"Binario morto", quattro anime al bivio
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“Binario morto”, quattro anime al bivio di Gemma Criscuoli “Vivere nei ritagli della vita degli altri” è davvero frustrante, ma nulla pesa quanto capire che non si sfugge mai alle proprie responsabilità. Riflessione sugli scherzi del destino (o comunque si voglia chiamare l’anagramma della vita), “Binario morto” di Lello Guida resterà in cartellone presso il Piccolo Teatro Porta Catena fino al 17 ottobre. Franco Alfano, che cura la scenografia con Aldo Arrigo, dirige con Elena Scardino lo spettacolo su musiche originali di Gabriele Guida. La locandina è a cura di Bruno Brindisi. Desideri repressi, e proprio per questo inaggirabili, accomunano i quattro protagonisti, costretti ad attendere l’alba in un treno che si trova sul binario a cui rimanda il titolo. Damiano, tratteggiato da Ciro Girardi con ironia, ma anche con dolente dignità, è un professore omosessuale che non sopporta l’ipocrita perbenismo del preside né la difficoltà di vivere un amore. Cosimo (nel cui ruolo Giacomo D’agostino è estremamente attento alla naturalezza e alla verosimiglianza), un ipocondriaco sempre pronto a rintracciare in rete tutte le informazioni su ogni genere di malanno, è legato al ricordo di una sconosciuta che lo ha stregato. Salvatore, a cui Antonio Grimaldi si consacra interamente, forte della sua costante attenzione a quel che vibra nella parte più profonda del sé, medita il suicidio dopo la morte della moglie. La donna “fuori di chiave” con cui le figure in scena devono fare i conti (una magnetica e appassionata Gabriella Landi) crede di essere la Madonna e di avere una missione vitale: soccorrere i peccatori, portandosi dietro bottiglie che contengono un’acqua miracolosa. Il merito del testo di Guida consiste nella complessità dei personaggi. Damiano, nel suo eccedere la norma, porta alla luce la violenza di un contesto sociale (il
ricordo dell’uomo che lo picchia per la sua diversità), ma al tempo stesso si adegua al cupo egoismo che lo circonda: confessa infatti di non aver soccorso l’auto che ha mandato, tre mesi prima, fuori strada. Cosimo non sa venire a patti con le sue debolezze, che però gli danno occasione di atteggiarsi a giudice. L’ossessione di Salvatore capovolge ogni tentazione di romanticismo in una furia distruttiva che lo spinge a ferire a morte Damiano. La stessa Vergine, madre degli istinti prima che delle anime, si compiace del potere di colpire che il suo ruolo le da’. Essere ostaggio delle proprie pulsioni condanna a essere soli, ma non distanti: la donna morta per colpa del docente è la moglie dell’aspirante suicida e il sogno irrealizzato di Cosimo. Il redde rationem, simboleggiato dall’immobilita’ del treno, rivela la sacralità impura della vita, dove i frammenti delle esistenze si ricompongono in un mosaico che suscita empatia nello spettatore: da qui la scelta di un’interpretazione quasi sempre diretta verso il pubblico, che a sua volta si trova su quel binario più spesso di quanto pensi. Non è un caso che l’acqua della morte e quella della resurrezione, offerte dalla donna, siano indistinguibili: vita e nulla sono davvero la stessa cosa, quando non esiste altra legge che il desiderio. Dissoluzione e rinascita si insinuano con la stessa lentezza (l’ingresso di Salvatore e l’uscita della donna), per poi confondersi inesorabilmente. Il finale è dunque liberatorio non meno che tragico. Non è tanto l’espiazione di una colpa quella che prende a mano a mano corpo, ma un monito (laico e spirituale, terreno e trascendente) a portare, cristologicamente, il peso della fragilità.
Artkeys Prize: premiati i vincitori della terza edizione Grande successo per la terza edizione dell’Artkeys Prize, il premio internazionale di arte contemporanea organizzato dall’Associazione Blow Up. Tra le mura del Castello Angioino Aragonese di Agropoli, durante la serata evento di sabato 9 ottobre, sono stati assegnati i premi ai primi classificati di ciascuna categoria in gara: pittura, scultura e installazione, fotografia, illustrazione e graphic design, videoarte, performance. Sei opere vincitrici tra le oltre 300 che hanno partecipato alla selezione di quest’anno. A valutare le opere una giuria composta da cinque esperti: Antonello Tolve, ordinario di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino, la curatrice Enrica Feltracco, il Direttore Artistico della Scuola Internazionale di Comics-Sede di Napoli, Lorenzo Ruggiero, l’artista e docente di fumetto presso lo IED, Grazia La Padula, ed il critico d’arte Roberto Sottile. La serata è stata una vera e propria celebrazione dell’arte: dopo l’inaugurazione della mostra dedicata alle opere finaliste, si sono esibiti performer artist che hanno ammaliato, stupito ed affascinato il pubblico. Tra di loro anche Maurizio Pleuteri che con la sua opera “Bewood” si è aggiudicato il primo premio della categoria performance ricordando l’importanza di prendersi cura e preservare il pianeta. Premiata nella stessa categoria anche l’opera portoghese “Coin Operated” degli artisti Jonas&Lander che potranno vivere l’esperienza della Residenza d’Artista. Saranno infatti ospitati in uno dei comuni che ha scelto di aprire le proprie porte all’arte contemporanea, come Agropoli, Pollica, Laureana Cilento, Capaccio Paestum e Cetara. Un’occasione per il Cilento (e non solo) di ospitare sul proprio territorio grandi artisti, ma anche un’opportunità per
gli artisti di scoprire un territorio ricco di idee e fonte di creatività. Le Residenze d’Artista sono un’iniziativa che caratterizza Artkeys Prize, il premio, infatti, nasce con l’obiettivo di promuovere non solo la cultura, ma anche il Cilento. Inoltre, le Residenze d’Artista fanno sì che il premio non si esaurisca nella durata della mostra, bensì sia attivo sul territorio durante tutto l’anno: un modo per far diventare il Cilento un polo dell’arte contemporanea. Residenza d’Artista anche per Oriana Majoli grazie all’opera fotografica “Testae”; vincitore della categoria fotografia Paolo Repetto con “Presenze”. Doppio premio anche nella categoria scultura e installazione: primo premio all’opera “Siamo solo multipli” di Elia Alunni Tullini e Residenza d’Artista per Sara Zunino con “Hand luggage”. Primo premio della categoria pittura a Pietro Cromo con “Organoid #4 Narcissus” e a Nilde Mastrosimone con “Come caramelle” nella categoria videoarte, vittoria dell’inglese William Rochira nella sezione illustrazione con “Faux 1976 Jamaican Calendar”. Artkeys Prize non si conclude con la cerimonia di premiazione: dall’11 al 17 ottobre si svolgerà la Residenza d’Artista di Andrea Cerquiglini, vincitore lo scorso anno nella categoria pittura. Cerquiglini, artista di Sabaudia, sarà ospitato ad Agropoli che, in quei giorni, diverrà per lui non solo un laboratorio, ma un luogo da cui trarre ispirazione per la propria arte. Inoltre, fino al 17 ottobre, sarà possibile visitare, presso il Castello Angioino Aragonese, la mostra ospitante le 76 opere finaliste del premio di quest’anno. Si rialzano i sipari del
Verdi, Pasolini, Delle Arti e Giuffrè di Monica De Santis Da lunedì i teatri potranno finalmente riaprire al 100% della capienza ed ecco che quasi tutte le strutture rimaste chiuse dal 28 febbraio 2020, si preparano a presentare i loro cartelloni e a riprendere le loro attività. Abbiamo detto quasi tutte perchè in realtà alcune di queste, parliamo dei piccoli teatri cittadini, lo scorso anno, ad ottobre tentarono una riapertura al pubblico, anche se poi dopo meno di una settimana furono chiusi nuovamente a causa dell’aumento dei contagi. Oggi, che l’emergenza sanitaria sembra essere cosa passata, ecco che anche i grandi teatri, pubblici e privati, ci riprovano e sono pronti a presentare le loro stagioni teatrali. E così mentre a Battipaglia al teatro Aldo Giffrè la campagna abbonamenti è già iniziata ed il cartellone presentato al pubblico. Il Teatro Verdi, il Pasolini e il Delle Arti di Salerno presenteranno le loro stagioni rispettivamente martedì e mercoledì prossimi. Bisognerà attendere invece ancora tra i sette e i dieci giorni per la presentazione del cartellone del Teatro Nuovo di via Valerio Laspro, e lo stesso dovrebbe valere per il Teatro Ghirelli, per il teatro comunale di Mercato San Severino, per il Teatro Italia di Eboli, per il Teatro Charlot di Pellezzano e per il teatro di Vallo della Lucania. Ma andiamo con ordine, come abbiamo detto il Teatro Aldo Giuffre di Battipaglia diretto da Vito Cesaro ha già presentato la sua stagione teatrale. Nove in tutto gli spettacoli più quattro appuntamenti musicali. Il via il 28 novembre con Francesco Branchetti e Annalena Lombardi in “Non si sa come”, si prosegue il 5 dicembre con “Elisabetta I” portata in scena da Madallena Rizzi. Il 19 dicembre tocca al padrone di casa Vito Cesaro che porterà in scena “La zeza”. Quarto appuntamento il 23 gennaio con
Francesco Procopio, Maria Bolignano, Enzo Casertano e Giuseppe Cantore che presentano “Non ci resta che… ridere”. Ed ancora il 6 marzo tocca ad Alessia Fabiani e Antonio Ricchiuti portare in scena “Lui e lei”. Si prosegue il 20 marzo con Milena Vukotic e Salvatore Marino in “A spasso con Daisy”. Penultimo appuntamento il 9 aprile con Marisa Laurito e Charlie Cannon con “Nuie Simme d’o’ sud”. Chiudono la rassegna l’otto maggio con “Re Lear” Luca Ferri e Luca Marchioro. Per quanto concerne invece i quattro appuntamenti musicali del Giuffrè di Battipaglia, il primo è in programma il 6 novembre con “Vivaldi e le 4 stagioni” voce recitante di Amedeo Colella, il secondo è in programma il 20 novembre e vede come protagonista Armando Rizzo. Terzo appuntamento con Francesca De Filippis in programma per l’11 dicembre, ultimo appuntamento il 23 dicembre con il concerto Hoffmann quartet. Top secret ancora la stagione del Teatro Delle Arti di Salerno, diretto da Claudio Tortora. Si sa solo che la stagione prenderà il via il 20 novembre e si concluderà il 27 marzo 2022 e che è già in corso il rinnovo degli abbonamenti per i vecchi clienti. Mentre da mercoledì, giorno in cui sarà presentata ufficialmente la stagione partirà la campagna di abbonamento anche per i nuovi clienti. Per quanto riguarda il Verdi e il Pasolini, la presentazione ufficiale dei cartelloni, si avrà martedì mattina alle ore 10,30 a Palazzo di Città alla presenza del sindaco, del presidente del Teatro Pubblico Campano Francesco Somma e del direttore Alfredo Balsano. Diei dovrebbero essere gli spettacoli inseriti nella stagione del Massimo cittadino, di questi tre dovrebbero essere quelli che non sono andati in scena nel 2020 a causa del primo lockdown. Nello specifico si tratta di “Mine vaganti” di Ferzan Özpetek, con Giorgio Marchesi, Francesco Pannofino, Arturo Muselli e Paola Minaccioni. Il secondo spettacolo sospeso nel 2020 e che dovrebbe essere recuperato in questa stagione è “Fronte del porto”, uno spettacolo della durata di due ore e dieci minuti, con protagonista Daniele Russo per la regia di Alessandro Gassmann. Ed infine il terzo spettacolo che chiudeva la stagione del 2020 e che quindi
dovrebbe essere recuperato è quello che vede Vinicio Marchioni come regista e interpreta con Massimo De Santis de “I soliti ignoti”, la prima versione teatrale del mitico film di Monicelli, uscito nel 1958 e diventato con il tempo un classico imperdibile della cinematografia italiana e non solo. Tra gli altri spettacoli inseriti nel cartellone potrebbe esserci “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello con protagonista Gabriele Lavia, già in programmazione al Teatro Diana di Napoli, come potrebbe essersi anche Vincenzo Salemme con “Napoletano? E famm na pizza”. Ma per averne la certezza e soprattutto per scoprire l’intero cartellone non solo del Verdi, ma anche del Pasolini, bisognerà attendere fino a martedì Il Medioevo novecentesco di Francesca da Rimini Questa mattina alle ore 11 appuntamento nell’auditorium di Villa Rufolo a Ravello, con una riflessione sull’opera di Riccardo Zandonai di Eduardo Savarese, quale ulteriore omaggio della Fondazione a Dante Alighieri di Olga Chieffi Continuano i tributi alla figura di Dante Alighieri, nell’anno celebrativo dei 700 anni dalla morte, da parte della Fondazione Ravello. Dopo “Lumina in tenebris” di e con Elena Bucci e Chiara Muti, che ha impreziosito il cartellone della LXIX edizione del Festival, questa mattina, alle 11.00, nell’Auditorium di Villa Rufolo sarà Eduardo Savarese, magistrato e scrittore napoletano appassionato cultore di
musica classica e teatro lirico, ad accompagnarci in un’analisi della Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, in cui l’argomento del V canto dell’Inferno è filtrato dal verso di Gabriele D’Annunzio. Titolo poco frequentato questa opera, che al brillante nitore del verso accoppia con naturalezza la pittoresca magia del suono, evocando e trasfigurando poeticamente i costumi barbari e le passioni violente di un secolo che usciva con fatica dalla fosca notte medievale. Con la Francesca da Rimini, Zandonai si divincola sensibilmente dagli schemi e formulari veristici. Buon ispiratore gli fu il teatro dannunziano che all’estro del compositore offre un’azione costantemente animata da figure in pieno e vigoroso risalto drammatico e poetico. Invero la Francesca di Zandonai non sembra ancora temere le ingiurie dell’età, che minacciano le creazioni artistiche più di essa fragili e inconsistenti. La protagonista ingannata e ingannatrice muove incontro al suo tragico destino con passo tutt’ora agile ed elastico e con accenti freschi e giovanili, avvolta nelle sottili fragranze di un profumo esotico o sentimentale non svaporato. Si possono ammirare nell’opera i notevolissimi pregi musicali del suo canto, attraverso una partitura ove l’inventiva del maestro trentino si mostra particolarmente felice, come i frutti prodotti da quella sensibilità coloristica che è fra le signorili doti di Zandonai e che accortamente ambienta e inquadra i personaggi e le situazioni del dramma. Se all’attenzione dell’ascoltatore, certo non sfuggiranno le mende altre volte rimproverate all’autore – qua e là la pesantezza dello strumentale, i riferimenti vicini e le parentele lontane facilmente individuabili (Puccini, Mascagni e Wagner) –è pur vero che tali mende non risultano mai tanto gravi da contaminare la suadente musicalità della pietosa storia d’amore e di morte, squisitamente bilanciata tra i delicati svettamenti di un lirismo dolce e castigato e gli anfratti scoscesi del declamato drammatico, flessuoso e spesso ruvidamente e caratteristicamente espressivo. Con chiaro e suggestivo effetto si snodano gli episodi graziosi e i guerreschi, gli amorosi e i truculenti. L’epilogo tragico è
raggiunto con geniale progressione di interesse scenico e musicale e con raro equilibrio di mezzi fonici, anche se rivolti sovente a uno scopo meramente illustrativo. L’opera va in scena a Torino nel ‘14, ha la sua sorte fortunata, ma D’Annunzio pare non si sia recato mai una volta, in nessuna occasione, neanche negli anni successivi alla guerra, ad ascoltarla. Indubbiamente la Francesca di Zandonai è un’opera di grande vitalità, che ha resistito e resiste anche in aree musicali teatrali d’oltre Atlantico. Si tratta, però, in sede critica di vedere in che cosa consiste l’incontro fra la poesia dannunziana della Francesca e il linguaggio di Zandonai in un momento di crisi dei linguaggi musicali operistici italiani; cioè in un momento in cui il verismo era tramontato, in cui l’influenza francese si faceva sempre più evidente. In mezzo a questa crisi i musicisti che si trovavano sullo spartiacque, in mezzo al guado, non potevano che essere i così detti musicisti di transizione. C’è invece qui da dire che la critica musicale italiana, sia pure oggi dimostrando rinnovato interesse per certi musicisti appunto di crisi, non ha ancora individuato a mio avviso i momenti in cui il linguaggio di Zandonai riesce, e come vi riesca, ad aderire a questo arcaismo tutto di cultura, tutto di rifacimento della Francesca da Rimini; e vi aderisce senza ricorsi a riprese archeologiche di modi gregoriani o greco-latini come era stato nel caso di Ildebrando Pizzetti. Zandonai vi aderisce inventando un suo arcaismo che non contrasta con certo clima, direi adriatico, romagnolo, delle parti più robuste e più incisive del testo di Francesca da Rimini, che resta testimone dell’efficienza del lirismo nell’interpretare la natura sentimentale dei personaggi e per contro dell’indubbio talento drammatico di Zandonai, laddove la sua inventiva non cede alla retorica, alle suggestioni generiche e superficiali o, comunque, laddove non si sfibra il tessuto drammatico-musicale nel compiaciuto prolungarsi degli affetti. Così, con quest’opera, Zandonai porta a compimento, come il Puccini della Turandot, seppur in maniera diversa, il corso del melodramma tradizionale italiano, pervenuto alla massima fase
di estenuazione e di corruzione, ma non ancora privato di un suo certo fascino, di quel conturbante senso di decadentismo. “Le donne nel Novecento salernitano” In occasione della Domenica di Carta 2021, l’Archivio di Stato di Salerno, in linea con il tema proposto dalla Direzione Generale Archivi: “Le storie delle donne nelle carte d’archivio”, effettuerà due aperture straordinarie, oggi dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 20.30, nel corso delle quali sarà visitabile la mostra documentaria: “Le donne nel Novecento salernitano”. Il percorso documentario riguarderà il ruolo e la condizione femminile nel territorio provinciale da una presenza esclusivamente familiare e domestica fino ad arrivare all’inserimento nel mondo del lavoro, al diritto di voto e all’impegno delle istituzioni per l’ammissione delle donne all’Istituto Universitario di Magistero. Per la definizione di tali ambiti la documentazione individuata proviene, in via prioritaria, dai fondi archivistici: Prefettura – Gabinetto e Provveditorato agli Studi, nei quali si trovano notevoli informazioni sul lavoro femminile nei primi anni del Novecento. La parola iridescente e
musicale di Enzo Moscato al Nuovo di Salerno di Olga Chieffi La figura poetica, drammaturgica e d’attore di Enzo Moscato è, nella scena italiana, una tra le più vive e affascinanti ma resta ancora controversa, ribelle e in continua evoluzione; nonostante questo – anzi, forse proprio a causa di questo – resta un autore definito, dalla critica meno aperta e disponibile, con una imbarazzante facilità. Napoli, con le sue facce, ferite e stereotipi, si imprime nello sguardo di chi osserva l’opera di Moscato più che nella sostanza dell’opera stessa e stenta a staccarsene, anche quando – quasi subito, in effetti – si comprende che il suo lavoro porta in sé, in un’unica soluzione, l’antidoto a Napoli e il suo veleno. Di fronte ad un autore che per temi, lingua e provenienza si presta tanto facilmente ad essere tipizzato, è stata forte, negli anni, la tendenza a limitare a pochi termini, perennemente ritornanti, la portata del suo discorso, e costringerlo, nella valle della sua tradizione teatrale, dentro gli stretti argini della Nuova Drammaturgia. Moscato va certamente oltre questi confini e potremo toccare con mano la sua visione, in questo weekend, nel corso del terzo appuntamento della rassegna “Qui fu Napoli… qui sarà Napoli” organizzata dal Consorzio La Città Teatrale di Salerno, che vedrà rappresentata sul palcoscenico del teatro Nuovo, sabato alle ore 21 e domenica alle 18,30, “Trianon”. L’opera che è un ampliamento di Luparella, pensata per il volto e la voce di Isa Danieli, vedrà la regia di Gaetano Stella, con in scena Serena Stella, Annarita Villacaro, Gaia Vicinanza e Lucia Voccia, per un confronto con la tradizione, rappresentata dalla “memoria” scarpettiana impersonata da Raffale Milite e il contemporaneo, con la “voce” di oggi che è di Marco Bartiromo. Le espressioni di Moscato sono sempre quelle di un
mondo discriminato e offeso ma ricco di intensità, di verità, di suoni veri. C’è Nanà una meretrice che più che altro è un transessuale e le tre donne che si chiamano tutte Lulù: insieme raccontano pezzi di esistenza, ricordi di mestiere. Danno la sensazione d’ essere in un ospedale, ma si scoprirà che condividono una cella. Sembrano nude ma non lo sono. C’è chi prima era uomo, chi è tisica, chi aggressiva, chi ragazzina. Le puttane hanno tutte rappresentato un punto fermo e privilegiato nel dare voce e corpo al concetto/prassi di una scena tesa a smascherare, con malinconia ma anche con tanta ilarità, la presunta insufficienza e marginalità di ciò che viene detto il femminile. Soprattutto quello ferito, venduto, comprato, mercificato, ingannato e mistificato da una storia gestita da millenni, in assoluto, dal maschile. Il linguaggio è napoletano stretto con squarci di cultura, mai volgare malgrado i toni forti. Parlano, cantano, soffrono, si divertono e sognano tutte le luci del Trianon, un locale leggendario. Corpi «frantumati, senza legami, decaduti e martoriati», che si scatenano in canzoni popolari e sceneggiate, esponendo col corpo, anima, sensazioni e sentimenti. Il regista ha trasposto dell’intero testo, solo alcune cupe suggestioni contaminandole con una rassicurante presenza di scarpettiana memoria e in più, da lontano, evocando moderne voci e suoni per commentare in contrappunto il racconto. “Trianon” era solo una parola che rimandava a immagini violente e tristi, ma era una parola fascinosa e per questo spaccato di umanità disperata era quella speranza agognata, perché: “…Loro so’ ‘nnammurate sule d’ ‘e parole, ‘e chilli sciuscie d’aria senza consistenza, ca so’ ‘e parole, meglio ancora si sonano furastiere…”.
A Nocera successo per il “Il Divino, Dante!” Grande successo giovedì sera alla conferenza stampa tenutasi presso il salone del complesso monumentale di Sant’Antonio a Nocera Inferiore dove le associazioni Ctg Noukria e Il Vermiglio hanno presentato alla stampa il progetto “Il Divino, Dante!”, per commemorare i 700 anni dalla morte del sommo poeta. Durante la conferenza sono stati presentati tutti i video che sono stati realizzati e che saranno man mano pubblicati. Il primo è stato pubblicato nella giornata di ieri, mentre i prossimi saranno caricati i prossimi tre venerdì, sui canali facebook, instagram e youtube delle due associazioni. Successivamente, fanno sapere gli organizzatorim queste scene saranno anche rappresentate dal vivo. Oltre a questo, giovedì sera, è stata l’ultima serata dove è stato possibile visitare la mostra d’arte personale “Cum tucte le tue creature” del maestro Mauro Sodano che si è svolta alla sala medievale del Chiostro di Sant’Antonio. Una mostra che ha riscosso molti consensi favorevoli tra tutti coloro che sono andati a visitarla. Lectura Dantis Campaniensis di Olga Chieffi Al via questa mattina alle ore 10, l’omaggio dell’Istituto Teresa Confalonieri di Campagna, per i Settecento anni dalla morte di Dante, “Lectura Dantis Campaniensis”. Un percorso attraverso musica, poesia e critica letteraria che ha preso vita da un’idea del clarinettista Luciano Marchetta, che si
svolgerà nella cattedrale di Santa Maria della Pace, in cui ascolteremo il Professore Alberto Granese, declamare e commentare i canti III e V dell’Inferno, il II del Purgatorio e il XXIII e il XXXI del Paradiso. Un evento di non semplice realizzazione che avverrà grazie alla collaborazione con la Società Dante Alighieri comitato Salerno, con l’Università di Salerno, con l’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno e con il Comune di Campagna e verrà aperto dai saluti istituzionali di Don Carlo Magna, Parroco della Cattedrale, Roberto Monaco, Sindaco di Campagna, Pina Basile, Presidente della Società Dante Alighieri comitato Salerno, Prof Alberto Granese, in rappresentanza del nostro ateneo e Gianpiero Cerone, Dirigente scolastico IIS Confalonieri, al quale parteciperanno le classi quinte e l’intero pubblico di Facebook in una grande diretta, che accomunerà tutti nel segno di Dante Alighieri. La cattedrale sarà, però, in collegamento con tre luoghi che simboleggeranno il percorso dantesco, grazie al coordinamento tecnico del professore Nicola Tommasini, in cui ci accompagnerà la voce narrante della Professoressa Ottavia Piccolo. Si partirà dal Palazzo Tercasio, dove gli alunni del Liceo musicale con un ensemble di percussioni, cui si aggiungeranno voci e un corno, guidati dai docenti Ferdinando Sarno ed Emilio Mirra, eseguiranno Antimusica, una performance di urla e angoscia. Un modo di ripensare alle parole di Salvatore Sciarrino che diceva «A me pare che quando si affronta la globalità della Commedia, un vincolo progettuale si impone al compositore. Una musica che seguisse questi poemi parola per parola non avrebbe senso estetico: essi non si lasciano trattare come un qualsiasi testo. Bisogna semmai creare con la musica uno spazio per la parola di Dante». Passaggio in Purgatorio, in collegamento differito dalla Confraternita Monte dei Morti, con il Coro omofonico intona il Salmo 113 “In exitu Israel de Aegypto”, diretti dalla prof.ssa Tiziana Caputo, mentre, sulla sponda del fiume Tenza , gli studenti declamano “Amor che nella mente mi ragiona” con accompagnamento della Ghironda, guidati dal docente Sandro Pomposelli. E’ il canto di Casella: la musica, quindi, parla
direttamente all’anima e alla sensibilità dell’uomo. Per il Paradiso, diretta dalla Cattedrale, con il Coro della scuola accompagnato dall’ organo per il “Magnificat” dalla Dante- Symphonie di Fr. Listz , diretti dalla prof.ssa Tiziana Caputo ed accompagnati all’organo a canne dalla prof.ssa Ottavia Piccolo. Con Liszt ci immergeremo in quel clima di serafica estaticità romantica che spesso surrogava la religiosità, alla sacralità: con quello stile glabro, con quell’armonizzazione arcaizzante e modale che è presente in certe partì di sue Messe. Ancora una volta, le incursioni lisztiane sono presagenti: almeno, sui climi eleganti, estetizzanti ed un po’ estenuati del gusto preraffaellita, ove Perosi ed il Fauré sacro, Parsifal o Damoiselle élue paiono assentire la loro infallibile discendenza. Il gran finale, però si celebrerà dal Castello Gerione: dopo la lettura e il commento del Professore Granese due ragazzi vestiti da angeli, guidati dai docenti Giuseppe Giordano e Cosimo Panico, suoneranno le chiarine. Ma anche settecento anni dopo, c’è da starne certi, l’affresco della commedia umana di Dante, continuerà a essere fonte di ispirazione alla creatività perché sempre vicina alla sensibilità dei tempi contemporanei. Torre Orsaia, incontro tra l’arte e i bambini Il teatro come linguaggio che abbatte distanze artificiose e crea inclusione e bellezza. Era l’obiettivo del progetto “Includiamo tutti con il teatro” organizzato dalla cooperativa labor Limae di Caselle in Pittari, ed è stato centrato. Perché i bambini che, per alcune settimane, hanno partecipato ai laboratori hanno scoperto la magia del palcoscenico e dell’arte, che unisce e non escluse. Il progetto, finanziato
dal Piano di Zona S9, si è svolto nel Comune di Torre Orsaia ed ha visto il coinvolgimento di bambini di Torre Orsaia e Caselle in Pittari di età dai 6 agli 11 anni. A realizzarlo sono state le attrici Alessia e Giovanna Pellegrino. «Inclusione vuol dire mettere insieme persone che vengono da luoghi diversi ed hanno abilità diverse. – ha spiegato Giovanna Pellegrino – Ognuno ha messo in campo le proprie abilità, dal canto al ballo, dalla voce al movimento. I laboratori che abbiamo realizzato con i bambini hanno migliorato le abilità di ognuno e tutti i diversi talenti sono stati amplificati dal teatro». Una fase laboratoriale che ha permesso di far emergere anche abilità sopite. «Durante i laboratori abbiamo spiegato i bambini cosa significhi avere un corpo, avere uno spazio, come si gestisce lo spazio, saperlo occupare. – ha proseguito Giovanna Pellegrino – Abbiamo lavorato molto sulla percezione di se e del proprio corpo, ma anche sullo spazio scenico. Hanno scoperto la magia che regala il palcoscenico e il teatro». Alla fine dei laboratori è stato realizzato uno spettacolo teatrale, andato in scena a Torre Orsaia, nell’anfiteatro Pietro De Luca, che la cooperativa Labor Limae ha poi reso itinerante anche nei comuni di Roccagloriosa, in piazza del Popolo, e Caselle in Pittari, sul piazzale della Chiesa Madre. “Il tamburino magico”, lo spettacolo realizzato con la collaborazione della regia di Ines Stella, è stato tratto dalla filastrocca di Gianni Rodari ed ha visto la partecipazione di Alessandro Lisanti, Andrea Lisanti, Teresa Pisano, Selene Ponzo, Alisia Torre e Rosa Torre. «Lo spettacolo ha un messaggio molto importante, è un inno alla pace che fa scoprire ai tamburini che tornano dalla guerra in che modo posso disarmare chi li attacca e fare la pace», ha aggiunto Pellegrino. Il territorio ha bisogno di progetti di inclusione attraverso l’arte e il teatro. «Il territorio è scarno di offerta ma allo stesso tempo è pieno di bambini, ragazzi e genitori che hanno invece voglia di fare qualcosa che gli permetta di crescere insieme. Solo attraverso l’arte si può creare bellezza, che è in ognuno di noi e bisogna saperla riconoscere».
Nicolantonio Napoli presenta la ripartenza dei laboratori di “Casa Babylon” di Vincenzo Leone “Casa Babylon Teatro”, apre le iscrizioni per l’anno accademico 2021 -2022, col patrocinio della regione Campania, della provincia di Salerno e del comune di Pagani. Nicolantonio Napoli di “casa babylon”, racconta e spiega l’importanza dell’arte per i ragazzi e non solo. “Questo progetto nasce nel 1995, per volere di un gruppo di ragazzi che avevano finito accademie importanti, fuori dal territorio campano. Fondamentalmente eravamo un gruppo di amici e cercavamo di organizzare un progetto che potesse essere innovativo, nel cuore di Pagani. Per molti anni lo è stato, e cerca di esserlo tuttora, nonostante le difficoltà. Casa babylon, lavora con la scuola, con il teatro ragazzi e con i laboratori, aperti a diverse fasce d’età. Il laboratorio che sta per cominciare, darà modo a diversi gruppi, di rivedersi in presenza dopo due anni. La presenza, gli occhi, il respiro e il sudore, sono alcune delle cose che rendono vivo e pulsante il teatro. Durante il lockdown, è stato possibile mantenersi in contatto grazie ai social e ai nuovi mezzi di comunicazione. La vera sfida, è stata quella di riuscire a bucare lo schermo e la quarta parete, nonostante la distanza. Siamo riusciti a fare del mezzo tecnico, una frontiera da superare per imparare nuove cose, avendo una grande opportunità. Questa tecnologia, potrebbe tornare utile in diverse circostanze, non legate per forza a motivi di restrizione. Il teatro è corpo, è relazione, sangue e sacro. La mia convinzione, è che questa sia una fase di passaggio, ma
dobbiamo ancora mettere le mascherine. Nonostante le restrizioni e l’impossibilità di abbracciarci, continuiamo a fare teatro. Soprattutto con i bambini, per non fare dimenticare loro le cose fondamentali della vita, come il guardarsi negli occhi, risvegliare il corpo che siamo e lavorare insieme. Il teatro è incontro, e un laboratorio teatrale, pone a noi insegnanti occasioni uniche per poter ascoltare le persone, e allo stesso tempo ci mette di fronte a delle grandi responsabilità. In questo tempio, dove tutti hanno la possibilità di essere ascoltati e presi in considerazione, possiamo osservare le pregiate differenze dell’essere umano senza le condizioni sociali. Questo è il nascere di una fiducia reciproca che apre le porte ad una relazione sana e insegna tanto anche a noi. Oggi si dice che le nuove generazioni siano incomprensibili. Al contrario, credo che siano molto più in gamba di come lo eravamo noi. Ad ogni modo, un mezzo efficace per raggiungere i ragazzi, è proprio il teatro. Sono affascinato dai mondi che incontro e ne esco sempre arricchito. Da decenni sentiamo dire che il teatro è destinato a sparire. Questo un po’ mi spaventa, ma comunque sia, ho in mente una frase di Danio Manfredini, grande maestro e attore. Dice che se il teatro è destinato a sparire, ci tocca dare luce al tramonto. In questa fase discendente e buia per il teatro, a noi spetta dare luce. Dietro tutto questo c’è uno scopo, un messaggio. Le persone quando si alzano dalla poltrona, devono portare a casa qualcosa di costruttivo e importante. Il teatro è anche un gioco, soprattutto per i ragazzi, ma non dimentichiamo che come tutti giochi, ha delle regole ben precise. Chi crede che il teatro sia un gioco e basta, sbaglia.” Gli incontri si svolgeranno nel pieno rispetto delle disposizioni sanitarie. Si invitano i partecipanti a portare con loro un documento di identità e a indossare la mascherina personale. Per ulteriori informazioni, visitare il sito web: www.casababylom.it.
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