RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - lunedì 3 settembre 2018

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 3 settembre 2018
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
La sanità regionale è richiamo per pochi. In fuga per ortopedia e chirurgia (MV, 2 art.)
La Chiesa “scomunica” la ronda di Forza Nuova: «Speculano sulla paura» (Piccolo, 4 art.)
Collaborazioni transfrontaliere, il Fvg rischia di perdere milioni (M. Veneto)
In Friuli Venezia Giulia sono da ricalcolare oltre 5 mila assegni che superano la soglia (MV)
CRONACHE LOCALI (pag. 6)
Alt ore extra in AsuiTs. Cgil incalza la Regione (Piccolo Trieste)
Emergenza alla Flex, il Pd: «Un vertice per fare chiarezza» (Piccolo Trieste)
Trieste nel piano anti-pusher di Salvini (Piccolo Trieste)
Un reclutamento day per gli ex dipendenti Eaton e De Franceschi (Piccolo Go-Mo)
Vigili, slitta l’esordio dei bastoni estensibili (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Case popolari, in città situazione critica. Soddisfatta una domanda ogni cinque (MV Pn)

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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)

La sanità regionale è richiamo per pochi. In fuga per ortopedia e chirurgia generale (MV)
Maura Delle Case - La sanità del Friuli Venezia Giulia è sempre meno attrattiva. Da un anno
all’altro, negli ultimi sei (2011-2017), si sono persi centinaia di pazienti da fuori regione. Sommati
fanno 4.022 dimissioni dalle aziende sanitarie della regione, pari a -18,2%. Perdita lenta, ma
pressoché costante. Come del resto quella che ha interessato nel medesimo periodo la fuga. I
residenti in Fvg che hanno scelto di curarsi in strutture sanitarie di altre regioni sono a loro volta
diminuiti. Passati da 14.401 a 13.144 (-8,7%). Ma se la fuga decresce, l’appeal del sistema si
contrae nell’ordine di più del doppio.AttrazioneTra le aziende sanitarie quella che accusa
maggiormente il colpo è l’Aas Friuli Occidentale, che da 4.409 dimissioni di residenti fuori regione
nel 2011 passa a 3.395 nel 2017, seguono la Bassa Friulana-Isontina (da 1.956 dimissioni scende a
1-359), quindi l’azienda di Udine (da 2.438 diminuisce a 2.137). Perdono in attrattività anche gli
Irccs. Sia il Centro di riferimento oncologico, il Cro di Aviano, (da 4.435 a 3.059), sia il Burlo
Garofolo (da 1.864 a 1.507). A farsi carico della perdita è quasi interamente il servizio pubblico,
con -3.956 dimissioni nell’arco del periodo, viceversa tiene il privato. Guadagnerebbe anche, non
fosse per la riduzione di attrattività registrata dalla Casa di cura “Città di Udine”, che da 1.668
dimissioni nel 2011 scende a 764 nel 2017. Tutte le altre invece crescono: Salus passa da 499 a 670,
S.Giorgio da 3.136 a 3.877. Il saldo è negativo per un soffio: -66. Al primo posto tra le regioni che
“regalano” pazienti al sistema sanitario Fvg c’è il Veneto: nel 2017 ne ha ceduti 13 mila 863.
Seguono la Sicilia (874) e la Lombardia (479). Le discipline di maggior richiamo sono ortopedia-
traumatologia, ragione di 5 mila 434 dimissioni nel 2017, chirurgia generale (2.179) e ostetricia e
ginecologia (1.449).FugaSe l’azienda più attrattiva è quella di Pordenone al tempo stesso è anche
l’Aas che registra la fuga maggiore. Il paradosso è solo apparente. Ad agevolare il travaso,
comunque favorevole al Fvg, è la presenza del confine con il Veneto che è la prima regione sia per
pazienti ceduti al nostro sistema, sia per destinazione di pazienti residenti in Fvg: la fuga verso il
vicino sistema sanitario vale ben 8 mila 147 dimissioni sulle 13 mila 114 complessive del 2017. Di
queste, 5.006 sono quelle di pazienti in carico all’Aas Friuli Occidentale, in leggerissima flessione
rispetto al 2011 (il riferimento in tabella è l’Ass 6, come si chiamava prima della riforma Telesca),
2.566 quelle dell’Aas Bassa Friulana-Isontina, 2.142 quelle dell’Asui Udine. Veneto e Lombardia ci
restituiscono il “favore”. Se da un lato sono le due regioni che cedono al nostro sistema il maggior
numero di pazienti, dall’altro sono ragione del maggior numero di fughe. Sono 8.147 i friulgiuliani
che l’anno scorso si sono fatti curare in Veneto, 1.815 in Lombardia, 1.154 in Emilia Romagna. Al
primo posto, in termini di discipline, c’è ancora ortopedia e traumatologia con 3.312 dimissioni, al
secondo la chirurgia generale con 1.513 dimissioni, al terzo una new entry, recupero e riabilitazione
funzionale (1438).ContiAttrazione e fuga hanno ovviamente un impatto non indifferente sul
bilancio regionale. Impatto che si sta progressivamente riducendo, in parallelo alla dinamica di fuga
e attrazione. Al momento il conto a piè di lista resta ancora positivo. La differenza tra gli 87,9
milioni di crediti (frutto della mobilità attiva, vale a dire le prestazioni erogate dalla regione per
cittadini non residenti) e gli 83,4 milioni di debiti (frutto della mobilità passiva per prestazioni
erogate ai cittadini residenti in Fvg fuori dalla regione) è infatti un saldo di 4,5 milioni di euro
(2017).
Riccardi: pazienti da seguire anche nella fase post-ospedale
testo non disponibile

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La Chiesa “scomunica” la ronda di Forza Nuova: «Speculano sulla paura» (Piccolo)
Gianluca Modolo - «Non vorrei che si tornasse alle ronde di certi tipi di regimi che hanno
avvelenato il nostro vivere libero e democratico. Abbiamo già le forze dell’ordine che svolgono i
loro compiti e presto anche i vigili con le pistole. Cosa vogliamo di più? Un regime carcerario?».
Non usa mezze parole don Ettore Malnati, braccio destro del vescovo di Trieste Crepaldi, sul caso
della ronda di Forza Nuova di venerdì sera in zona stazione da parte di un gruppo di militanti della
formazione neofascista. «Bisogna reagire: se noi stiamo zitti, questi fanno di noi quello che
vogliono. In Europa assistiamo a un rigurgito xenofobo e razzista e quindi è necessario essere
all’erta e denunciare senza paura». Sul clima che si respira in questi ultimi tempi in città, don
Malnati insiste su un punto. «Questa mattina (ieri, ndr) ho detto ai ragazzi durante la messa: “guai a
smorzare la nostra solidarietà”. Non è un discorso di buonismo: è un discorso che si inserisce nella
nostra cultura di accoglienza, soprattutto qui a Trieste. Questi personaggi speculano sulla paura e
così facendo ci fanno diventare razzisti». «Le ronde? Mi hanno fatto amaramente sorridere. Come
pretendono dei semplici cittadini di sostituire le forze dell’ordine?». A chiederselo è don Mario
Vatta, fondatore della comunità di San Martino al Campo. Che aggiunge: «Non riesco a capirne le
finalità. Mi pare che Trieste sia una città abbastanza “in sicurezza”. Dove sono tutti questi
delinquenti, questi stupratori? Si vuole alimentare la paura? Dove si vuole arrivare con queste
azioni? Ci sono forse dei dati preoccupanti sui reati?». Anche don Amodeo, della Caritas, prende le
distanze. «Non capisco come si possa chiedere legalità eseguendo un’azione illegale. Negare, però,
che in quella zona dove è avvenuta la ronda ci siano problemi, è una stupidaggine. Il problema
esiste, ma non lo si affronta in questo modo». Critico con la “spedizione” neofascista anche
Gianfranco Schiavone, dell’Ics. «Si tratta di una iniziativa pericolosa e illegale. C’è una evidente e
grave responsabilità del comune di Trieste: non è possibile che il responsabile della sicurezza
urbana (il vicesindaco Polidori, ndr) sostenga queste iniziative. Chiederò formalmente alla
prefettura e alla questura di intervenire perché cessino immediatamente. Prenderemo tutte le misure
necessarie per identificare queste persone e denunciarle alle autorità. Lega e Forza Nuova sono
ormai la stessa cosa: ci sono fior di inchieste sul fatto che queste due organizzazioni siano in realtà
un unico soggetto». Smorza un po’ i toni Walter Milocchi, comandante della Polizia locale. «Se ci
sono persone che vanno in giro e telefonano alle forze dell’ordine segnalando qualcosa che non va,
non vedo il problema. Quando queste ronde diventano organizzate dobbiamo stare attenti, ma
venerdì sera non ci sono state criticità. Mi è sembrata meramente un’azione politica. Queste
“passeggiate” lasciano il tempo che trovano». Molto dura l’Anpi che in una nota scrive: «I cittadini
non hanno bisogno di simili pagliacciate che possono facilmente evolversi in dimostrazioni di
intolleranza, prevaricazione, razzismo e oppressione anche fisica del diverso e del dissenso. Simili
pericolose iniziative non sono la risposta ad un problema ma, al contrario, un’attenta, voluta e ben
orchestrata operazione di esasperazione». Non commentano nemmeno oggi né il governatore
Fedriga né il prefetto Porzio. Solo il questore Fusiello fa sapere che «domani (oggi per chi legge,
ndr) ne parlerò con il prefetto per sapere se per caso lei ha avuto segnalazioni di questo genere. In
questura non ne sono arrivate e neanche ai carabinieri. Io l’ho appreso dal giornale».E ora le ronde
di FN arriveranno anche in Parlamento e sul tavolo del ministro Salvini. Lo ha annunciato ieri la
deputata Pd Debora Serracchiani la quale presenterà un’interrogazione «per chiedere al ministro di
chiarire se sia accettabile che gruppi organizzati, che si richiamano a ideologie di estrema destra,
svolgano un’attività di controllo che vuole sostituirsi o sovrapporsi a quella legittima dello Stato».
Roberti: «Sono bravi ragazzi che passeggiano per la città»
testo non disponibile

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«La vera giustizia non è mai fai-da-te. La tutela dell’ordine spetta allo Stato»
«Noi siamo fermamente contrari alla giustizia fai-da-te. La tutela dell’ordine e della sicurezza è una
prerogativa dello Stato. Non riesco a comprendere che significato possano avere queste ronde e
quale sia la loro utilità per la cittadinanza». A dirlo è Daniele Tissone, segretario generale nazionale
della Silp-Cgil, il sindacato dei lavoratori della polizia.Di episodi simili a quello avvenuto qui a
Trieste venerdì sera, negli ultimi tempi ne abbiamo visti parecchi. Come si risponde a questo
bisogno di sicurezza?C’è una carenza atavica delle forze di polizia in questo Paese. Ma la risposta
non è sostituire la sicurezza dei cittadini con le ronde e con i militari - penso ad esempio
all’operazione strade sicure - ma aumentando le forze di polizia sul territorio. Potenziare i
commissariati e le questure, fare in modo che ci sia qualche volante in giro. Oggi noi abbiamo i
poliziotti con l’età media più elevata d’Europa e dobbiamo fare i conti con una diminuzione sul
territorio nazionale di 12 mila unità, dal 2008 a oggi.Ma quello dei cittadini è un bisogno reale?I
reati sono in diminuzione. Lo sappiamo dai dati e ciononostante l’opinione pubblica si sente in
pericolo. Non si capisce da dove deduca un cittadino italiano questo aumento di pericolosità. È una
sicurezza percepita che non è reale ma che viene vista come tale. Bisognerebbe combattere questo
senso di insicurezza che molto spesso non è legato a quelle che sono le dinamiche reali del numero
di reati. Questo vale per l’immigrazione, ma anche per tanti altri casi. Questa fame di poliziotti che
c’è in Italia io non la rilevo negli altri paesi d’Europa. Da questo punto di vista, tra sicurezza
percepita e quella reale si rischia di avere un divario che non esiste, che viene creato». Un tema,
quello della sicurezza, spesso strumentalizzato.Sì, e sfruttato per ragioni politico-elettorali. Non
deve mai essere appannaggio di una forza politica, di un movimento o di un altro. Sono temi alti, di
un valore cruciale.Torniamo alle ronde. Quali sono i rischi per i cittadini? La ronda al massimo può
segnalare all’autorità competente una determinata situazione. Però bisogna stare attenti su questo
punto. Questi “rondisti” hanno la competenza necessaria? Magari si segnala una cosa che non è
nemmeno un reato.
Dalle casacche al numero minimo. Ecco perché sono azioni fuorilegge
Introdotte nel 2009 tra le norme del “pacchetto sicurezza” di Maroni, sono regolamentate in Fvg
anche dalla legge regionale Seganti (testo non disponibile)

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Collaborazioni transfrontaliere, il Fvg rischia di perdere milioni (M. Veneto)
La Regione si attiva per bloccare l’entrata in vigore dei nuovi criteri di riparto dei fondi europei che,
facendo riferimento alla popolazione residente entro 25 chilometri dai confini terrestri e marittimi,
comporterebbero per l’Italia, e il Fvg in particolare, un taglio netto del 40% nella programmazione
2021-27, un gap decisamente troppo elevato rispetto a una media, per gli altri Stati, pari a circa il
12%.«Il grido di allarme - afferma l’assessore regionale alle Politiche Europee, Pierpaolo Roberti -
deve giungere forte a Bruxelles e di questo il governatore Massimiliano Fedriga e l’intera giunta se
ne fanno immediato carico». «I criteri che questa Unione europea vorrebbe imporre - aggiunge
Roberti - sono estremamente penalizzanti per il nostro territorio che, dagli attuali 79 milioni di euro
per il periodo 2014-20, rischia di vedersi quasi dimezzate le risorse messe a disposizione attraverso
il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) per i programmi transfrontalieri (Interreg), in
particolare quelli che ci vedono in partnership con Slovenia, Austria e Croazia che, progettualità
vorrebbe, sono in fase di ulteriore espansione con una previsione di spesa già attestata sui 60
milioni di euro».Il Fvg, evidenzia l’assessore, partecipa a undici progetti Interreg su 19 che
coinvolgono l’Italia, risultando la prima Regione in assoluto insieme al Veneto e occupandosi di
argomenti di primaria rilevanza quali ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, sviluppo
sostenibile con particolare attenzione alle politiche energetiche e ambientali, valorizzazione dei beni
culturali e naturali anche in chiave turistica, connettività dei territori e cooperazione istituzionale. «I
tagli paventati dalla Ue sono troppo ingenti - sottolinea ancora Roberti - e, tra l’altro, riguardano
pure la percentuale di finanziamento dei progetti che si ridurrebbe dall’85% al 70%. Davvero
inaccettabile - prosegue l’assessore regionale pure agli Enti Locali - anche perché tali misure
restrittive vorrebbero essere imposte alla vigilia di una tornata elettorale che invitiamo ad attendere
prima di assumere decisioni così importanti e impattanti».«La giunta regionale - afferma Roberti -
sosterrà ogni azione, in sede tecnica e politica, per confermare l’autonomia della dimensione
transfrontaliera marittima e gli spazi di cooperazione che vedono collaborazioni e opportunità
estremamente interessanti per il Fvg. Così come - conclude il fedelissimo del governatore - auspico
faranno, con toni e modi appropriati, tutti gli attori trasversalmente interessati al benessere e allo
sviluppo di questa regione».

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In Friuli Venezia Giulia sono da ricalcolare oltre 5 mila assegni che superano la soglia (MV)
Riccardo De Toma - «Le misure introdotte scaturiscono dalla evidente necessità di apportare al
settore pensionistico un correttivo improntato a ragioni solidaristiche e di equità sociale, ancor più
urgente nell’attuale fase socio-economica del Paese». Questo l’obiettivo della proposta di legge sul
ricalcolo delle cosiddette “pensioni d’oro”, presentata lo scorso 6 agosto alla Camera dai deputati da
Francesco D’Uva (M5s) e Riccardo Molinari (Lega). Il testo è molto scarno, composto com’è di sei
articoli e due tabelle con i coefficienti per il ricalcolo delle pensioni interessate. Tutto sommato
scarna anche la relazione illustrativa, quattro pagine scarse, in cui i due firmatari illustrano la logica
del provvedimento, che punta a ricalcolare la parte retributiva di tutte le pensioni presenti e future,
comprese quelle decorrenti da prima del 1996, anno di entrata in vigore della riforma Dini, quando
queste superano l’importo annuo di 80 mila euro, corrispondenti a circa 4 mila euro netti di assegno
mensile (da moltiplicare per 13 mensilità). A giustificare un simile intervento, in particolare rispetto
ai dubbi di incostituzionalità che sorgono automatici ogniqualvolta si interviene in materia di diritti
acquisiti, è l’obiettivo di destinarne i proventi di quel taglio all’incremento dell’assegno sociale
(453 euro) e della pensione minima (507 euro) «fino alla soglia dei 780 euro».
I NUMERI Togliere ai pensionati ricchi per dare ai poveri. Sulla logica nulla da dire, tanto più che
l’ammontare di quanto va redistribuito va calcolato applicando i coefficienti applicati per il calcolo
delle pensioni attuali. I dubbi, che né la relazione tecnica della legge né il dibattito politico seguito
alla sua presentazione hanno sciolto, riguardano i numeri delle pensioni su cui penderebbe la spada
di Damocle del ricalcolo. Solo l’Inps è in grado di calcolarli con esattezza. I dati disponibili online,
invece, consentono solo di stimarlo, anche se con buona approssimazione. E una cosa è certa: dati
sulle dichiarazioni dei redditi 2017 alla mano, i pensionati con reddito superiore agli 80 mila euro
sono appena 227 mila in Italia e 5.107 (i redditi sono quelli del 2016) in Friuli Venezia Giulia. Ma
la platea così individuata, già piuttosto esigua se l’obiettivo è di innalzare di circa 300 euro le
minime e le sociali, va drasticamente ridotta: solo un terzo di quei 227 mila pensionati ricchi, 74
mila, supera infatti la soglia degli 80 mila euro di pensione (o di pensioni). Applicando la stessa
proporzione a ogni regione, i pensionati d’oro della nostra regione interessati dal ricalcolo si
possono stimare in 1.700 persone.
POCHE RISORSE La montagna per partorire il topolino? In attesa che l’Inps sostituisca le stime
con i numeri reali - cosa che potrebbe surriscaldare ulteriormente il livello già alto di polemica tra il
suo presidente e il Governo - politici e addetti ai lavori stanno provando a fare i conti. Cosa ancora
più difficile, perché l’entità del ricalcolo dipende da troppi fattori diversi caso per caso, dall’anno
all’età di pensionamento. L’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd), ha ipotizzato - ma su
quali basi è davvero difficile capirlo - un “prelievo” medio di 250-300 euro mensili. Arrotondando
per eccesso e supponendo che si tratti di un importo al netto delle tasse, si arriva a 4 mila euro medi
per pensionato (proteste e Corte costituzionale permettendo), per un’entrata annua di 300 milioni di
euro. Meglio che niente, si dirà, ma davvero pochi di fronte agli obiettivi annunciati.
PENSIONI O PENSIONATI? Ulteriore limite alle potenziali entrate il fatto che la soglia
individuata dai firmatari riguardi non il totale dei redditi da pensione ma le singole pensioni. Chi
supera la soglia non con una singola pensione ma per effetto di più assegni (probabilmente una
ristretta minoranza, visti gli importi, ma a livello nazionale potrebbero essere diverse migliaia di
pensionati) si vedrà ricalcolare non l’intera pensione, ma soltanto la quota retributiva eccedente gli
80 mila euro. Una scelta non soltanto penalizzante sul gettito della misura, ma anche discutibile sul
piano di quell’equità sociale a cui punta la proposta di legge.

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CRONACHE LOCALI

Alt ore extra in AsuiTs. Cgil incalza la Regione (Piccolo Trieste)
Non ci stanno i sindacati - e in particolare la Cgil funzione pubblica - a passare per complici
dell’attuale situazione della sanità triestina. Tutto nasce dalle dichiarazioni dell’assessore regionale
alla Salute, Riccardo Riccardi, che replicando alla segretaria provinciale Rossana Giacaz, aveva
rimarcato che «secondo il suo sindacato (la Cgil Fp, ndr) prima andava tutto bene. A me pare che
non andasse tutto bene e discutere di contenitori significa partire da uno degli elementi strutturali
visto che da quello sono derivati parecchi problemi». Giacaz replica che «avevamo chiesto anche
alla giunta precedente un incontro, perché noi rappresentiamo i lavoratori e sono anni che
denunciamo un calo delle risorse e del personale. Un segnale di questa situazione deriva
chiaramente dal numero elevato di straordinari che vengono svolti». La rappresentante della Cgil
evidenzia poi che «prima ancora che si insediasse l’assessore avevamo chiesto un incontro al
presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, e poi congiunto con Riccardi per affrontare la
grave situazione economica in cui si trova l’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste.
Parlo anche a nome della altre single sindacali - Fials, Cisl e Uil - e segnalo che ancora non siamo
stati chiamati a discutere e lo vogliamo fare nel merito». Nel possibile incontro con l’esecutivo Fvg
i sindacati presenteranno un piano specifico per la realtà di Trieste, che passa per una
riorganizzazione interna, ma anche per un adeguamento dei fondi. Giacaz si dice anche sorpresa che
«la Regione abbia autorizzato lo stop alle ore extra, speravamo ci fosse un intervento. Rilevo che
qua facciamo solo cure dimagranti senza preoccuparci poi di come si sviluppano le situazioni».
Matteo Modica, segretario di Trieste di Fsi-Usae, preferisce evitare le polemiche politiche e anticipa
che «stiamo preparando un documento da inviare a Riccardi nel quale esprimiamo perplessità e
disappunto per la scelta aziendale dello stop agli straordinari, pur capendo il vincolo di bilancio».
La spesa al momento è già superiore di 400 mila euro rispetto alla previsione annuale di 1,1 milioni
per le ore straordinarie appunto dei dipendenti dell’AsuiTs. «A pagare - rimarca Modica - non
possono sempre essere i lavoratori che si sacrificano ogni giorno in corsia e cercano di andare
avanti, ora non si vedono neanche retribuiti nelle loro spettanze. La cosa è grave, nel documento
chiederemo una manovra coraggiosa sul personale». A.P.

Emergenza alla Flex, il Pd: «Un vertice per fare chiarezza» (Piccolo Trieste)
«Ci siamo immediatamente attivati e abbiamo preso contatto con i rappresentanti dei lavoratori
della Flex, per proporre un incontro e verificare assieme le modalità per evitare conseguenze
drammatiche per i precari il cui contratto scadrà tra pochi mesi». Lo ha affermato la segretaria
provinciale del Pd Laura Famulari, in merito alle preoccupazioni per il futuro occupazionale di 237
lavoratori somministrati dell’azienda elettronica triestina Flex, controllata dalla multinazionale
statunitense Flextronics, che in applicazione del “Decreto dignità” ha portato a scadenza al 31
gennaio 2019 tutti i 237 contratti. «Flex - ha ricordato Famulari - è stata in passato seguita con
molta attenzione dall’amministrazione regionale e per questo vogliamo capire con precisione come
stanno le cose. Quella del personale somministrato è stata sin dall’inizio una questione aperta, e
sulla quale erano state ottenute assicurazioni pochi mesi fa». «La tagliola del Decreto dignità - ha
aggiunto Famulari - non era proprio ciò che in questo momento poteva aiutare i precari di Flex. Ma
bisogna evidentemente esplorare tutte le possibili variabili e capire anche l’atteggiamento
dell’azienda. I vertici di Flex avevano dato assicurazioni anche sul rinnovo dell’accordo triennale da
sottoscrivere al Ministero dello sviluppo economico nel corso di quest’anno, dicendosi aperti a una
nuova intesa finalizzata allo sviluppo industriale e al mantenimento di un clima collaborativo
all’interno dello stabilimento. Ora si tratta di fare nuove verifiche. Per questo c’è la completa
disponibilità del partito - ha concluso Famulari - che coinvolge tutti i livelli istituzionali, dal
Comune al Parlamento».

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Trieste nel piano anti-pusher di Salvini (Piccolo Trieste)
Fabio Dorigo - Il ministro dell’Interno Matteo Salvini lancia il piano da 2,5 milioni anti-pusher per
le scuole via Twitter e Trieste non si fa trovare del tutto impreparata. «Ah, benissimo. Non ne
sapevo nulla. Mi pare un’ottima cosa. Vedremo cosa fare. Ben venga. Le finalità sono condivisibili»
ammette il vicesindaco leghista Paolo Polidori.«Arriveranno 51 mila e 500 euro. Neppure il 2 per
cento del totale. Non molti soldi e da spendere subito. I progetti vanno presentati entro il 20
settembre» spiega l’assessore all’Educazione Angela Brandi, decisamente più informata sui fatti.
L’annuncio ministeriale è arrivato ieri pomeriggio giusto in tempo visto che si avvicina il ritorno sui
banchi degli studenti italiani. I primi a rientrare in classe saranno gli alunni di Bolzano, il 5
settembre. In Friuli Venezia Giulia le lezioni, invece, riprendono il 10 settembre. A Roma e nel
Lazio si andrà a scuola dal 17 settembre, così come in Emilia, Liguria, Toscana, Calabria, Sardegna.
L’ultima sarà la Puglia dove le lezioni inizieranno il 20 settembre. Ad attendere gli studenti quest’
anno l’intensificazione dei controlli antidroga grazie all’operazione “Scuole sicure” voluta e
annunciata dal ministro Salvini che mette a disposizione un fondo di 2,5 milioni di euro. Il piano
riguarderà le principali città italiane: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna,
Firenze, Bari, Catania, Venezia, Verona, Messina, Padova e Trieste. Avranno a disposizione lo
stanziamento per incrementare i controlli, assumere agenti della polizia locale a tempo determinato,
coprire i costi degli straordinari o installare impianti di videosorveglianza: «Fra poco riaprono le
scuole dei nostri figli, sto lavorando perché per gli spacciatori di morte finisca la pacchia - ha scritto
ieri il ministro Salvini su Twitter -. Con #ScuoleSicure, diverse città italiane avranno a disposizione
2,5 milioni di euro per incrementare i controlli». La pacchia non è finita, insomma, solo per gli
immigrati. Ma cosa farà Trieste dei soldi in arrivo? «Mercoledì all’Anci nazionale ci sarà un
incontro per dare maggiori spiegazioni su questo provvedimento - spiega Brandi -. In linea di
massima vanno destinati a dei progetti sulla sicurezza e contro la droga. Immagino che saranno
destinati soprattutto agli istituti superiori e alle scuole medie. Credo che possano essere utilizzati
per le telecamere o per pagare ore straordinarie ai vigili per potenziare i controlli. O per una
convenzione con istituti privati di vigilanza».Il problema è la tempistica. «Purtroppo è una cosa da
mettere in piedi in tempi strettissimi. Da quello che mi risulta bisogna presentare i progetti alle
Prefetture entro il 20 settembre - conclude l’assessore -. E, per noi, i soldi sono pochi. In ogni caso
meglio che niente. Vedremo di utilizzarli al meglio. Penso che li destineremo alle telecamere. In
ogni caso, si tratta di un segnale di attenzione importante per la scuola».

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Un reclutamento day per gli ex dipendenti Eaton e De Franceschi (Piccolo Go-Mo)
Laura Blasich - A due giorni dalla protesta degli ex lavoratori Eaton, scesi in strada con i
curriculum che, hanno sostenuto, Fincantieri non ha preso in considerazione, a Monfalcone oggi
Regione, Comune e Confindustria annunceranno le iniziative per l’attuazione del protocollo siglato
a maggio per fornire prospettive occupazionali a quanti sono stati coinvolti da crisi aziendali. In
municipio il sindaco Anna Cisint, Confindustria regionale con la presidente del settore
navalmeccanica, Michela Cecotti, e il presidente della Regione Massimiliano Fedriga, anche se in
collegamento telefonico, forniranno una risposta a quanto richiesto a gran voce dagli ex Eaton. La
prima a essere messa in campo, già nel corso di questo mese, dovrebbe essere rappresentata da un
“recruiting day”. Vale a dire una giornata in cui la domanda di lavoro delle aziende dell’appalto
Fincantieri (ma forse non solo) si incontri direttamente con l’offerta, cioè con i profili e le capacità
lavorative degli ex dipendenti Eaton privi di un’occupazione dopo la chiusura della fabbrica di via
Bagni nuova, ma anche degli ex impiegati nei mulino allora De Franceschi.«Rispetto quella
situazione avremo in ogni caso davvero a breve un incontro con la proprietà, cioè con la società
Casillo - spiega il sindaco Cisint -, per fare il punto anche sulle risposte attese sotto il profilo
occupazionale». Se gli ex Eaton al momento senza uno sbocco occupazionale sono una novantina,
gli ex De Franceschi senza lavoro, e ormai privi di qualsiasi ammortizzatore sociale, sono ancora
una quarantina sui 52 di partenza. Ad accomunare le due situazioni c’è l’età media degli ex addetti e
la paura di non riuscire a raggiungere il pensionamento.«Sulle problematiche legate all’età
ragioneremo con il presidente Fedriga e con il ministero del Lavoro», afferma il sindaco, che
ribadisce l’esigenza, condivisa con il sindacato, di rivedere il sistema degli appalti per fornire una
risposta occupazionale al territorio. Dalla firma del protocollo sull’occupazione, a maggio in
Prefettura a Gorizia, la Regione intanto ha definito i percorsi formativi necessari per rispondere alle
esigenze dei lavoratori e delle aziende e Confindustria ha lavorato con le imprese per dare corpo
all’intesa.

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Slitta l’esordio dei bastoni estensibili. I vigili li avranno per Gusti di frontiera
(Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Francesco Fain - Se ne parla ormai dal febbraio scorso. Ma i vigili urbani non sono ancora stati
dotati dei “bastoni estensibili”. Sono stati regolarmente acquistati, gli agenti hanno effettuato i corsi
per imparare come utilizzarli, si era parlato di giugno, poi di luglio, quindi di agosto come data del
loro esordio ma occorre ancora aspettare.Nel frattempo, si è diffusa una voce piuttosto inquietante:
tali strumenti sarebbero “illegali” così come vennero dichiarati i tonfa, poi rivenduti per non
lasciarli impolverare negli armadi. Il comandante della Polizia locale, Marco Muzzatti respinge però
recisamente questa indiscrezione. E spiega: «Gli strumenti sono stati dichiarati perfettamente
idonei. Tant’è che sono già stati acquistati e sono nella nostra disponibilità. Semplicemente, va
modificato il regolamento della legge 9 relativa alla Polizia locale. In quella normativa apparivano
come dotazioni dei vigili urbani gli spray al peperoncino (che gli agenti hanno a disposizione ormai
da parecchio tempo) e i tonfa. Occorre, ora, che si depenni quest’ultimo tipo di manganelli (peraltro
già venduti, ndr) e si inserisca chiaramente la dicitura “bastoni estensibili”».La burocrazia, dunque,
pare frenare l’esordio della nuova dotazione. «Vediamo se riusciamo a farli esordire per “Gusti di
frontiera”. Questo è il nostro obiettivo», spiega Muzzatti. Che ripete: «Non ci sono misteri o
problematiche particolari. Chi parla di strumenti “illegali” diffonde notizie non corrette. Occorre
solamente che venga modificato il regolamento in maniera tale da non avere problemi di alcun
tipo».La sigla è “Prg-580”. Così si chiamano i nuovi bastoni telescopici estensibili dei vigili urbani.
«Strumenti - ci tiene a precisare ancora una volta il comandante Marco Muzzatti - di autodifesa,
utilizzabili con scopi esclusivamente dissuasivi. Serviranno, all’occorrenza, per tenere a debita
distanza eventuali attaccabrighe, ubriachi che brandiscono bottiglie rotte, piccoli delinquenti. Gli
agenti avranno anche una fondina in cui riporranno i bastoni estensibili».La legge, com’è
ampiamente noto, non ritiene i Prg-580 un’arma come, invece, vengono considerati i tonfa e gli
sfollagente il cui utilizzo è riservato alle sole forze e corpi armati dello Stato e non ai vigili urbani.
Questi si devono “accontentare”, appunto, dei bastoni estensibili, uno strumento di difesa realizzato
in nylon e fibra di vetro, dal peso di circa 200 grammi, con diametro delle sezioni dello stelo 10 e
18 millimetri e una lunghezza totale in estensione di circa 580 millimetri e, da chiuso, di 280
millimetri. Tecnicamente, il bastone è composto da tre segmenti, bloccabile in posizione estesa, con
la possibilità di montare accessori per agevolare le operazioni di soccorso e le attività di Polizia
stradale. Queste le caratteristiche tecniche della nuova dotazione che i vigili urbani otterranno.
Stavolta, quindi, la richiesta rivolta alla Prefettura di Gorizia ha ottenuto risposta positiva
assicurando il via libera alla dotazione dello strumento.La fornitura ha riguardato complessivamente
trenta bastoni per una spesa complessiva di 2.020 euro. Gli strumenti, venduti dalla ditta
specializzata “Tec sas” di Noale (Venezia), sono già arrivati in Comando parecchi giorni fa.

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Case popolari, in città situazione critica. Soddisfatta una domanda ogni cinque
(M. Veneto Pordenone)
Martina Milia - Urgenza di case popolari a Pordenone più che a Udine e Trieste. Perché la capacità
della città di dare una risposta è più lenta che altrove e fa i conti con un patrimonio più contenuto. I
dati dell’ultimo bilancio sociale (disponibile) di Ater dicono che, rispetto agli ultimi bandi, in città
solo una domanda su cinque ha trovato risposta: il 79 per cento non ha potuto beneficiare (il bando
di riferimento è del 2012) dell’alloggio. E a oggi (la graduatoria è stata aggiornata a maggio di
quest’anno e in lista d’attesa restano 648, rispetto ai 687 del 2016) la proporzione è cambiata
poco.Le famiglie che occupano alloggi gestiti dalle Ater rappresentano complessivamente il 29%
delle famiglie della regione che risiedono in affitto, e quasi il 5% del totale. Ma in provincia di
Pordenone questi numeri scendono: sono il 18 per cento degli affittuari e il 4 per cento del totale in
provincia. Ci sono infatti 100.657 abitazioni di proprietà, 19.992 contratti d’affitto, 8.619 casi di
diversa tipologia di locazione e 3.503 contratti di edilizia sovvenzionata. Questione di patrimonio e
questione che diventa critica in città perché da anni non si costruisce più. In compenso gli immobili
vuoti abbondano. Se i contratti di edilizia sovvenzionata sono 3503, gli inquilini sono più di 8mila.
Il numero di inquilini soli è importante: oltre 1400 per cui quasi la metà dei contratti hanno come
titolare una persona che vive sola. Ma qual è il rapporto italiani-immigrati sui quali sta discutendo
la politica? Gli alloggi assegnati, in provincia di Pordenone, registrano l’83 per cento di inquilini
italiani, il 2 per cento di inquilini comunitari e il 15 per cento di extracomunitari. Se si analizza il
dato riferito ai titolari dei contratti e quindi al numero di case assegnate agli italiani e ai migranti, il
divario cresce ulteriormente a favore degli italiani. Rispetto, però, alle domande, invece, il numero
di quelle presentate da cittadini stranieri è aumentato, soprattutto negli anni della crisi. Se nel 2009
in provincia erano il 27 per cento, nel 2012 hanno raggiunto il 54 per cento, per scendere al 43 per
cento nel 2017.La politica intanto si interroga. Fratelli d’Italia, con i consiglieri regionali
Alessandro Basso e Claudio Giacomelli, ha proposto di alzare il tetto della residenza in regione a
cinque anni per chi chiede un alloggio popolare. Il Pd risponde: «Se guardiamo le nuove
assegnazioni in regione nel 2016, il 73% dei contratti è stato stipulato da cittadini italiani, in
provincia il 68 per cento. Modificare il regolamento di accesso, permetterebbe di incidere sulla
ripartizione degli alloggi tra italiani e stranieri, ma non di aumentare un’offerta che è insufficiente a
Pordenone più che in altri capoluoghi. Per perequare la capacità di risposta al bisogno, è
fondamentale aumentare gli investimenti nell’edilizia popolare. Comune, Ater e Regione - rilancia
Nicola Conficoni -, coinvolgendo il tavolo previsto dalla legge di riforma delle politiche abitative,
collaborino per finanziare un programma di interventi utili alla rigenerazione del tessuto urbano».

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