La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all'inizio degli anni 60
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Italies Littérature - Civilisation - Société 23 | 2019 In corpore sano La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 Graziano Tassi Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/italies/7241 DOI: 10.4000/italies.7241 ISSN: 2108-6540 Editore Université Aix-Marseille (AMU) Edizione cartacea Data di pubblicazione: 2 dicembre 2019 Paginazione: 175-185 ISBN: 979-10-320-0243-8 ISSN: 1275-7519 Notizia bibliografica digitale Graziano Tassi, « La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 », Italies [Online], 23 | 2019, online dal 03 mars 2020, consultato il 29 mars 2020. URL : http:// journals.openedition.org/italies/7241 ; DOI : https://doi.org/10.4000/italies.7241 Italies - Littérature Civilisation Société est mis à disposition selon les termes de la licence Creative Commons Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International.
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 Graziano Tassi Université Paris Nanterre, CRIX Résumé : Depuis son origine, le cinéma entretient avec la boxe des relations privilégiées. Sport hautement cinématographique, la boxe, tout particulièrement dans la production américaine, est souvent devenue une métaphore de la vie, une manière de se racheter socialement et moralement, à travers une extraordinaire force de volonté jusqu’à atteindre, malgré les nombreux obstacles, le « rêve américain ». Contrairement, dans la cinématographie italienne, surtout celle qui va du second après-guerre au début des années 60, le « noble art » semble être la prérogative de pathétiques ou tragiques perdants. L’intention de cet article est d’interroger les fonctions symboliques et dramaturgiques que la boxe revêt dans le cinéma italien du second après-guerre au début des années 60, en analysant tout particulièrement I soliti ignoti (1958) de Mario Monicelli, le sketch « La nobile arte » contenu dans le film I mostri (1963) de Dino Risi e Rocco e i suoi fratelli (1960) de Luchino Visconti. Riassunto: Fin dalle sue origini, il cinema ha intrattenuto con il pugilato delle relazioni privilegiate. Sport altamente cinematografico, la boxe, soprattutto nella produzione americana, è diventata spesso una metafora della vita, una maniera di riscattarsi socialmente e moralmente, attraverso una straordinaria forza di volontà fino a raggiungere, nonostante i mille ostacoli il « sogno americano ». Al contrario, nella cinematografia italiana, soprattutto quella che va dal secondo dopoguerra e arriva fino all’inizio degli anni 60, la « nobile arte » sembra essere la prerogativa di patetici o tragici perdenti. L’intento dell’articolo è quello di interrogare le funzioni simboliche e drammaturgiche che la boxe assume nel cinema italiano che va dal secondo dopoguerra all’inizio degli anni sessanta, analizzando in particolar modo I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, lo sketch « La nobile arte » contenuto nel film I mostri (1963) di Dino Risi e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti. Introduzione Fin dalla sua nascita, il cinema ha intrattenuto con lo sport un rapporto privile- giato. Innanzitutto perché il cinema e lo sport moderno nascono quasi contem- poraneamente, nella società industriale di fine Ottocento che riorganizza i ritmi lavorativi e esistenziali in accordo con le necessità dei nascenti mezzi produttivi 175 Italies_23.indd 175 04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi e distributivi. Con la progressiva dissoluzione del mondo contadino e l’avvento delle macchine nel corso di tutta la prima parte del Novecento, si genera un profondo cambiamento del rapporto tra masse e tempo libero. La collettività si trova ad avere a disposizione un capitale temporale che va in un modo o in un altro investito. Lo svago e il divertimento diventano un fenomeno significativo che si configura intorno ad alcune principali istituzioni: narrativa popolare, fumetto, cinema, sport e, di poco posteriore, la radio 1. Se ci si sofferma su alcune date particolarmente significative, il legame esistente tra cinema e sport si rivela ancora più intenso. Nel 1896, nascono le Olimpiadi moderne. Qualche mese prima, il 28 dicembre 1895, nasce conven- zionalmente il cinematografo, inteso come spettacolo cinematografico, quando i fratelli Lumières proiettano davanti a un pubblico il loro primo cortome- traggio La sortie de l’usine Lumière. Del resto, quasi immediatamente il cinema si impadronisce dello sport come spettacolo proponendo agli spettatori delle attualità sportive che sono spesso, in realtà, delle messinscene, vere e proprie ricostruzioni di fiction. Lo sport che più si presta a questo esercizio di messinscena, anche da un punto di vista tecnico (superficie scenica limitata al ring), è senza dubbio la boxe. Non è quindi un caso che, qualche anno prima della nascita ufficiale del cinematografo, nel 1891, Thomas Edison, rivolgendosi alla comunità sportiva, dichiari che la sua nuova invenzione, il kinetoscopio, potrà essere utilizzato per riprendere e riprodurre incontri di pugilato 2. In effetti, qualche anno dopo, nel 1894, Edison produce un cortometraggio per il kinetoscopio dal titolo Leonard-Cushing fight, diretto da William Kennedy-Laurie Dickson, nel quale, due pugili, scritturati come attori, sono coinvolti in un atto di rappresentazione di un incontro di pugilato. Si tratta, senza dubbio, di una delle primissime tracce dell’incontro tra cinema e sport, tra boxe e cinema. L’intenzione di questo saggio non è certo quella di stilare una lista o di proporre un catalogo esaustivo di tutte le produzioni cinematografiche che hanno trattato o trattano della nobile arte. Limiteremo la nostra analisi all’am- bito italiano e lo circoscriveremo in un lasso di tempo che va dal dopoguerra e arriva alla metà degli anni Sessanta. Sono anni fondamentali per l’Italia repub- blicana, gli anni del miracolo economico che nel giro di una decina d’anni 1 A questo proposito, si veda Fausto Colombo, Lo spettacolo dello sport, in Gianfranco Bettetini (dir.), Lo spettacolo sporco della televisione: divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Torino, Fondazione Agnelli, 1988, p. 351-391. 2 Si veda Dan Streible, Fight pictures: a history of boxing and early cinema, Berkeley, University of California Press, 2008, p. 22-51. 176 Italies_23.indd 176 04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 cambiano radicalmente il profilo culturale e socioeconomico del Belpaese 3. La boxe, in questo contesto di euforico sviluppo economico, gioca un ruolo di estrema importanza, sia in ambito sportivo che in ambito culturale. Ci inter- rogheremo quindi su quali valori drammaturgici e simbolici il pugilato assume nel periodo preso in considerazione, soffermandoci su tre opere cinemato- grafiche di particolare importanza, che vanno dalla commedia all’italiana al cinema d’autore: I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, lo sketch « La nobile arte » contenuto nel film I mostri (1963) di Dino Risi e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti. Commedia all’italiana e pugilato Con I soliti ignoti di Mario Monicelli, inizia convenzionalmente la storia della grande commedia all’italiana, un genere cinematografico facilmente definibile ma carico di ambiguità, problematiche e dilemmi etici. Parlando della relazione stretta che lega la società italiana degli anni Sessanta alla commedia all’italiana, Maurizio Grande ha osservato: La “commedia all’italiana” ha fatto di tutto ciò un grande poema d’amore e di rabbia, una requisitoria feroce e tenera, un paesaggio della modernità e dei suoi guasti. Ha mostrato agli italiani la bassezza del costume e la grandezza del fallimento, l’insorgere cieco delle passioni e le retoriche spuntate della civiltà dei consumi […]. La “commedia all’italiana” è lo spettacolo del malessere e di una modernità insufficiente ad ingannare fino in fondo la smania di grandezza di soggetti a “tenuta debole” 4. Se ormai tutti concordano nell’affermare che la commedia all’italiana è una commedia con elementi drammatici, con un finale freddo e amaro e con una feroce carica satirica, non tutti sono d’accordo sul suo potenziale critico e politico. Da Italo Calvino a Nanni Moretti, sono stati numerosi gli intellet- 3 Si veda Valerio Castronovo, L’Italia del miracolo economico, Roma-Bari, Laterza, 2010, e Guido Crainz, Storia del miracolo italiano: culture, identità, trasformazioni fra anni Cinquanta e Sessanta, Roma, Donzelli, 2005. 4 Maurizio Grande, La commedia all’italiana, Roma, Bulzoni, 2003, p. 3. Nous renvoyons également, pour bien saisir un des aspects de la comédie à l’italienne, à José Pagliardini, Comédie en 5 as. Cinéma et condition masculine à l’italienne (1954-1964), Aix-en-Provence, PUP, 2014. 177 Italies_23.indd 177 04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi tuali che ne hanno denunciato l’autocompiacimento e il sostanziale carattere conservatore, se non reazionario 5. I soliti ignoti, come abbiamo detto, ne apre la stagione. Il film di Monicelli si ispira, in modo parodico, al lungometraggio francese Du rififi chez les hommes (1955) di Jules Dassin che mette in scena una rapina perfetta, studiata nei minimi particolari, a una gioielleria parigina da parte di una banda di ladri espertissimi. Ovviamente, I soliti ignoti non è una semplice parodia. Al contrario, rappresenta per la storia del cinema italiano, il momento in cui la commedia del neorealismo rosa si accinge a trasformarsi nella commedia all’italiana. In effetti, ad elementi tipici della commedia rosa, come la trama leggera e la presenza di una nascente storia d’amore, si affiancano temi e stilemi tipici della commedia sociale satirica che sboccia interamente all’inizio degli anni 60. L’attenzione all’origine sociale dei personaggi e alla loro interazione con l’ambiente nel quale si muovono, lo scarto tra la loro natura intima, il loro essere profondo, e le ambizioni che si impongono, la volontà incerta di elevarsi al di sopra della propria condizione d’origine, sono per esempio dei tratti fondamentali della commedia all’italiana. Nel film di Monicelli, cinque poveri disgraziati, istruiti da un maestro della rapina (uno straordinario Totò), si lanciano in un’impresa che è decisamente al di sopra delle loro possibilità e nella quale, in realtà, nessuno vuole veramente partecipare. Come ha notato Mariapia Comand: I personaggi della commedia all’italiana sono dei perdenti. Ancor prima di essere catapultati sulla scena della storia, sono delle comparse della Storia, figure marginali prima ancora che emarginati: ladruncoli, impiegatuncoli, militi ignoti o comuni mariti, tutti comunque provenienti dalle regioni dell’anonimato 6. I soliti ignoti si apre con un tentativo di furto d’auto maldestro e fallimen- tare seguito da una magistrale macrosequenza di esposizione, nella quale sono presentati ad uno ad uno i membri della futura banda. Si va da un vecchietto 5 A questo proposito, si veda quello che scrive Italo Calvino in Autobiografia di uno spettatore: « Nella più parte dei casi la trovo detestabile, perché quanto più la caricatura dei nostri comportamenti sociali vuol essere spietata tanto più si rivela compiaciuta e indulgente; in altri casi la trovo simpatica e bonaria, con un ottimismo che resta miracolosamente genuino, ma allora sento che non mi fa fare passi avanti nella conoscenza di noi stessi. » Italo Calvino, Autobiografia di uno spettatore, in Federico Fellini, Quattro film, Torino, Einaudi, 1974, p. XIX-XX. Inoltre, si veda la celebre sequenza tratta da Ecce Bombo (1978), nella quale Michele Apicella (alter-ego di Nanni Moretti) apostrofa il cliente di un bar, colpevole di asserire delle banalità qualunquiste, con: « Ma che siamo in un film di Alberto Sordi? Bravo, Bravo... te lo meriti, Alberto Sordi! » 6 Mariapia Comand, Commedia all’italiana, Milano, Il Castoro, 2010, p. 7. 178 Italies_23.indd 178 04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 quasi ridotto ad una condizione di clochard a un pugile fuori allenamento e presuntuoso, passando per un fotografo in disgrazia, un siciliano disoccupato e un ladruncolo mammone. Quello che qui ci interessa è la presentazione del personaggio di Peppe, interpretato da Vittorio Gassman, pugile borioso e dalle scarse doti sportive, come dicevamo. A quanto pare, i produttori della pellicola contrastarono a lungo la scelta di Gassman per interpretare il personaggio di Peppe poiché l’attore aveva l’aria troppo intellettuale e, fino ad allora, aveva lavorato soprattutto per il teatro o in ruoli di cattivo 7. Monicelli tenne duro e, attraverso il trucco, modificò l’apparenza di Gassman dandogli un’aria più farsesca. Si ricorse quindi ad un trucco pesante che abbassò l’attaccatura dei capelli, ridusse la fronte spaziosa accentuando il naso e rendendo cadenti le labbra, conferendo al personaggio quell’aria da ebete caratteristica di un pugile suonato di periferia. Fu studiata anche l’andatura e infine concepita la balbuzie, con effetti comici esilaranti. Ne I soliti ignoti, Monicelli rovescia in modo parodico la figura del pugile possente, determinato e virile che nella tradizione di un certo cinema hollywo- odiano parte da zero e arriva, attraversando ostacoli e prove durissime, alla gloria e al riscatto 8. Innanzitutto, il personaggio di Peppe compare per la prima volta sullo schermo in accappatoio, mentre si sta fasciando le mani prima di mettersi i guantoni. Si trova in un miserabile scantinato mal illuminato, nella tradizione del cinema hollywoodiano degli anni 40 e 50, nella quale la boxe è spesso legata ad un ambiente malfamato. Gli altri membri della futura, sgangherata banda criminale sono venuti a cercarlo per proporgli di fare la “pecora”, sarebbe a dire andare in prigione al posto di un altro, per la bella cifra di centomila lire. Il dialogo tra Peppe e gli altri personaggi rivela, da una parte, la sua endemica indigenza e, dall’altra, la sua boria e la sua comica presunzione, accentuata in modo ridicolo dalla sua tendenza al balbettio. Il suo modo di parlare, in un romanesco ciancicante, contrasta con il suo corpo atletico e i suoi movimenti da pugile professionista. Prima di entrare sul ring, Peppe, rifiutando la proposta dei suoi futuri complici, dichiara, balbettando: « Senti, leggiti i giornali domat- tina, a me, me trovate nella pagina sportiva, all’avversario mio negli annunzi mortuari ». L’incontro non durerà neanche dieci secondi, dopo qualche movimento ridicolo, Peppe riceve un diretto destro a va subito al tappeto. Il comico nasce quindi dal contrasto e dallo scarto tra le aspettative e il risultato, 7 Giacomo Gambetti, Vittorio Gassman, Gremese Editore, 1999, p. 125. 8 Si veda David Da Silva, La boxe à Hollywood : de Chaplin à Scorsese, La Madeleine, LettMotif, 2017, p. 49-100. 179 Italies_23.indd 179 04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi tra le parole del personaggio e le sue azioni. Per lo spettatore, il personaggio di Peppe si configura quindi immediatamente come un millantatore, uno sbruf- fone, destinato inevitabilmente al fallimento: il candidato ideale per entrare in combutta con gli altri e organizzare “scientificamente” una rapina il cui ricco bottino non sarà nient’altro che un piatto di pasta e ceci. Ne I soliti ignoti quindi, la boxe serve innanzitutto alla costruzione di un ambiente sociale, quello della periferia romana tra piccola malavita e poveri disoccupati dal cuore d’oro. In seguito, oltre alla dimensione sociale ed ambientale, il pugilato contribuisce alla creazione del personaggio perdente e fallimentare, a mettere ancora più in risalto la sua inadeguatezza e la sua sfasa- tura. Peppe rappresenta il nuovo tipo di italiano medio-basso che si affaccia alle soglie del miracolo economico, che comincia ad avere smanie di grandezza ma che è fondamentalmente incapace di soddisfare. Non per niente, il film si chiude con il mancato pugile e il mancato ladro che, all’alba, dopo il colpo andato male, si lascia trascinare, suo malgrado, in un cantiere dove lo faranno lavorare. Il sogno di sfuggire alla bassa quotidianità si infrange nelle parole che pronuncia il vecchio Capannelle, rivolgendosi a Peppe che entra, rassegnato, nel cantiere: « Peppe, ma dove vai? Dove vai?... Peppe, ma ti fanno lavorare, sai... ». Qualche anno dopo, nel 1963, in pieno boom economico, esce sugli schermi italiani un film a sketch dal titolo I mostri. Il regista è Dino Risi e alla sceneg- giatura collaborano nomi come Ettore Scola, Elio Petri, Age e Scarpelli 9. Tutti gli sketch sono interpretati da Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, talvolta da soli, talvolta in coppia, come nell’ultimo sketch del film, « La nobile arte », della durata di venti minuti e dove Ugo Tognazzi incarna Enea Guarnacci, un patetico scovatore di talenti, mentre Vittorio Gassman dà vita a Artemio Altinori, un pugile ritirato che si è riciclato nella ristorazione su una spiaggia laziale. Lo sketch è forse uno dei momenti più malinconici e ferocemente struggenti della stagione d’oro della commedia all’italiana. Il film di Risi è una galleria di ritratti al vetriolo di uomini e donne, princi- palmente della classe media ma non solo, in tutta la loro quotidiana “mostruo- sità” morale e fisica. « La nobile arte », lo sketch che ci interessa, mette in scena uno scovatore di talenti e manager sul lastrico, Guarnacci, che cerca di farsi un po’ di soldi convincendo un pugile ritirato, Altinori, a risalire sul ring per un ultimo incontro, truccato, nel quale deve cadere al tappeto, dopo la prima 9 In riguardo al successo dei film a sketch durante gli anni 60, si veda Alice Autelitano, Il cinema infranto: intertestualità, intermedialità e forme narrative nel film a episodi italiano, 1961-1976, Udine, Forum, 2011. 180 Italies_23.indd 180 04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 ripresa, al fine d’intascare un miserabile compenso. Inizialmente Altidori esita, poi si lascia convincere e una volta sul ring, si fa prendere dal gioco e continua ad oltranza il combattimento, come per dimostrare a se stesso e agli altri il suo vero valore. Il problema è che sta combattendo con un pugile molto più giovane e molto più in forma di lui. Nonostante gli innumerevoli colpi che incassa, Altinori va avanti fino a che cade stremato al tappeto. Alla fine dello sketch, lo vediamo sulla spiaggia, in carrozzina, menomato fisicamente e mentalmente, con Guarnacci che cerca di distrarlo con un aquilone. Anche in questo caso, come con I soliti ignoti, ci troviamo in un mondo periferico, fatto di palestre squallide e di ristoranti sgangherati su spiagge sporche e popolari. E anche in questo caso, siamo di fronte a personaggi perdenti, marginali con ambizioni più grandi delle loro reali capacità. Nello sketch di Dino Risi, tuttavia, viene intensificata la caratterizzazione grottesca degli ambienti e dei personaggi. Per esempio, lo sketch si apre con una sequenza che si svolge all’interno di una palestra di periferia. I due manager che la gestiscono si esprimono in dialetto, romano e napoletano. Il primo è decisamente pingue mentre il secondo, decisamente basso, è vestito come un mafioso. È all’interno della palestra che appare per la prima volta Guarnacci, interpretato magistralmente da Ugo Tognazzi che lavorando sul suo corpo, dà vita ad un manager patetico e testardo. L’andatura è quasi scimmiesca, così come l’attaccatura dei capelli, molto bassa. Lo sguardo è carico di una cocciuta idiozia e la parlata difettosa nella pronuncia, allo stesso tempo raschiata e nasale. Dal dialogo tra di lui e i manager della palestra, veniamo a sapere che Guarnacci è un uomo quasi finito, senza soldi, questuante ma determinato a riscattarsi. Artemio Altinori invece, interpretato da Vittorio Gassman, fa la sua prima apparizione su una spiaggia anonima nei dintorni di Roma. La sequenza è introdotta da una canzoncina leggera, da vacanza. La macchina da presa opera una panoramica da sinistra a destra mostrando una signora sulla cinquantina, molto robusta, con un vestito a fiori, che raccoglie una bottiglia di vino dalla riva e la porta ad un tavolo improvvisato sulla sabbia, dove l’attendono suo marito e i suoi due figli. Il marito si rivolge quindi ad Artemio chiedendogli dell’acqua. Veniamo quindi a sapere che Artemio gestisce con sua moglie un modesto ristorante. Anche Gassman, per dare vita al suo personaggio, lavora sul suo corpo. La faccia è gonfia e vi si leggono sopra le tracce di un passato di combattimenti. Anche la sua andatura è animalesca, la fronte bassa, la parlata raschiata e rauca, lo sguardo rassegnato e spento. Nel dialogo con Guarnacci che segue, il comico si sprigiona dal corpo dei due attori e dalle loro parlate sporche, dalla ripetizione grottesca e amara della 181 Italies_23.indd 181 04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi frase: « son contento » pronunciata da Artemio con un viso mestissimo. Il comico, tuttavia, si carica di una malinconia quasi insostenibile, nel contrasto ancora una volta tra la condizione esistenziale dei personaggi e il loro dialogo, nel quale, attraverso le loro parole si configura un mondo desiderato, inesis- tente e molto distante dalle loro possibilità. La sequenza dell’incontro tra Artemiso e Bordignon è girata assecondando principalmente il punto di vista di Guarnacci, dal basso verso l’alto. Contrariamente a I soliti ignoti, l’incontro dura la bellezza di 5 minuti - un quarto della durata totale dello sketch - ed è ritmato dalle cadute al tappeto sempre più frequenti di Artemio. Le sue pessime condizioni fisiche, le sue costanti umiliazioni entrano in cortocircuito con la sua ostinata volontà di combattere, la sua convinzione allo stesso tempo eroica e patetica di poter avere il sopravvento sul suo avversario. Ma è nella scena finale che la malinconia grottesca soggiacente a tutto lo sketch raggiunge il suo climax. Siamo di ritorno alla spiaggia, una giornata nuvolosa, la macchina da presa, con un’altra panoramica da sinistra a destra, segue la moglie di Artemio che passeggia con un’altra donna. La moglie ripete quello che Artemio era solito dire: « No, porello, soffrì, non soffre, anzi è contento... eccolo là è diventato come un bambino ». Le due donne si fermano e la macchina da presa continua la sua panoramica fino ad inquadrare Artemio in carrozzella, in riva al mare, e Guarnacci che gli gira intorno con un aquilone. La voglia di riscatto si conclude con una regressione. Ancora una volta, il fallimento patetico e grottesco dei personaggi lascia l’amaro in bocca e i sogni di rivincita e di gloria che la boxe è solita veicolare si sbriciolano contro una sedia a rotelle su una spiaggia anonima, durante una triste giornata nuvolosa di inizio autunno. Il bacillo della boxe: Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti Nadia, la prostituta dal grande cuore, intorno a cui si sviluppa la rivalità dei due fratelli nemici, Rocco e Simone, entra nel primo alloggio milanese della famiglia Parondi, originaria della Basilicata, per caso. Appese al muro, vede delle fotografie di famiglia, tra cui una che ritrae Vincenzo, il fratello maggiore, in tenuta da boxeur. Nadia allora si rivolge ai fratelli Parondi con le seguenti parole: « Conosco un campione io, sì... uno che ha cominciato da niente, ma ha fatto tanti di quei milioni, ma tanti... non 182 Italies_23.indd 182 04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 ricordo più come si chiama... ma cosa vuol dire... ha una macchina, ragazzi, una macchina lunga lunga che non finisce più insomma... ». Il bacillo della boxe - con i suoi sogni di gloria, di riscatto e di successo - è così instillato nella famiglia Parondi, arrivata dal profondo Sud nella Milano del miracolo economico alla ricerca di un po’ di benessere. Il contatto con le seduzioni della vita urbana e della modernità si riveleranno fatali per l’unità ancestrale della famiglia meridionale. I Parondi accedono sì al benessere, anche abbastanza rapidamente, ma l’unità familiare va in frantumi sotto la pressione dei nuovi valori individualisti che il miracolo economico e lo sviluppo della società dei consumi portano con sé. La boxe, sineddoche della città capita- lista corruttrice, diventa così il mezzo attraverso il quale Simone precipita nella degradazione morale e Rocco assurge a superstar internazionale. Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti esce nelle sale italiane nel 1960 e, anche se viene generalmente accolto in modo favorevole dalla critica, deve confrontarsi con innumerevoli problemi con la censura. La ragione è da cercare nella violenza di alcune scene e ai riferimenti espliciti, per l’epoca, alla sessua- lità e all’omosessualità. Questi due elementi, la violenza e la sessualità, si ritro- vano legati proprio nel mondo corrotto della boxe. Il primo incontro dei fratelli Parondi con il pugilato avviene in una squal- lida palestra di periferia. È lì che Simone si fa notare da Morini, un ex-pugile diventato manager, che ne apprezza le doti atletiche e la bellezza fisica. Inizia allora per Simone una traiettoria ascendente verso il successo che si interrompe però a causa della sua indole neghittosa, refrattaria allo sforzo e all’etica del lavoro e a causa della sua attrazione smodata per l’alcool e le donne. La sua degradazione morale lo spinge al di fuori della sua famiglia di origine e lo allontana da Nadia. Sempre più solo e alla costante ricerca di denaro, si prostituisce con Morini. Speculare, ma di segno opposto, è la traiettoria di Rocco che, inizialmente renitente alla modernità e alle seduzioni della grande città, diventa alla fine del film un campione di boxe internazionale, anche se suo malgrado, visto che si lancia nella carriera di boxeur per pagare i debiti di suo fratello Simone e per cercare così di mantenere unita la famiglia Parondi. Il legame morboso e conflittuale tra i due fratelli trova il suo apice nella sequenza dell’assassinio di Nadia, l’oggetto del desiderio che ha fatto nascere la rivalità tra Rocco e Simone. Visconti costruisce la sequenza con una grande maestria, ricorrendo ad un montaggio alternato che ricorda il finale dell’opera Carmen (1875) di Georges Bizet. Da una parte, abbiamo l’Idroscalo, dove Nadia si prostituisce e dove è raggiunta da Simone in un ultimo tentativo di riconquistarla, dall’altra, una palestra gremita di spettatori, venuti per assistere all’incontro che farà diventare Rocco un grande campione dal futuro interna- 183 Italies_23.indd 183 04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi zionale. Al silenzio inquietante foriero di un assassinio passionale, si oppone il clamore del pubblico in delirio. Alle coltellate di Simone nel corpo indifeso di Nadia corrispondono i pugni che Rocco sferza sul suo avversario. Le parole che l’allenatore urla a Rocco (Copriti! Copriti!) sono le stesse che Simone mormora all’orecchio di Nadia tremante di freddo e di paura. Quando finalmente Rocco fa cadere al tappeto il suo avversario, Simone pugnala a morte la sua amata Nadia, la quale diventa simbolicamente il capro espiatorio - appoggiata ad un palo, prima di essere pugnalata, Nadia allarga le braccia come un Cristo in croce - che mette fine al disordine e al conflitto che ha lacerato la famiglia Parondi. Eliminato l’oggetto del desiderio, gli equilibri si possono ricomporre e dare vita ad un nuovo ordine morale economico: al mondo ancestrale e rurale del Sud Italia, millenario nella sua degna povertà, si sostituisce un mondo urbano piccolo borghese pervaso da valori individualisti, incarnati da Ciro, il fratello che è riuscito ad adattarsi velocemente al nuovo contesto urbano, dimentican- dosi del suo dialetto e diventando operaio specializzato. A Visconti piaceva immaginarlo vero e proprio piccolo borghese in un seguito ideale del film 10. Sembra non esserci spazio per gli eccessi della modernità e del passato ancestrale. Simone finisce in prigione, distaccato definitivamente dalla sua famiglia d’origine, mentre Rocco viene esiliato nel mondo, da lui odiato, della boxe, con le sue tournée internazionali, anche lui ormai allontanato dalla sua intenzione di ritornare felice nella sua terra natale. Sia Rocco che Simone diventano dei fantasmi, compiono il loro destino nell’assenza e nell’esilio, e la causa del loro “fallimento” è da ricercarsi certo nel loro amore impossibile per Nadia, ma anche nel funesto contatto con il mondo corrotto della boxe di cui Nadia è per certi versi una seducente emanazione. Se negli esempi di commedia all’italiana che abbiamo analizzato, nella messinscena del corpo dell’attore boxeur, abbiamo sottolineato la volontà di procedere ad una deformazione grottesca del corpo dell’atleta, nel film di Visconti, i corpi di Rocco e Simone, interpretati rispettivamente da Renato Salvatori e Alain Delon, sono al contrario quasi sublimati nella loro bellezza, bagnati spesso in un chiaro scuro quasi caravaggesco 11, mantenendo tuttavia tutta la loro sensualità e desiderabilità. 10 A questo proposito si veda quanto dice Luchino Visconti a Guido Aristarco, « Ciro e i suoi fratelli », Cinema Nuovo, n° 147, settembre-ottobre 1960, p. 404. 11 Si veda, per esempio, la scena della doccia di Simone e Rocco in palestra, quando Morini si avvicina turbato dalla nudità dei due ragazzi e propone a Simone di cominciare ad allenarsi per lui. 184 Italies_23.indd 184 04/11/2019 15:05:41
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 Il mondo della boxe, in Rocco e i suoi fratelli, si configura così come lo spazio del desiderio infinito, sessuale ed economico, della corruzione e delle passioni distruttrici. Conclusione Se nella cinematografia americana di stampo popolare, la boxe diventa spesso una metafora della vita, un modo per riscattarsi socialmente e moralmente, attraverso una straordinaria forza di volontà, fino a raggiungere, nonostante gli ostacoli e le difficoltà, « il sogno americano » - l’esempio più celeberrimo è quello del Rocky (1976), scritto e interpretato da Sylvester Stallone - nella cinematografia italiana “la nobile arte” sembra l’appannaggio di patetici o tragici perdenti. Ciò sembra particolarmente vero quando si dà uno sguardo, come abbiamo fatto, alla produzione cinematografa italiana che va dal secondo dopoguerra fino all’inizio degli anni 60. Nella commedia all’italiana, il mondo della boxe è popolato da personaggi deformati grottescamente, inadeguati, i cui desideri e ambizioni sono al di sopra delle loro capacità e possibilità. In Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, invece, il mondo della boxe è decli- nato secondo una modalità tragica: corruzione, promiscuità sessuale, sogni di gloria, ascesa e caduta di personaggi che, per quanto umili, contengono in sé la grandezza, in chiave moderna, degli eroi della tragedia greca. 185 Italies_23.indd 185 04/11/2019 15:05:41
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