La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all'inizio degli anni 60

Pagina creata da Pietro Rota
 
CONTINUA A LEGGERE
Italies
                           Littérature - Civilisation - Société
                           23 | 2019
                           In corpore sano

La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal
dopoguerra all’inizio degli anni 60
Graziano Tassi

Edizione digitale
URL: http://journals.openedition.org/italies/7241
DOI: 10.4000/italies.7241
ISSN: 2108-6540

Editore
Université Aix-Marseille (AMU)

Edizione cartacea
Data di pubblicazione: 2 dicembre 2019
Paginazione: 175-185
ISBN: 979-10-320-0243-8
ISSN: 1275-7519

Notizia bibliografica digitale
Graziano Tassi, « La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60 »,
Italies [Online], 23 | 2019, online dal 03 mars 2020, consultato il 29 mars 2020. URL : http://
journals.openedition.org/italies/7241 ; DOI : https://doi.org/10.4000/italies.7241

Italies - Littérature Civilisation Société est mis à disposition selon les termes de la licence Creative
Commons Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International.
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano
                  dal dopoguerra all’inizio degli anni 60
                  Graziano Tassi
                  Université Paris Nanterre, CRIX

                  Résumé : Depuis son origine, le cinéma entretient avec la boxe des relations privilégiées.
                  Sport hautement cinématographique, la boxe, tout particulièrement dans la production
                  américaine, est souvent devenue une métaphore de la vie, une manière de se racheter
                  socialement et moralement, à travers une extraordinaire force de volonté jusqu’à atteindre,
                  malgré les nombreux obstacles, le « rêve américain ». Contrairement, dans la cinématographie
                  italienne, surtout celle qui va du second après-guerre au début des années 60, le « noble art »
                  semble être la prérogative de pathétiques ou tragiques perdants. L’intention de cet article est
                  d’interroger les fonctions symboliques et dramaturgiques que la boxe revêt dans le cinéma
                  italien du second après-guerre au début des années 60, en analysant tout particulièrement I
                  soliti ignoti (1958) de Mario Monicelli, le sketch « La nobile arte » contenu dans le film I
                  mostri (1963) de Dino Risi e Rocco e i suoi fratelli (1960) de Luchino Visconti.
                  Riassunto: Fin dalle sue origini, il cinema ha intrattenuto con il pugilato delle relazioni
                  privilegiate. Sport altamente cinematografico, la boxe, soprattutto nella produzione
                  americana, è diventata spesso una metafora della vita, una maniera di riscattarsi socialmente
                  e moralmente, attraverso una straordinaria forza di volontà fino a raggiungere, nonostante i
                  mille ostacoli il « sogno americano ». Al contrario, nella cinematografia italiana, soprattutto
                  quella che va dal secondo dopoguerra e arriva fino all’inizio degli anni 60, la « nobile arte »
                  sembra essere la prerogativa di patetici o tragici perdenti. L’intento dell’articolo è quello di
                  interrogare le funzioni simboliche e drammaturgiche che la boxe assume nel cinema italiano
                  che va dal secondo dopoguerra all’inizio degli anni sessanta, analizzando in particolar modo I
                  soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, lo sketch « La nobile arte » contenuto nel film I mostri
                  (1963) di Dino Risi e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti.

                  Introduzione
                  Fin dalla sua nascita, il cinema ha intrattenuto con lo sport un rapporto privile-
                  giato. Innanzitutto perché il cinema e lo sport moderno nascono quasi contem-
                  poraneamente, nella società industriale di fine Ottocento che riorganizza i ritmi
                  lavorativi e esistenziali in accordo con le necessità dei nascenti mezzi produttivi

                                                                175

Italies_23.indd 175                                                                                            04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi

                e distributivi. Con la progressiva dissoluzione del mondo contadino e l’avvento
                delle macchine nel corso di tutta la prima parte del Novecento, si genera un
                profondo cambiamento del rapporto tra masse e tempo libero. La collettività si
                trova ad avere a disposizione un capitale temporale che va in un modo o in un
                altro investito. Lo svago e il divertimento diventano un fenomeno significativo
                che si configura intorno ad alcune principali istituzioni: narrativa popolare,
                fumetto, cinema, sport e, di poco posteriore, la radio 1.
                    Se ci si sofferma su alcune date particolarmente significative, il legame
                esistente tra cinema e sport si rivela ancora più intenso. Nel 1896, nascono le
                Olimpiadi moderne. Qualche mese prima, il 28 dicembre 1895, nasce conven-
                zionalmente il cinematografo, inteso come spettacolo cinematografico, quando
                i fratelli Lumières proiettano davanti a un pubblico il loro primo cortome-
                traggio La sortie de l’usine Lumière. Del resto, quasi immediatamente il cinema
                si impadronisce dello sport come spettacolo proponendo agli spettatori delle
                attualità sportive che sono spesso, in realtà, delle messinscene, vere e proprie
                ricostruzioni di fiction.
                    Lo sport che più si presta a questo esercizio di messinscena, anche da un
                punto di vista tecnico (superficie scenica limitata al ring), è senza dubbio la
                boxe. Non è quindi un caso che, qualche anno prima della nascita ufficiale del
                cinematografo, nel 1891, Thomas Edison, rivolgendosi alla comunità sportiva,
                dichiari che la sua nuova invenzione, il kinetoscopio, potrà essere utilizzato per
                riprendere e riprodurre incontri di pugilato 2. In effetti, qualche anno dopo,
                nel 1894, Edison produce un cortometraggio per il kinetoscopio dal titolo
                Leonard-Cushing fight, diretto da William Kennedy-Laurie Dickson, nel quale,
                due pugili, scritturati come attori, sono coinvolti in un atto di rappresentazione
                di un incontro di pugilato. Si tratta, senza dubbio, di una delle primissime
                tracce dell’incontro tra cinema e sport, tra boxe e cinema.
                    L’intenzione di questo saggio non è certo quella di stilare una lista o di
                proporre un catalogo esaustivo di tutte le produzioni cinematografiche che
                hanno trattato o trattano della nobile arte. Limiteremo la nostra analisi all’am-
                bito italiano e lo circoscriveremo in un lasso di tempo che va dal dopoguerra e
                arriva alla metà degli anni Sessanta. Sono anni fondamentali per l’Italia repub-
                blicana, gli anni del miracolo economico che nel giro di una decina d’anni

                1     A questo proposito, si veda Fausto Colombo, Lo spettacolo dello sport, in Gianfranco Bettetini
                      (dir.), Lo spettacolo sporco della televisione: divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva,
                      Torino, Fondazione Agnelli, 1988, p. 351-391.
                2     Si veda Dan Streible, Fight pictures: a history of boxing and early cinema, Berkeley, University of
                      California Press, 2008, p. 22-51.

                                                                      176

Italies_23.indd 176                                                                                                          04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60

                  cambiano radicalmente il profilo culturale e socioeconomico del Belpaese 3.
                  La boxe, in questo contesto di euforico sviluppo economico, gioca un ruolo di
                  estrema importanza, sia in ambito sportivo che in ambito culturale. Ci inter-
                  rogheremo quindi su quali valori drammaturgici e simbolici il pugilato assume
                  nel periodo preso in considerazione, soffermandoci su tre opere cinemato-
                  grafiche di particolare importanza, che vanno dalla commedia all’italiana al
                  cinema d’autore: I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, lo sketch « La nobile
                  arte » contenuto nel film I mostri (1963) di Dino Risi e Rocco e i suoi fratelli
                  (1960) di Luchino Visconti.

                  Commedia all’italiana e pugilato
                  Con I soliti ignoti di Mario Monicelli, inizia convenzionalmente la storia della
                  grande commedia all’italiana, un genere cinematografico facilmente definibile
                  ma carico di ambiguità, problematiche e dilemmi etici. Parlando della relazione
                  stretta che lega la società italiana degli anni Sessanta alla commedia all’italiana,
                  Maurizio Grande ha osservato:
                      La “commedia all’italiana” ha fatto di tutto ciò un grande poema d’amore e
                      di rabbia, una requisitoria feroce e tenera, un paesaggio della modernità e dei
                      suoi guasti. Ha mostrato agli italiani la bassezza del costume e la grandezza del
                      fallimento, l’insorgere cieco delle passioni e le retoriche spuntate della civiltà
                      dei consumi […]. La “commedia all’italiana” è lo spettacolo del malessere e di
                      una modernità insufficiente ad ingannare fino in fondo la smania di grandezza
                      di soggetti a “tenuta debole” 4.
                  Se ormai tutti concordano nell’affermare che la commedia all’italiana è una
                  commedia con elementi drammatici, con un finale freddo e amaro e con una
                  feroce carica satirica, non tutti sono d’accordo sul suo potenziale critico e
                  politico. Da Italo Calvino a Nanni Moretti, sono stati numerosi gli intellet-

                  3   Si veda Valerio Castronovo, L’Italia del miracolo economico, Roma-Bari, Laterza, 2010, e
                      Guido Crainz, Storia del miracolo italiano: culture, identità, trasformazioni fra anni Cinquanta e
                      Sessanta, Roma, Donzelli, 2005.
                  4   Maurizio Grande, La commedia all’italiana, Roma, Bulzoni, 2003, p. 3. Nous renvoyons
                      également, pour bien saisir un des aspects de la comédie à l’italienne, à José Pagliardini,
                      Comédie en 5 as. Cinéma et condition masculine à l’italienne (1954-1964), Aix-en-Provence,
                      PUP, 2014.

                                                                  177

Italies_23.indd 177                                                                                                 04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi

                tuali che ne hanno denunciato l’autocompiacimento e il sostanziale carattere
                conservatore, se non reazionario 5.
                     I soliti ignoti, come abbiamo detto, ne apre la stagione. Il film di Monicelli
                si ispira, in modo parodico, al lungometraggio francese Du rififi chez les hommes
                (1955) di Jules Dassin che mette in scena una rapina perfetta, studiata nei
                minimi particolari, a una gioielleria parigina da parte di una banda di ladri
                espertissimi. Ovviamente, I soliti ignoti non è una semplice parodia. Al
                contrario, rappresenta per la storia del cinema italiano, il momento in cui
                la commedia del neorealismo rosa si accinge a trasformarsi nella commedia
                all’italiana. In effetti, ad elementi tipici della commedia rosa, come la trama
                leggera e la presenza di una nascente storia d’amore, si affiancano temi e stilemi
                tipici della commedia sociale satirica che sboccia interamente all’inizio degli
                anni 60. L’attenzione all’origine sociale dei personaggi e alla loro interazione
                con l’ambiente nel quale si muovono, lo scarto tra la loro natura intima, il
                loro essere profondo, e le ambizioni che si impongono, la volontà incerta di
                elevarsi al di sopra della propria condizione d’origine, sono per esempio dei
                tratti fondamentali della commedia all’italiana.
                     Nel film di Monicelli, cinque poveri disgraziati, istruiti da un maestro della
                rapina (uno straordinario Totò), si lanciano in un’impresa che è decisamente al
                di sopra delle loro possibilità e nella quale, in realtà, nessuno vuole veramente
                partecipare. Come ha notato Mariapia Comand:
                      I personaggi della commedia all’italiana sono dei perdenti. Ancor prima di
                      essere catapultati sulla scena della storia, sono delle comparse della Storia, figure
                      marginali prima ancora che emarginati: ladruncoli, impiegatuncoli, militi ignoti
                      o comuni mariti, tutti comunque provenienti dalle regioni dell’anonimato 6.
                I soliti ignoti si apre con un tentativo di furto d’auto maldestro e fallimen-
                tare seguito da una magistrale macrosequenza di esposizione, nella quale sono
                presentati ad uno ad uno i membri della futura banda. Si va da un vecchietto

                5     A questo proposito, si veda quello che scrive Italo Calvino in Autobiografia di uno spettatore:
                      « Nella più parte dei casi la trovo detestabile, perché quanto più la caricatura dei nostri
                      comportamenti sociali vuol essere spietata tanto più si rivela compiaciuta e indulgente; in
                      altri casi la trovo simpatica e bonaria, con un ottimismo che resta miracolosamente genuino,
                      ma allora sento che non mi fa fare passi avanti nella conoscenza di noi stessi. » Italo Calvino,
                      Autobiografia di uno spettatore, in Federico Fellini, Quattro film, Torino, Einaudi, 1974,
                      p. XIX-XX. Inoltre, si veda la celebre sequenza tratta da Ecce Bombo (1978), nella quale
                      Michele Apicella (alter-ego di Nanni Moretti) apostrofa il cliente di un bar, colpevole di
                      asserire delle banalità qualunquiste, con: « Ma che siamo in un film di Alberto Sordi? Bravo,
                      Bravo... te lo meriti, Alberto Sordi! »
                6     Mariapia Comand, Commedia all’italiana, Milano, Il Castoro, 2010, p. 7.

                                                                 178

Italies_23.indd 178                                                                                                04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60

                  quasi ridotto ad una condizione di clochard a un pugile fuori allenamento e
                  presuntuoso, passando per un fotografo in disgrazia, un siciliano disoccupato
                  e un ladruncolo mammone. Quello che qui ci interessa è la presentazione del
                  personaggio di Peppe, interpretato da Vittorio Gassman, pugile borioso e dalle
                  scarse doti sportive, come dicevamo. A quanto pare, i produttori della pellicola
                  contrastarono a lungo la scelta di Gassman per interpretare il personaggio di
                  Peppe poiché l’attore aveva l’aria troppo intellettuale e, fino ad allora, aveva
                  lavorato soprattutto per il teatro o in ruoli di cattivo 7. Monicelli tenne duro
                  e, attraverso il trucco, modificò l’apparenza di Gassman dandogli un’aria più
                  farsesca. Si ricorse quindi ad un trucco pesante che abbassò l’attaccatura dei
                  capelli, ridusse la fronte spaziosa accentuando il naso e rendendo cadenti le
                  labbra, conferendo al personaggio quell’aria da ebete caratteristica di un pugile
                  suonato di periferia. Fu studiata anche l’andatura e infine concepita la balbuzie,
                  con effetti comici esilaranti.
                      Ne I soliti ignoti, Monicelli rovescia in modo parodico la figura del pugile
                  possente, determinato e virile che nella tradizione di un certo cinema hollywo-
                  odiano parte da zero e arriva, attraversando ostacoli e prove durissime, alla
                  gloria e al riscatto 8.
                      Innanzitutto, il personaggio di Peppe compare per la prima volta sullo
                  schermo in accappatoio, mentre si sta fasciando le mani prima di mettersi i
                  guantoni. Si trova in un miserabile scantinato mal illuminato, nella tradizione
                  del cinema hollywoodiano degli anni 40 e 50, nella quale la boxe è spesso legata
                  ad un ambiente malfamato. Gli altri membri della futura, sgangherata banda
                  criminale sono venuti a cercarlo per proporgli di fare la “pecora”, sarebbe a
                  dire andare in prigione al posto di un altro, per la bella cifra di centomila lire.
                  Il dialogo tra Peppe e gli altri personaggi rivela, da una parte, la sua endemica
                  indigenza e, dall’altra, la sua boria e la sua comica presunzione, accentuata in
                  modo ridicolo dalla sua tendenza al balbettio. Il suo modo di parlare, in un
                  romanesco ciancicante, contrasta con il suo corpo atletico e i suoi movimenti da
                  pugile professionista. Prima di entrare sul ring, Peppe, rifiutando la proposta
                  dei suoi futuri complici, dichiara, balbettando: « Senti, leggiti i giornali domat-
                  tina, a me, me trovate nella pagina sportiva, all’avversario mio negli annunzi
                  mortuari ». L’incontro non durerà neanche dieci secondi, dopo qualche
                  movimento ridicolo, Peppe riceve un diretto destro a va subito al tappeto. Il
                  comico nasce quindi dal contrasto e dallo scarto tra le aspettative e il risultato,

                  7   Giacomo Gambetti, Vittorio Gassman, Gremese Editore, 1999, p. 125.
                  8   Si veda David Da Silva, La boxe à Hollywood : de Chaplin à Scorsese, La Madeleine, LettMotif,
                      2017, p. 49-100.

                                                                179

Italies_23.indd 179                                                                                              04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi

                tra le parole del personaggio e le sue azioni. Per lo spettatore, il personaggio di
                Peppe si configura quindi immediatamente come un millantatore, uno sbruf-
                fone, destinato inevitabilmente al fallimento: il candidato ideale per entrare in
                combutta con gli altri e organizzare “scientificamente” una rapina il cui ricco
                bottino non sarà nient’altro che un piatto di pasta e ceci.
                     Ne I soliti ignoti quindi, la boxe serve innanzitutto alla costruzione di un
                ambiente sociale, quello della periferia romana tra piccola malavita e poveri
                disoccupati dal cuore d’oro. In seguito, oltre alla dimensione sociale ed
                ambientale, il pugilato contribuisce alla creazione del personaggio perdente e
                fallimentare, a mettere ancora più in risalto la sua inadeguatezza e la sua sfasa-
                tura. Peppe rappresenta il nuovo tipo di italiano medio-basso che si affaccia
                alle soglie del miracolo economico, che comincia ad avere smanie di grandezza
                ma che è fondamentalmente incapace di soddisfare. Non per niente, il film
                si chiude con il mancato pugile e il mancato ladro che, all’alba, dopo il colpo
                andato male, si lascia trascinare, suo malgrado, in un cantiere dove lo faranno
                lavorare. Il sogno di sfuggire alla bassa quotidianità si infrange nelle parole che
                pronuncia il vecchio Capannelle, rivolgendosi a Peppe che entra, rassegnato,
                nel cantiere: « Peppe, ma dove vai? Dove vai?... Peppe, ma ti fanno lavorare,
                sai... ».
                     Qualche anno dopo, nel 1963, in pieno boom economico, esce sugli schermi
                italiani un film a sketch dal titolo I mostri. Il regista è Dino Risi e alla sceneg-
                giatura collaborano nomi come Ettore Scola, Elio Petri, Age e Scarpelli 9. Tutti
                gli sketch sono interpretati da Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, talvolta da
                soli, talvolta in coppia, come nell’ultimo sketch del film, « La nobile arte »,
                della durata di venti minuti e dove Ugo Tognazzi incarna Enea Guarnacci,
                un patetico scovatore di talenti, mentre Vittorio Gassman dà vita a Artemio
                Altinori, un pugile ritirato che si è riciclato nella ristorazione su una spiaggia
                laziale. Lo sketch è forse uno dei momenti più malinconici e ferocemente
                struggenti della stagione d’oro della commedia all’italiana.
                     Il film di Risi è una galleria di ritratti al vetriolo di uomini e donne, princi-
                palmente della classe media ma non solo, in tutta la loro quotidiana “mostruo-
                sità” morale e fisica. « La nobile arte », lo sketch che ci interessa, mette in scena
                uno scovatore di talenti e manager sul lastrico, Guarnacci, che cerca di farsi
                un po’ di soldi convincendo un pugile ritirato, Altinori, a risalire sul ring per
                un ultimo incontro, truccato, nel quale deve cadere al tappeto, dopo la prima

                9     In riguardo al successo dei film a sketch durante gli anni 60, si veda Alice Autelitano, Il cinema
                      infranto: intertestualità, intermedialità e forme narrative nel film a episodi italiano, 1961-1976,
                      Udine, Forum, 2011.

                                                                   180

Italies_23.indd 180                                                                                                   04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60

                  ripresa, al fine d’intascare un miserabile compenso. Inizialmente Altidori esita,
                  poi si lascia convincere e una volta sul ring, si fa prendere dal gioco e continua
                  ad oltranza il combattimento, come per dimostrare a se stesso e agli altri il suo
                  vero valore. Il problema è che sta combattendo con un pugile molto più giovane
                  e molto più in forma di lui. Nonostante gli innumerevoli colpi che incassa,
                  Altinori va avanti fino a che cade stremato al tappeto. Alla fine dello sketch, lo
                  vediamo sulla spiaggia, in carrozzina, menomato fisicamente e mentalmente,
                  con Guarnacci che cerca di distrarlo con un aquilone.
                      Anche in questo caso, come con I soliti ignoti, ci troviamo in un mondo
                  periferico, fatto di palestre squallide e di ristoranti sgangherati su spiagge
                  sporche e popolari. E anche in questo caso, siamo di fronte a personaggi
                  perdenti, marginali con ambizioni più grandi delle loro reali capacità.
                      Nello sketch di Dino Risi, tuttavia, viene intensificata la caratterizzazione
                  grottesca degli ambienti e dei personaggi. Per esempio, lo sketch si apre con
                  una sequenza che si svolge all’interno di una palestra di periferia. I due manager
                  che la gestiscono si esprimono in dialetto, romano e napoletano. Il primo è
                  decisamente pingue mentre il secondo, decisamente basso, è vestito come un
                  mafioso. È all’interno della palestra che appare per la prima volta Guarnacci,
                  interpretato magistralmente da Ugo Tognazzi che lavorando sul suo corpo, dà
                  vita ad un manager patetico e testardo. L’andatura è quasi scimmiesca, così
                  come l’attaccatura dei capelli, molto bassa. Lo sguardo è carico di una cocciuta
                  idiozia e la parlata difettosa nella pronuncia, allo stesso tempo raschiata e
                  nasale. Dal dialogo tra di lui e i manager della palestra, veniamo a sapere che
                  Guarnacci è un uomo quasi finito, senza soldi, questuante ma determinato a
                  riscattarsi.
                      Artemio Altinori invece, interpretato da Vittorio Gassman, fa la sua prima
                  apparizione su una spiaggia anonima nei dintorni di Roma. La sequenza è
                  introdotta da una canzoncina leggera, da vacanza. La macchina da presa opera
                  una panoramica da sinistra a destra mostrando una signora sulla cinquantina,
                  molto robusta, con un vestito a fiori, che raccoglie una bottiglia di vino dalla
                  riva e la porta ad un tavolo improvvisato sulla sabbia, dove l’attendono suo
                  marito e i suoi due figli. Il marito si rivolge quindi ad Artemio chiedendogli
                  dell’acqua. Veniamo quindi a sapere che Artemio gestisce con sua moglie un
                  modesto ristorante. Anche Gassman, per dare vita al suo personaggio, lavora
                  sul suo corpo. La faccia è gonfia e vi si leggono sopra le tracce di un passato di
                  combattimenti. Anche la sua andatura è animalesca, la fronte bassa, la parlata
                  raschiata e rauca, lo sguardo rassegnato e spento.
                      Nel dialogo con Guarnacci che segue, il comico si sprigiona dal corpo dei
                  due attori e dalle loro parlate sporche, dalla ripetizione grottesca e amara della

                                                                181

Italies_23.indd 181                                                                                              04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi

                frase: « son contento » pronunciata da Artemio con un viso mestissimo. Il
                comico, tuttavia, si carica di una malinconia quasi insostenibile, nel contrasto
                ancora una volta tra la condizione esistenziale dei personaggi e il loro dialogo,
                nel quale, attraverso le loro parole si configura un mondo desiderato, inesis-
                tente e molto distante dalle loro possibilità.
                     La sequenza dell’incontro tra Artemiso e Bordignon è girata assecondando
                principalmente il punto di vista di Guarnacci, dal basso verso l’alto.
                Contrariamente a I soliti ignoti, l’incontro dura la bellezza di 5 minuti - un
                quarto della durata totale dello sketch - ed è ritmato dalle cadute al tappeto
                sempre più frequenti di Artemio. Le sue pessime condizioni fisiche, le sue
                costanti umiliazioni entrano in cortocircuito con la sua ostinata volontà di
                combattere, la sua convinzione allo stesso tempo eroica e patetica di poter avere
                il sopravvento sul suo avversario.
                     Ma è nella scena finale che la malinconia grottesca soggiacente a tutto lo
                sketch raggiunge il suo climax. Siamo di ritorno alla spiaggia, una giornata
                nuvolosa, la macchina da presa, con un’altra panoramica da sinistra a destra,
                segue la moglie di Artemio che passeggia con un’altra donna. La moglie ripete
                quello che Artemio era solito dire: « No, porello, soffrì, non soffre, anzi è
                contento... eccolo là è diventato come un bambino ». Le due donne si fermano
                e la macchina da presa continua la sua panoramica fino ad inquadrare Artemio
                in carrozzella, in riva al mare, e Guarnacci che gli gira intorno con un aquilone.
                     La voglia di riscatto si conclude con una regressione. Ancora una volta, il
                fallimento patetico e grottesco dei personaggi lascia l’amaro in bocca e i sogni
                di rivincita e di gloria che la boxe è solita veicolare si sbriciolano contro una
                sedia a rotelle su una spiaggia anonima, durante una triste giornata nuvolosa
                di inizio autunno.

                Il bacillo della boxe:
                Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti
                Nadia, la prostituta dal grande cuore, intorno a cui si sviluppa la rivalità dei
                due fratelli nemici, Rocco e Simone, entra nel primo alloggio milanese della
                famiglia Parondi, originaria della Basilicata, per caso.
                    Appese al muro, vede delle fotografie di famiglia, tra cui una che ritrae
                Vincenzo, il fratello maggiore, in tenuta da boxeur. Nadia allora si rivolge ai
                fratelli Parondi con le seguenti parole: « Conosco un campione io, sì... uno
                che ha cominciato da niente, ma ha fatto tanti di quei milioni, ma tanti... non

                                                       182

Italies_23.indd 182                                                                             04/11/2019 15:05:40
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60

                  ricordo più come si chiama... ma cosa vuol dire... ha una macchina, ragazzi,
                  una macchina lunga lunga che non finisce più insomma... ».
                       Il bacillo della boxe - con i suoi sogni di gloria, di riscatto e di successo - è
                  così instillato nella famiglia Parondi, arrivata dal profondo Sud nella Milano
                  del miracolo economico alla ricerca di un po’ di benessere. Il contatto con le
                  seduzioni della vita urbana e della modernità si riveleranno fatali per l’unità
                  ancestrale della famiglia meridionale. I Parondi accedono sì al benessere, anche
                  abbastanza rapidamente, ma l’unità familiare va in frantumi sotto la pressione
                  dei nuovi valori individualisti che il miracolo economico e lo sviluppo della
                  società dei consumi portano con sé. La boxe, sineddoche della città capita-
                  lista corruttrice, diventa così il mezzo attraverso il quale Simone precipita nella
                  degradazione morale e Rocco assurge a superstar internazionale.
                       Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti esce nelle sale italiane nel 1960
                  e, anche se viene generalmente accolto in modo favorevole dalla critica, deve
                  confrontarsi con innumerevoli problemi con la censura. La ragione è da cercare
                  nella violenza di alcune scene e ai riferimenti espliciti, per l’epoca, alla sessua-
                  lità e all’omosessualità. Questi due elementi, la violenza e la sessualità, si ritro-
                  vano legati proprio nel mondo corrotto della boxe.
                       Il primo incontro dei fratelli Parondi con il pugilato avviene in una squal-
                  lida palestra di periferia. È lì che Simone si fa notare da Morini, un ex-pugile
                  diventato manager, che ne apprezza le doti atletiche e la bellezza fisica.
                       Inizia allora per Simone una traiettoria ascendente verso il successo che si
                  interrompe però a causa della sua indole neghittosa, refrattaria allo sforzo e
                  all’etica del lavoro e a causa della sua attrazione smodata per l’alcool e le donne.
                  La sua degradazione morale lo spinge al di fuori della sua famiglia di origine
                  e lo allontana da Nadia. Sempre più solo e alla costante ricerca di denaro, si
                  prostituisce con Morini. Speculare, ma di segno opposto, è la traiettoria di
                  Rocco che, inizialmente renitente alla modernità e alle seduzioni della grande
                  città, diventa alla fine del film un campione di boxe internazionale, anche se
                  suo malgrado, visto che si lancia nella carriera di boxeur per pagare i debiti di
                  suo fratello Simone e per cercare così di mantenere unita la famiglia Parondi.
                       Il legame morboso e conflittuale tra i due fratelli trova il suo apice nella
                  sequenza dell’assassinio di Nadia, l’oggetto del desiderio che ha fatto nascere
                  la rivalità tra Rocco e Simone. Visconti costruisce la sequenza con una grande
                  maestria, ricorrendo ad un montaggio alternato che ricorda il finale dell’opera
                  Carmen (1875) di Georges Bizet. Da una parte, abbiamo l’Idroscalo, dove
                  Nadia si prostituisce e dove è raggiunta da Simone in un ultimo tentativo di
                  riconquistarla, dall’altra, una palestra gremita di spettatori, venuti per assistere
                  all’incontro che farà diventare Rocco un grande campione dal futuro interna-

                                                                183

Italies_23.indd 183                                                                                              04/11/2019 15:05:40
Graziano Tassi

                zionale. Al silenzio inquietante foriero di un assassinio passionale, si oppone il
                clamore del pubblico in delirio. Alle coltellate di Simone nel corpo indifeso di
                Nadia corrispondono i pugni che Rocco sferza sul suo avversario. Le parole che
                l’allenatore urla a Rocco (Copriti! Copriti!) sono le stesse che Simone mormora
                all’orecchio di Nadia tremante di freddo e di paura. Quando finalmente Rocco
                fa cadere al tappeto il suo avversario, Simone pugnala a morte la sua amata
                Nadia, la quale diventa simbolicamente il capro espiatorio - appoggiata ad un
                palo, prima di essere pugnalata, Nadia allarga le braccia come un Cristo in croce
                - che mette fine al disordine e al conflitto che ha lacerato la famiglia Parondi.
                Eliminato l’oggetto del desiderio, gli equilibri si possono ricomporre e dare
                vita ad un nuovo ordine morale economico: al mondo ancestrale e rurale del
                Sud Italia, millenario nella sua degna povertà, si sostituisce un mondo urbano
                piccolo borghese pervaso da valori individualisti, incarnati da Ciro, il fratello
                che è riuscito ad adattarsi velocemente al nuovo contesto urbano, dimentican-
                dosi del suo dialetto e diventando operaio specializzato. A Visconti piaceva
                immaginarlo vero e proprio piccolo borghese in un seguito ideale del film 10.
                     Sembra non esserci spazio per gli eccessi della modernità e del passato
                ancestrale. Simone finisce in prigione, distaccato definitivamente dalla sua
                famiglia d’origine, mentre Rocco viene esiliato nel mondo, da lui odiato, della
                boxe, con le sue tournée internazionali, anche lui ormai allontanato dalla sua
                intenzione di ritornare felice nella sua terra natale. Sia Rocco che Simone
                diventano dei fantasmi, compiono il loro destino nell’assenza e nell’esilio, e la
                causa del loro “fallimento” è da ricercarsi certo nel loro amore impossibile per
                Nadia, ma anche nel funesto contatto con il mondo corrotto della boxe di cui
                Nadia è per certi versi una seducente emanazione.
                     Se negli esempi di commedia all’italiana che abbiamo analizzato, nella
                messinscena del corpo dell’attore boxeur, abbiamo sottolineato la volontà
                di procedere ad una deformazione grottesca del corpo dell’atleta, nel film di
                Visconti, i corpi di Rocco e Simone, interpretati rispettivamente da Renato
                Salvatori e Alain Delon, sono al contrario quasi sublimati nella loro bellezza,
                bagnati spesso in un chiaro scuro quasi caravaggesco 11, mantenendo tuttavia
                tutta la loro sensualità e desiderabilità.

                10    A questo proposito si veda quanto dice Luchino Visconti a Guido Aristarco, « Ciro e i suoi
                      fratelli », Cinema Nuovo, n° 147, settembre-ottobre 1960, p. 404.
                11    Si veda, per esempio, la scena della doccia di Simone e Rocco in palestra, quando Morini si
                      avvicina turbato dalla nudità dei due ragazzi e propone a Simone di cominciare ad allenarsi
                      per lui.

                                                               184

Italies_23.indd 184                                                                                            04/11/2019 15:05:41
La nobile arte: il pugilato nel cinema italiano dal dopoguerra all’inizio degli anni 60

                      Il mondo della boxe, in Rocco e i suoi fratelli, si configura così come lo spazio
                  del desiderio infinito, sessuale ed economico, della corruzione e delle passioni
                  distruttrici.

                  Conclusione
                  Se nella cinematografia americana di stampo popolare, la boxe diventa spesso
                  una metafora della vita, un modo per riscattarsi socialmente e moralmente,
                  attraverso una straordinaria forza di volontà, fino a raggiungere, nonostante
                  gli ostacoli e le difficoltà, « il sogno americano » - l’esempio più celeberrimo
                  è quello del Rocky (1976), scritto e interpretato da Sylvester Stallone - nella
                  cinematografia italiana “la nobile arte” sembra l’appannaggio di patetici o
                  tragici perdenti. Ciò sembra particolarmente vero quando si dà uno sguardo,
                  come abbiamo fatto, alla produzione cinematografa italiana che va dal secondo
                  dopoguerra fino all’inizio degli anni 60. Nella commedia all’italiana, il mondo
                  della boxe è popolato da personaggi deformati grottescamente, inadeguati, i
                  cui desideri e ambizioni sono al di sopra delle loro capacità e possibilità. In
                  Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, invece, il mondo della boxe è decli-
                  nato secondo una modalità tragica: corruzione, promiscuità sessuale, sogni di
                  gloria, ascesa e caduta di personaggi che, per quanto umili, contengono in sé la
                  grandezza, in chiave moderna, degli eroi della tragedia greca.

                                                                185

Italies_23.indd 185                                                                                              04/11/2019 15:05:41
Puoi anche leggere