"Binario morto", quattro anime al bivio

Pagina creata da Letizia Mancuso
 
CONTINUA A LEGGERE
“Binario   morto”,                           quattro
anime al bivio
di Gemma Criscuoli

“Vivere nei ritagli della vita degli altri” è davvero
frustrante, ma nulla pesa quanto capire che non si sfugge mai
alle proprie responsabilità. Riflessione sugli scherzi del
destino (o comunque si voglia chiamare l’anagramma della
vita), “Binario morto” di Lello Guida resterà in cartellone
presso il Piccolo Teatro Porta Catena fino al 17 ottobre.
Franco Alfano, che cura la scenografia con Aldo Arrigo, dirige
con Elena Scardino lo spettacolo su musiche originali di
Gabriele Guida. La locandina è a cura di Bruno Brindisi.
Desideri repressi, e proprio per questo inaggirabili,
accomunano i quattro protagonisti, costretti ad attendere
l’alba in un treno che si trova sul binario a cui rimanda il
titolo. Damiano, tratteggiato da Ciro Girardi con ironia, ma
anche con dolente dignità, è un professore omosessuale che non
sopporta l’ipocrita perbenismo del preside né la difficoltà di
vivere un amore. Cosimo (nel cui ruolo Giacomo D’agostino è
estremamente attento alla naturalezza e alla verosimiglianza),
un ipocondriaco sempre pronto a rintracciare in rete tutte le
informazioni su ogni genere di malanno, è legato al ricordo di
una sconosciuta che lo ha stregato. Salvatore, a cui Antonio
Grimaldi si consacra interamente, forte della sua costante
attenzione a quel che vibra nella parte più profonda del sé,
medita il suicidio dopo la morte della moglie. La donna “fuori
di chiave” con cui le figure in scena devono fare i conti (una
magnetica e appassionata Gabriella Landi) crede di essere la
Madonna e di avere una missione vitale: soccorrere i
peccatori, portandosi dietro bottiglie che contengono un’acqua
miracolosa. Il merito del testo di Guida consiste nella
complessità dei personaggi. Damiano, nel suo eccedere la
norma, porta alla luce la violenza di un contesto sociale (il
ricordo dell’uomo che lo picchia per la sua diversità), ma al
tempo stesso si adegua al cupo egoismo che lo circonda:
confessa infatti di non aver soccorso l’auto che ha mandato,
tre mesi prima, fuori strada. Cosimo non sa venire a patti con
le sue debolezze, che però gli danno occasione di atteggiarsi
a giudice. L’ossessione di Salvatore capovolge ogni tentazione
di romanticismo in una furia distruttiva che lo spinge a
ferire a morte Damiano. La stessa Vergine, madre degli istinti
prima che delle anime, si compiace del potere di colpire che
il suo ruolo le da’. Essere ostaggio delle proprie pulsioni
condanna a essere soli, ma non distanti: la donna morta per
colpa del docente è la moglie dell’aspirante suicida e il
sogno irrealizzato di Cosimo. Il redde rationem, simboleggiato
dall’immobilita’ del treno, rivela la sacralità impura della
vita, dove i frammenti delle esistenze si ricompongono in un
mosaico che suscita empatia nello spettatore: da qui la scelta
di un’interpretazione quasi sempre diretta verso il pubblico,
che a sua volta si trova su quel binario più spesso di quanto
pensi. Non è un caso che l’acqua della morte e quella della
resurrezione, offerte dalla donna, siano indistinguibili: vita
e nulla sono davvero la stessa cosa, quando non esiste altra
legge che il desiderio. Dissoluzione e rinascita si insinuano
con la stessa lentezza (l’ingresso di Salvatore e l’uscita
della donna), per poi confondersi inesorabilmente. Il finale è
dunque liberatorio non meno che tragico. Non è tanto
l’espiazione di una colpa quella che prende a mano a mano
corpo, ma un monito (laico e spirituale, terreno e
trascendente) a portare, cristologicamente, il peso della
fragilità.
Artkeys Prize: premiati i
vincitori   della    terza
edizione
Grande successo per la terza edizione dell’Artkeys Prize, il
premio internazionale di arte contemporanea organizzato
dall’Associazione Blow Up. Tra le mura del Castello Angioino
Aragonese di Agropoli, durante la serata evento di sabato 9
ottobre, sono stati assegnati i premi ai primi classificati di
ciascuna categoria in gara: pittura, scultura e installazione,
fotografia, illustrazione e graphic design, videoarte,
performance. Sei opere vincitrici tra le oltre 300 che hanno
partecipato alla selezione di quest’anno. A valutare le opere
una giuria composta da cinque esperti: Antonello Tolve,
ordinario di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia
Albertina di Torino, la curatrice Enrica Feltracco, il
Direttore Artistico della Scuola Internazionale di Comics-Sede
di Napoli, Lorenzo Ruggiero, l’artista e docente di fumetto
presso lo IED, Grazia La Padula, ed il critico d’arte Roberto
Sottile. La serata è stata una vera e propria celebrazione
dell’arte: dopo l’inaugurazione della mostra dedicata alle
opere finaliste, si sono esibiti performer artist che hanno
ammaliato, stupito ed affascinato il pubblico. Tra di loro
anche Maurizio Pleuteri che con la sua opera “Bewood” si è
aggiudicato il primo premio della categoria performance
ricordando l’importanza di prendersi cura e preservare il
pianeta. Premiata nella stessa categoria anche l’opera
portoghese “Coin Operated” degli artisti Jonas&Lander che
potranno vivere l’esperienza della Residenza d’Artista.
Saranno infatti ospitati in uno dei comuni che ha scelto di
aprire le proprie porte all’arte contemporanea, come Agropoli,
Pollica, Laureana Cilento, Capaccio Paestum e Cetara.
Un’occasione per il Cilento (e non solo) di ospitare sul
proprio territorio grandi artisti, ma anche un’opportunità per
gli artisti di scoprire un territorio ricco di idee e fonte di
creatività. Le Residenze d’Artista sono un’iniziativa che
caratterizza Artkeys Prize, il premio, infatti, nasce con
l’obiettivo di promuovere non solo la cultura, ma anche il
Cilento. Inoltre, le Residenze d’Artista fanno sì che il
premio non si esaurisca nella durata della mostra, bensì sia
attivo sul territorio durante tutto l’anno: un modo per far
diventare il Cilento un polo dell’arte contemporanea.
Residenza d’Artista anche per Oriana Majoli grazie all’opera
fotografica “Testae”; vincitore della categoria fotografia
Paolo Repetto con “Presenze”. Doppio premio anche nella
categoria scultura e installazione: primo premio all’opera
“Siamo solo multipli” di Elia Alunni Tullini e Residenza
d’Artista per Sara Zunino con “Hand luggage”. Primo premio
della categoria pittura a Pietro Cromo con “Organoid #4
Narcissus” e a Nilde Mastrosimone con “Come caramelle” nella
categoria videoarte, vittoria dell’inglese William Rochira
nella sezione illustrazione con “Faux 1976 Jamaican Calendar”.
Artkeys Prize non si conclude con la cerimonia di premiazione:
dall’11 al 17 ottobre si svolgerà la Residenza d’Artista di
Andrea Cerquiglini, vincitore lo scorso anno nella categoria
pittura. Cerquiglini, artista di Sabaudia, sarà ospitato ad
Agropoli che, in quei giorni, diverrà per lui non solo un
laboratorio, ma un luogo da cui trarre ispirazione per la
propria arte. Inoltre, fino al 17 ottobre, sarà possibile
visitare, presso il Castello Angioino Aragonese, la mostra
ospitante le 76 opere finaliste del premio di quest’anno.

Si      rialzano               i     sipari            del
Verdi, Pasolini, Delle Arti e
Giuffrè
di Monica De Santis

Da lunedì i teatri potranno finalmente riaprire al 100% della
capienza ed ecco che quasi tutte le strutture rimaste chiuse
dal 28 febbraio 2020, si preparano a presentare i loro
cartelloni e a riprendere le loro attività. Abbiamo detto
quasi tutte perchè in realtà alcune di queste, parliamo dei
piccoli teatri cittadini, lo scorso anno, ad ottobre tentarono
una riapertura al pubblico, anche se poi dopo meno di una
settimana furono chiusi nuovamente a causa dell’aumento dei
contagi. Oggi, che l’emergenza sanitaria sembra essere cosa
passata, ecco che anche i grandi teatri, pubblici e privati,
ci riprovano e sono pronti a presentare le loro stagioni
teatrali. E così mentre a Battipaglia al teatro Aldo Giffrè la
campagna abbonamenti è già iniziata ed il cartellone
presentato al pubblico. Il Teatro Verdi, il Pasolini e il
Delle Arti di Salerno presenteranno le loro stagioni
rispettivamente martedì e mercoledì prossimi. Bisognerà
attendere invece ancora tra i sette e i dieci giorni per la
presentazione del cartellone del Teatro Nuovo di via Valerio
Laspro, e lo stesso dovrebbe valere per il Teatro Ghirelli,
per il teatro comunale di Mercato San Severino, per il Teatro
Italia di Eboli, per il Teatro Charlot di Pellezzano e per il
teatro di Vallo della Lucania. Ma andiamo con ordine, come
abbiamo detto il Teatro Aldo Giuffre di Battipaglia diretto da
Vito Cesaro ha già presentato la sua stagione teatrale. Nove
in tutto gli spettacoli più quattro appuntamenti musicali. Il
via il 28 novembre con Francesco Branchetti e Annalena
Lombardi in “Non si sa come”, si prosegue il 5 dicembre con
“Elisabetta I” portata in scena da Madallena Rizzi. Il 19
dicembre tocca al padrone di casa Vito Cesaro che porterà in
scena “La zeza”. Quarto appuntamento il 23 gennaio con
Francesco Procopio, Maria Bolignano, Enzo Casertano e Giuseppe
Cantore che presentano “Non ci resta che… ridere”. Ed ancora
il 6 marzo tocca ad Alessia Fabiani e Antonio Ricchiuti
portare in scena “Lui e lei”. Si prosegue il 20 marzo con
Milena Vukotic e Salvatore Marino in “A spasso con
Daisy”. Penultimo appuntamento il 9 aprile con Marisa Laurito
e Charlie Cannon con “Nuie Simme d’o’ sud”. Chiudono la
rassegna l’otto maggio con “Re Lear” Luca Ferri e Luca
Marchioro. Per quanto concerne invece i quattro appuntamenti
musicali del Giuffrè di Battipaglia, il primo è in programma
il 6 novembre con “Vivaldi e le 4 stagioni” voce recitante di
Amedeo Colella, il secondo è in programma il 20 novembre e
vede come protagonista Armando Rizzo. Terzo appuntamento con
Francesca De Filippis in programma per l’11 dicembre, ultimo
appuntamento il 23 dicembre con il concerto Hoffmann quartet.
Top secret ancora la stagione del Teatro Delle Arti
di Salerno, diretto da Claudio Tortora. Si sa solo che la
stagione prenderà il via il 20 novembre e si concluderà il 27
marzo 2022 e che è già in corso il rinnovo degli abbonamenti
per i vecchi clienti. Mentre da mercoledì, giorno in cui sarà
presentata ufficialmente la stagione partirà la campagna di
abbonamento anche per i nuovi clienti. Per quanto riguarda
il Verdi e il Pasolini, la presentazione ufficiale dei
cartelloni, si avrà martedì mattina alle ore 10,30 a Palazzo
di Città alla presenza del sindaco, del presidente del Teatro
Pubblico Campano Francesco Somma e del direttore Alfredo
Balsano. Diei dovrebbero essere gli spettacoli inseriti nella
stagione del Massimo cittadino, di questi tre dovrebbero
essere quelli che non sono andati in scena nel 2020 a causa
del primo lockdown. Nello specifico si tratta di “Mine
vaganti” di Ferzan Özpetek, con Giorgio Marchesi, Francesco
Pannofino, Arturo Muselli e Paola Minaccioni. Il secondo
spettacolo sospeso nel 2020 e che dovrebbe essere recuperato
in questa stagione è “Fronte del porto”, uno spettacolo della
durata di due ore e dieci minuti, con protagonista Daniele
Russo per la regia di Alessandro Gassmann. Ed infine il terzo
spettacolo che chiudeva la stagione del 2020 e che quindi
dovrebbe essere recuperato è quello che vede Vinicio Marchioni
come regista e interpreta con Massimo De Santis de “I soliti
ignoti”, la prima versione teatrale del mitico film di
Monicelli, uscito nel 1958 e diventato con il tempo un
classico imperdibile della cinematografia italiana e non solo.
Tra gli altri spettacoli inseriti nel cartellone potrebbe
esserci “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello con
protagonista Gabriele Lavia, già in programmazione al Teatro
Diana di Napoli, come potrebbe essersi anche Vincenzo Salemme
con “Napoletano? E famm na pizza”. Ma per averne la certezza e
soprattutto per scoprire l’intero cartellone non solo del
Verdi, ma anche del Pasolini, bisognerà attendere fino a
martedì

Il Medioevo novecentesco di
Francesca da Rimini
Questa mattina alle ore 11 appuntamento nell’auditorium di
Villa Rufolo a Ravello, con una riflessione sull’opera di
Riccardo Zandonai di Eduardo Savarese, quale ulteriore omaggio
della Fondazione a Dante Alighieri

di Olga Chieffi

Continuano i tributi alla figura di Dante Alighieri, nell’anno
celebrativo dei 700 anni dalla morte, da parte della
Fondazione Ravello. Dopo “Lumina in tenebris” di e con Elena
Bucci e Chiara Muti, che ha impreziosito il cartellone della
LXIX edizione del Festival, questa mattina, alle 11.00,
nell’Auditorium di Villa Rufolo sarà Eduardo Savarese,
magistrato e scrittore napoletano appassionato cultore di
musica classica e teatro lirico, ad accompagnarci in
un’analisi della Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, in
cui l’argomento del V canto dell’Inferno è filtrato dal verso
di Gabriele D’Annunzio. Titolo poco frequentato questa opera,
che al brillante nitore del verso accoppia con naturalezza la
pittoresca magia del suono, evocando e trasfigurando
poeticamente i costumi barbari e le passioni violente di un
secolo che usciva con fatica dalla fosca notte medievale. Con
la Francesca da Rimini, Zandonai si divincola sensibilmente
dagli schemi e formulari veristici. Buon ispiratore gli fu il
teatro dannunziano che all’estro del compositore offre
un’azione costantemente animata da figure in pieno e vigoroso
risalto drammatico e poetico. Invero la Francesca di Zandonai
non sembra ancora temere le ingiurie dell’età, che minacciano
le creazioni artistiche più di essa fragili e inconsistenti.
La protagonista ingannata e ingannatrice muove incontro al suo
tragico destino con passo tutt’ora agile ed elastico e con
accenti freschi e giovanili, avvolta nelle sottili fragranze
di un profumo esotico o sentimentale non svaporato. Si possono
ammirare nell’opera i notevolissimi pregi musicali del suo
canto, attraverso una partitura ove l’inventiva del maestro
trentino si mostra particolarmente felice, come i frutti
prodotti da quella sensibilità coloristica che è fra le
signorili doti di Zandonai e che accortamente ambienta e
inquadra i personaggi e le situazioni del dramma. Se
all’attenzione dell’ascoltatore, certo non sfuggiranno le
mende altre volte rimproverate all’autore – qua e là la
pesantezza dello strumentale, i riferimenti vicini e le
parentele lontane facilmente individuabili (Puccini, Mascagni
e Wagner) –è pur vero che tali mende non risultano mai tanto
gravi da contaminare la suadente musicalità della pietosa
storia d’amore e di morte, squisitamente bilanciata tra i
delicati svettamenti di un lirismo dolce e castigato e gli
anfratti scoscesi del declamato drammatico, flessuoso e spesso
ruvidamente e caratteristicamente espressivo. Con chiaro e
suggestivo effetto si snodano gli episodi graziosi e i
guerreschi, gli amorosi e i truculenti. L’epilogo tragico è
raggiunto con geniale progressione di interesse scenico e
musicale e con raro equilibrio di mezzi fonici, anche se
rivolti sovente a uno scopo meramente illustrativo. L’opera va
in scena a Torino nel ‘14, ha la sua sorte fortunata, ma
D’Annunzio pare non si sia recato mai una volta, in nessuna
occasione, neanche negli anni successivi alla guerra, ad
ascoltarla. Indubbiamente la Francesca di Zandonai è un’opera
di grande vitalità, che ha resistito e resiste anche in aree
musicali teatrali d’oltre Atlantico. Si tratta, però, in sede
critica di vedere in che cosa consiste l’incontro fra la
poesia dannunziana della Francesca e il linguaggio di Zandonai
in un momento di crisi dei linguaggi musicali operistici
italiani; cioè in un momento in cui il verismo era tramontato,
in cui l’influenza francese si faceva sempre più evidente. In
mezzo a questa crisi i musicisti che si trovavano sullo
spartiacque, in mezzo al guado, non potevano che essere i così
detti musicisti di transizione. C’è invece qui da dire che la
critica musicale italiana, sia pure oggi dimostrando rinnovato
interesse per certi musicisti appunto di crisi, non ha ancora
individuato a mio avviso i momenti in cui il linguaggio di
Zandonai riesce, e come vi riesca, ad aderire a questo
arcaismo tutto di cultura, tutto di rifacimento della
Francesca da Rimini; e vi aderisce senza ricorsi a riprese
archeologiche di modi gregoriani o greco-latini come era stato
nel caso di Ildebrando Pizzetti. Zandonai vi aderisce
inventando un suo arcaismo che non contrasta con certo clima,
direi adriatico, romagnolo, delle parti più robuste e più
incisive del testo di Francesca da Rimini, che resta testimone
dell’efficienza del lirismo nell’interpretare la natura
sentimentale dei personaggi e per contro dell’indubbio talento
drammatico di Zandonai, laddove la sua inventiva non cede alla
retorica, alle suggestioni generiche e superficiali o,
comunque, laddove non si sfibra il tessuto drammatico-musicale
nel compiaciuto prolungarsi degli affetti. Così, con
quest’opera, Zandonai porta a compimento, come il Puccini
della Turandot, seppur in maniera diversa, il corso del
melodramma tradizionale italiano, pervenuto alla massima fase
di estenuazione e di corruzione, ma non ancora privato di un
suo certo fascino, di quel conturbante senso di decadentismo.

“Le  donne   nel                         Novecento
salernitano”
In occasione della Domenica di Carta 2021, l’Archivio di Stato
di Salerno, in linea con il tema proposto dalla Direzione
Generale Archivi: “Le storie delle donne nelle carte
d’archivio”, effettuerà due aperture straordinarie, oggi dalle
9.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 20.30, nel corso delle
quali sarà visitabile la mostra documentaria: “Le donne nel
Novecento salernitano”. Il percorso documentario riguarderà il
ruolo e la condizione femminile nel territorio provinciale da
una presenza esclusivamente familiare e domestica fino ad
arrivare all’inserimento nel mondo del lavoro, al diritto di
voto e all’impegno delle istituzioni per l’ammissione delle
donne all’Istituto Universitario di Magistero. Per la
definizione di tali ambiti la documentazione individuata
proviene, in via prioritaria, dai fondi archivistici:
Prefettura – Gabinetto e Provveditorato agli Studi, nei quali
si trovano notevoli informazioni sul lavoro femminile nei
primi anni del Novecento.

La       parola              iridescente                   e
musicale di Enzo Moscato al
Nuovo di Salerno
di Olga Chieffi

La figura poetica, drammaturgica e d’attore di Enzo Moscato è,
nella scena italiana, una tra le più vive e affascinanti ma
resta ancora controversa, ribelle e in continua evoluzione;
nonostante questo – anzi, forse proprio a causa di questo –
resta un autore definito, dalla critica meno aperta e
disponibile, con una imbarazzante facilità. Napoli, con le sue
facce, ferite e stereotipi, si imprime nello sguardo di chi
osserva l’opera di Moscato più che nella sostanza dell’opera
stessa e stenta a staccarsene, anche quando – quasi subito, in
effetti – si comprende che il suo lavoro porta in sé, in
un’unica soluzione, l’antidoto a Napoli e il suo veleno. Di
fronte ad un autore che per temi, lingua e provenienza si
presta tanto facilmente ad essere tipizzato, è stata forte,
negli anni, la tendenza a limitare a pochi termini,
perennemente ritornanti, la portata del suo discorso, e
costringerlo, nella valle della sua tradizione teatrale,
dentro gli stretti argini della Nuova Drammaturgia. Moscato va
certamente oltre questi confini e potremo toccare con mano la
sua visione, in questo weekend, nel corso del terzo
appuntamento della rassegna “Qui fu Napoli… qui sarà Napoli”
organizzata dal Consorzio La Città Teatrale di Salerno, che
vedrà rappresentata sul palcoscenico del teatro Nuovo, sabato
alle ore 21 e domenica alle 18,30, “Trianon”. L’opera che è un
ampliamento di Luparella, pensata per il volto e la voce di
Isa Danieli, vedrà la regia di Gaetano Stella, con in scena
Serena Stella, Annarita Villacaro, Gaia Vicinanza e Lucia
Voccia, per un confronto con la tradizione, rappresentata
dalla “memoria” scarpettiana impersonata da Raffale Milite e
il contemporaneo, con la “voce” di oggi che è di Marco
Bartiromo. Le espressioni di Moscato sono sempre quelle di un
mondo discriminato e offeso ma ricco di intensità, di verità,
di suoni veri. C’è Nanà una meretrice che più che altro è un
transessuale e le tre donne che si chiamano tutte Lulù:
insieme raccontano pezzi di esistenza, ricordi di mestiere.
Danno la sensazione d’ essere in un ospedale, ma si scoprirà
che condividono una cella. Sembrano nude ma non lo sono. C’è
chi prima era uomo, chi è tisica, chi aggressiva, chi
ragazzina. Le puttane hanno tutte rappresentato un punto fermo
e privilegiato nel dare voce e corpo al concetto/prassi di una
scena tesa a smascherare, con malinconia ma anche con tanta
ilarità, la presunta insufficienza e marginalità di ciò che
viene detto il femminile. Soprattutto quello ferito, venduto,
comprato, mercificato, ingannato e mistificato da una storia
gestita da millenni, in assoluto, dal maschile. Il linguaggio
è napoletano stretto con squarci di cultura, mai volgare
malgrado i toni forti. Parlano, cantano, soffrono, si
divertono e sognano tutte le luci del Trianon, un locale
leggendario. Corpi «frantumati, senza legami, decaduti e
martoriati», che si scatenano in canzoni popolari e
sceneggiate, esponendo col corpo, anima, sensazioni e
sentimenti. Il regista ha trasposto dell’intero testo, solo
alcune cupe suggestioni contaminandole con una rassicurante
presenza di scarpettiana memoria e in più, da lontano,
evocando moderne voci e suoni per commentare in contrappunto
il racconto. “Trianon” era solo una parola che rimandava a
immagini violente e tristi, ma era una parola fascinosa e per
questo spaccato di umanità disperata era quella speranza
agognata, perché: “…Loro so’ ‘nnammurate sule d’ ‘e parole, ‘e
chilli sciuscie d’aria senza consistenza, ca so’ ‘e parole,
meglio ancora si sonano furastiere…”.
A Nocera successo per il “Il
Divino, Dante!”
Grande successo giovedì sera alla conferenza stampa tenutasi
presso il salone del complesso monumentale di Sant’Antonio a
Nocera Inferiore dove le associazioni Ctg Noukria e Il
Vermiglio hanno presentato alla stampa il progetto “Il Divino,
Dante!”, per commemorare i 700 anni dalla morte del sommo
poeta. Durante la conferenza sono stati presentati tutti i
video che sono stati realizzati e che saranno man mano
pubblicati. Il primo è stato pubblicato nella giornata di
ieri, mentre i prossimi saranno caricati i prossimi tre
venerdì, sui canali facebook, instagram e youtube delle due
associazioni. Successivamente, fanno sapere gli organizzatorim
queste scene saranno anche rappresentate dal vivo. Oltre a
questo, giovedì sera, è stata l’ultima serata dove è stato
possibile visitare la mostra d’arte personale “Cum tucte le
tue creature” del maestro Mauro Sodano che si è svolta alla
sala medievale del Chiostro di Sant’Antonio. Una mostra che ha
riscosso molti consensi favorevoli tra tutti coloro che sono
andati a visitarla.

Lectura Dantis Campaniensis
di Olga Chieffi

Al via questa mattina alle ore 10, l’omaggio dell’Istituto
Teresa Confalonieri di Campagna, per i Settecento anni dalla
morte di Dante, “Lectura Dantis Campaniensis”. Un percorso
attraverso musica, poesia e critica letteraria che ha preso
vita da un’idea del clarinettista Luciano Marchetta, che si
svolgerà nella cattedrale di Santa Maria della Pace, in cui
ascolteremo il Professore Alberto Granese, declamare e
commentare i canti III e V dell’Inferno, il II del Purgatorio
e il XXIII e il XXXI del Paradiso. Un evento di non semplice
realizzazione che avverrà grazie alla collaborazione con la
Società Dante Alighieri comitato Salerno, con l’Università di
Salerno, con l’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno e con il
Comune di Campagna e verrà aperto dai saluti istituzionali di
Don Carlo Magna, Parroco della Cattedrale, Roberto Monaco,
Sindaco di Campagna, Pina Basile, Presidente della Società
Dante Alighieri comitato Salerno, Prof Alberto Granese, in
rappresentanza del nostro ateneo e Gianpiero Cerone, Dirigente
scolastico IIS Confalonieri, al quale parteciperanno le classi
quinte e l’intero pubblico di Facebook in una grande diretta,
che accomunerà tutti nel segno di Dante Alighieri. La
cattedrale sarà, però, in collegamento con tre luoghi che
simboleggeranno il percorso dantesco, grazie al coordinamento
tecnico del professore Nicola Tommasini, in cui ci
accompagnerà la voce narrante della Professoressa Ottavia
Piccolo. Si partirà dal Palazzo Tercasio, dove gli alunni del
Liceo musicale con un ensemble di percussioni, cui si
aggiungeranno voci e un corno, guidati dai docenti Ferdinando
Sarno ed Emilio Mirra, eseguiranno Antimusica, una performance
di urla e angoscia. Un modo di ripensare alle parole di
Salvatore Sciarrino che diceva «A me pare che quando si
affronta la globalità della Commedia, un vincolo progettuale
si impone al compositore. Una musica che seguisse questi poemi
parola per parola non avrebbe senso estetico: essi non si
lasciano trattare come un qualsiasi testo. Bisogna semmai
creare con la musica uno spazio per la parola di Dante».
Passaggio in Purgatorio, in collegamento differito dalla
Confraternita Monte dei Morti, con il Coro omofonico intona il
Salmo 113 “In exitu Israel de Aegypto”, diretti dalla prof.ssa
Tiziana Caputo, mentre, sulla sponda del fiume Tenza , gli
studenti declamano “Amor che nella mente mi ragiona” con
accompagnamento della Ghironda, guidati dal docente Sandro
Pomposelli. E’ il canto di Casella: la musica, quindi, parla
direttamente all’anima e alla sensibilità dell’uomo. Per il
Paradiso, diretta dalla Cattedrale, con il Coro della scuola
accompagnato dall’ organo per il “Magnificat” dalla Dante-
Symphonie di Fr. Listz , diretti dalla prof.ssa Tiziana Caputo
ed accompagnati all’organo a canne dalla prof.ssa Ottavia
Piccolo. Con Liszt ci immergeremo in quel clima di serafica
estaticità romantica che spesso surrogava la religiosità, alla
sacralità: con quello stile glabro, con quell’armonizzazione
arcaizzante e modale che è presente in certe partì di sue
Messe. Ancora una volta, le incursioni lisztiane sono
presagenti: almeno, sui climi eleganti, estetizzanti ed un po’
estenuati del gusto preraffaellita, ove Perosi ed il Fauré
sacro, Parsifal o Damoiselle élue paiono assentire la loro
infallibile discendenza. Il gran finale, però si celebrerà dal
Castello Gerione: dopo la lettura e il commento del Professore
Granese due ragazzi vestiti da angeli, guidati dai docenti
Giuseppe Giordano e Cosimo Panico, suoneranno le chiarine. Ma
anche settecento anni dopo, c’è da starne certi, l’affresco
della commedia umana di Dante, continuerà a essere fonte di
ispirazione alla creatività perché sempre        vicina   alla
sensibilità dei tempi contemporanei.

Torre Orsaia, incontro tra
l’arte e i bambini
Il teatro come linguaggio che abbatte distanze artificiose e
crea inclusione e bellezza. Era l’obiettivo del progetto
“Includiamo tutti con il teatro” organizzato dalla cooperativa
labor Limae di Caselle in Pittari, ed è stato centrato. Perché
i bambini che, per alcune settimane, hanno partecipato ai
laboratori hanno scoperto la magia del palcoscenico e
dell’arte, che unisce e non escluse. Il progetto, finanziato
dal Piano di Zona S9, si è svolto nel Comune di Torre Orsaia
ed ha visto il coinvolgimento di bambini di Torre Orsaia e
Caselle in Pittari di età dai 6 agli 11 anni. A realizzarlo
sono state le attrici Alessia e Giovanna Pellegrino.
«Inclusione vuol dire mettere insieme persone che vengono da
luoghi diversi ed hanno abilità diverse. – ha spiegato
Giovanna Pellegrino – Ognuno ha messo in campo le proprie
abilità, dal canto al ballo, dalla voce al movimento. I
laboratori che abbiamo realizzato con i bambini hanno
migliorato le abilità di ognuno e tutti i diversi talenti sono
stati amplificati dal teatro». Una fase laboratoriale che ha
permesso di far emergere anche abilità sopite. «Durante i
laboratori abbiamo spiegato i bambini cosa significhi avere un
corpo, avere uno spazio, come si gestisce lo spazio, saperlo
occupare. – ha proseguito Giovanna Pellegrino – Abbiamo
lavorato molto sulla percezione di se e del proprio corpo, ma
anche sullo spazio scenico. Hanno scoperto la magia che regala
il palcoscenico e il teatro». Alla fine dei laboratori è stato
realizzato uno spettacolo teatrale, andato in scena a Torre
Orsaia, nell’anfiteatro Pietro De Luca, che la cooperativa
Labor Limae ha poi reso itinerante anche nei comuni di
Roccagloriosa, in piazza del Popolo, e Caselle in Pittari, sul
piazzale della Chiesa Madre. “Il tamburino magico”, lo
spettacolo realizzato con la collaborazione della regia di
Ines Stella, è stato tratto dalla filastrocca di Gianni Rodari
ed ha visto la partecipazione di Alessandro Lisanti, Andrea
Lisanti, Teresa Pisano, Selene Ponzo, Alisia Torre e Rosa
Torre. «Lo spettacolo ha un messaggio molto importante, è un
inno alla pace che fa scoprire ai tamburini che tornano dalla
guerra in che modo posso disarmare chi li attacca e fare la
pace», ha aggiunto Pellegrino. Il territorio ha bisogno di
progetti di inclusione attraverso l’arte e il teatro. «Il
territorio è scarno di offerta ma allo stesso tempo è pieno di
bambini, ragazzi e genitori che hanno invece voglia di fare
qualcosa che gli permetta di crescere insieme. Solo attraverso
l’arte si può creare bellezza, che è in ognuno di noi e
bisogna saperla riconoscere».
Nicolantonio Napoli presenta
la ripartenza dei laboratori
di “Casa Babylon”
di Vincenzo Leone

“Casa Babylon Teatro”, apre le iscrizioni per l’anno
accademico 2021 -2022, col patrocinio della regione Campania,
della provincia di Salerno e del comune di Pagani.
Nicolantonio Napoli di “casa babylon”, racconta e spiega
l’importanza dell’arte per i ragazzi e non solo. “Questo
progetto nasce nel 1995, per volere di un gruppo di ragazzi
che avevano finito accademie importanti, fuori dal territorio
campano. Fondamentalmente eravamo un gruppo di amici e
cercavamo di organizzare un progetto che potesse essere
innovativo, nel cuore di Pagani. Per molti anni lo è stato, e
cerca di esserlo tuttora, nonostante le difficoltà. Casa
babylon, lavora con la scuola, con il teatro ragazzi e con i
laboratori, aperti a diverse fasce d’età. Il laboratorio che
sta per cominciare, darà modo a diversi gruppi, di rivedersi
in presenza dopo due anni. La presenza, gli occhi, il respiro
e il sudore, sono alcune delle cose che rendono vivo e
pulsante il teatro. Durante il lockdown, è stato possibile
mantenersi in contatto grazie ai social e ai nuovi mezzi di
comunicazione. La vera sfida, è stata quella di riuscire a
bucare lo schermo e la quarta parete, nonostante la distanza.
Siamo riusciti a fare del mezzo tecnico, una frontiera da
superare per imparare nuove cose, avendo una grande
opportunità. Questa tecnologia, potrebbe tornare utile in
diverse circostanze, non legate per forza a motivi di
restrizione. Il teatro è corpo, è relazione, sangue e sacro.
La mia convinzione, è che questa sia una fase di passaggio, ma
dobbiamo ancora mettere le mascherine. Nonostante le
restrizioni e l’impossibilità di abbracciarci, continuiamo a
fare teatro. Soprattutto con i bambini, per non fare
dimenticare loro le cose fondamentali della vita, come il
guardarsi negli occhi, risvegliare il corpo che siamo e
lavorare insieme. Il teatro è incontro, e un laboratorio
teatrale, pone a noi insegnanti occasioni uniche per poter
ascoltare le persone, e allo stesso tempo ci mette di fronte a
delle grandi responsabilità. In questo tempio, dove tutti
hanno la possibilità di essere ascoltati e presi in
considerazione, possiamo osservare le pregiate differenze
dell’essere umano senza le condizioni sociali. Questo è il
nascere di una fiducia reciproca che apre le porte ad una
relazione sana e insegna tanto anche a noi. Oggi si dice che
le nuove generazioni siano incomprensibili. Al contrario,
credo che siano molto più in gamba di come lo eravamo noi. Ad
ogni modo, un mezzo efficace per raggiungere i ragazzi, è
proprio il teatro. Sono affascinato dai mondi che incontro e
ne esco sempre arricchito. Da decenni sentiamo dire che il
teatro è destinato a sparire. Questo un po’ mi spaventa, ma
comunque sia, ho in mente una frase di Danio Manfredini,
grande maestro e attore. Dice che se il teatro è destinato a
sparire, ci tocca dare luce al tramonto. In questa fase
discendente e buia per il teatro, a noi spetta dare luce.
Dietro tutto questo c’è uno scopo, un messaggio. Le persone
quando si alzano dalla poltrona, devono portare a casa
qualcosa di costruttivo e importante. Il teatro è anche un
gioco, soprattutto per i ragazzi, ma non dimentichiamo che
come tutti giochi, ha delle regole ben precise. Chi crede che
il teatro sia un gioco e basta, sbaglia.” Gli incontri si
svolgeranno nel pieno rispetto delle disposizioni sanitarie.
Si invitano i partecipanti a portare con loro un documento di
identità e a indossare la mascherina personale. Per ulteriori
informazioni, visitare il sito web: www.casababylom.it.
Puoi anche leggere