Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
Gian Paolo Corda

Premessa
Ringrazio il Sindaco Edoardo Guenzani, l’Assessore Angelo Senaldi e l’Arch. Marta Cundari per
l’invito a tenere la relazione dell’incontro di questa sera 1 che, come è stato detto, ha come titolo
“Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano.”
Avendo maturato in questi ultimi anni una certa conoscenza della città, come è stato ricordato
nella presentazione 2 , la relazione di oggi, pur affrontando un tema di carattere generale, come gli
negli incontri precedenti, avrà come costante riferimento Gallarate, offrendone una chiave di
lettura che possa essere di qualche utilità in vista degli incontri, che seguiranno a questo primo
ciclo, sulle prospettive della Variante Generale del Pgt.
Circa il tema di oggi, debbo dire che, essendomi occupato a più riprese e a diverso titolo di
problematiche legate alla politica dei trasporti e delle infrastrutture sia a livello regionale che a
scala urbana, ho voluto oggi staccarmi da queste problematiche ‐pure di assoluto rilievo per una
città come Gallarate‐, che riguardano l’«efficienza della città», per discorrere con Voi su un tema
che riguarda la «cura della città».
Due punti di vista che certa cultura vuole diversi, quasi contrapposti, nell’occuparsi dei problemi
della città e del territorio, ma che, io credo, sono del tutto conciliabili in un orizzonte progettuale
diverso.
Ne diceva per inciso, nel terzo degli incontri, Ilaria Valente quando criticava la prassi invalsa per cui
alle infrastrutture occorre dare mitigazione a valle del progetto, a volte senza speranza, piuttosto
che progettarle interiorizzando la necessaria “cura” per l’ambiente. 3

Che cos’è la bellezza?
La bellezza, nel Dizionario del Devoto Oli è definita come: "La qualità capace di appagare l'animo
attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione" e delle città dice che si
usa al plurale “le bellezze” come “Qualità capace di interessare o attrarre".
Una definizione più compiuta è quella che si trova alla voce “Bellezza” di Wikipedia, che dice che
“La bellezza è quella qualità che suscita sensazioni piacevoli riguardo a persone, animali, concetti,
oggetti, che si coglie e si sviluppa spontaneamente, e tende a collegarsi ad un contenuto

1
  Conferenza tenuta nella Sala Consiliare di Gallarate il 26 gennaio 2012 nell’ambito del Processo Partecipativo di avvio
della Variante Generale al Piano di Governo del Territorio.
2
  Come responsabile della ricerca a supporto del Pgt che il Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico
di Milano ha sviluppato su incarico dell’Amministrazione.
3
  Cura per l’ambiente significa rispetto per tutte le componenti che caratterizzano l’opera, da quelle che la hanno
dimostrata come “necessaria”, a quelle che tengono conto delle ragioni dell’ambiente nel quale si inseriscono,
attraverso la qualità stessa del progetto e del processo partecipativo attraverso il quale è stato condiviso dai cittadini.
Escludo da questa valutazione le tante infrastrutture “non necessarie” realizzate, o alcune di quelle pure previste, per
le quali non c’è mitigazione che tenga, al di là di ogni tendenziosa analisi costi‐benefici, considerando invece le
infrastrutture “necessarie” sulle quali, per il bene comune, non si possa, collegialmente, convenire.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
emozionale positivo, in seguito ad un rapido paragone effettuato consciamente od
inconsciamente”; e completa precisando che la bellezza si coglie ”con un canone di riferimento
interiore che può essere innato o acquisito per istruzione o per consuetudine sociale.” 4
In ragione del rispondere a dei canoni, la bellezza non è un assoluto ma è funzione del tempo e del
contesto culturale. Entro il riconoscimento di queste variabili di tempo e di contesto potremo
definire “oggettiva” questa bellezza, distinguendola da quella “soggettiva”, di cui non è dato
disputare, che dipende dal “gusto”.
Sebbene in molte culture i concetti di bellezza soggettiva e di bellezza oggettiva non siano
facilmente scindibili, la bellezza oggettiva è l'unica con la quale si possa impostare un discorso
concreto, in quanto la definizione di concetti non oggettivi porta all'influenza su di essi del “gusto”,
che è, necessariamente, personale.
Il concetto di “gusto”, introdotto nell’Essai di Laugier nel 1753, definito come ”ciò che piace alla
gran parte delle persone”, costituisce una trasformazione storica, tra le più importanti introdotte
nel pensiero umano nel corso degli ultimi secoli, con una vera e propria rivoluzione che mette in
crisi il principio della bellezza “oggettiva, universale, eterna, sacrale”.
Per quanto la separazione tra bellezza e gusto faccia sì che il concetto stesso di bellezza abbia
perduto buona parte della sua solidità, tuttavia, sulla bellezza della città, ormai da qualche tempo
si fa un gran discorrere, soprattutto dacché si sono perduti alcuni riferimenti certi sul territorio
dell’architettura e da quando si comincia a riflettere sullo sproporzionato rilievo che il “gusto” ha
assunto in molta architettura contemporanea, più attenta a “crear moda” e quindi a determinare
“tendenza” più che ad essere bella.
Se la bellezza è quella qualità che suscita sensazioni piacevoli, che si coglie e si sviluppa
spontaneamente, e che tende a collegarsi ad un contenuto emozionale positivo, quando una città,
nel suo insieme, può dirsi bella?
Se la bellezza risponde a canoni che variano nel tempo e sono differenti alle diverse latitudini del
mondo per quanti la città può essere “bella” allo stesso modo?

La bellezza della città
Molti, nei secoli, sono stati i tentativi nel costruire un “ideale” di città, ma tutti hanno portato a
                             ritenere che la forma della città o la qualità delle sue architetture
                             costituiscano solo in parte la ragione di questo ideale.
                                    Secondo un grande letterato del Cinquecento, Francesco Patrizi, uomo
                                    di vasta cultura, filosofo, conoscitore del mondo per aver a lungo
                                    viaggiato 5, “una città è bella” quando è capace di garantire “la felicità
                                    dei propri cittadini” e il suo “essere bella” deriva “dall’intreccio delle
                                    combinazioni date dall’ubicazione della città, la relazione di
                                    uguaglianza tra i suoi abitanti, la regolazione delle leggi necessarie a
                                    garantire la pace della città, il governo della città, la sicurezza, la
                                    libertà dei cittadini, la libertà religiosa.”
                                    Francesco Patrizi (1529 - 1597)

4
    Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Bellezza
5
    Franciscus Patricius, nato a Cherso il 25 aprile 1529 e morto a Roma il 6 febbraio 1597.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
Per quanto Giulio Carlo Argan, nella Premessa all’arte italiana della Storia d’Italia Einaudi osservi
che “le città utopistiche, sono più quelle realizzate nel Medioevo che quelle ideate nel
Rinascimento”, tuttavia è a partire dalla riflessione svolta nel Rinascimento che il meccanismo
della città viene indagato con una nuova mentalità scientifica. 6
Per definire la città ideale Leon Battista Alberti (1404‐72), non parte dalla bellezza ma dalla
funzionalità: la città deve essere circondata da una pianura, deve assicurarsi il rifornimento
d’acqua, deve avere all’interno una zona vincolata per uso agricolo, poi (non diversamente da
quanto Gianni Scudo ricordava in occasione incontro del secondo incontro di questo ciclo) occorre
rispetti gli accorgimenti igienici dell’insolamento, la ventilazione.
Assolte le esigenze di funzionalità, Alberti necessità introduce le esigenze del decoro secondo i
nuovi principi della proporzione e dell’euritmia: strade diritte e larghe, piazze con diverse funzioni,
edifici porticati di altezza omogenea. Alberti, quindi necessarie associa nella città ideale la
commoditas, la funzionalità, di cui dice Vitruvio nel suo trattato sull’Architettura, e la venustas, la
bellezza.
Su questa traccia concettuale si muovono le città ideali illustrate nelle due tavole seguenti, che tra
loro sono associabili: la prima è nota come Tavola di Urbino, la seconda come Tavola di Baltimora.

                                           Tavola di Urbino (1480-1490)

La Città ideale, conservata nella Galleria Nazionale di Urbino, dipinta tra il 1480 e il 1490 da un
pittore ignoto, attribuita a molti degli artisti che gravitarono attorno alla corte di Federico da
Montefeltro, tra cui Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini,
rappresenta una delle immagini simbolo della bellezza della città nel Rinascimento italiano.
L'opera mostra una vasta piazza al cui centro spicca un grande edificio circolare, che ha un
carattere di edificio pubblico, non necessariamente religioso. L’intelaiatura prospettica della piazza
è ben definita dalla lastricatura geometrica. Rappresenta il modello di perfezione della città
rinascimentale, legato alla concezione di "scacchiera", dove il pavimento delle strade riflette e
amplifica la struttura della città in cui gli edifici sono ordinati e collocati a intervalli di spazio
regolari e prestabiliti secondo uno specifico canone.
Al Walters Art Museum di Baltimora esiste un'altra veduta di città ideale, di un decennio
anteriore, attribuita allo stesso autore della Tavola di Urbino e che forse anticamente ne faceva un
pendant. Anche in questo caso si ha una veduta, sviluppata prevalentemente in orizzontale, di una

6
  Dalla spontaneità del Medioevo si passa agli artisti‐letterati per giungere ai primi ingegneri. Fra le città ideali
descritte nei libri ricordiamo il capostipite Utopia di Thomas More (1516) e le città immaginate dal Doni (Il mondo
savio e pazzo, 1552), dall’Agostini (La repubblica immaginaria, 1575), dal Patrizi (La città felice, 1553).

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
piazza rinascimentale, che, come la precedente, rimanda alla composizione complessiva del suo
disegno urbano.
Ai fini del discorso di oggi non è tanto importante far notare la dominanza dei singoli monumenti
sull'impianto di insieme 7, quanto cogliere un elemento, non casuale, che vi compare.
La piazza è decorata da una fontana, al centro, e da quattro colonne onorarie con statue
simboliche sulla sommità che rappresentano le Virtù del “buon governatore” (fra di esse si
riconoscono la Giustizia, con la spada, e la Liberalità, con la cornucopia) a comunicare che una città
è bella solo quando vi è garantito il benessere, la giustizia, in sintesi, la felicità dei suoi cittadini. Il
medesimo messaggio di Francesco Patrizi espresso circa un secolo dopo.

                                            Tavola di Baltimora (1470-1480)

Una terza veduta di città ideale, forse più tarda (1477 circa) oggi a Berlino nella Gemäldegalerie si
introduce una nota ancora diversa.

                                             Tavola di Berlino (1477 circa)

La veduta è colta da una loggia, da cui si dipanano in profondità le direttrici prospettiche
evidenziate dal reticolo del pavimento, che conducono lo sguardo verso un attivo porto. Anche in
questo caso appare chiaro l'intento celebrativo del buon governo, che assicura prosperità

7
  Il lato frontale della piazza è occupato da tre monumenti classici: un anfiteatro, il Colosseo, un arco di trionfo come
l'Arco di Costantino e un edificio a pianta centrale (che è quasi la rielaborazione del Battistero di Firenze). I lati sono
chiusi da due palazzi pressoché simmetrici, simili per volumetria ma diversi nella decorazione.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
economica al territorio. La città ideale, la città bella è bella in relazione all’attività umana,
rappresentata appunto dal porto collocato sullo sfondo, non a caso, al centro del dipinto.
Quel porto e l’attività che vi è sottesa, richiama alla memoria i versi del lirico greco Alceo di
Mitilene, del VI sec. A.C., amico di Saffo, che recita che a fare una città non sono:
«le case dai bei tetti, non le pietre di mura ben costruite, non i canali né le banchine, ma gli uomini
capaci di sfruttarne l’occasione.»

                                   Alceo e Saffo di Lawrence Alma-Tadema (1881)

La città, per questo grande poeta, non è definibile per le sue parti belle, la piazza, le architetture, e
neppure le opere che ne garantiscono la funzionalità, i canali, le banchine dei porti, ma nel suo
garantire opportunità agli uomini, ciò che consente di “Sfruttarne l’occasione”.
“Sfruttare l’occasione” è ciò che la città offre quando gli uomini sono messi nella condizione di
avere un tetto dignitoso, di sentirsi sicuri, di muoversi liberamente nel collocare al meglio le
proprie capacità di lavoro, nello soddisfare il bisogno di istruzione per i propri figli, nell’avere spazi
di riposo e di svago, spazi per occasioni di incontro che rinsaldino i legami di cultura, laica e
religiosa di qualunque fede, nell’avere dalla comunità quei servizi improntati alla volontà del
“buon governo”, che ha a cuore la “facilità” e la “felicità” del vivere dei cittadini.
Se è vero il giudizio di Argan che sia più il Medioevo che il Rinascimento, ad aver garantito la
realizzazione della Città ideale, è utile ricordare quanto scriveva un grande storico medievalista,
Roberto Sabatino Lopez 8, quando, nell’intervista concessa nel 1984 a Marino Berengo, affermava
che “una città è prima di tutto uno stato d’animo” 9, riprendendo quanto nel 1955 aveva
affermato che nelle città del Medioevo: «Sono cittadini coloro che si sentono tali, che sono

8
   Roberto Sabatino Lòpez (Genova 1910 ‐ New Haven, Connecticut, 1986). Trasferitosi dopo il 1938 negli USA, ha
insegnato alla Yale University. Socio straniero dei Lincei (1982). Ha rivolto il suo interesse in particolare allo studio
della storia economica del Mediterraneo nel Medioevo: Studi sull'economia genovese nel Medioevo (1936); Storia
delle colonie genovesi nel Mediterraneo (1939); Continuità e adattamento nel Medioevo (1950); Venezia e le grandi
linee della espansione commerciale del sec. XIII (1955); The commercial revolution of the Middle Ages. 950‐1350
(1971; trad. it. 1975); è inoltre autore dell'opera complessiva sulla civiltà medievale Naissance de l'Europe (1962; trad.
it. 1966).
9
  R. S. Lopez, Intervista sulla città medievale, concessa a Marino Berengo, Roma‐Bari, Laterza, 1984.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
orgogliosi di appartenere a una comunità superiore al villaggio per potenza, per ricchezza, per
cultura, per tradizioni artistiche, per un passato memorabile, per l’attitudine ad uno sforzo
comune» 10.
Ecco, è l’orgoglio dell’appartenenza, uno degli elementi che fanno “bella” la città.
Martin Heidegger, uno dei filosofi più letti e più citati nei testi di architettura in relazione al
pensiero aperto e dialettico sul concetto di spazio e abitazione, nel testo di una conferenza del
1964 11, sosteneva che «l’arte ‐ ogni forma d’arte 12 è ascolto dell’essere e sua manifestazione
privilegiata».
Nell’arte comprende ogni forma d’arte, quindi anche l’architettura, quindi anche la città, che è, in
quanto espressione collettiva, la forma d’arte umana in assoluto la più rilevante.
In Costruire, Abitare, Pensare, un testo precedente del 1950, Heidegger aveva affermato che
l’uomo “abita poeticamente”, intendendo poeticamente per “abitare poeticamente” «l’essere
toccato dalla vicinanza dell'essenza delle cose.»
Ma abitiamo sempre poeticamente?
Molto spesso non accade in quanto molte volte ciò che l’uomo “non costruisce per l’abitare” o, in
altre parole, il costruire non sempre ha la qualità di garantire “l’abitare”.
Noi tutti abbiamo provato più e più volte il disagio, che si prova spesso in un alloggio, in un edificio
o in un determinato luogo. Questo disagio, o questo straniamento, Heidegger sostiene dipende dal
fatto che “costruire per l’abitare” implica un’attenzione diversa, un “pensare” che sovrintenda il
“costruire”.
«Costruire e pensare sono sempre indispensabili per l’abitare», ma anche insufficienti l’uno per
l’altro se non c’è un ascolto reciproco.
Ecco allora, è da questo excursus che si possono ricavare gli elementi della “bellezza della città”,
che non stanno tutti nella sola traccia delle linee di indirizzo di un piano, ma che appartengono ad
una sfera di un governo più ampia, atta a garantire a chi abita la città funzionalità, sicurezza,
relazioni di uguaglianza, prosperità economica; una città che dia suoi abitanti l’opportunità di
“sfruttare l’occasione”, cioè di muoversi liberamente per collocare al meglio le proprie capacità di
lavoro; una città capace di dare quei servizi che consentano “la facilità e la felicità del vivere”; una
città che faccia sentire ai cittadini di appartenere alla medesima comunità, anche se procedano da
culture diverse, di coltivare l’attitudine ad uno sforzo comune; torni ad essere cioè, come per la
città Medievale “uno stato d’animo”; una città che possa essere abitata “poeticamente”, dove il
“pensare” sovrintenda il “costruire”.
Una città è bella se lo è per tutti i cittadini che la abitano stabilmente, in quanto vi sono nati o ne
abbiano fatto elezione del proprio abitare, e per i cittadini che la vivono temporalmente, per una
parte della propria giornata o per una parte della loro vita.

10
   R. S. Lopez, Le città dell’Europa post‐carolingia, in I problemi comuni dell’Europa post‐carolingia, Settimane di studio
del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, II, Spoleto, presso la sede del Centro, 1955, pp. 551‐552.
11
   Conferenza tenuta in occasione di una mostra dello scultore Bernard Heiliger, intitolata Raum, Mensch und Sprache
(Spazio, Popolo e Lingua), pubblicata nel 1969, con il titolo Die kunst und der Raum (L’Arte e lo Spazio).
12
   Prima di questo libro, osserva Gianni Vattimo in un intervista rilasciata nel 1996, Heidegger riconosceva solo nella
poesia un’originarietà rispetto alle altre arti.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
Una città è bella se lo non solo nel suo centro storico, ma nelle diverse parti che la compongono,
per le quali si possano migliorare, come suggeriva nella seconda conferenza Valerio Di Battista, “i
valori d’uso, i valori culturali, i valori economici per comprendere cosa conservare e valorizzare,
cosa trasformare per migliorare.”

La cura della città
Il sentimento della “cura” è una delle attitudini più sublimi dell'animo umano, qualunque ne sia
l'oggetto.
Il “prendersi cura”, se per un filosofo come Heidegger è “essere‐nel‐mondo”, per una riflessione
più vicina al comune sentire ha assunto il carattere del sentimento di attenzione, devozione, in
qualche modo anche “compassione” per l'oggetto al quale indirizziamo la nostra azione di cura: è
un moto dell'animo, che si traduce in gesti, espressione della ricerca del ben‐essere altrui, , senza
secondi fini, cui ci dedichiamo senza aspettarci un tornaconto o una ricompensa, che anzi ci viene
dalla consapevolezza di corrispondere in questo ad un puro impulso emozionale.
Leonardo Boff, una delle personalità più influenti della teologia della liberazione, sostiene che “la
mancanza di cura” costituisce uno degli elementi più critici critica della situazione agonizzante
della nostra civiltà, ma che “aver cura” può essere principio ispiratore di un nuovo paradigma di
convivenza.
Commentando il saggio di Heidegger 13, afferma che la cura è una dimensione originaria che si
colloca nella radice primaria dell'essere umano, che rende possibile l'esistenza umana in quanto
umana.
Un'antica esortazione orientale chiede di “aver cura del giorno che nasce” così come si ha cura dei
figli, dei nostri simili, dei nostri animali, della nostra casa, della nostra vita.
Per chi intende curare, l'ascolto non è un'opzione, ma la condizione fondamentale affinché ogni
azione intrapresa risulti efficace: nella cura di un malato come in quella di un bambino che cresce,
nella vita di una coppia come in un rapporto di amicizia, l'ascolto sta alla base dei gesti,
presuppone il tempo dedicato, e fa sì che esso sia ben speso.
Come dice la volpe al Piccolo Principe, “è il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la
tua rosa così importante”.
Non può esserci fretta, nella cura, né superficialità. Ci accorgiamo solo così di quello che davvero
occorre all'oggetto delle nostre cure, ascoltandolo e comprendendolo, per cercare di individuare
le azioni più adeguate da compiere.
Christian Bobin, uno scrittore francese che da qualche anno anche il nostro Paese ha imparato ad
apprezzare ed amare, ha scritto che “Bisognerebbe fare ogni cosa, anche le più banali, con la più
grande cura e con la più viva attenzione, come se da ciò dipendessero le sorti del mondo e il corso
delle stelle, e d'altronde è vero che le sorti del mondo e il corso delle stelle ne dipendono”.
Aver cura, prendersi cura di qualcosa o di qualcuno, presuppone tenacia e costanza.
 È quello che la parola giapponese gaman racchiude, il segreto dell'arte della resistenza. “Sono i
fallimenti che ti insegnano la pazienza e la costanza, la precisione e la cura in quello che fai”.

13
     Leonardo Boff, Essential Care. An Ethics of Human Nature. Baylor University Press, Waco (Texas), 2008.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
Aver cura di qualcosa o di qualcuno non dà diritto al risultato, come i nostri ripetuti fallimenti ogni
volta ci ricordano; aver cura di un malato non ne garantisce la guarigione, né il coltivare una
relazione umana giustifica la pretesa di essere ricambiati: può sempre intervenire qualche fattore
imponderabile ad ostacolare i nostri sforzi, oppure a salvarli malgrado noi. Ciò che conta non è il
riuscire, ma l’aver cura, che è un modo profondamente umano di coltivare la bellezza.
Tutto ciò può dirsi anche per la città. Per chi la governa e per chi la abita.
Per chi la governa “aver cura” della città comincia con l’avere “capacità di ascolto”. Capacità di
ascolto dei bisogni dei cittadini, anche di quelli che non hanno voce, soprattutto di quelli che non
hanno voce. Il bisogno della casa, il bisogno del lavoro, il bisogno dei servizi, il bisogno degli spazi
in cui incontrarsi e partecipare alla vita della comunità 14, di spazi cioè in cui sentirsi liberi,
partecipi nel disegno del futuro della propria città.
Per i cittadini “aver cura” della città è prendere coscienza che essa è soprattutto frutto delle
interrelazioni che nella città si instaurano. Non aspettiamo un miglioramento della qualità della
vita solo dalla dotazione dei servizi di una città o dalla magnificenza delle sue architetture o dalla
bellezza della natura che la circonda, in quanto essa dipende dal modo di essere di chi vi abita,
dalla capacità di convivenza, dalla capacità di “avere compassione” del proprio vicino, dal senso di
appartenenza civico.
È quindi riguarda tutti, con diversa, ma pari, responsabilità.

La teoria della finestra rotta
È stato in auge una trentina d’anni fa un articolo apparso sulla Monthly Review, di due studiosi, un
sociologo e un criminologo, George Kelling e James Wilson, passato alla cronaca come “Broken
Window Theory” o “Teoria della finestra rotta”.

                         La “teoria della finestra rotta” di George Kelling e James Wilson

In questo articolo, basato sui dati sperimentali dello psicologo Philip Zimbardo dell’Università di
Stanford (1969), gli autori hanno argomentato che esiste un sicuro effetto psicologico dettato
dalle condizioni di degrado di particolari zone all’interno della città sulla percezione della sicurezza
dei singoli individui. In una strada, dove esista un edificio disabitato con un vetro rotto, se non si

14
   La partecipazione non è invito all’ascolto passivo, chi parla deve porgere la voce a chi ascolta, deve invitare al
dialogo.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
provveda presto a ripararlo, si favorisce il verificarsi di altri comportamenti “devianti”, con elevate
probabilità che si verifichino atti criminali più gravi.
Da un semplice vetro rotto di un edificio dismesso si può passare all’indifferenza dei
comportamenti antisociali negli spazi pubblici e al timore per gli atteggiamenti adottati nelle
strade pubbliche, per giungere, infine, al giudizio di disvalore e di isolamento delle zone
considerate “pericolose” e al successivo abbandono, magari da parte di certi strati della
popolazione.
Non solo, al di là che si verifichino o meno atti illeciti, il senso d’inciviltà e disordine influenza la
percezione dell’insicurezza degli abitanti e innesca timori e diffidenza verso gli sconosciuti.
Questo assunto, alla base della “zero tollerance”, introdotta da Ronald Regan per la lotta alla
droga e da Rudolph Giuliani per combattere il vandalismo nella metropolitana di New York, non
era precisamente, o almeno non era centrale nelle intenzioni degli autori.
Era semmai l’invito ad operare in direzione opposta al problema dell’escalation indotto dal
degrado urbano, evitando da un lato il senso di abbandono nei confronti delle Istituzioni, e
inducendo, dall’altro, una spirale virtuosa coinvolgesse capace di coinvolgere nella cura del
quartiere i cittadini stessi.

                                                    La spirale della cura
Sono note le immagini del progetto dimostrativo realizzato a Brooklyn grazie alla Cornell
University Cooperative e che portò ad istituire un programma nazionale di sostegno e sviluppo a
favore dei community gardens e che alla fine degli anni Novanta includeva, oltre New York, 23
città americane. Loisada, a New York, è anche chiamato “garden district”, quartiere giardino, per
l’alta densità di community gardens. 15
Del resto, come citato da Andrea Calori, nel primo di questi incontri, va diffondendosi una cultura
per cui le piccole attività agricole periurbane e gli orti urbani sono considerati punti non
trascurabili per la costruzione ambientale di un’area metropolitana, perché costituiscono anch’essi
un elemento di identità culturale, di valorizzazione della diversità sociale, «di strutturazione delle
forme del paesaggio e degli ecosistemi urbani.» 16

15
     Mario Maffi e altri, Loisaida. NYC Community Gardens. A+MBookstore, 2006.
16
     Simona Boselli e a., Crisi urbana e politiche di piano. Amsterdam, New York, Marsiglia. Franco Angeli, Milano, 2003.

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Bellezza e cura della città nel paesaggio e nel disegno urbano
Community gardens a New York

Anche In Italia stanno sorgendo iniziative tese a diffondere una sorta di “epidemia virtuosa” che
responsabilizzi i cittadini a prendersi cura del decoro della città. Non si tratta solo di sponsorizzare
un’aiuola da parte delle aziende, ma si tratta del coinvolgimento di un aiuto più ampio, delle
associazioni di volontariato, dei gruppi ambientalisti, dei comitati di quartiere, degli abitanti di una
strada.
Alcune amministrazioni hanno scelto di scrivere una Carta del Decoro e della Cura della Città, con
l’obiettivo di informare i cittadini sul lavoro che l’Amministrazione svolge quotidianamente a
favore della qualità urbana.
A La Spezia è stato creato un Ufficio Decoro Urbano che ha il compito di raccogliere le segnalazioni
in particolare riguardo la situazione delle strade, di danni all’arredo urbano, di scritte murali,
abusivismo pubblicitario, di veicoli abbandonati, insomma di tutto ciò che compromette il decoro
e la cura della città; ma soprattutto ha il compito di coordinare le azioni e gli interventi in campo di
tutela e cura degli spazi urbani e ad effettuare azioni mirate con appalti aperti finalizzati ad un
pronto intervento e ad offrire supporto organizzativo alle azioni volontarie da parte dei cittadini
mosse dalle medesime finalità.
A Reggio Emilia è entrato a regime il Nuovo servizio Cura della città avviato dall’Amministrazione
comunale per garantire interventi rapidi e rispondere alle piccole esigenze di manutenzione del
territorio, incrementando l’ordine e la funzionalità dei luoghi pubblici e migliorando la qualità di
vita di residenti e passanti 17.
A Roma, animato da Rebecca Spitzmiller 18, è nato un movimento, Retake Roma (riprendiamoci
Roma), che da un anno e mezzo promuove la pulizia della città, coinvolgendo in particolar modo i
giovani e che si unisce ad un’altra iniziativa volta a costituire una sorta di Fondazione per la cura
della Città, finalizzata a mettere in rete in termini operativi realtà associative che vogliano
impegnarsi nella tutela dell'ambiente, con il supporto delle forze economiche della città
(associazioni industriali, del commercio, istituti bancari, ecc.).

17
   I cittadini possono segnalare all’Amministrazione guasti e necessità di riparazioni; e nello stesso tempo, due squadre
presenti sul territorio possono intervenire anche autonomamente e con tempestività, una volta individuato il
problema, attrezzate per riparare quel che non va (buche nelle strade, segnaletica rovinata o poco visibile, paracarri
ammaccati, fittoni smurati, rami pericolosi, cordoli rotti, tombini scoperti, ecc.), salvo i casi che necessitano di
interventi strutturali consistenti, che sono oggetto della manutenzione programmata ogni anno dal Comune.
18
   Da un’intervista a Rebecca Spitzmiller: riprendiamoci Roma!, Lunedì 11 luglio 2011

                                                          10
Riconoscere la bellezza di Gallarate
Aver cura di una città significa innanzi tutto riconoscerne la bellezza.
Prendiamo ad esempio Gallarate. Può dirsi una bella città? Incarna, e in che misura, il concetto di
bellezza in riferimento al paesaggio ed al disegno urbano?

Le criticità nella lettura della “forma urbis”
Partiamo dalla “forma urbana”. Certamente da questo punto di vista non abbiamo elementi
caratteristici che possano dirla “bella”.

                                        Il continuum urbanizzato

Per chi guardi la città dall’alto, nonostante la discontinuità, già rilevata in un precedente incontro,
tra Gallarate e Busto Arsizio, non si può riconoscere un “forma” della città in quel continuum
urbanizzato che ne rende indistinguibili i confini con Cassano Magnago, Cardano al Campo,
Samarate, Cavaria con Premezzo.

                                        Le “cicatrici” di Gallarate

                                                   11
Né si può non rilevare come l’unitarietà del suo territorio sia frazionata dalla presenza di alcuni
grandi solchi, quasi delle cicatrici, costituite dalla linea del Sempione, dalle diramazioni per Luino e
Varese, che confluiscono entro la città, dall’autostrada, che per di più si biforca verso Varese e
verso Sesto Calende, dalla Statale 336 per la Malpensa che ha tagliato di netto la grande aree della
brughiera che separava Gallarate da Busto Arsizio.

               Gallarate, Crenna, Cajello, Arnate, Cedrate nella Carta degli Astronomi di Brera

A differenza con quanto può leggersi nella Carta della Lombardia degli Astronomi di Brera, la
forma dei suoi centri storici è oggi quasi indistinguibile, lo è quasi la “noce” dell’area storica
centrale, ma è così per Crenna, Cajello, Cedrate, Arnate.

La nozione di paesaggio
Tuttavia, se la “forma urbis” non aiuta vederne la bellezza, occorre un’analisi più attenta per
provare ad identificarla.
La Convenzione Europea del Paesaggio sancisce l’apertura ad una innovativa concezione di
paesaggio, che abbraccia nella sua definizione non solo i centri “storici” e quelli “di antica
formazione” ma anche i luoghi “degradati” della vita quotidiana, sottolineando in tal modo
l’importanza dell’intreccio tra la funzionalità dell’intero ecosistema urbano, la cultura e la
percezione del paesaggio.
Questo assunto ha costituito una vera e propria rivoluzione concettuale, avendo portato le
comunità ad essere i soggetti primari dell’evoluzione dei paesaggi in cui vivono.
Ciò porta a superare la prassi tradizionale di costruzione del paesaggio volta alla produzione di
immagini che rispondono ad una logica esclusivamente estetica, basata sulla “elisione” di tutto ciò
che la città “non vuole vedere”, sull’oscuramento di tutto ciò che “disturba”.

                                                     12
Ma c’è un altro valore cui occorre fare riferimento. Per trovare i segni della bellezza nel paesaggio
occorre guardare la città a scale diverse, complementari tra loro: la scala delle sue architetture e
dei suoi disegni urbani, la scala del suo contesto, la scala della più vasta area urbana entro la
quale trova il suo ruolo.

La bellezza del paesaggio urbano di Gallarate
Non indugerò sulla bellezza che Gallarate dimostra nelle opere della ‘magnificenza civile’ che
l’imprenditoria gallaratese volle negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento e che
esprimono il loro valore maggiore quando le si leggano nel loro costituirsi “a sistema”.
Perché di questo esistono repertori ampi, anche nel vostro attuale Pgt, che ne documentano
l’importanza e la varietà rispetto all’architettura industriale, residenziale, all’architettura civile,
religiosa, all’architettura rurale: oltre 70 edifici, soggetti ad una specifica disciplina di salvaguardia,
che si aggiungono ai edifici 30 soggetti a tutela ai sensi del D.Lg.s. 42/2004.

            La bellezza del paesaggio urbano costituito dai caratteri morfologici e dalle architetture

Non si tratta solo di difendere, talora ingenuamente, la riconoscibilità della Gallarate delle
industrie di quando era riconosciuta come la città ‘delle cento ciminiere’ o come la ‘Manchester

                                                       13
d’Italia’, ma l’insieme delle tante architetture che arricchiscono l’intero territorio e non solo il suo
centro storico.
Queste architetture rappresentano i valori riconoscibili della città e, nel loro costituirsi “a sistema”,
determinano una rete di relazioni tra il quartiere del Centro e la corona dei Nuclei di antica
formazione di Arnate, Cedrate, Crenna, Cajello.
A questi centri occorre guardare con particolare attenzione per individuare gli elementi che ne
tutelino la fisionomia, non solo come difesa del profilo architettonico ma soprattutto del profilo
ambientale e dei rapporti sociali che vi si sono instaurati tra vecchi e nuovi residenti.
Questo sistema di architetture dà una fisionomia unitaria ad un paesaggio urbano articolato,
costituito da elementi, in parte sovrapposti, dotati ciascuno di una propria riconoscibilità”:
     1. Gli elementi monumentali, che costituiscono la memoria condivisa della città;
     2. Le architetture dell’eclettismo e del liberty, ma, ancor prima, quelle della “città del tessile”
        e della “città dei pionieri dell’industria”;
     3. Le architetture della città dell’associazionismo e del mutuo soccorso operaio;
     4. Le architetture della religiosità popolare, caratterizzata dalla presenza diffusa di chiese,
        oratori, croci votive, toponimi legati a realtà devozionali e/o assistenziali;
     5. Gli edifici e i complessi residenziali più recenti con i quali la città ha avuto il coraggio di
        sperimentare, nei casi migliori, sul piano tipologico” 19;
     6. La città dell’acqua, nella quale Gallarate deve tornare a riconoscere un elemento
        costitutivo del suo paesaggio urbano: l’Arno, la Roggia Sorgiorile, il torrente Rile 20.

La bellezza del contesto
A questa bellezza occorre aggiungere quella del contesto ambientale entro cui si colloca. Anzi, la
bellezza della città non può essere colta se non si consideri quel suo essere al margine della
pianura e nella cornice che a nord le conferisce l’anfiteatro morenico del monte Diviso, del monte
Pino, del monte Capro, del monte Cuore, del monte Marino.
Non si tratta solo di difendere una cornice di verde ed un rilievo da pregio dalle tensioni
urbanizzative, ma di difendere il senso del sacro che emana da quei luoghi che hanno
rappresentato in antico la salvezza dalle inondazioni dei fiumi, il controllo visivo del territorio e,
quindi, la difesa dalle scorrerie, il rilievo che costituiva e costituisce il primo segno riconoscibile per
chi percorra la pianura.
Si tratta di difendere la boschina della Moriggia dall’insulto dell’essere attraversata da una nuova
linea ferroviaria, tra la Malpensa e la linea di Varese, distruttiva sul piano ambientale, inutile sul
piano trasportistico e, scioccamente vincolistica per i residenti per l’assenza di un vero rapporto di
sussidiarietà tra Comune e Regione.

19
  Paolo Bossi, Intervento nella Sessione tematica “Il paesaggio urbano”, Gallarate, 18 novembre 2009.
20
  Soprattutto l’Arno che nel passato, nella sua dinamica anche distruttiva ha costituito un elemento presente e ‘vivo’
appare oggi solo imbrigliato tra chiuse e opere di contenimento delle sue piene: è come devitalizzato, privato della
memoria, reso povero e inerte. Occorre tornare a sentirne la presenza come “un segno” della città: ridisegnare il suo
percorso, farne un elemento di fruizione che assecondi la riqualificazione delle sue sponde nell’attraversamento
urbano e nei potenziali parchi a nord verso Cavaria e a sud, a confine con Cardano al Campo.

                                                         14
Si tratta qui di rinaturalizzare le aree oggi occupate da antichi insediamenti produttivi che vogliano
dismettere, collocando altrove i conseguenti diritti volumetrici.

                                         Le colline moreniche
A sud dell’abitato si aggiunge il paesaggio della brughiera, i lembi residui di questa antica
"brughiera", riconoscibile dalla macchia dominata dal brugo e dalla ginestra. Una brughiera che, da
sempre, ha costituito un forte limite allo sfruttamento agricolo del territorio.

                                       La brughiera di Gallarate

Per averne conferma basta leggere il saggio del 1866 di padre Ottavio Ferrario, uno dei firmatari,
insieme a Carlo Cattaneo e Giovan Battista Menini del manifesto che annuncia la nascita del
“Politecnico”, che dice della “malinconia” provata dall’agronomo “che percorre il circondario di

                                                  15
Gallarate allorché gli si para davanti “alcuno di que’ numerosi tratti di terreno tuttora incolti, da cui
quasi non sorge altro, l’erica volgare”, il brug. E aggiunge che la sua meraviglia è naturale giacché
quella “landa monotona, squallida, sterile” sorge “in una contrada ov’è fitta e laboriosa la
popolazione”. 21
Ma anche qui, tra Gallarate e Busto Arsizio, si tratta di difendere la brughiera dagli assalti di nuove
costruzioni: certamente a sud della statale 336, soprattutto laddove siano rivolte ad attività a
bassa occupazione e non ad attività innovative e del settore manifatturiero e, a nord della statale,
nella misura in cui lo consentano le ventennali controversie in atto.

La bellezza alla grande scala urbana
Infine c’è la bellezza del paesaggio di Gallarate letto nel contesto della “grande scala”.
Presentando una villa di Enrico Castiglioni a Gallarate, nel 1968, la rivista Architecture
d’aujourd’hui sottolineava come l’edificio si collocasse «sul pendio di una collina, da cui la vista si
estende sulla catena delle Alpi» e come «l’arco panoramico, da Nord a Est, garantisse una gamma
articolata di viste eccezionali.»

                                     La cornice delle Alpi e il sistema dei laghi

In quanto parte di questo ”gran paesaggio” Gallarate deve sentire a sé prossimi le Alpi che le fanno
corona, l’immanenza del Monte Rosa, la vicinanza del lago Maggiore, la bellezza delle Prealpi
varesine, in quanto è da questa prossimità e da questi valori che deriva una sua alta qualità
ambientale, che può renderla immediatamente riconoscibile nel mondo.
Infine, la bellezza di Gallarate è data dalle opportunità che le derivano dal suo ruolo entro il
sistema urbano regionale e dallo stretto rapporto che la lega al capoluogo lombardo.
La lettura del “paesaggio di grande scala” consente di vedere come Gallarate sia parte integrante
di un sistema urbano complesso, la cui caratteristica fondamentale è data dall’essere costituito da
una rete intrecciata di polarità urbane, di grande e di media dimensione, che circondano Milano e
che ne fanno quella città di rango mondiale di circa 7 milioni e mezzo di abitanti.

21
  P. Ottavio Ferrario, “Il circondario di Gallarate”, in “Considerazioni naturali e agronomiche intorno alle Brughiere
occidentali della Lombardia”, Il Politecnico, s. IV, vol. II, fasc. 3, settembre 1866.

                                                         16
Un sistema urbano policentrico, intrinsecamente ecologico in quanto non caratterizzato
dall’assetto congestivo che oggi attanaglia le principali metropoli del mondo, ricco di un tessuto
produttivo, culturale, formativo di eccellenza, al centro di una delle pianure più fertili d’Europa.
Pur con queste criticità, con queste “ferite”, che non vanno nascoste, è dalla consapevolezza di
essere parte integrante di questo sistema urbano che si possono trarre alcuni fondamentali
elementi di senso sul suo possibile ruolo.

                                Gallarate nel sistema policentrico lombardo

La bellezza di Gallarate non può non riconoscersi, infine, nel suo elevato livello di accessibilità ‐per
le persone e per le merci‐ che caratterizza la città, collocata com’è in prossimità del più grande
aeroporto del Nord Italia, a valle della confluenza sulla linea ferroviaria del Sempione, del
Gottardo, di Varese, della biforcazione tra l'Autostrada dei Laghi e l’Autostrada per Gravellona
Toce; una città che vede sul proprio territorio uno dei più importanti e funzionali centri di
interscambio merci dell’Italia settentrionale.
È nel Dna di Gallarate la consapevolezza, riconosciuta o meno, del valore di posizione che le deriva
dal suo collocarsi al limite Nord‐occidentale della zona alto‐milanese, all’intersezione di quelli che
il Piano Territoriale Regionale definisce il Sistema Metropolitano, il Sistema Pedemontano, il
Sistema dei Laghi; un valore posizionale che ha determinato in passato, e che continua a
determinare a maggior ragione oggi, uno straordinario livello di accessibilità che ne fa una delle
“porte della Lombardia” o, come qualcuno in questa città ha già scritto “una delle porte d’Europa.”
È l’insieme di questi valori ai quale fare riferimento per riconoscerne la bellezza e sui quali occorre
operare per “la felicità degli uomini” e “la facilità del vivere”; è questa articolata bellezza che deve
poter essere compresa, difesa, trasferita come memoria, vissuta come ragione del futuro.

Una città bella per quali cittadini
Ma per quali cittadini? Certamente per i suoi residenti. Certamente per chi ha qui da sempre le
proprie radici. Ma non solo.

                                                    17
Deve essere tale per tutti i cittadini che la abitano stabilmente, in quanto vi sono nati o ne abbiano
fatto elezione del proprio abitare, sia per i cittadini che la vivono temporalmente, per una parte
della propria giornata o per breve periodo della loro vita.
Una città che voglia definirsi tale, in questo mondo sempre più irreversibilmente aperto, deve
aprirsi alla comprensione dei bisogni di costoro. E sono tanti.

Gallarate come polo attrattore
Ogni giorno la città raddoppia nei suoi abitanti per le persone che vi gravitano: ai 50mila residenti
se ne aggiungono quotidianamente 42mila 22, provenienti da 60 diversi comuni, per lavorarvi
(42%), per farvi acquisti (11,5%), per studiarvi (10,5%), per usufruire delle sue strutture culturali e
del tempo libero (9,2%) 23.
La sua è una polarità riconosciuta, di dimensione intermedia tra quella delle città di corona e
Milano, e la sua ricchezza deriva oggi, come nel passato, dall’essere polo attrattore ed è città che
scambia ogni giorno con le altre città della regione.
La stessa “forma” della città cambia in relazione ai motivi per cui la popolazione vi gravita. Diversa
per le relazioni di lavoro e studio, diversa per quelle degli acquisti, diversa da quella “disegnata” da
chi vi proviene per motivi di affari e che testimonia delle relazioni più ampie che caratterizzano la
città. 24

               Lavoro                      Studio                     Acquisti                     Svago

        Accompagnamento             Visite                       Affari                            Totale
                      La forma della città in relazione alla gravitazione giornaliera

22
    I dati disponibili in proposito sono quelli ricavabili dall’indagine Origine‐Destinazione, condotta dalla Regione
Lombardia nel 2002; tali dati sono stati attualizzati al 2007 per il Piano Urbano della Mobilità 2008‐2018.
23
   Del resto sono 17mila i gallaratesi che ogni giorno collocano fuori comune la propria capacità di lavoro e d’impresa,
colgono opportunità di studio e occasioni per il loro tempo libero.
24
   I motivi di chi gravita su Gallarate, messi in relazione alla distanza dal comune sono stati rappresentati nelle figure
seguenti che mostrano il variare della “forma dell’attrazione” in relazione ad alcune delle principali motivazioni degli
spostamenti.

                                                           18
Proprio in ragione dell’attrattività di cui gode occorre garantire opportunità nuove per stimoli
culturali, di divertimento, ritrovi luoghi di ritrovo che invertano la tendenza ad una sorta di
“affievolimento” delle opportunità offerte dalla città.
Anche per tutti questi cittadini la città deve essere bella, chiara nella sua immagine, accogliente,
capace di garantire “facilità di vivere”. Ma non solo per costoro.

Gallarate aperta al mondo
Le popolazioni multietniche, multirazziali e multinazionali stanno diventando una caratteristica
dominante delle città. Questa caratteristica, se percepita come transitoria e non strutturale non ci
attrezza culturalmente ad affrontare questa nuova realtà e ci lascia percepire il fenomeno come
inquietudine, o ancor peggio, come minaccia, più che come una opportunità. Inquietudine a più
livelli percepita sotto il profilo economico, culturale, religioso, psicologico.
Questa caratteristica, laddove raggiunga livelli significativi nel rapporto tra popolazione autoctona
e popolazione immigrata, si riflette sull’organizzazione materiale della città, oltreché sulla sua
organizzazione sociale.
In particolare, sono messi in discussione alcuni elementi fondamentali: la famiglia, la comunità,
l’identità collettiva e le corrispondenti forme spaziali: l’abitazione, le relazioni di vicinato, il
quartiere. Cambiando le regole della vita sociale si modificano alcuni elementi, che parevano
talmente consolidati da non costituire un valore percepito: il sistema della residenza, le
aggregazioni dell’edificato, l’organizzazione e l’utilizzazione dello spazio pubblico, la relazione tra
lo spazio pubblico e lo spazio privato.
Nell’ultimo decennio si è assistito a Gallarate, come per altro nella Provincia di Varese e in
Lombardia, ad un andamento del processo migratorio, che ha portato l’incidenza della
popolazione straniera dal 3,05% del 1999 al 12,8% nel 2009.

                                       La multietnicità di Gallarate

L’età di questa popolazione, più giovane rispetto a quella preesistente è caratterizzata da più alti
tassi di natalità e da più bassi tassi di mortalità, è la ragione della crescita della popolazione della
città negli ultimi anni.
È una popolazione che proviene da 86 Paesi del mondo.

                                                    19
Sugli oltre 6.000 residenti immigrati il 15,5% proviene dall’Albania, 11,4% dal Pakistan, il 10,6% dal
Bangladesh, il 10,4% dal Marocco, il 9,0% dalla Romania, il 5,3% dall’Equador, il 4,5% dalla Cina e
così via, con serbi, ucraini, tunisini, peruviani, salvadoregni, senegalesi.
La stagnazione della natalità dei residenti di nazionalità italiana e la dinamica della natalità di
questa popolazione più giovane farà sì che, anche in assenza di nuovi movimenti migratori (che
sconta, quindi, che nulla avvenga a seguito della grande crisi che ha sconvolto nel 2011 e ancora
sconvolge la sponda sud del Mediterraneo), al 2020 la popolazione di Gallarate sia pari a valori
compresi tra i 53 e i 57mila abitanti, rispetto agli attuali 50.000.

                                   I nuovi residenti cui guardare al 2020
Il decremento dei residenti di nazionalità italiana porterà gli oltre 8.500 della popolazione italiana
residente immigrata a rappresentare quasi il 20% del totale, con la crescita di una popolazione
giovane, che verrà a colmare gli attuali vuoti di popolazione in età scolare e, comunque, sotto i 18
anni.
È anche per questi nuovi residenti la città deve essere percepita come “bella”, è anche a queste
fasce di popolazione che occorrerà guardare perché sia data “facilità e felicità del vivere”,
consentendo di collocare al meglio le capacità di lavoro, di soddisfare il bisogno di istruzione, di
avere un tetto sicuro, di avere spazi per occasioni di incontro che rinsaldino i legami di cultura,
laica e religiosa.
Gallarate sarà una bella città se a tutti faccia sentire di essere parte di un luogo di cultura antica,
per tradizioni artistiche, per un passato memorabile, comunità condividendo la propria cultura e
coltivando, con tutti gli altri, l’attitudine ad uno sforzo comune.
La bellezza della città e del paesaggio urbano deriverà da una diversa “armonia”, E la città tornerà
a riscoprire il ruolo originario di “città come luogo della socializzazione” e a ricreare quel “senso di
appartenenza” che costituisce il presupposto per percepire e condividere la bellezza urbana e la
condizione per attivare la spirale del “senso della cura”.

                                                    20
La bellezza della città nel Disegno Urbano
Ma, se questo è il quadro, quali caratteri da ritrovare nella bellezza del Disegni Urbano ? 25
Appartengo a quella scuola di urbanisti che alla base del Disegno Urbano pone l’attenzione a
cogliere i “fatti di struttura” che determinano lo sviluppo della città attraverso la lettura della
fenomenica urbanistica, e, insieme, a comprendere il ruolo che, in una determinata condizione
storica, le forze sociali, anche conflittualmente, agiscono e modellano la città.
Un Disegno Urbano, che nella partecipazione, può essere «una vera e propria scuola per gli
abitanti», «capace di educare a vivere in modo consapevole del proprio passato responsabile del
proprio futuro.»
Un Disegno Urbano, segno di un impegno e di una consapevolezza “civile”, traccia di un pensiero
riformatore, che ha presupposti diversi dall’Urban Design di matrice anglosassone, che lo intende
soprattutto come orchestrazione planivolumetrica intermedia tra il Design architettonico e l’Urban
Planning, e ancor più diversi dalla concezione che lo interpreta come pratica architettonica di scala
più ampia.
Un Disegno Urbano che, nel confrontarsi con la città costruita, ne riconosce la bellezza non solo
rapportandosi alle sue architetture di eccellenza, ma è consapevole della necessità di interagire
con la città nel suo complesso e con la sua struttura “più resistente e profonda” costituita dai
rapporti di produzione e sociali.
In questa accezione nel Disegno Urbano è riconoscibile “bellezza” in quanto risulti da un duplice
approccio:
     -   Quello, macrourbanistico, attento a cogliere la più generale forma della città, i nessi con la
         complessità della fenomenica urbana di grande scala, dal quale derivano scenari alternativi
         di sviluppo e conseguenti scelte di tipo localizzativo, funzionale, dimensionale, e, perfino, di
         linguaggio architettonico;
     -   Quello, microurbanistico, attento all’indagine specifica dei luoghi, alla loro formazione, al
         rapporto con le preesistenze architettoniche, teso a rendere manifesto il rapporto, non
         mimetico né adattivo, che instaura con la morfologia urbana entro cui si inscrive.

25
   Per identificare le linee di sviluppo, almeno per i prossimi 5 anni, occorre cogliere i segni di un quadro strutturale
preoccupante. I mutamenti avvenuti nel settore edilizio dove a fronte di una domanda esistente e di un’offerta pure
esistente il mercato immobiliare appare stagnante, non solo a Gallarate ma nell’intera area urbana.
Nel 2011, a Milano e provincia, il mercato immobiliare è tornato indietro di dieci anni, con 53mila compravendite
concluse, diecimila in meno rispetto alla media del periodo compreso tra il 2000 e il 2010, e le più recenti previsioni
per il 2012 dell’Osservatorio immobiliare di Nomisma dicono probabile una nuova flessione delle transazioni, che
riporterà il settore sulle posizioni di fine anni Novanta. 25
Nonostante la domanda di case sia ampia, gli acquisti, per la crisi del credito e la mancata crescita dei redditi, sono
sempre meno con un forte rischio di stagnazione.
Tutto questo non può non ripercuotersi sugli indirizzi della Variante del Pgt e portare ad una riflessione più ampia
rispetto alle strategie di sviluppo, alla qualità insediativa e ad una ricerca attenta dei meccanismi che favoriscano
l’incontro tra un fabbisogno residenziale sostenuto ed una offerta in atto che sembra non corrispondere a questa
domanda.

                                                          21
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