La politica estera degli Usa, la visione "reaganiana" di Mitt Romney

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Davide Borsani                                                               No. 117 – JUNE 2012

La politica estera degli Usa,
la visione “reaganiana” di Mitt Romney                                       Abstract
                                                                             Most of the US public opinion
                                                                             generally remembers the 80s as a
                                                                             successful decade, characterized
                                                                             by a great economic recovery and
                                                                             the victory in the Cold War at the
                                                                             expense of the Soviet Union.
                                                                             Those years came after the uncer-
                                                                             tain 70s, when the American
Il ritiro in aprile di Rick Santorum dalla corsa alla nomination re-         weakness was particularly visible.
pubblicana ha sancito di fatto che sarà Mitt Romney, ex governatore          Many authors use to describe the
del Massachusetts, il candidato del Grand Old Party che sfiderà              then-President, Ronald Reagan, as
Barack Obama alle elezioni presidenziali americane del prossimo              the leading “actor” of that patriotic
novembre. Nelle previsioni la campagna elettorale sarà centrata in           renaissance. More than thirty
prevalenza sulle questioni interne. La disoccupazione, le tasse, il          years on, the ghost of the US de-
debito federale e il big (o small) government saranno i temi domi-           cline is back. Mitt Romney, the
nanti. Salvo clamorose novità, la politica estera resterà sullo sfondo       Grand Old Party candidate for the
rispetto al “nation building at home”. Obama lo ha emblematicamen-           presidential election to be held in
                                                                             November 2012, declared one of
te annunciato in Afghanistan il 2 maggio 2012, primo anniversario
                                                                             his main goals is to reverse this
dell’uccisione di Osama Bin Laden: dopo «una decade di conflitti             widespread perception. What is
all’estero e di crisi economica interna, è tempo di rinnovare l’America      his perspective of the world poli-
– un’America dove i nostri bambini vivano liberi dalla paura e abbia-        tics? And, should he won the elec-
no le capacità di seguire i propri sogni»1. Eppure gli Stati Uniti ri-       tion, how would he act on the
mangono, e rimarranno, una potenza globale con responsabilità e              international stage to defend the
impegni mondiali. La ricerca del consenso short term e le scadenze           US and Western interests around
elettorali non sono perciò sufficienti a eclissare le priorità internazio-   the globe? The article addresses
nali del presidente che governerà dal 2013 al 2017.                          these issues, focusing on the
                                                                             suggested historical parallelism
Nel corso del suo mandato, Obama ha già avuto ampiamente modo                between Jimmy Carter and Barack
di chiarire all’opinione pubblica le linee guida che animano la sua          Obama, and – as a consequence –
visione del mondo. Al contrario, le primarie repubblicane hanno con-         between Reagan and Romney
cesso un limitato spazio ai candidati per comunicare quale politica          himself.
estera intenderebbero perseguire nel caso si insediassero alla Casa
Bianca. Romney è stato il solo a dedicarvi un’ulteriore attenzione.
Già nel 2010 pubblicava il volume (dal significativo titolo): No Apo-
logy: The Case for American Greatness. Il 6 ottobre 2011 annuncia-
va la formazione del Foreign Policy and National Security Advisory           Davide Borsani, Ispi Research Trainee
Team, una sorta di Consiglio ombra per la Sicurezza nazionale: tra           and PhD candidate at the Catholic
gli Special Advisor, Eliot A. Cohen – consigliere del precedente se-         University of Milan.
gretario di stato, Condoleezza Rice –, Michael Hayden – direttore
della Cia tra il 2006 e il 2009 –, e Robert Kagan – celebre politologo
americano. Il giorno dopo, il 7 ottobre, veniva diffuso il “libro bianco”
An American Century: A Strategy to Secure America’s Enduring
Interests and Ideals.

                                                                             (*) The opinions expressed herein
                                                                             are strictly personal and do not
                                                                             necessarily reflect the position of
1                                                                            ISPI.
    B. OBAMA, Transition in Afghanistan, Kabul, 2 maggio 2012.
2                                                                                                    ISPI - Analysis

La retorica e il declino
Per una comprensione della visione del mondo di Romney, è opportuno analizzare il pensiero di Kagan,
ovvero l’influente e «importante studioso di politica estera e militare»2 (così definito dallo stesso Rom-
ney). Di recente anche Obama ha dichiarato di averne particolarmente apprezzato gli ultimi lavori3;
tuttavia, difficilmente questi potrebbero essere identificati come apologia dell’attuale amministrazione.
La “dottrina Obama”, esplicitata al Cairo nel giugno 2009, vedeva nella retorica del “nuovo inizio”
un’apertura al multilateralismo, che la precedente presidenza di George W. Bush aveva spesso sottova-
lutato e, talvolta, accuratamente evitato. La visione multipolare del mondo veniva progressivamente
dimostrata dal riconoscimento di pari dignità strategico-diplomatica alla Cina con la creazione del G2 e,
successivamente, alla Russia con la firma del New START. Nell’area del Medio Oriente e del Nord Afri-
ca, Washington cercava di ritagliarsi un ruolo diplomatico di honest broker equidistante da palestinesi e
israeliani, distendeva inizialmente la mano all’Iran (per poi trovare in risposta un “pugno chiuso”) am-
mettendo gli errori compiuti nel contesto musulmano da Bush jr. e, durante il “Risveglio Arabo”, privile-
giava una leadership from behind che – consideratone il trascorso nella regione – evitava agli Usa una
scomoda vetrina. Il celere ritiro delle truppe dall’Iraq e la deadline fissata unilateralmente per quello
dell’Afghanistan (2014) dimostravano un reluctant sheriff ansioso di “riportare i ragazzi a casa”.
Un’America che sembrava dunque rivalutare il proprio ruolo internazionale di guida in una logica di ridi-
mensionamento. D’altro canto, al vertice Nato di Strasburgo-Kehl dell’aprile 2009, Obama aveva chiari-
to che l’eccezionalismo americano per gli americani non era poi così diverso dall’eccezionalismo greco
secondo i greci e da quello britannico per i britannici4. Gli Usa si allontanavano così dai tratti universali-
stici della retorica del manifest destiny per privilegiare dichiarazioni ben più concilianti. Per Romney, era
il «tour di scuse di Obama», utile solo a far capire che «l’avversione verso l’America è qualcosa che [il
presidente] comprende e che è, almeno in parte, comprensibile»5.
Anche Kagan rifiuta la “dottrina Obama”, definita da Cohen «ingannevole e […] pericolosa»6. Ne intra-
vede, anzi, la legittimazione della teoria declinista per cui gli Stati Uniti sono inesorabilmente «entrati in
una fase di crisi, nella quale la delicata situazione finanziaria sul piano interno» comporta «un ridimen-
sionamento della loro posizione economica sul piano globale»7 e un downsizing sia della politica estera
sia del positioning strategico. Benché possa trasformarsi in una profezia auto-adempiente, secondo
Kagan8 l’idea del declino degli Stati Uniti è – allo stato delle cose – infondata: in diplomazia l’America
partirebbe ancora da una posizione di forza. La tesi è dimostrata sulla base di tre indicatori: la dimen-
sione e l’influenza relative dell’economia; la potenza militare comparata; il grado di influenza politica nel
sistema internazionale. Nonostante la recente recessione e l’alto debito pubblico, la posizione america-
na nel mondo sarebbe rimasta immutata: gli Stati Uniti producono ancora un quarto del Pil globale (un
dato simile a quello di fine anni Sessanta), e la recente crescita di Cina e India non avrebbe intaccato la
leadership Usa, quanto la posizione dell’Europa e del Giappone. Dal punto di vista militare, l’egemonia
americana, secondo Kagan, rimarrebbe incontrastata: il livello tecnologico degli armamenti e le sea
power capabilities resterebbero dominanti in termini sia relativi che assoluti. Nemmeno la capacità poli-
tica di influenzare il mondo sarebbe mutata drasticamente: le difficoltà che riscontra Washington
nell’attuale sistema internazionale, se comparate su un piano storico, non sarebbero poi così differenti
rispetto a quelle dell’era della guerra fredda. D’altronde, Kagan ritiene che gli Stati Uniti (e l’opinione

2
  M. ROMNEY, No Apology: the Case for American Greatness, New York, St. Martin Press, 2010, p. 29 [formato ePub].
3
  J. ROGIN, Obama embraces Romney advisor's theory on 'The Myth of American Decline', in «Foreign Policy», 26
gennaio 2012.
4
  Full text of Barack Obama news conference, in «Los Angeles Times», 4 aprile 2009.
5
  M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 25.
6
  E. COHEN, Foreword, in An American Century. A Strategy to Secure America’s Enduring Interests and Ideals, A Rom-
ney for President White Paper, 7 ottobre 2011, p. 2, http://www.mittromney.com/sites/default/files/shared/AnAmerican
Century-WhitePaper_0.pdf.
7
  A. CARATI, Gli Stati Uniti e i confini dell’eccezionalismo: il dibattito americano sul declino americano, in ISPI Studies, Il
declino americano: inevitabile destino o falsa profezia?, gennaio 2012
8
  R. KAGAN, The World America Made, Random House, New York, 2012, p. 73ss. [formato ePub].
ISPI - Analysis                                                                                             3

pubblica) non dovrebbero ritenersi «onnipotenti», paragonando l’incerto presente a un «mitico passato
di schiacciante dominio»9, che non sarebbe mai esistito.
Kagan riscontra inoltre una peculiare simmetria tra l’odierna tesi declinista e quella di fine anni Settan-
ta10, consequenziale al dissesto interno derivante dalla politica economica della Great Society di
Lyndon Johnson, dall’impegno in Vietnam, dall’inflazione post crisi petrolifera del 1973 e dalla debolez-
za mostrata nel Terzo Mondo. Molti storici, sulla cui scia si innesta Kagan, reputano che la parabola
declinante degli Stati Uniti fu invertita negli anni Ottanta dall’audace politica economica di Ronald Rea-
gan, accompagnata a sua volta da una politica estera assertiva, la quale causò – contemporaneamente
ad altri fenomeni – la caduta dell’Unione Sovietica. Nei suoi lavori Romney cavalca questo parallelismo,
e rilancia: Obama come Jimmy Carter11. Certamente Carter non ha lasciato un ricordo positivo
nell’immaginario americano. Un presidente che acuì «l’impressione che Washington fosse ovunque
sulla difensiva»12, debole nel rispondere alle sfide lanciate dall’Urss e oltremodo maldestro in Iran. Per
policy e retorica, Obama – sulla scia di Carter – rappresenterebbe un «distacco dal passato […] una
rottura con alcuni degli assunti chiave che hanno sostenuto per sei decadi la politica estera america-
na»13. Secondo le accuse di Romney, Obama – come Carter – «trascende l’America invece di difender-
la», insegue invece che guidare il mondo, aspira al compromesso invece che «confrontarsi con i nostri
avversari».
Oggi, come allora, il declino sembrerebbe quindi «una scelta. Più che una scelta, una tentazione. Come
resistergli?»14. Come allora, la risposta per Kagan è una: «ci sono sporadicamente “critiche elezioni” che
consentono alle trasformazioni di verificarsi, fornendo nuove soluzioni politiche a vecchi e apparentemen-
te insolubili problemi»15. Il prerequisito che individua è il rinnovamento del tessuto economico del paese:
esso costituirebbe la chiave di volta per continuare a sostenere l’egemonia americana. I pilastri interni per
il mantenimento di una posizione predominante nel mondo riguarderebbero la riduzione del deficit e del
debito pubblico (pur rinunciando a tagliare la spesa militare), e il sostegno alla competitività tra imprese
(allentandone la tassazione). Insomma, una politica economica ricalcante per molti versi la Reaganomics,
fin qui presa a modello da Romney, e agli antipodi invece della Obamanomics, caratterizzata
dall’intervento dello stato16. Per i consiglieri vicini a Romney, come Cohen, quindi, «la scelta americana
non è […] se [gli Usa] debbano guidare [il mondo]: è come guidarlo in modo saggio […] senza ambigui-
tà», sottraendosi alle «posizioni di debolezza» accettate da Obama e «realizzando che a volte niente è
più importante tanto quanto una risoluta retorica»17.
Nel marzo 2012, Romney e il Foreign Policy and National Security Advisory Team contestavano ancora
una volta, ma in modo assai più aspro, la debolezza diplomatica di Obama. L’occasione si presentava a
margine del Nuclear Security Summit di Seul, quando Obama richiedeva al presidente russo uscente,
Dmitri Medvedev, un allentamento della pressione del Cremlino sullo scudo missilistico fino all’indomani
delle elezioni americane; una volta rieletto, «avrò più flessibilità»18. I consiglieri speciali di Romney in-
viavano quindi una lettera polemica al presidente domandando: «flessibilità di fare cosa? […] Troppo
spesso gli Stati Uniti sotto la sua leadership si sono dimostrati incostanti e deboli», e «un nuovo periodo
di ulteriore debolezza e incostanza si prospetterebbe se lei fosse rieletto»19. Di riflesso, Romney de-
nunciava ancora una volta sulle pagine di «Foreign Policy» una «triste riproposizione dell’incompetenza

9
  Ibidem, p. 86.
10
   Ibidem, p. 83 ss.
11
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 25.
12
   J.L. GADDIS, La Guerra Fredda, Milano, Mondadori, 2007, p. 226.
13
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 25.
14
   C. KRAUTHAMMER, Decline is a choice, in «The Weekly Standard», 19 ottobre 2009.
15
   R. KAGAN, The World…, cit., p. 93.
16
   S. MOORE, Obamanomics vs. Reaganomics, in «The Wall Street Journal», 26 agosto 2011.
17
   E. COHEN, Foreword…, cit.
18
   D. ROVEDA, Usa e Cina avvertono Pyongyang, in «Il Sole 24 Ore», 27 marzo 2012
19
   R. COSTA, Romney Advisers Send an Open Letter to Obama, Demand “Candor” on Foreign Policy, in «National Re-
view», 27 marzo 2012.
4                                                                                                  ISPI - Analysis

di Jimmy Carter in un momento in cui gli Stati Uniti necessitano della forza e del coraggio di Ronald
Reagan»20. Per il candidato repubblicano e il suo staff era dunque l’ennesima prova che Obama «ritie-
ne suo compito gestire il declino, accompagnando disinvoltamente la transizione [degli Usa] verso uno
status di post-superpotenza, aiutando gli americani a comprendere [tale necessità] e preparandoli alle
nuove circostanze».
Ma «io respingo l’idea che l’America debba essere in declino. Io credo nell’eccezionalismo
dell’America», sostiene Romney, «io sono uno di quelli che credono che l’America sia destinata a rima-
nere ciò che è sempre stata sin dalla nascita della Repubblica – la migliore speranza del mondo. E per
questa convinzione, io non mi scuso»21.

I rivali e i nemici
Quali sono, e come sono percepite, le minacce esterne che secondo Romney potrebbero erodere la
posizione egemonica degli Stati Uniti? Le priorità indicate dal candidato repubblicano sono tre: contene-
re l’ascesa mondiale della Cina; evitare che la Russia torni al rango di potenza globale; debellare
l’estremismo islamico.
Secondo il candidato repubblicano, la strategia cinese è «contraddittoria»: come l’Occidente, Pechino si
fonda sulla «libera impresa» ma, diversamente da questo, governa il suo popolo in modo «autorita-
rio»22. Da una parte, il Dragone – come la Russia – «potrebbe contribuire significativamente alla costru-
zione di un sistema internazionale sano»; dall’altra, la sua natura autoritaria «mina la sicurezza interna-
zionale»23. L’approccio di Romney appare conflittuale24. La principale chiave per contenere la Cina è
rendere il suo «percorso verso l’egemonia regionale molto più costoso rispetto a […] diventare un par-
tner responsabile»25. Il candidato repubblicano ritiene che il potenziamento militare nell’area del Pacifi-
co, una via inaugurata da Obama, sia un requisito essenziale per arginare l’espansione della sfera
d’influenza di Pechino; nella stessa ottica, è necessario approfondire la cooperazione bilaterale con
paesi come l’India e l’Indonesia. Romney vuole poi riportare la questione dei diritti umani al tavolo dei
negoziati: un sostegno che si esprime retoricamente nel non relegare «il futuro della libertà al secondo
o terzo posto, come ha fatto il segretario di stato [Hillary] Clinton»26, e pragmaticamente con un soste-
gno ai gruppi di dissidenti attraverso una Internet freedom initiative che incrementi prima l’esposizione
dei cinesi alla cultura occidentale e poi, di conseguenza, la loro domanda di «libertà e genuine riforme
democratiche»27. Il confronto maggiore tra Washington e Pechino riguarderebbe la dimensione com-
merciale, che ora «reca vantaggi a loro e danneggia noi»28. La trade policy partirebbe da un assunto: «il
processo per la risoluzione delle controversie all’Organizzazione Mondiale del Commercio è risultato
singolarmente indifferente verso gli interessi americani»29. È necessario, quindi, «andare oltre
l’Organizzazione Mondiale del Commercio»30, serve un «accordo multilaterale tra nazioni simili» per

20
   M. ROMNEY, Bowing the Kremlin, in «Foreign Policy», 27 marzo 2012.
21
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 34.
22
   Ibidem, p. 14.
23
   E. COHEN, Foreword…, cit., p. 5.
24
   I cinesi «sono dei manipolatori di valuta. […] Stanno rubando la nostra proprietà intellettuale, violando i nostri compu-
ter, abbassando artificialmente i prezzi e uccidendo i posti di lavoro americani. Non ci possiamo rilassare e lasciare che
la Cina ci travolga. La gente dice, “così scatenerai una guerra commerciale”. Ce n’è già una in corso, ragazzi». Republi-
can Presidential Primary Debate on National Security and Foreign Policy, South Carolina, 12 novembre 2011,
http://www.cfr.org/united-states/republican-debate-transcript-south-carolina-november-2011/p26540
25
   An American Century. A Strategy to Secure America’s Enduring Interests and Ideals, A Romney for President White
Paper, 7 ottobre 2011, p. 18, http://www.mittromney.com/sites/default/files/shared/AnAmericanCenturyWhitePaper_0.pdf.
26
   Ibidem, p. 30.
27
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 15.
28
    Believe in America. Mitt Romney’s Plan for Jobs and Economic Growth, p. 10, http://www.mittromney.com/sites/
default/files/shared/BelieveInAmerica-PlanForJobsAndEconomicGrowth-Full.pdf.
29
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 119.
30
   Republican Presidential Primary..., cit.
ISPI - Analysis                                                                                                   5

«cambiare gioco»31. La Trans-Pacific Partnership – recentemente inaugurata da Obama – sarebbe solo
il primo passo in direzione di una Reagan Economic Zone, la quale dovrebbe racchiudere tutti i paesi
che già aderiscono pienamente ai principi e alle regole del libero mercato. L’area di libero scambio –
con rigorosi requisiti per farvi parte (per escludere Mosca e Pechino) – arrecherebbe ingenti vantaggi
economici ai partecipanti tali per cui funzionerebbe come un magnete globale, spingendo i paesi autori-
tari a entrarvi e, così, liberalizzare la loro vita politica, rendendoli infine partner responsabili nel sistema
internazionale. Nel breve-medio termine, essa dovrebbe scoraggiare le «sbilanciate relazioni commer-
ciali bilaterali tra la Cina e i suoi vicini» e «limitare le possibilità della Cina di effettuare pressioni su altri
paesi»32.
La recente entrata della Russia nella Omc potrebbe apportare ulteriori giustificazioni a questa policy. La
preoccupazione maggiore nei confronti del Cremlino, da parte di Romney, riguarda, tuttavia, la sicurez-
za regionale europea, un pilastro del sistema globale retto da Washington. La percezione americana, e
più propriamente repubblicana, è che sotto la guida di Vladimir Putin, Mosca stia gradualmente tornan-
do a esercitare un’aperta influenza sul Vecchio Continente impiegando le sue leve energetiche. Le chiare
ambizioni politiche troverebbero ulteriore riscontro tanto nell’ostilità diplomatica esercitata in sede multila-
terale quanto nella politica di ammodernamento dello strumento militare russo. Ciò rende la Russia «una
forza destabilizzante nel panorama mondiale. Deve essere moderata»33. Anzitutto, sarebbe necessario
differenziare l’approvvigionamento energetico europeo: Romney – come Obama – sostiene il progetto
Nabucco, alternativo al South Stream del consorzio italo-russo tra Eni e Gazprom, e vorrebbe incentivare
gli investimenti per l’estrazione dello shale gas, i cui giacimenti in Europa centro-orientale sembrano ab-
bondare. La prospettiva militare, però, è più complicata. Il repubblicano ritiene che il New START, ratifica-
to nel dicembre 2010 dal Senato americano, faccia pendere gli equilibri strategici tra Stati Uniti e Russia
verso quest’ultima, garantendole un eccessivo margine di manovra in termini strategici. Il trattato, emble-
ma della cosiddetta “politica del reset”, andrebbe dunque rivisto, e la soluzione verterebbe proprio sul
“resettare” il reset. La principale critica mossa da Romney riguarda il preambolo del trattato, che accon-
sentirebbe alle insistenze russe di un’interrelazione tra le armi offensive strategiche e la difesa missilistica,
mentre quest’ultima dovrebbe rimanere una priorità urgente34. Al vertice di Lisbona di novembre 2010, la
Nato ha annunciato su basi multilaterali il piano dello scudo missilistico, operativo entro il 2020, per la
copertura del territorio alleato. Pur sostenendo tale progetto, qualora il dispiegamento si rivelasse lento e
farraginoso Romney si riserva l’opzione di tornare all’idea di Bush jr., ovvero una difesa missilistica su
base bilaterale, cooptando la Polonia; anche perché se l’Iran dispiegasse missili intercontinentali prima
del 2020, gli Stati Uniti dovrebbero riservarsi «l’opzione di difendersi»35.
La terza grande preoccupazione di Romney è rappresentata da Tehran, e dal «jihadismo violento»36.
«Senza dubbio, i jihadisti […] condividono un comune fine universale: una violenta guerra santa
all’America e all’Occidente, la distruzione di Israele e degli ebrei, il ripossedimento di tutte le terre una
volta sotto il controllo dei musulmani, l’eliminazione dei leader infedeli negli stati islamici come in Gior-
dania, in Egitto e in Arabia Saudita, e infine la sconfitta di tutte le nazioni non musulmane» 37. Una stra-
tegia che si basa su «conquista e coercizione», formalmente adottata «da un solo paese – Iran», ma
che guida le intenzioni di molti «famigerati nomi»38, tra i quali Osama bin Laden (della cui morte Obama
merita credito), Ayman al-Zawahiri e il Mullah Omar. Certo, ci sono «cruciali differenze» tra gli islamisti
sciiti dell’Iran e quelli sunniti di Al-Qaeda, «come ce n’erano tra la Germania nazista e il Giappone impe-
riale», ma il fatto che «il jihadismo abbia due fonti ideologiche non diminuisce in alcun modo la minaccia

31
   Believe in America: Mitt Romney’s Plan…, cit., p. 10.
32
   An American Century…, cit., p. 19.
33
   Ibidem, p. 34.
34
   M. ROMNEY, Eight Problems with the New START, in «National Review», 26 luglio 2010.
35
   An American Century…, cit., p. 28.
36
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 87.
37
   Ibidem.
38
   Ibidem, p. 19.
6                                                                                               ISPI - Analysis

complessiva»39. Sempre secondo Romney, da un punto di vista diplomatico, in Medio Oriente Washin-
gton dovrebbe anzitutto (ri)adottare una posizione netta per riscattare l’amministrazione Obama, che
non ha «seriamente» compreso «le dinamiche della regione», indebolendo così «l’autorità statunitense
e infilando in un vicolo cieco sia noi che Israele»40. Il riallineamento a Tel Aviv sarebbe quindi la prima
policy da perseguire. Simbolicamente Romney ha già annunciato che sarà «Gerusalemme la destina-
zione del mio primo viaggio all’estero»41. Il pieno sostegno a Israele si spiega soprattutto in chiave anti-
iraniana. Per contrastare le ambizioni egemoniche e nucleari del «regime del male degli ayatollah»42,
un ulteriore passo – oltre le sanzioni economiche – consisterebbe nel rafforzare l’assistenza militare al
governo israeliano. Inoltre, Romney dispiegherebbe due portaerei Usa nell’area del Golfo Persico e del
Mediterraneo Orientale per accerchiare l’Iran e i suoi alleati. A monte, l’opzione militare di un intervento
preemptive sul suolo iraniano «deve rimanere sul tavolo – e questa minaccia deve essere credibile»43.
A prescindere dal ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e quindi unilateralmente, se ne-
cessario.

Verso il 2013, e oltre
Alle posizioni tenute in questi mesi da Romney in politica estera non sono mancate repliche sia da parte
di altri autorevoli studiosi esterni al suo entourage, sia da parte di esponenti e organi di stampa stranieri.
«Questo secolo deve essere un Secolo Americano»44, proclamava fieramente Romney il 7 ottobre in
South Carolina. L’autorevole Charles Kupchan gli rispondeva in febbraio sulle pagine di «Foreign Po-
licy» con un articolo emblematico: «Mi spiace, Mitt: non sarà un Secolo Americano»45, sostenendo la
tesi che «Obama ha intrapreso la corretta via», mentre «l’inflazionata retorica di Romney è tristemente
non al passo» con le problematiche di un mondo ormai multipolare: l’eccezionalismo americano «non
dovrebbe essere usato come una scusa per nascondersi dalle realtà globali». Anche la visione conflit-
tuale adottata nei confronti di Pechino non ha mancato di suscitare immediate polemiche. Il quotidiano
del Partito Comunista Cinese, «Global Times», rispondeva a Romney nel marzo 2012, rimproverandolo
per la vacuità delle sue dichiarazioni: «nessuno pensa seriamente che un candidato attuerebbe davvero
policy così rigide […] le dure parole di Romney verso la Cina appaiono assai deboli». Al massimo, con-
tinuava, «gli Stati Uniti possono concentrarsi sul limitare i danni che la crescita cinese avrà sugli inte-
ressi americani, e sfruttare le opportunità create dallo sviluppo della Cina»46. Contemporaneamente,
anche Medvedev replicava che le affermazioni di Romney «sanno di Hollywood», e gli consigliava di
«usare la sua testa»47.
Ulteriori dubbi riguardano il parallelismo storico tra Carter e Obama: è davvero appetibile per l’opinione
pubblica americana? A ben guardare, il principale benchmark che nell’immaginario differenzia le due
presidenze riguarda proprio la politica estera; Carter fallì clamorosamente in Iran, mentre Obama ha
raccolto il più grande successo del suo mandato liberandosi del nemico numero uno dell’America: Bin
Laden. Il tentativo di Romney di proporsi come un “nuovo” Reagan è d’altronde chiaro. Tanto in econo-
mia quanto in politica estera, in questa fase le sue policy e soprattutto la retorica sembrano proporre
all’immaginario americano una simbiosi tra il passato e il presente, tra la fine degli anni Settanta e il XXI
secolo, tra la prospettiva del declino “democratico” e il rilancio patriottico “repubblicano”. È senz’altro
una prospettiva suggestiva. Ma, come per l’accostamento tra Obama e Carter, spesso appare un tenta-
tivo alquanto approssimativo. La Cina e la Russia, nonostante tutto, non rappresentano una minaccia
per gli Usa e l’Occidente come lo era l’Unione Sovietica durante gli anni finali della “grande distensio-

39
   Ibidem, p. 70.
40
   An American Century…, cit., p. 21.
41
   M. ROMNEY, How I would check Iran’s nuclear ambition, in «The Washington Post», 5 marzo 2012.
42
   Ibidem.
43
   M. ROMNEY, Iran: Biggest Threat Since Soviets, in «Human Events», 22 ottobre 2009.
44
   Text of Mitt Romney’s Speech on Foreign Policy at The Citadel, in «The Wall Street Journal», 7 ottobre 2011.
45
   C. KUPCHAN, Sorry, Mitt: It Won’t Be an American Century, in «Foreign Policy», 6 febbraio 2012.
46
   H. XIJIN, Hollow Threats, in «Foreign Policy», 21 marzo 2012.
47
   Medvedev blasts Romney for “number-one foe” remark, in BBC, 27 marzo 2012.
ISPI - Analysis                                                                                                 7

ne”. E il clima che si è generato tra Pechino e Washington non è            La ricerca ISPI analizza le
inseribile in una logica conflittuale bipolare simile a quella della        dinamiche politiche, strategi-
guerra fredda; benché appaia necessario che gli Stati Uniti non             che ed economiche del siste-
rinuncino a “tough policies” per difendere a livello globale i propri       ma internazionale con il du-
interessi (e quelli occidentali), la relazione sino-americana dovreb-       plice obiettivo di informare e
be richiedere un dialogo profondamente cooperativo che allontani            di orientare le scelte di policy.
la prospettiva di uno scontro frontale e di una corsa agli armamenti,       I risultati della ricerca vengo-
da cui Washington non ricaverebbe una sostanziale utilità margina-          no divulgati attraverso pub-
le data la sua indiscussa superiorità. La percezione manichea di            blicazioni ed eventi, focalizza-
Romney, che spesso sembra ricalcare quella di George W. Bush, è             ti su tematiche di particolare
confermata dall’approccio relativamente semplicistico alla minaccia         interesse per l’Italia e le sue
del fondamentalismo islamico. Affermare che «noi [gli Usa] siamo            relazioni internazionali e arti-
in guerra con un grande nemico»48, sia esso indifferentemente               colati in:
l’Iran o Al Qaeda, sembra trascurare le complessità di una regione,            Programma Africa
quella mediorientale, che proprio in questo momento sta attraver-              Programma Caucaso e
sando un importante periodo di mutamento. Washington pare quin-                 Asia Centrale
di anzitutto chiamata a ricalibrare la propria strategia e i propri            Programma Europa
strumenti diplomatici, piuttosto che perseguire una chiave di lettura          Programma Mediterraneo
monodimensionale, la quale rischierebbe di alienare ulteriormente               e Medio Oriente
                                                                               Programma Russia e
gli interessi americani dal Mediterraneo allargato. Tuttavia, è ne-
                                                                                Vicini Orientali
cessario tenere ben presente che la campagna elettorale prevede                Programma Sicurezza e
tendenzialmente una polarizzazione delle dichiarazioni e delle idee             Studi Strategici
dei candidati: se Romney si insediasse alla Casa Bianca, una sua
moderazione sarebbe ampiamente preventivabile. Da sottolineare,                Progetto Argentina
infine, che un sondaggio congiunto «Washington Post»-«ABC» ha                  Progetto Asia Meridionale
                                                                               Progetto Cina e Asia
recentemente rilevato che la politica estera è uno dei campi
                                                                                Orientale
d’azione in cui la fiducia dell’elettorato verso Obama risulta netta-          Progetto Diritti Umani
mente superiore rispetto a quella verso Romney49.                              Progetto Disarmo
Per gli Stati Uniti e per i suoi alleati, il futuro presidente sarà chia-      Progetto Internazionaliz-
                                                                                zazione della Pubblica
mato a invertire la percezione di un’America in declino. È senz’altro
                                                                                Amministrazione
vero – come ricorda Kagan – che Washington ha più volte mostrato
in passato «una maggiore capacità di adattarsi e di riprendersi dalle       Le pubblicazioni online
difficoltà rispetto a molte altre nazioni, inclusi i suoi competitor geo-   dell’ISPI sono realizzate
politici»50. Ma chiunque si insedierà alla Casa Bianca nel gennaio          anche grazie al sostegno
2013 dovrà affrontare una sfida rimasta finora senza risposte con-          della Fondazione Cariplo.
vincenti. In un XXI secolo che si sta dimostrando sempre meno               ISPI
occidentale, la leadership degli Stati Uniti deve ancora una volta          Palazzo Clerici
andare oltre la retorica, e quindi dimostrare con i fatti che «chiun-       Via Clerici, 5
que affermi che l’America è in declino e che la nostra influenza è in       I - 20121 Milano
diminuzione, non sa di che cosa sta parlando»51.                            www.ispionline.it
                                                                            © ISPI 2012

48
   M. ROMNEY, No Apology…, cit., p. 87.
49
   S. CLEMENT, Poll: Romney weaker than Obama on foreign policy, in «The Washington Post», 4 novembre 2012.
50
   R. KAGAN, The World…, cit., p. 92.
51
   B. OBAMA, State of the Union Address, Washington, 24 gennaio 2012
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