievita attorno allo stesso. Nel dettaglio, i fiorai che, anche loro, sono stati costretti a restare chiusi. Ci sarà, dunque, da restare attenti proprio nella giornata di apertura al pubblico di lunedì prossimo. Non saranno in pochi i salernitani che si precipiteranno presso il Monumentale cittadino per controllare che tutto sia in ordine sulle tombe dei propri defunti. Non solo, ma anche per portare
un fiore, perché quelli che c’erano prima della partenza del lockdown totale si saranno irrimediabilmente seccati. “Quando al Duomo usò uno sgabello per riuscire a cresimarmi” di Ugo Piastrella Purtroppo Gigino non ce l’ha fatta. Il Teatro salernitano piange una persona che da oltre quarant’anni, regista e fondatore prima del teatro al Ridotto poi del Teatro Arbostella, ha saputo con umiltà e professionalità essere un riferimento importante per la città di Salerno. Io perdo un fratello dolce ed affettuoso ed un amico generoso nella collaborazione, iniziata nel lontano 1974. Di lui mi restano i tanti momenti belli trascorsi insieme, le risate, gli spettacoli, le cene e le feste. Lo scorso anno mi chiamo a recitare con la sua compagnia nel suo teatro. Ogni sera a fine spettacolo mi presentava con grande affetto e stima al pubblico, ed ogni sera io mi divertivo a raccontare il giorno della mia cresima. Scelsi lui come compare, eravamo al Duomo di Salerno, il Vescovo di allora aveva appena chiesto a tutti coloro che dovevano ricevere il sacramento che si dovevano avvicinare, accompagnati dai loro compari, all’altare. Sapendo che lui avrebbe dovuto mettermi la mano sulla spalla, iniziò a guardarsi intorno, ad un certo punto vidi che con il piede tirava verso di lui uno sgabello e lo spinse fino ai piedi dell’altare, quando fu il nostro turno ci salì sopra e mi poggiò la mano sulla spalla, tutti iniziarono a sorridere e
lui con la sua aria da bonaccione mi guardò e mi disse che vista la mia altezza quello era l’unico modo che aveva per riuscire a mettermi una mano sulla spalla. Ecco questo era Gigino, una persona semplice, che ti stupiva e ti faceva divertire con poco. Mi mancherà tantissimo e non potendo abbracciare ne’ lui ne’ la cara Annamaria ed i figli Antonio, Andrea ed Arturo, a nome dei teatranti salernitani e non solo ci ripromettiamo appena possibile di tributare il giusto onore che merita. Ciao Gigino, mi mancherai tanto. di Gaetano Stella E’ difficile parlare di teatro a Salerno senza avere in una parte del discorso, come protagonista, Gigino Esposito. Il suo amore viscerale e la sua passione per il palcoscenico, la sua capacità di ripercorrere il meraviglioso mondo della drammaturgia classica napoletana, la sua gioia fanciullesca di raccontarti le sue ultime messe in scena, la sua mai nascosta soddisfazione di “personalizzare” le regie con idee innovative. E’ difficile parlare di teatro a Salerno senza avere negli occhi il sorriso di un uomo che aveva sposato dello spettacolo, l’aspetto “terapeutico”: bisogna divertirsi e star bene! E’ difficile parlare di teatro a Salerno senza ricordarsi di te, caro Gigino! Ma il mio saluto è all’uomo, buono e perbene. Il tuo più bel personaggio, quello che mi rimarrà per sempre nel cuore, sei proprio tu! Ciao Gigino!
Antonietta, la sua prima attrice La morte di Gigino Esposito ha gettato un velo di tristezza in tutto il mondo teatrale salernitano, tanti tantissimi i messaggi di cordoglio che stanno giungendo alla famiglia. Tanti i messaggi che amici, colleghi ed anche semplici conoscenti stanno scrivendo sui social per ricordare una persona amata da tutti. Tra i primi a ricordare la figura di Gigino è stato il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli: “La Civica Amministrazione di Salerno esprime profondo cordoglio per la scomparsa di Gino Esposito, abbracciando i familiari e coloro che ne hanno condiviso la vita e l’arte. Gino Esposito è stato – dichiara il Sindaco Vincenzo Napoli – un geniale operatore culturale, tra i più apprezzati della nostra comunità. Passione, gentilezza, tenacia hanno contraddistinto ogni sua iniziativa fino all’ultima il Teatro Arbostella nella quale Egli valorizzava generi e talenti. Con Gino Esposito, Salerno perde un prezioso punto di riferimento artistico che ha ispirato diverse generazioni di artisti ed autori. Sapremo perpetuare la sua eredità” E sulle pagine di Facebook anche Antonietta Pappalardo, che per anni è stata la prima attrice della sua compagnia ha voluto ricordarlo… “Oggi il teatro piange, lui capace di far recitare anche chi non sapeva di poterlo fare, lui che è riuscito a portare il sorriso in tante persone ad allietare la vita, lui che è stato sempre circondato da tante persone, oggi, la cosa più triste è che lui vada via così, senza che nessuno di noi possa tenergli compagnia. Un forte abbraccio ad Annamaria, compagna fedele e ai figli orgogliosi di un grande papà. Ciao Gigino, resterà sempre nel mio cuore” “Ho conosciuto tanti anni fa Gigino
Esposito – racconta Francesco Arcidiacono – quando con l’Arci abbiamo fatto quella operazione folle, da pionieri, dell’arena spettacoli all’aperto nel Parco del Mercatello. Era il 2000 credo. Le cose che faceva, intendo il teatro, erano molto lontane da me, dal mio mondo, ma ho sempre adorato la sua sensibilità umana, il suo garbo, l’ironia. Ci diede una grossa mano. Decise di “adottarci”. La sera a fine spettacolo, se non si era visto prima, passava a fare due chiacchiere e ci dava un sacco di buoni consigli di organizzazione e di “gestione” delle relazioni con le varie realtà che giravano intorno al Parco e ai quartieri limitrofi…Per nulla pieno di se, lui voleva solo regalarci la sua esperienza…” di Monica De Santis Il sorriso buono di Gigino Esposito si è spento ieri mattina poco dopo le 8. Una notizia che ha colpito non solo tutto il mondo del teatro salernitano, ma anche le tantissime persone che negli anni hanno avuto il piacere di conoscere il regista. Luigi Esposito, da tutti chiamato Gino o Gigino era l’amico di tutti, sempre allegro, sorridente, sempre pronto ad aiutare tutti. Era nato a Sarno, 77 anni fa, si era poi trasferito a Salerno, dove viveva con la moglie Annamaria e dove ha cresciuto i suoi tre figli Antonio, Andrea e Arturo. La sua vita è stata tutta per il teatro, che non ha mai trascurato neanche quando la malattia gli provocava immani sofferenze. La sua carriera ha inizio negli anni 70, quando iniziò a frequentare il teatro San Genesio di Sandro Nisivoccia e Regina Senatore. Sono stati loro due a far crescere la sua passione tanto che nel 1976 creò una sua compagnia amatoriale “Compagnia Umoristica Salernitana”. Con Claudio Tortora ha
gestito per oltre 20 anni il teatro Ridotto in via Fabrizio Pinto. E proprio in questa piccola sala, di soli 80 posti che Gigino metteva in scena i suoi spettacoli (più di 80 titoli), per la maggior parte tratti dalla tradizione partenopea; Affiancato da vari amici come Ugo Piastrella, Andrea Carraro e Tonino Orilia nel corso degli anni, ha collaborato anche con registi e operatori teatrali noti al grande pubblico come Sergio Solli, Leopoldo Mastelloni, Tony Servillo e Lello Arena. Amava così tanto il teatro amatoriale che decise di creare un festival estivo tutto dedicato alle compagnie regionali “Campania Ridens”, poi nel 2006, quando il Teatro Ridotto fu costretto a lasciare la sede di via Pinto, decise di realizzare nell’ex scuola elementare Parco Arbostella, grazie alla concessione del Comune di Salerno (e all’impegno del nostro direttore Tommaso D’Angelo), un teatro di 100 posti: il Teatro Arbostella. Qui Gigino si trasferisce con la sua compagnia e qui continua a proporre i suoi spettacoli e, in qualità di direttore artistico, ad ospitare le altre compagnie cittadine e non, proponendo ogni anno un cartellone ricco di appuntamenti che richiama moltissime persone. La sua passione per il teatro e il saper stare in mezzo alla gente l’ha portato poi a realizzare dei corsi per giovani attori e una programmazione teatrale estiva che animava tutto il quartiere del Parco Arbostella. Ora toccherà al figlio Arturo proseguire e portare avanti le attività di Gigino e soprattutto tenere sempre vivo il suo ricordo. Quale I Maggio? “Sogna
ragazzo sogna ti ho lasciato un foglio sulla scrivania” Di OLGA CHIEFFI Oggi I Maggio, per la prima volta, dopo il ventennio fascista, non si scenderà in strada a festeggiare, non lo si potrà fare perché un nemico sconosciuto e letale non consente di riunire le forze del lavoro, nel suo giorno d’elezione. “Oggi, solo oggi – scrivono in una lettera comune le tre massime sigle sindacali – è evidente a tutti l’importanza del lavoro, di quel mondo che non vive di rendita, non alimenta la bolla finanziaria, ma viceversa crea la ricchezza che rende grande un’economia reale e non fittizia; un mondo che consente, attraverso il lavoro, la realizzazione e la crescita democratica delle donne e degli uomini”. Cosa succederà? Non è possibile prevederlo esattamente. Sicuramente, come dicono molti, il mondo economico, come lo conoscevamo prima di questo febbraio, non sarà lo stesso quando finalmente usciremo da questa tragedia sanitaria e umana. La pandemia Covid-19 è la discontinuità che segna un passaggio di epoca e, se i numeri che ci arrivano dall’Asia sono veritieri, è chiaro che nella nuova fase le potenze economiche dominanti non saranno quelle occidentali. Mentre si attende di capire quali mosse metteranno in campo le istituzioni europee, non è possibile immaginare che l’Italia, ad oggi la più colpita dallo shock sanitario e gravata da uno dei debiti più insostenibili dell’eurozona, non predisponga strategie di risposta autonome. Due approcci possibili ci spingono in direzioni diverse. Una strategia consiste nello scommettere sul fatto che sia immaginabile riavvolgere il nastro. Ripartire da dove ci siamo fermati. Quindi, nel lungo periodo fare tesoro degli errori fatti e aggiustare il tiro. La seconda strategia consiste, invece, nell’accettare una buona parte degli effetti della crisi in arrivo e provare a governarne soltanto alcuni
aspetti. Errori che non commetteranno in futuro, i giovani studenti del Liceo Scientifico “Renato Caccioppoli” di Scafati che, stavolta ritroviamo sulle colonne del nostro quotidiano, insieme a qualche docente, nonché uniti anche ad espressioni di diverse generazioni di lavoratori. L’essenza storica ed emozionale di questa festa ci viene descritta, invece, dall’economista Alessia Potecchi, Responsabile Dipartimento Banche, Fisco e Finanza del PD Milano Metropolitana. Non c’è festa senza musica e la colonna sonora che accompagnerà i contributi di questo speciale I Maggio, sarà composta dall’ “Inno dei lavoratori” di Filippo Turati e musicato da Zenone Mattei, in cui l’idea dell’unione a resistere, quella che muove materialmente dalle fabbriche e dalle campagne i lavoratori, convinti di poter superare le ingiustizie e quindi le disuguaglianze tra classi, solo annullando le discordie interne, con un mondo del lavoro così diviso, frammentato in tante schegge, che sembrava fino a gennaio davvero non aver niente da condividere e oggi, invece, è accomunato da una crisi economica globale che va dall’operaio, al muratore, all’artista e da quel “Sogna ragazzo sogna” di Roberto Vecchioni, che ha impreziosito la nostra traccia, lanciata attraverso la docente Patrizia Polverino, ai tanti allievi che hanno intrapreso questo non semplice esercizio di scrittura, che, di “stanza” in “stanza”, li porterà dal 25 aprile al 2 giugno, poichè, queste sono le feste di cui i giovani, in primo luogo, devono avere piena consapevolezza. “ Sogna, ragazzo, sogna. Ti ho lasciato un foglio sulla scrivania. Manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu”.
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