Delivery food con prodotti dop campani marchio di fabbrica di "Anima Verace"

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Delivery food con prodotti
dop   campani   marchio   di
fabbrica di “Anima Verace”
Sarà un delivery food con prodotti dop campani. Una pizza di
qualità, con prodotti tipici delle nostre terre. Il marchio di
fabbrica della Pizzeria Anima Verace di Piazza Portanova a
Salerno. Fedele al clichè della pizzeria, che avvierà il
servizio a partire da domani sera, il marchio di fabbrica di
Angelo Attianese e della sua squadra sarà trasportato nelle
case dei salernitani. “E’ un’esperienza tutta nuova,
nonostante come nostra scelta questo tipo di servizio, come
anche quello di asporto, non lo avevamo preso in
considerazione. – afferma Angelo Attianese – Ma è un modo come
un altro per far ripartire la nostra economia, fermo restando
che ci cimenteremo anche con la pizza d’asporto, quando ci
sarà data l’autorizzazione. Non abbandoneremo questo servizio,
quando si ritornerà, spero, presto, alla normalità. Fermo
restando che favoriremo la nostra scelta primaria, quella di
servire i clienti ai tavoli». Angelo Attianese ha sempre
preferito il contatto diretto con la propria clientela.
Sovente, sia lui che i suoi collaboratori, si soffermano con i
commensali spiegando le origini dei prodotti usati nella pizza
classica napoletana. Prodotti tutti di origine dop, con
Attianese che ha saputo sposare le tradizioni dell’Agro,
originario di Sant’Egidio, con quelle del Cilento di cui è
originaria la moglie. Tanto che la pizza cilentana nello
scorso mese di novembre si è piazzata al terzo posto assoluto
nel 3° Campionato Nazionale Pizza doc, svoltosi a Nocera
Inferiore. «Una soddisfazione non di poco. – afferma Attianese
– Contando anche che i partecipanti erano oltre seicento. Ora
pensiamo a questa sfida del delivery food. Partiamo con
qualche giorno di ritardo ma è stato necessario per
ottemperare a tutte le normative». Una pizza di qualità, una
classica napoletana con prodotti tipici della Campania che
vanno dal pomodoro San Marzano fino alla mozzarella di
Agerola. Un percorso del gusto tutto campano con Attianese che
fiero delle sue origini ha coniugato nel forno una pizza da
podio. «Sono fiero delle mie origini. – riprende – Sant’Egidio
patria dell’arte bianca della farina. Terra di maestri
nell’arte del pane e della pizza. Non sono affiliato a
circuiti di recensioni ma mi affido completamente al cliente
per le recensioni». Resta la sfida che parte domani sera.
«Preferisco fare poche consegne ma fatte bene. – chiosa
Attianese – E’ un segnale di rinascita, la nostra dopo questa
avventura contro un nemico invisibile e traditore».

Delivery food, il ristorante
Dimora Nannina di Filetta
punta alla riapertura del
locale
Il delivery food come esperienza nuova, anche per restare
ancor più in contatto con la propria clientela. Il ristorante
Dimora Nannina di Filetta di San Cipriano anche in questa
esperienza del tutto nuova ha deciso di mantenere il proprio
target di piatti da soffrire alla clientela. Certo non al
tavolo, visto che è impossibile vista la rigida normativa
dettata dall’emergenza covid. «E’ una esperienza tutta nuova e
che manterremo anche successivamente, quando sarà possibile
ricevere i nostri clienti. – afferma il titolare Gianpaolo
Zoccola – Una esperienza che continueremo perché fra i nostri
obiettivi è mantenere il contatto diretto con la nostra
clientela». Un contatto che non si è perso nemmeno durante i
giorni duri del lockdown. «Tramite dirette dalla nostra pagina
face book abbiamo continuato a dialogare con la nostra
clientela. – riprende – Facendo vedere anche la preparazione
di qualche piatto, delle modalità di preparazione». La
tradizione del ristorante Dimora Nannina è presentare un menù
con piatti a base di mare. Il pescato viene scelto
direttamente dallo chef ogni giorno, recandosi personalmente
al mercato per quelle che saranno le prelibatezze marinare da
proporre alla propria clientela. «La varietà del menù la
presenteremo anche in questo esperimento di delivery food che
stiamo facendo da lunedì scorso. I nostri piatti sono a base
di pietanze “povere”, tipiche del nostro mare. Come
dimenticare le nostre alici, che prepariamo nelle svariate
modalità. Ma vorrei anche dire che il nostro ristorante è
quello delle 3 P: Pane, Pasta e Pasticceria, che sono tutte di
nostra produzione. Ma vorrei anche ricordare che nella
proposta presentiamo anche frutta, ortaggi, verdura e olio che
sono della nostra produzione personale». Chi chiama il
ristorante Domina Nannina, ha la possibilità di una scelta
ampia, oltre a ricevere un saporito cadeau. «Regaliamo a tutti
quelli che ci chiamano, il pane con lievito madre di nostra
produzione con 36 ore di lievitazione. – aggiunge Gianpaolo
Zoccola – A questo c’è un menù che presenta due primi piatti,
di cui uno che si può facilmente rigenerare al forno o nel
microonde in pochi minuti. L’altro è di assemblaggio, con
tutte il materiale che lo forniamo noi, in pratiche e
sterilizzate buste monouso e sottovuoto. A questo ci sono le
nostre spiegazioni dettagliate per cucinarlo. Tra l’altro il
cliente, può anche seguire il tutorial sulla nostra pagina
social».
Io e il lavoro
Se penso alla parola lavoro, quindi, mi viene in mente la
parola incertezza. Quando, da piccola, fantasticavo su me
stessa a questa età, vedevo una persona realizzata,
indipendente e autonoma. Forse se la bimba che ero allora
vivesse il “mio oggi” sarebbe delusa.

Di IMMA BASSO

Esistono diverse definizioni della parola “lavoro”; stando a
una delle interpretazioni più generica, il lavoro è
“l’applicazione di una energia -umana, animale o meccanica- al
conseguimento di un fine determinato”. Il fine più comune, per
l’essere umano, è senza dubbio la remunerazione.
Personalmente, se penso a questo termine mi torna alla mente
la scena di un film di De Crescenzo: un autista di taxi cerca
di approfittare di un incontro fortunato con un importante
ingegnere perché lo aiuti a inserire suo nipote nel mondo del
lavoro. Se penso al lavoro come problema, l’unica soluzione
reale e potenzialmente utile è solo e unicamente questa:
chiedere, sperare e pregare che qualcuno intervenga in aiuto,
spinto da chissà quale flusso positivo dovuto a una precisa
posizione degli astri. È facile banalizzare tutto così. Non mi
riferisco a chi cerca delle scorciatoie, come notoriamente
accadeva e accade, per ottenere una buona occupazione senza
aver fatto nulla. Il mio pensiero, purtroppo, va a chi, con
sacrifici enormi e impensabili, ha fatto di tutto per
assicurarsi un futuro quantomeno dignitoso. Alcuni ragazzi
impiegano tanto tempo e investono tante energie e speranze per
cercare la propria strada, per capire quale sia davvero il
giusto percorso che li proietti verso la realizzazione dei
propri sogni, il lavoro stabile. Oggi la    percentuale di
coloro che raggiungono la tanto agognata meta     pare sia
notevolmente abbassata. Sicuramente la condizione economica
mondiale non aiuta nessuno; eppure sembra dormire sogni
tranquilli solo “il figlio di…”. Non conta quanto si sia
studiato nè quanto impegno, passione e dedizione sia stata
investita, alla fine si avrà solo la sensazione di aver
sprecato tempo e denaro. Questa insoddisfazione         non è
circoscritta più oramai a lavori prestigiosi,      ma anche a
tutti: sembra impossibile ottenere lavoro anche solo come
parrucchiera, commessa e, perché no, come barista. Chi riesce
ad ottenere occupazioni del genere deve comunque ringraziare
qualcuno che è intervenuto in suo aiuto. Nè chi ha la fortuna
di ottenere anche il più semplice dei lavori conduce, poi, una
vita serena. La situazione sociale ed economica non sembra
aiutare nessuno, soprattutto nel nostro Paese. Ed è proprio
qui che si apre un altro problema. La maggior parte dei
giovani lo sta lasciando per cercare fortuna altrove. A parer
mio, questa è la soluzione giusta. Non trovo giusto, però, che
debba essere costretto a farlo chi, invece, ha l’obbligo,
morale e materiale di pensare alla propria famiglia. Se il
lavoro è un diritto, dovrebbe esserlo anche poterlo svolgerlo
nelle condizioni ottimali, sia dal punto di vista psicologico
che affettivo. Tra l’altro, il più delle volte si tratta di
persone che non ambiscono a un’occupazione in chissà quale
importante multinazionale, ma di chi vorrebbe lavorare nella
pizzeria da raggiungere a piedi o con i mezzi. Non abbiamo
tutti le stesse ambizioni. Non sogniamo tutti di diventare
personaggi importanti della politica. Ci sono persone che nel
proprio cassetto hanno un sogno umile e penso sia giusto
tutelare anche loro. Se penso alla parola lavoro, poi, subito,
penso alla parola sconforto. È davvero un momento difficile.

                         La mia esperienza personale è stata
condizionata da diversi fattori, non ultime l’indecisione e
l’insicurezza. Ho sempre pensato che aiutare gli altri potesse
essere uno scopo di vita, ma non avevo mai pensato che potesse
essere un lavoro. Ho sempre pensato, inoltre, che chi lo
facesse come lavoro, non avesse nulla di nobile nell’anima
tantomeno negli atti intrapresi. Ho percorso diverse strade
prima di capire l’importanza della mia passione: stare con i
bambini. Casualmente ho conosciuto tre fratellini, purtroppo
tutti affetti dal disturbo della sindrome di autismo, che
hanno saputo donare tanta fiducia in me stessa. Parlando con
le specialiste che seguono la loro crescita, mi sono ritrovata
catapultata in un mondo sconosciuto. È un mondo fatto di tanti
colori e io mi sento fortunata a conoscere tutte le sfumature
che regala. Ho frequentato allora un corso e sostenuto degli
esami, anche se che mi ero ripromessa che mai più avrei
toccato un libro. è così che oggi ho trovato la strada giusta
per me. Sto continuando a studiare soprattutto per passione.
Nella pratica se da un lato è una meraviglia indescrivibile
lavorare con questi bimbi, dall’altra mi ritrovo a 30anni
senza un lavoro stabile che mi permetta di pensare a un futuro
abbastanza vicino con dei figli miei da poter educare e far
crescere. Se penso alla parola lavoro, quindi, mi viene in
mente la parola incertezza. Quando, da piccola, fantasticavo
su me stessa a questa età, vedevo una persona realizzata,
indipendente e autonoma. Forse se la bimba che ero allora
vivesse il “mio oggi” sarebbe delusa. Sì, è così. Non vedo
ancora la famosa luce in fondo al tunnel; non ho fiducia in un
futuro migliore. Posso, però,   continuare ad impegnarmi e
cercare di tutto per continuare a percorrere questa strada,
perché è quella giusta: lo so, ci credo. Perciò, per ora,
posso solo dire “ io speriamo che me la cavo”.

    Il lavoro o la vita?
Lucia Azzolina, ha firmato l’ordinanza di costituzione e di
nomina delle commissioni dell’esame di Stato, ormai ridotto a
una prova orale. Ma non sarà un orale a distanza, si farà in
aula. Panico! Quest’anno io non ho quinte, quindi non sono
chiamata in causa direttamente, ma penso ai miei colleghi e ai
ragazzi

Di Patrizia Polverino

“Io credo nel popolo italiano. È un popolo generoso,
laborioso, non chiede che lavoro, una casa e di poter curare
la salute dei suoi cari. Non chiede quindi il paradiso in
terra. Chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo.” Oggi
faccio mie le parole pronunciate dall’amatissimo e
indimenticato Presidente Pertini nel messaggio di fine anno
agli Italiani del 1981. In un momento in cui l’ansia e la
precarietà del futuro aleggiano su ciascuno di noi, voglio
soffermarmi a riflettere. Da otto settimane la mia vita è
scandita    dalle   dichiarazioni    del   Presidente    del
Consiglio, Giuseppe Conte, sulle misure per contrastare e
contenere il diffondersi del virus Covid-19. Vivo “rinchiusa”
in casa, zona protetta, e provo a reinventarmi. Non è facile.
Responsabilmente devo continuare a lavorare: sono una docente,
ma soprattutto un’educatrice. Tra difficoltà, incongruenze e
indicazioni spesso sibilline ho scelto di adottare anche io la
“dad”, oggi argomento preferito nei discorsi degli addetti ai
lavori e non. Ma non mi lamento: mantengo vivo il rapporto
con i miei ragazzi. L’ansia, però, mi assale: il Ministro
dell’Istruzione, Lucia Azzolina, il 18 aprile ha firmato
l’ordinanza attuativa del decreto legge dell’8 aprile,
contenente le norme di costituzione e di nomina delle
commissioni dell’esame di Stato, ormai ridotto a una prova
orale. Ma non sarà un orale a distanza, si farà in aula.
Panico! Sì, panico. È vero, quest’anno io non ho quinte,
quindi non sono chiamata in causa direttamente, ma penso ai
miei colleghi e ai ragazzi . “Siamo convinti di poterli
garantire in sicurezza, il comitato tecnico-scientifico ci ha
dato il via libera” così ha dichiarato. E come, chiedo io? Chi
o cosa potrà garantire la sicurezza di non essere contagiati?
Una mascherina (chirurgica,    FFP2, FFP3, con filtro, senza
filtro e chi più ne conosce più ne consideri) e un paio di
guanti? Un dispenser di gel disinfettante posto all’entrata
dell’aula? Un termoscanner per la misura della febbre a
distanza (per ora fantascienza nelle nostre scuole italiane!)?
Se davvero questa sicurezza potrà essere garantita nelle
scuole secondarie superiori, qualcuno sa spiegarmi perché
“l’illustre” comitato tecnico-scientifico del MIUR non ha, né
mi pare abbia intenzione di farlo a breve, dato il via libera
agli esami, alle sedute di laurea o di dottorato in presenza
negli Atenei italiani? Perché è garantita la validità di
questi titoli in videoconferenza e non per un diploma di
maturità? Non mi si risponda, per favore, con la melliflua
affermazione che è un rito di passaggio. Sarebbe un’offesa
alla mia professionalità, oltre che alla mia intelligenza!
Siamo lavoratori e cittadini sacrificabili? Siamo oggetto di
sperimentazione? Non so davvero cosa pensare…O forse sì. Sono
pronta ad affrontare le sfide che mi si presentano
quotidianamente, come tanti Italiani responsabili e savi
mentalmente, ma non a rischiare la vita. Una mia storica e
cara amica, nonché collega, mi definisce stacanovista ma,
davanti alle precarie prospettive di sicurezza che si
prospettano, se fosse toccato a me fare gli esami, sarei
probabilmente rimasta con le braccia conserte. Se uscire dalla
crisi economica e sociale di cui tutti si lamentano, significa
essere pronti a sacrificare la vita, non ci sto. “Ci sono le
bollette di luce, acqua, gas e condominio da pagare” – è mio
marito che parla, prima di uscire per andare a lavoro. Va
bene- penso- dopo provvedo: siamo tra i fortunati che ancora
riescono a sostenere le spese mensili senza ricorrere a
prestiti. Ne sono consapevole, ma lo sono anche del fatto che
la vita è una. Se perdo la vita, a che mi serve il lavoro?
Come diceva Saba “il meglio del vivere sta in un lavoro che
piace” e io amo il mio lavoro, ma lotto, prima di ogni altra
cosa, per il diritto alla vita mio, dei miei congiunti, dei
miei ragazzi e dei miei colleghi .
Lunedì   riapre   anche                                    il
cimitero di Brignano
Riaprirà   al   pubblico   dal   prossimo   lunedì   mattina   il
Monumentale cittadino di Brignano. Sarà, dunque, possibile
ritornare a far visita ai propri cari al Cimitero di Salerno,
dopo che lo stesso aveva chiuso al pubblico lo scorso 16 marzo
per l’imperante emergenza del coronavirus. L’annuncio
ufficiale dovrebbe essere fatto nelle prossime ore, con molti
salernitani che stanno attendendo da tempo con impazienza.
Vista la vastità del Monumentale di Salerno, sembra che non ci
sarà bisogno di contingentare le presenze all’interno.
Insomma, non sarà necessario, come accade in altre città della
provincia salernitana, prenotare preventivamente per accedere
al cimitero. Sarà indispensabile, comunque, mantenere il
massimo del buon senso civico. Insomma, moderazione e
opportuna precauzione e soprattutto evitare possibilità di
assembramenti, in particolare alle fontanelle dell’acqua. Non
ci sono limitazioni nel numero delle persone dello stesso
nucleo familiare, con le stesse che dovranno comunque essere
osservanti di tutte le normative vigenti. Quasi cinquanta
giorni di chiusura al pubblico, dopo che agli albori
dell’emergenza, l’orario di apertura era stato ridotto
sensibilmente, con i cancelli che erano chiusi alle 14. Allo
stesso tempo, con l’apertura del Cimitero cittadino, dovrebbe
ripartire l’indotto che lievita attorno allo stesso. Nel
dettaglio, i fiorai che, anche loro, sono stati costretti a
restare chiusi. Ci sarà, dunque, da restare attenti proprio
nella giornata di apertura al pubblico di lunedì prossimo. Non
saranno in pochi i salernitani che si precipiteranno presso il
Monumentale cittadino per controllare che tutto sia in ordine
sulle tombe dei propri defunti. Non solo, ma anche per portare
un fiore, perché quelli che c’erano prima della partenza del
lockdown totale si saranno irrimediabilmente seccati.

“Quando al Duomo usò uno
sgabello   per riuscire a
cresimarmi”
di Ugo Piastrella

Purtroppo Gigino non ce l’ha fatta. Il Teatro salernitano
piange una persona che da oltre quarant’anni, regista e
fondatore prima del teatro al Ridotto poi del Teatro
Arbostella, ha saputo con umiltà e professionalità essere un
riferimento importante per la città di Salerno. Io perdo un
fratello dolce ed affettuoso ed un amico generoso nella
collaborazione, iniziata nel lontano 1974. Di lui mi restano i
tanti momenti belli trascorsi insieme, le risate, gli
spettacoli, le cene e le feste. Lo scorso anno mi chiamo a
recitare con la sua compagnia nel suo teatro. Ogni sera a fine
spettacolo mi presentava con grande affetto e stima
al pubblico, ed ogni sera io mi
divertivo a raccontare il giorno della mia cresima. Scelsi lui
come compare, eravamo al Duomo di Salerno, il Vescovo di
allora aveva appena chiesto a tutti coloro che dovevano
ricevere il sacramento che si dovevano avvicinare,
accompagnati dai loro compari, all’altare. Sapendo che lui
avrebbe dovuto mettermi la mano sulla spalla, iniziò a
guardarsi intorno, ad un certo punto vidi che con il
piede tirava verso di lui uno sgabello e lo spinse fino ai
piedi dell’altare, quando fu il nostro turno ci salì sopra e
mi poggiò la mano sulla spalla, tutti iniziarono a sorridere e
lui con la sua aria da
bonaccione mi guardò e mi disse che vista la mia altezza
quello era l’unico modo che aveva per riuscire a mettermi una
mano sulla spalla. Ecco questo era Gigino, una persona
semplice, che ti stupiva e ti faceva divertire con poco. Mi
mancherà tantissimo e non potendo abbracciare ne’ lui ne’ la
cara Annamaria ed i figli Antonio,
Andrea ed Arturo, a nome dei teatranti salernitani e non solo
ci ripromettiamo appena possibile di tributare il giusto onore
che
merita. Ciao Gigino, mi mancherai tanto.

di Gaetano Stella

E’ difficile parlare di teatro a Salerno senza avere in una
parte del discorso, come protagonista, Gigino Esposito. Il suo
amore viscerale e la sua passione per il palcoscenico, la sua
capacità di ripercorrere il meraviglioso mondo della
drammaturgia classica napoletana, la sua gioia fanciullesca di
raccontarti le sue ultime messe in scena, la sua mai nascosta
soddisfazione di “personalizzare” le regie con idee
innovative. E’ difficile parlare di teatro a Salerno senza
avere negli occhi il sorriso di un uomo che aveva sposato
dello spettacolo,
l’aspetto “terapeutico”: bisogna divertirsi e star bene! E’
difficile parlare di teatro a Salerno senza ricordarsi di te,
caro Gigino!
Ma il mio saluto è all’uomo, buono e perbene. Il tuo più bel
personaggio, quello che mi rimarrà per sempre nel cuore, sei
proprio tu! Ciao Gigino!
Antonietta,                   la       sua        prima
attrice
La morte di Gigino Esposito ha gettato un velo di tristezza in
tutto il mondo teatrale salernitano, tanti tantissimi i
messaggi di cordoglio che stanno giungendo alla famiglia.
Tanti i messaggi che amici, colleghi ed anche semplici
conoscenti stanno scrivendo sui social per ricordare una
persona amata da tutti. Tra i primi a ricordare la figura di
Gigino è stato il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli: “La
Civica Amministrazione di Salerno esprime profondo cordoglio
per la scomparsa di Gino Esposito, abbracciando i familiari e
coloro che ne hanno condiviso la vita e l’arte. Gino Esposito
è stato – dichiara il
Sindaco Vincenzo Napoli – un geniale operatore culturale, tra
i più apprezzati della nostra comunità. Passione, gentilezza,
tenacia hanno contraddistinto ogni sua iniziativa fino
all’ultima il Teatro Arbostella nella quale Egli valorizzava
generi e talenti. Con Gino Esposito, Salerno perde un prezioso
punto di riferimento artistico che ha ispirato diverse
generazioni di artisti ed autori. Sapremo perpetuare la sua
eredità” E sulle pagine di Facebook anche Antonietta
Pappalardo, che per anni è stata la prima attrice della sua
compagnia ha voluto ricordarlo… “Oggi il teatro piange, lui
capace di far recitare anche chi non sapeva di poterlo fare,
lui che è riuscito a portare il sorriso in tante persone ad
allietare la vita, lui che è stato sempre circondato da tante
persone, oggi, la cosa più triste è che lui vada via così,
senza che nessuno di noi possa tenergli
compagnia. Un forte abbraccio ad Annamaria, compagna fedele e
ai figli orgogliosi di un grande papà. Ciao Gigino, resterà
sempre nel mio cuore” “Ho conosciuto tanti anni fa Gigino
Esposito – racconta Francesco Arcidiacono – quando con l’Arci
abbiamo fatto quella operazione folle, da pionieri, dell’arena
spettacoli all’aperto nel Parco del Mercatello. Era il 2000
credo. Le cose che faceva, intendo il teatro, erano molto
lontane da me, dal mio mondo, ma ho sempre
adorato la sua sensibilità umana, il suo garbo, l’ironia. Ci
diede una grossa mano. Decise di “adottarci”. La sera a fine
spettacolo, se non si era visto prima, passava a fare due
chiacchiere e ci dava un sacco di buoni consigli di
organizzazione e di “gestione” delle relazioni con le varie
realtà che giravano intorno al Parco e ai quartieri
limitrofi…Per nulla pieno di se, lui voleva solo regalarci la
sua esperienza…”

di Monica De Santis

Il sorriso buono di Gigino Esposito si è spento ieri mattina
poco dopo le 8. Una notizia che ha colpito non solo tutto il
mondo del teatro salernitano, ma anche le tantissime persone
che negli anni hanno avuto il piacere di conoscere il regista.
Luigi Esposito, da tutti
chiamato Gino o Gigino era l’amico di tutti, sempre allegro,
sorridente, sempre pronto ad aiutare tutti. Era nato a Sarno,
77 anni fa, si era poi trasferito a Salerno, dove viveva con
la moglie Annamaria e dove ha cresciuto i suoi tre figli
Antonio, Andrea e Arturo. La sua vita è stata tutta per il
teatro, che non ha mai trascurato neanche quando la malattia
gli provocava immani sofferenze. La sua carriera ha inizio
negli anni 70, quando iniziò a frequentare il teatro San
Genesio di Sandro Nisivoccia e Regina
Senatore. Sono stati loro due a far crescere la sua passione
tanto che nel 1976 creò una sua compagnia amatoriale
“Compagnia Umoristica Salernitana”. Con Claudio Tortora ha
gestito per oltre 20 anni il teatro Ridotto in via Fabrizio
Pinto. E proprio in questa piccola sala, di soli 80 posti che
Gigino metteva in scena i suoi spettacoli (più di 80 titoli),
per la maggior parte tratti dalla tradizione partenopea;
Affiancato da vari amici come Ugo Piastrella, Andrea Carraro e
Tonino Orilia nel corso degli anni, ha collaborato anche con
registi e operatori teatrali noti al grande pubblico come
Sergio Solli, Leopoldo Mastelloni, Tony Servillo e Lello
Arena. Amava così tanto il teatro amatoriale che decise di
creare un festival estivo tutto dedicato alle compagnie
regionali “Campania Ridens”, poi nel 2006, quando il Teatro
Ridotto fu costretto a lasciare la sede di via Pinto, decise
di realizzare nell’ex scuola elementare Parco Arbostella,
grazie alla concessione del Comune di Salerno (e all’impegno
del nostro direttore Tommaso D’Angelo), un teatro di 100
posti: il Teatro Arbostella. Qui Gigino si trasferisce con la
sua
compagnia e qui continua a proporre i suoi spettacoli e, in
qualità di direttore artistico, ad ospitare le altre compagnie
cittadine e non, proponendo ogni anno un cartellone ricco di
appuntamenti che richiama moltissime persone. La sua passione
per il teatro e il saper stare in mezzo alla gente l’ha
portato poi a realizzare dei corsi per giovani attori e una
programmazione teatrale estiva che animava tutto il quartiere
del Parco Arbostella. Ora toccherà al figlio Arturo proseguire
e portare avanti le attività di Gigino e soprattutto tenere
sempre vivo il suo ricordo.

Quale            I       Maggio?                “Sogna
ragazzo sogna ti ho lasciato
un foglio sulla scrivania”
Di OLGA CHIEFFI

Oggi I Maggio, per la prima volta, dopo il ventennio fascista,
non si scenderà in strada a festeggiare, non lo si potrà fare
perché un nemico sconosciuto e letale non consente di riunire
le forze del lavoro, nel suo giorno d’elezione. “Oggi, solo
oggi – scrivono in una lettera comune le tre massime sigle
sindacali – è evidente a tutti l’importanza del lavoro, di
quel mondo che non vive di rendita, non alimenta la bolla
finanziaria, ma viceversa crea la ricchezza che rende grande
un’economia reale e non fittizia; un mondo che consente,
attraverso il lavoro, la realizzazione e la crescita
democratica delle donne e degli uomini”. Cosa succederà? Non è
possibile prevederlo esattamente. Sicuramente, come dicono
molti, il mondo economico, come lo conoscevamo prima di questo
febbraio, non sarà lo stesso quando finalmente usciremo da
questa tragedia sanitaria e umana. La pandemia Covid-19 è la
discontinuità che segna un passaggio di epoca e, se i numeri
che ci arrivano dall’Asia sono veritieri, è chiaro che nella
nuova fase le potenze economiche dominanti non saranno quelle
occidentali. Mentre si attende di capire quali mosse
metteranno in campo le istituzioni europee, non è possibile
immaginare che l’Italia, ad oggi la più colpita dallo shock
sanitario e gravata da uno dei debiti più insostenibili
dell’eurozona, non predisponga strategie di risposta autonome.
Due approcci possibili ci spingono in direzioni diverse. Una
strategia consiste nello scommettere sul fatto che sia
immaginabile riavvolgere il nastro. Ripartire da dove ci siamo
fermati. Quindi, nel lungo periodo fare tesoro degli errori
fatti e aggiustare il tiro. La seconda strategia consiste,
invece, nell’accettare una buona parte degli effetti della
crisi in arrivo e provare a governarne soltanto alcuni
aspetti. Errori che non commetteranno in futuro, i giovani
studenti del Liceo Scientifico “Renato Caccioppoli”       di
Scafati che, stavolta ritroviamo sulle colonne del nostro
quotidiano, insieme a qualche docente, nonché uniti anche ad
espressioni di diverse generazioni di lavoratori. L’essenza
storica ed emozionale di questa festa ci viene descritta,
invece, dall’economista Alessia Potecchi, Responsabile
Dipartimento Banche, Fisco e Finanza del PD Milano
Metropolitana.

         Non c’è festa senza musica e la colonna sonora che
accompagnerà i contributi di questo speciale I Maggio, sarà
composta dall’ “Inno dei lavoratori” di Filippo Turati e
musicato da   Zenone Mattei, in cui l’idea dell’unione a
resistere, quella che muove materialmente dalle fabbriche e
dalle campagne i lavoratori, convinti di poter superare le
ingiustizie e quindi le disuguaglianze tra classi, solo
annullando le discordie interne, con un mondo del lavoro così
diviso, frammentato in tante schegge, che sembrava fino a
gennaio davvero non aver niente da condividere e oggi, invece,
è accomunato da una crisi economica globale che va
dall’operaio, al muratore, all’artista e da quel “Sogna
ragazzo sogna” di Roberto Vecchioni, che ha impreziosito la
nostra traccia, lanciata attraverso la docente Patrizia
Polverino, ai tanti allievi che hanno intrapreso questo non
semplice esercizio di scrittura, che, di “stanza” in “stanza”,
li porterà dal 25 aprile al 2 giugno, poichè, queste sono le
feste di cui i giovani, in primo luogo, devono avere piena
consapevolezza. “ Sogna, ragazzo, sogna. Ti ho lasciato un
foglio sulla scrivania. Manca solo un verso a quella poesia,
puoi finirla tu”.
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