INSTANT BOOK Start PMI Marzo 2019 - E-book gratuito - Start Press | Nativi ...

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INSTANT BOOK Start PMI Marzo 2019 - E-book gratuito - Start Press | Nativi ...
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                  E-book gratuito

                  Start PMI
                INSTANT BOOK
                  Marzo 2019
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                             INSTANT BOOK Marzo 2019

                                                INDICE

           1. Senso civico: atteggiamenti e comportamenti dei cittadini nella vita
                quotidiana - ISTAT - anni 2016-2018
           2. La valutazione della Commissione europea per il 2019 sugli squilibri
                macroeconomici e sui progressi compiuti sul fronte delle riforme
                (estratto Bollettino Economico BCE) - Banca Centrale Europea - 21
                marzo 2019
           3. Congiuntura Confcommercio - Ufficio Studi Confcommercio - marzo
                2019
           4. Online Ecocamere: il nuovo portale ambientale per le imprese
                (Comunicato stampa) - Unioncamere - 21 marzo 2019
           5. Fiducia dei consumatori e delle imprese - ISTAT - 27 marzo 2019
           6. Non solo Pil: diseguaglianze, sostenibilità, benessere - Servizio Studi
                BNL - 26 marzo 2019
           7. Dove va l'economia italiana e gli scenari geoeconomici (estratto) -
                Centro Studi Confindustria - 20 marzo 2019

Il procedimento denominato Project Mirror Intelligence – elaborato dal gruppo Tusci@network – ha
l’obiettivo di fornire al navigatore una selezione ragionata di informazioni di natura economico–statistica in
grado di riflettere la situazione contingente del “Sistema–Italia”.
L’Instant Book “Start PMI” ha cadenza mensile.
I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 31/3/2019.
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1. Senso civico: atteggiamenti e comportamenti dei cittadini nella vita quotidiana - ISTAT -
anni 2016-2018
           Per senso civico dei cittadini ci si riferisce a quell’insieme di comportamenti e atteggiamenti
           che attengono al rispetto degli altri e delle regole di vita in una comunità.
           Per quanto riguarda i comportamenti negli spazi pubblici, l’84% delle persone di 18 anni e
           più nel 2018 riporta di non gettare carte per strada (in aumento rispetto al 2014), il 74,4%
           degli automobilisti di non parcheggiare in doppia fila e poco più della metà di questi
           dichiara di prestare abitualmente attenzione a non adottare comportamenti rumorosi alla
           guida.
           Dal lato dei giudizi di ammissibilità dei comportamenti, rilevati nel 2016, il 23,4% degli
           intervistati ritiene, in determinate condizioni, accettabile parcheggiare in sosta vietata, il
           18,5% concede deroghe all’uso del cellulare alla guida, il 28,3% ritiene tollerabile farsi
           raccomandare per avere un lavoro e il 29,3% non pagare le tasse.
           Guidare dopo aver bevuto, passare con il rosso, non indossare il casco sono giudicati gravi
           rispettivamente dall’87,2%, dal 79,0% e dal 78,2% dei rispondenti. Una quota decisamente
           più bassa (52,6%) giudica grave usare il cellulare alla guida.
           Il 76,1% e il 72,5% dei cittadini assegnano un giudizio di gravità massimo al voto di
           scambio e alla corruzione mentre solo il 53,5% valuta allo stesso modo l’infedeltà fiscale
           che, in ordine di gravità, precede solo l’affissione selvaggia di manifesti, avvisi e pubblicità
           su pali, cassonetti o muri (41,4%).
           Un quarto delle persone di 14 anni e più giudica la corruzione un fatto naturale e inevitabile,
           sei persone su dieci considerano pericoloso denunciare fatti di corruzione mentre oltre un
           terzo (36,1%) lo ritiene inutile.
           Quasi la metà dei cittadini asseconderebbe la eventuale richiesta di una prestazione

           Un terzo dei cittadini ritiene che il copiare a scuola non è un comportamento grave ma un
           danno per chi copia; solo il 29% lo valuta come un comportamento che danneggia tutti.

L’indagine “Aspetti della vita quotidiana” rileva periodicamente alcuni comportamenti strettamente
connessi al senso civico della popolazione, quali gettare cartacce in strada, parcheggiare in doppia
fila e adottare comportamenti rumorosi alla guida. Nel 2016, inoltre, l’indagine ha previsto un
approfondimento specifico che ha permesso di rilevare un ampio set di informazioni volte a
misurare il rapporto dei cittadini con il sistema delle norme.

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Donne e anziani più rispettosi del decoro degli spazi pubblici Nel 2018, l’84% delle persone di 18
anni e più dichiara di non gettare in alcun caso carte per strada.
Si tratta di un comportamento rispetto al quale c’è maggiore attenzione che in passato: nel 2014 tale
quota ammontava all’80,5%.
Le donne si mostrano più attente alle regole di comportamento: non getta carte in terra l’87,3%
delle intervistate rispetto all’80,4% degli uomini mentre i giovani sono meno rispettosi degli
anziani: il 72,5% dei 18-24enni a fronte del 90% delle persone di 75 anni e più. Anche a livello
territoriale le differenze sono significative.
I cittadini del Nord sono meno propensi di quelli del Centro e del Sud a questo tipo di
comportamento.
Minor senso civico quando si è alla guida Tre quarti degli automobilisti riportano di non
parcheggiare in doppia fila mentre poco più della metà (54,8%) fa abitualmente attenzione a non
adottare comportamenti fastidiosi come suonare inutilmente il clacson.
Anche in questo caso le donne sono più attente degli uomini (rispettivamente 77,9% contro 71,8% e
57,8% contro 52,4%).
Analoghe differenze si riscontrano a livello territoriale: i cittadini del Nord-est sembrano rispettare
maggiormente alcune regole del codice stradale rispetto ai connazionali che abitano nelle Isole.
Nei grandi centri urbani l’abitudine a parcheggiare in doppia fila sembra molto consolidata: scende
al 58% la quota degli automobilisti che dichiara di non farlo. I giovani sono più inclini degli anziani
alla sosta in doppia fila mentre i comportamenti rumorosi alla guida interessano più gli adulti nelle
età centrali rispetto a giovani e anziani.

Intransigenti nel gettare carta in terra, meno su fedeltà fiscale e raccomandazione
I giudizi sui comportamenti attinenti alla sfera civica mostrano un quadro di generale adesione,
almeno formale, alla norma sociale e giuridica condivisa: nella grande maggioranza dei casi sono
infatti improntati all’intransigenza.
In tal senso, più che il quadro del civismo, i dati sembrano offrire una rappresentazione del grado di
diffusione della desiderabilità sociale dei vari comportamenti.
Il decoro urbano, ad esempio, è uno degli aspetti sui quali i cittadini si mostrano più intransigenti.
La quasi totalità non giustifica il gettare rifiuti in terra (88,7%).
Anche laddove sono ammesse eccezioni, si tende a giustificarle con il cattivo funzionamento del
servizio di nettezza urbana (mancano i cestini o sono pieni: 6,4%) oppure si minimizza la portata

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del comportamento (per piccole cose o se già sporco: 3,2%). Come osservato in precedenza, la
sensibilità verso il decoro trova conferma anche sul fronte dei comportamenti.
A livello territoriale non si osservano grandi divari nella valutazione.
La condanna verso chi getta le carte a terra è largamente condivisa sul territorio, pur se leggermente
più diffusa al Nord. Centro e Isole sono i contesti dove le carenze nel sistema di raccolta dei rifiuti
sono più frequentemente evocate come attenuanti di un comportamento scorretto.
La scarsa qualità del servizio è riportata come giustificazione del mancato pagamento del biglietto
sui mezzi pubblici dal 7,4% dei cittadini, anche se è alta la quota di chi non giustifica tale
comportamento (85,4%). Da segnalare che proprio gli assidui fruitori dei servizi di trasporto sono
meno intransigenti sul mancato pagamento del biglietto (75,6%).
Il legame più evidente tra pagamento e qualità della prestazione di un servizio sembra quindi in
grado di indurre differenze nella percezione del comportamento.
Minore intransigenza si rileva per i comportamenti alla guida: parcheggiare in divieto (il 74,8% non
lo ritiene mai ammissibile) è più tollerato che usare il cellulare quando si è alla guida (79,6%).
Nella prima circostanza la brevità della sosta (8,3%) e il non costituire ostacolo alla circolazione
(8,4%) sono le principali circostanze portate a giustificazione del comportamento scorretto, seguite
dalla insufficienza dei parcheggi (6,7%).
L’uso del cellulare alla guida è giustificato principalmente per telefonate urgenti (14,4%), molto
meno negli altri casi.
Per i comportamenti alla guida le graduatorie territoriali si invertono: i residenti al Sud sono più
intransigenti di chi risiede al Nord, anche se, come già rilevato, parcheggiare dove è vietato è un
comportamento che proprio gli abitanti del Sud adottano più diffusamente.
La contrapposizione tra intransigenti e tolleranti si osserva anche, a parità di età, tra uomini e
donne: queste ultime sono più severe sull’inammissibilità di alcuni comportamenti che riguardano
la quotidianità.
Il divario di genere si attenua tra le persone di 65 anni e più, età in cui l’intransigenza aumenta
anche tra gli uomini.
Le distanze di giudizio legate all’età variano a seconda dei comportamenti presi in esame, con gli
anziani molto più intransigenti per il viaggiare senza biglietto e l’uso del cellulare alla guida; per
altri aspetti, come gettare a terra cartacce le differenze si attenuano.
Il ricorso alla raccomandazione e l’infedeltà fiscale appaiono come elementi particolarmente critici
nel rapporto tra cittadini e rispetto delle regole: meno di 7 persone su 10 le ritengono inammissibili.

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Sulla ricerca del lavoro è particolarmente rilevante la quota di persone di 14 anni e più che
ritengono giusto in alcuni casi farsi raccomandare (28,3%).
La giustificazione più diffusa è la mancanza di alternative per ottenere un posto di lavoro (19,6%)
mentre l’8,7% lo valuta un comportamento ammissibile se lo si merita.
Dal punto di vista territoriale, la pratica clientelare nella ricerca del lavoro è leggermente più
accettata al Nord che al Sud e nelle Isole: la differenza è riconducibile soprattutto alle quote più
elevate di coloro che ritengono ammissibile la raccomandazione in presenza di merito (10,1%
contro circa il 7%).
La distanza territoriale è ancora meno evidente per chi ammette la raccomandazione come estrema
ratio (se non c’è altro modo, 19-20%).
La raccomandazione è valutata con maggiore indulgenza tra i 18 e i 34 anni, una fascia di età in cui
generalmente ci si affaccia nel mondo del lavoro; tra questi il 63% circa approva la pratica
clientelare; più intransigenti giovanissimi (68%) e anziani (74%).
Tra i giovani, la minore intransigenza si associa a sentimenti di rassegnazione o a ragioni di merito:
il 22,6% dei 18-24enni ritiene che sia giusto ricorrere alle raccomandazioni se non c’è altro modo
per avere un lavoro e il 12% circa quando si è convinti di meritarlo (16,5% e 6,8% tra i più anziani).
Quote più elevate di persone che considerano giusto farsi raccomandare per ottenere un posto di
lavoro si rilevano poi tra i disoccupati (34,9%).
L’area della fedeltà fiscale è quella che registra il più basso livello di intransigenza: per il 29,3%
delle persone è accettabile non pagare le tasse in alcuni casi. Tra le giustificazioni addotte, la bassa
qualità dei servizi erogati (22%) e la presenza di evasione fiscale (5,4%) ma anche motivazioni di
principio (“i soldi sono di chi se li guadagna”, 2%).
I giovani adulti (25-34 anni) sono più inclini a giustificare l’evasione fiscale - circa il 33,5% la
considera accettabile in alcune circostanze - rispetto gli anziani (23,4%).

Oltre la metà dei cittadini ammette deroghe ad almeno un comportamento
Considerando il complesso dei comportamenti presi in esame, il quadro di sostanziale adesione alla
norma sembra riguardare una quota di cittadini decisamente più ridotta: a ritenerli sempre
ingiustificabili è solo il 42,4%. Più della metà della popolazione di 14 anni e più ammette dunque
possibilità di deroga almeno per qualche comportamento.
In particolare, il 29,3% ammette eccezioni in relazione al pagamento delle tasse; una quota simile
(28,3%) per la raccomandazione, a conferma della particolare criticità di questi aspetti. Seguono,
con percentuali più basse, parcheggiare dove non è consentito e l’uso del cellulare alla guida.

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Considerate più gravi le violazioni alle norme sulla circolazione stradale
In merito al giudizio sulla gravità dei comportamenti di devianza ciò che ha implicazioni più dirette
e certe per la persona è sanzionato maggiormente.
I comportamenti ritenuti più gravi, in ordine di importanza, sono quelli relativi alla sicurezza sulla
strada (guida in stato di ebrezza, passare con semaforo rosso, non indossare il casco) e alla
corruzione, rispetto ai quali è certamente più forte il senso di riprovazione sociale. Meno rilevanti in
ordine di gravità i comportamenti che chiamano in causa il rispetto per la “cosa pubblica” (scrivere
sui muri, sui mezzi pubblici, affissione selvaggia di annunci e avvisi).
La massima gravità viene attribuita al guidare dopo aver bevuto, passare con il rosso, non indossare
il casco (rispettivamente 87,2%, 79,0% e 78,2% dei rispondenti); percentuali più basse si rilevano
per chi giudica grave non allacciare le cinture di sicurezza (59,0%) e usare il cellulare alla guida
(52,6%).
Questo ultimo comportamento è, quindi, fortemente sottovalutato in termini di gravità.
Per i comportamenti afferenti il rapporto con la sfera pubblica i cittadini ritengono molto grave
lasciare dove capita rifiuti ingombranti (70,6%) ma sono meno severi riguardo le scritte sui muri o
sui mezzi pubblici (58,2%) e l’affiggere annunci, avvisi e pubblicità su pali, cassonetti, ecc.
(41,4%).
L’intransigenza è maggiore nei confronti del voto di scambio e della corruzione: il 76,1% e il 72,5%
assegnano un giudizio di gravità massimo a Ottenere regali/favori/denaro in cambio del voto alle
elezioni e Offrire regali/denaro a un dipendente pubblico per ottenere favori. Queste percentuali
sono più basse nelle regioni del Sud Italia (67,4% e 69,7%).
Rispetto alla gravità attribuita ad alcuni comportamenti si registrano differenze più marcate tra
giovani e anziani su alcuni comportamenti rispetto ad altri, come ad esempio nell’uso del cellulare
alla guida e passare con il semaforo rosso (intransigenza più diffusa tra gli anziani di quasi 25 punti
percentuali rispetto ai giovani).
Anche per quanto riguarda voto di scambio e corruzione di un dipendente pubblico, gli anziani
esprimono giudizi più rigorosi dei giovani e, soprattutto, dei giovanissimi.
Lo stesso accade per gli atti di vandalismo (scrivere sui muri, sui mezzi pubblici) e di affissione
selvaggia.
Quanto alle differenze di genere, la quota di donne che attribuiscono la massima gravità ad alcuni
comportamenti alla guida è sempre più elevata di quella degli uomini. I divari maggiori, in termini
di gravità percepita, si osservano nell’uso delle cinture di sicurezza (62,8% delle donne contro

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54,8% degli uomini) e rispetto all’utilizzo del cellulare alla guida senza auricolare o vivavoce
(rispettivamente circa il 56% delle donne e il 50% degli uomini).
Si mantengono elevate le differenze anche sull’uso del casco e sulla guida dopo aver assunto alcol
(con una forbice di circa 5 punti percentuali a favore delle donne) anche se tendono a ridursi in
alcune fasce di età: ad esempio sull’uso del casco, i giovanissimi tendono a sottovalutarne la gravità
anche a parità di genere.
Tra i più anziani, sia uomini che donne, diminuisce invece la percezione di gravità rispetto al
guidare dopo aver bevuto alcol.
Sui comportamenti afferenti la sfera pubblica, le differenze di genere sono meno evidenti, le donne
sono più intransigenti degli uomini, ma gli scarti si mantengono intorno ai due punti percentuali.
L’aspetto che invece differenzia maggiormente uomini e donne è l’infedeltà fiscale che risulta più
grave per le donne rispetto agli uomini (55,9% contro 51%).
Le differenze sono meno marcate solo tra i giovani di 18-24 anni che si mostrano complessivamente
più tolleranti sull’argomento.
Su questo aspetto inoltre si osservano consistenti differenze per età: quote inferiori al 50% fino ai
44 anni, con valori intorno al 43-44% tra i 18-34enni e quote più alte, pari al 62,5%, tra le persone
di 65 anni e più.

Quasi la metà dei cittadini non chiederebbe la ricevuta fiscale o lo scontrino
L’area della fedeltà fiscale si conferma come problematica per i cittadini anche in situazioni
concrete. A fronte di una richiesta di erogazione di una prestazione professionale in nero, il 56,1%
degli intervistati insisterebbe per avere la ricevuta, il 27,5% accetterebbe se conviene e il 13,8%
pagherebbe per evitare discussioni.
Analogamente, nel caso della mancata emissione di uno scontrino da parte di un esercente di un
servizio commerciale, sei persone su 10 (61,6%) insisterebbero per avere lo scontrino, il 19,4% non
ci farebbe caso e il 16,5% non direbbe alcunché per evitare discussioni.
Nel Sud è diffuso un atteggiamento di accettazione (pagherebbe per evitare discussioni il 18,7% una
prestazione in nero e il 20,3% un bene o servizio senza scontrino) mentre nel Nord-est un
atteggiamento di convenienza (il 32,1% pagherebbe in nero una prestazione se convenisse). Nel
Centro-nord più del 20% ammette di non far caso alla mancata emissione dello scontrino.
Se si considerano i comportamenti in situazioni concrete, si assottigliano a pochi punti percentuali
le differenze per età nel caso del pagamento di una prestazione in nero, situazione che i più giovani
sperimentano più raramente.

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Nel caso del pagamento di un bene o servizio, il 45-46% dei giovani (14-24 anni) ammette di
pagare senza ricevuta fiscale perché non ci fa caso o per evitare discussioni, contro il 31,5% degli
adulti di 45-54 anni e il 35,4% degli anziani di 65 anni e più.

Un terzo dei cittadini ritiene inutile denunciare la corruzione
Osservando percezione e atteggiamenti nei confronti della corruzione e della possibilità della
denuncia, il rapporto dei cittadini con questo fenomeno si mostra più articolato e complesso di
quanto emerge dai giudizi di gravità.
Un quarto delle persone di 14 anni e più considera la corruzione un fatto naturale e inevitabile (il
25,8% si dichiara molto o abbastanza d’accordo con tale affermazione); sei persone su dieci
ritengono pericoloso denunciare fatti di corruzione e oltre un terzo (36,1%) lo ritiene inutile.
La percezione dell’inevitabilità della corruzione è di poco più elevata al Sud (27,9%) mentre nei
confronti della denuncia i residenti del Nord ritengono in misura maggiore che sia pericolosa
(66,7% degli abitanti del Nord-ovest e 64,7% di quelli del Nord-est) o inutile (37,2% e 38,6%).
Gli abitanti dei piccoli centri considerano più grave la corruzione di un dipendente pubblico (75%
circa nei comuni fino 10mila abitanti) e il voto di scambio (79% circa) in confronto a chi vive in
un’area metropolitana.
Al tempo stesso, chi vive nei piccolissimi centri fino a 2mila abitanti e nella periferia dell’area
metropolitana appare più pessimista e rassegnato: più del 26% giudica la corruzione naturale e
inevitabile, oltre il 63% ritiene che denunciare sia pericoloso e più del 39% che sia inutile, rispetto a
chi vive nel centro delle aree metropolitane dove si riscontrano valori inferiori alla media nazionale.

Un giovane su tre considera la corruzione inevitabile
I giovani esprimono un atteggiamento leggermente meno negativo di adulti e anziani nei confronti
della utilità della denuncia.
Per alcuni comportamenti, il livello di istruzione fa la differenza nella percezione di gravità e
nell’atteggiamento di conseguente condanna. Gli scarti maggiori a favore dei più istruiti si
osservano rispetto ai giudizi di massima gravità attribuiti ai comportamenti corruttivi e al voto di
scambio (con scarti a favore dei più istruiti di 6-8 punti percentuali).
Tra i più giovani, la disponibilità di maggiori risorse culturali favorisce gli atteggiamenti di
condanna.

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Un terzo dei cittadini considera poco o per niente grave copiare a scuola
Tra i comportamenti esaminati rientra anche il copiare a scuola. Quasi il 70% delle persone di 14
anni e più lo giudica un atto molto grave o abbastanza grave. Il giudizio di gravità è largamente
condiviso sul territorio.
Tassi leggermente inferiori alla media si riscontrano al Centro (66,8%) e nelle Isole (68,1%).
Copiare a scuola è ritenuto soprattutto un danno a scapito di chi copia (34% circa) e in generale un
comportamento che danneggia tutti, perché contro le regole (29% circa). Appena l’8% circa ritiene
che si tratta di un comportamento che lede il ruolo istituzionale dell’insegnante. Poco più di una
persona su dieci, invece, pensa che il copiare a scuola non danneggi alcuno, ritenendolo un
comportamento ammissibile. Anche rispetto alle opinioni in merito non si riscontrano particolari
divari territoriali, quanto piuttosto differenze tra giovani e anziani.
Anche in questo caso le donne si mostrano più intransigenti: il 71,5% lo ritiene molto o abbastanza
grave rispetto al 67,9% degli uomini. Il divario di genere è più accentuato tra giovani e giovanissimi
e diminuisce progressivamente con l’età: la percezione di gravità del comportamento passa dal
49,4% degli adolescenti al 76% circa dei 55-64enni.
Considerando le differenze tra chi è iscritto a un percorso di studi e chi ne è fuori, tra questi ultimi
la percentuale dei più intransigenti è di poco sopra il valore medio (71,4% contro 69,7%); viceversa,
il grado di intransigenza scende al 51,6% tra gli iscritti alla scuola secondaria di II grado).
L’atteggiamento di condanna per chi copia è più diffuso tra chi ha livelli di istruzione elevati
(74,3% dei laureati contro 67,7% di chi ha al massimo la licenza media).
Tuttavia giovani e giovanissimi si mostrano più indulgenti rispetto ai più anziani anche a parità di
titolo di studio.
Un quinto delle persone che hanno meno di 24 anni ritiene che il copiare a scuola non danneggi
alcuno. Su questa affermazione si registra il divario di genere più marcato. Anche a parità di età, gli
uomini sono meno intransigenti delle donne, specie se hanno meno di 34 anni.
Nella percezione di giustificabilità e gravità di alcuni comportamenti ciò che emerge è quindi il gap
tra giovani e adulti, con i primi più permissivi, quasi disincantati, e i secondi più intransigenti. Ciò
sembra riflettere dinamiche classiche - giovani trasgressori e anziani conformisti - e verosimilmente
qualche difficoltà nella trasmissione inter-generazionale dei valori.
In tal senso, anche la scuola sembra faticare ad adempiere pienamente al ruolo istituzionale di
volano della cultura civica tra le giovani generazioni.

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2. La valutazione della Commissione europea per il 2019 sugli squilibri macroeconomici e sui
progressi compiuti sul fronte delle riforme (estratto Bollettino Economico BCE) - Banca
Centrale Europea - 21 marzo 2019
Il 27 febbraio 2019 la Commissione europea ha pubblicato la sua valutazione annuale degli squilibri
macroeconomici e dei progressi compiuti nell’attuazione delle riforme strutturali sulla base delle
raccomandazioni specifiche per paese formulate a luglio 2018. Tale valutazione è una componente
importante del quadro di riferimento del Semestre europeo per il coordinamento delle politiche
economiche e di bilancio fra i paesi dell’Unione europea. In tale contesto la procedura per gli
squilibri macroeconomici (PSM) definisce i parametri in base ai quali tali squilibri vengono
valutati. Essa ha lo scopo di prevenire l’emergere di squilibri dannosi e di correggerli attivamente
nei casi in cui tali squilibri abbiano già raggiunto un livello eccessivo.

Squilibri macroeconomici
Secondo la Commissione, il numero di paesi che presentano squilibri è passato a 13 in tutto, dagli
11 del 2018. Quest’anno, in base alla valutazione della Commissione, sono tre i paesi che
presentano “squilibri eccessivi”: Italia, Cipro e Grecia. Mentre i primi due rientravano in questa
categoria anche lo scorso anno, la Grecia è stata inserita nell’esercizio per la prima volta
quest’anno, a seguito dell’uscita dal programma di assistenza finanziaria nell’estate del 2018.
I suoi principali problemi sono l’elevato debito pubblico, la posizione patrimoniale netta sull’estero
negativa, una quota molto elevata di crediti deteriorati, un tasso di disoccupazione ancora elevato e
un basso potenziale di crescita.
Cipro presenta persistenti problemi legati all’elevato livello sia dei crediti deteriorati, sia del debito
estero, privato e pubblico. Quanto all’Italia, la Commissione ritiene che i rischi per la sostenibilità
delle finanze pubbliche e la situazione di sostanziale stallo e arretramento sul fronte delle riforme
stiano mettendo in ombra i progressi compiuti negli anni precedenti. Inoltre nella valutazione di
quest’anno la Commissione ha modificato la classificazione di due paesi.
La Croazia è passata dalla categoria di “squilibri eccessivi” a quella di “squilibri” a causa, tra
l’altro, di un calo del debito privato, pubblico ed estero. Anche la valutazione della Romania è
cambiata, passando dalla categoria “nessuno squilibro” a quella “squilibri” a causa di vari fattori, tra
cui la ridotta competitività e un’accentuazione degli squilibri di conto corrente.
Malgrado persistano squilibri eccessivi in alcuni Stati membri, da quando nel 2012 è stata introdotta
la procedura sugli squilibri macroeconomici, l’apposito meccanismo di correzione non è mai stato
attivato. Nell’ambito del cosiddetto braccio correttivo della PSM, il Consiglio può richiedere a uno

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Stato membro con squilibri eccessivi di presentare un piano di azione correttivo ed eventualmente
imporre sanzioni, se necessario. La ripetuta mancata attivazione della procedura per squilibri
eccessivi rischia di minare la credibilità e l’efficacia dell’intera procedura.
Il grafico A mostra che un quarto degli Stati membri dell’UE ha avuto squilibri eccessivi persistenti
per più anni consecutivi.
Mentre alcuni paesi sono riusciti a ridurre la gravità degli squilibri nel tempo, il persistere di
squilibri eccessivi per più anni in alcuni paesi indica che la PSM potrebbe agevolarne la correzione.
L’efficacia e la credibilità della procedura stessa potrebbero essere accresciute applicando tutti gli
strumenti a disposizione, fra cui l’attivazione del meccanismo correttivo per i paesi che presentano
squilibri eccessivi. Questa misura è stata anche invocata esplicitamente dai cinque presidenti nel
loro Rapporto del 2015 e, più recentemente, dalla Corte dei conti europea.
Il persistere di squilibri macroeconomici, eccessivi o meno, rende gli Stati membri vulnerabili a
shock macroeconomici avversi e tende ad accrescere la probabilità di andamenti recessivi che
spesso comportano costi sociali ed economici elevati. Malgrado la crescita economica dell’UE negli
ultimi sette anni, le incertezze legate a fattori geopolitici, la minaccia del protezionismo e gli
squilibri macroeconomici pongono rischi al ribasso per l’attività economica. È quindi importante
che i paesi realizzino riforme ambiziose per rafforzare la capacità di tenuta delle loro economie a
fronte di shock avversi.
I livelli del debito, sia pubblico che privato, sono storicamente elevati in alcuni Stati membri, fattore
che rende più difficile reagire a una fase di rallentamento economico o a shock negativi. Una
crescita economica più sostenuta ha contribuito a ridurre il rapporto fra debito e PIL di alcuni Stati
negli ultimi anni, anche se i livelli di debito restano molto elevati in diversi casi. Le imprese sono
riuscite a ridurre tali livelli di debito più rapidamente rispetto alle famiglie.
Al tempo stesso, in alcuni paesi l’elevato indebitamento pubblico e privato si riflette in ampi stock
di debito estero, che evidenzia la necessità di garantire sufficienti avanzi di conto corrente.
Per agevolare il processo di ribilanciamento ed evitare nuovi squilibri in termini di competitività di
costo all’interno dell’UE, occorre monitorare con attenzione l’accelerazione della crescita del costo
del lavoro per unità di prodotto in alcuni paesi.
In particolare, nei paesi che presentano avanzi di conto corrente e che, secondo la Commissione,
stanno registrando una debolezza della domanda interna e scarsità di forza lavoro, una crescita del
costo del lavoro per unità di prodotto maggiore rispetto alla media dell’area dell’euro potrebbe
agevolare il riequilibrio fra i paesi dell’area dell’euro. Al tempo stesso, un relativo deterioramento
della competitività di costo nei paesi più vulnerabili e con tassi di disoccupazione relativamente

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elevati dovrebbe essere monitorato con attenzione in modo da evitare un’inversione del positivo
aggiustamento realizzato negli ultimi anni.

I progressi nelle riforme
Le riforme restano indispensabili per fare fronte a questi squilibri e la Commissione valuta
annualmente i progressi compiuti sul fronte delle riforme indicate nelle raccomandazioni. Nello
specifico, la Commissione ha esaminato lo stato di avanzamento dell’attuazione delle
Raccomandazioni specifiche per paese formulate dal Consiglio a luglio 2018. Ciascuna
raccomandazione fornisce allo Stato membro interessato alcuni orientamenti in specifiche aree di
politica economica.
La valutazione della Commissione evidenzia ancora una volta progressi solo limitati per quanto
riguarda le riforme indicate. I progressi vengono valutati sulla base di cinque categorie: “nessun
progresso”, “progressi limitati”, “alcuni progressi”, “progressi considerevoli” e “piena attuazione”.
La tavola B sintetizza le valutazioni relative all’anno corrente. Delle 73 raccomandazioni specifiche
per paese, nessuna è stata pienamente attuata e progressi considerevoli sono stati realizzati solo in
due casi. Per la stragrande maggioranza delle raccomandazioni (oltre il 90 per cento), la
Commissione ha rilevato che gli Stati membri hanno compiuto nella migliore delle ipotesi alcuni
progressi o progressi limitati. Su due raccomandazioni non è stato compiuto alcun progresso.
Secondo la metodologia adottata dalla Commissione, “nessun progresso” significa che lo Stato
membro interessato non ha nemmeno “annunciato in modo credibile” misure volte a dar seguito alla
raccomandazione ricevuta.
Infine, ciò che desta maggiore preoccupazione è che durante l’ultimo anno i paesi in situazione di
squilibrio eccessivo, sebbene molto vulnerabili, non abbiano compiuto progressi significativamente
maggiori sul fronte delle riforme rispetto alla media dell’UE. Lo stesso può dirsi per i paesi in
situazione di squilibrio.
Nel complesso, i progressi compiuti quest’anno in termini di riforme sono stati modesti come
l’anno passato.
I progressi sul fronte delle riforme sono stati disomogenei e, in particolare, modesti nell’ambito del
mercato dei beni e servizi e delle finanze pubbliche.
Qualche sforzo in più è stato compiuto in relazione al settore finanziario e ai mercati del lavoro. Nel
contempo, la Commissione riscontra persino casi di arretramento sul fronte delle riforme, ad
esempio per quanto concerne la sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo termine (compresi i
trattamenti pensionistici). Ulteriori riforme volte a migliorare il contesto per gli investimenti sono

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essenziali per stimolare investimenti mirati che consentano di accrescere la produttività, la crescita
potenziale e la capacità di tenuta.
La Commissione ritiene che i principali ostacoli agli investimenti siano costituiti dalla scarsa qualità
delle istituzioni e da una regolamentazione che impone molti oneri. La creazione di un contesto che
favorisca gli investimenti contribuirà ad accrescere quelli incentrati sulla produttività e sulla
crescita, indispensabili in questa fase del ciclo economico. A loro volta, gli investimenti devono
essere ben mirati per essere il più efficaci possibile. Anche se quelli in istruzione, ricerca, sviluppo
e innovazione sono necessari nella maggior parte dei paesi dell’UE, è importante che gli
investimenti affluiscano verso i settori in cui sono in grado di incrementare maggiormente la
crescita della produttività e la competitività. A tal fine la Commissione ha operato l’apprezzabile
scelta di aggiungere alle relazioni per paese un nuovo allegato, che evidenzia il fabbisogno di
investimenti e le strozzature specifiche di ogni paese allo scopo di allineare maggiormente l’utilizzo
dei fondi dell’UE con l’analisi svolta nell’ambito del Semestre europeo.

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3. Congiuntura Confcommercio - Ufficio Studi Confcommercio - marzo 2019
Stagnazione più che recessione. Così si può classificare la prima parte del 2019 sulla base dei dati
congiunturali, certo non soddisfacenti e ampiamente contradditori. Sul fronte dei consumi,
nonostante un andamento complessivamente non favorevole, si apprezza qualche elemento di
vivacità, sintomo del tentativo delle famiglie di reagire ad una situazione di perdurante fragilità
delle aspettative.

PIL MENSILE
Nel mese di gennaio la produzione industriale è tornata a crescere, dopo un quadrimestre negativo,
registrando, al netto dei fattori stagionali, un +1,7% su base mensile.
Ciò nonostante permane, su base annua, una tendenza alla riduzione (-0,9%). L’occupazione si è
confermata stabile rispetto al mese precedente, e in crescita nel confronto annuo (+0,1% su base
mensile, +0,7% rispetto a gennaio 2018).
Il clima di fiducia di imprese e famiglie ha segnalato, nel mese di febbraio un peggioramento. La
fiducia delle famiglie è calata dell’1,3% congiunturale, mentre il sentiment delle imprese ha
continuato a patire la debolezza del quadro economico, con un calo dello 0,8%.
Solo la fiducia delle imprese al dettaglio ha mostrato un miglioramento (2,4% m/m).
Sulla base dell’andamento dei principali indicatori, debole ed incerto, si stima, a marzo, una
variazione congiunturale negativa (-0,1%) del Pil mensile, dato che porterebbe ad una decrescita
dello 0,3% rispetto allo stesso mese del 2018.
Il primo trimestre 2019 dovrebbe, pertanto, registrare una crescita del PIL dello 0,1% in termini
congiunturali, mentre il tasso di crescita tendenziale si attesterebbe al -0,1%.

ICC (INDICATORE CONSUMI CONFCOMMERCIO)
A febbraio 20191 l’indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC) ha segnalato una diminuzione
dello 0,1% in termini congiunturali e un aumento dell’1,0% nel confronto con lo stesso mese del
2018. In termini di media mobile a tre mesi, dopo il recupero degli ultimi periodi l’indicatore
ripiega moderatamente.

LE DINAMICHE CONGIUNTURALI
La diminuzione dello 0,1% registrata in termini congiunturali dall’ICC, nel mese di febbraio, è
sintesi di un aumento dello 0,2% della domanda relativa ai servizi e di una flessione di analoga
dimensione per i beni.

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Il dato è espressione di andamenti articolati delle diverse macro-funzioni di spesa, a conferma delle
difficoltà dei consumi di instradarsi su un percorso di crescita consolidata. Variazioni positive
apprezzabili si sono registrate solo per i beni e i servizi per la mobilità (+0,5 % sul mese
precedente) e per gli alberghi e i pasti e le consumazioni fuori casa (+0,4%). Per contro, la
diminuzione più significativa si è registrata per i beni e servizi per le comunicazioni (-0,7 su
gennaio), al cui interno la componente relativa ai beni ha mostrato un rallentamento. In diminuzione
sono risultate anche le spese per i beni ed i servizi per la casa e per gli alimentari le bevande ed i
tabacchi (-0,5%). Per le altre voci di spesa si rileva una sostanziale stagnazione.

LE DINAMICHE TENDENZIALI
A febbraio 2019 l’ICC è risultato, nel confronto su base annua, in aumento dell’1,0%, in
rallentamento rispetto a gennaio. Il dato dell’ultimo mese è sintesi di un’evoluzione positiva sia
della domanda relativa ai servizi (+1,5%), sia della spesa per i beni (+0,9%).
In linea con quanto rilevato nei periodi più recenti sulla tenuta di quest’ultima componente ha
influito l’andamento della domanda di beni inclusi nella mobilità e nelle comunicazioni.
Queste due funzioni di consumo fanno segnare rispettivamente, a febbraio, variazioni pari al +6,4%
e al +4,7%.
Andamenti positivi si sono registrati anche per gli alberghi i pasti e le consumazioni fuori casa
(+1,6%). Decisamente più contenuti sono risultati i tassi di crescita per i beni e i servizi per la casa
(+0,5) e per i beni e i servizi ricreativi (+0,3). La domanda per i beni e i servizi per la cura della
persona è risultata stabile. Per contro, la domanda relativa agli alimentari, alle bevande e ai tabacchi
(-1,5%) e all’abbigliamento e alle calzature (-0,2%) continua a segnalare una tendenza alla
riduzione.

PREZZI: LE TENDENZE A BREVE TERMINE DEI PREZZI AL CONSUMO
Sulla base delle dinamiche registrate dalle diverse variabili che concorrono alla formazione dei
prezzi al consumo, per il mese di marzo 2019 si stima, rispetto a febbraio, un aumento dello 0,3%.
Nel confronto con lo stesso mese del 2018 il tasso d’inflazione dovrebbe collocarsi all’1,0%, in
modesta discesa rispetto a febbraio.

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4. Online Ecocamere: il nuovo portale ambientale per le imprese (Comunicato stampa) -
Unioncamere - 21 marzo 2019
È operativo il nuovo portale telematico "EcoCamere", il sito delle Camere di commercio che aiuta
le imprese ad orientarsi tra obblighi ed opportunità in campo ambientale, realizzato da Ecocerved,
società in house del Sistema camerale. Dal 1° marzo è infatti possibile consultare questo sito, frutto
di un processo partecipativo avviato nel 2018 con
il coinvolgimento degli uffici ambiente delle Camere di commercio, di imprese e associazioni di
categoria (sensibilizzate da Unioncamere). Il portale ha il duplice obiettivo di informare le imprese,
in particolare le pmi (micro, piccole e medie imprese), e al tempo stesso di fornire al personale
camerale informazioni mirate, utili ad agire sul territorio supportando le aziende.
I contenuti di EcoCamere spaziano da notizie su novità normative ed eventi tematici a tutorial sugli
adempimenti, da informazioni su finanziamenti a opportunità di networking. Non mancheranno
analisi e studi per valorizzare l'immenso patrimonio informativo ambientale camerale: la finalità è
quella di accompagnare l'evoluzione della relazione delle imprese con le camere, dalla leva di
obbligo a quella di opportunità, anche grazie a contenuti fruibili e di agevole comprensione.
Infatti, oltre al focus sugli adempimenti, EcoCamere propone anche approfondimenti su temi
ambientali molto attuali, come l'economia circolare, l' eco-design, innovazione organizzativa e
tecnologica, integrazione a livello di filiera e "simbiosi industriale".
Nel nuovo portale si potranno anche presentare quesiti o suggerire approfondimenti, in modo da
promuovere il trasferimento di conoscenze ed esperienze, favorendo in tal modo l'interazione del
Sistema camerale con gli stakeholder: imprese e loro associazioni, pubbliche amministrazioni,
università, fondazioni, ecc.

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5. Fiducia dei consumatori e delle imprese - ISTAT - 27 marzo 2019
          A marzo 2019 continua l’indebolimento del clima di fiducia dei consumatori per il quale si
           stima una diminuzione da 112,4 a 111,2; si registra invece una dinamica positiva per l’indice
           composito1 del clima di fiducia delle imprese che passa da 98,2 a 99,2.
          Il ripiegamento dell’indice di fiducia dei consumatori riflette il deterioramento di tutte le sue
           componenti: il clima economico e quello corrente registrano le flessioni più marcate mentre
           cali più contenuti caratterizzano il clima personale e, soprattutto, quello futuro. Più in
           dettaglio, il clima economico cala da126,4, a 123,9, il clima personale passa da 108,2 a
           106,8, il clima corrente scende da 109,4 a 107,8 e il clima futuro flette da 116,9 a 115,9.
          Con riferimento alle imprese, l’indice di fiducia aumenta nei servizi (da 98,3 a 100,1) e nelle
           costruzioni (da 135,5 a 140,3), rimane stabile nel commercio al dettaglio (a quota 105,5)
           mentre diminuisce nel comparto manifatturiero (da 101,6 a 100,8).
          Per quanto riguarda le componenti dei climi di fiducia delle imprese, nella manifattura si
           rileva un peggioramento, per il terzo mese consecutivo, delle attese sulla produzione,
           unitamente a una diminuzione del saldo relativo alle scorte di magazzino; i giudizi sul
           livello degli ordini si deteriorano rispetto al mese scorso. Nelle costruzioni la dinamica
           estremamente positiva dell’indice riflette il miglioramento dei giudizi sul livello degli ordini
           e un deciso aumento delle aspettative sull’occupazione presso l’impresa diffuso a tutti i
           settori analizzati (costruzione di edifici, ingegneria civile, lavori di costruzione
           specializzati).
          Nei servizi migliorano sia i giudizi sugli ordini, con il saldo che torna positivo per la prima
           volta dal mese di dicembre 2018 sia, in misura più consistente, le valutazioni
           sull’andamento degli affari; si segnala il deterioramento delle attese sugli ordini in atto già
           dallo scorso mese. Nel commercio al dettaglio, la stabilità dell’indice di fiducia è la sintesi
           di un’evoluzione negativa dei giudizi sulle vendite e di un miglioramento delle relative
           attese; il saldo delle valutazioni sul livello delle giacenze aumenta per il terzo mese
           consecutivo.

Il commento
A marzo 2019 l’indice di fiducia delle imprese torna a crescere per la prima volta da giugno 2018,
pur confermando per il quarto mese consecutivo un livello inferiore a quello medio dell’anno base.
Il miglioramento coinvolge i comparti dei servizi e delle costruzioni ed è determinato dalla
favorevole evoluzione dei giudizi sugli ordini. Invece, nel comparto manifatturiero l’indice

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conferma i segnali negativi che si manifestano quasi ininterrottamente da settembre 2017 ed a
marzo 2019 scende ai minimi da quattro anni. L’indice di fiducia del consumatori a marzo registra
un minimo rispetto al periodo settembre 2017 - marzo 2019, condizionato da valutazioni più
negative sia sulla situazione economica dell’Italia sia sulla situazione corrente.

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6. Non solo Pil: diseguaglianze, sostenibilità, benessere - Servizio Studi BNL - 26 marzo 2019
“Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indicatore Dow-Jones, né i successi del
paese sulla base del Prodotto interno lordo” sosteneva più di 50 anni fa Robert Kennedy in un
discorso tenuto all’Università del Kansas nel 1968. Il Pil non tiene conto della salute, della qualità
dell’istruzione, dell’inquinamento atmosferico e della generosità o della sicurezza delle persone
eppure quanto produciamo non regola solo l’andamento di borse e mercati ma il rating di un paese e
le azioni politiche dei governi.
Il Pil non considera le attività che non sono oggetto di scambio sul mercato, come il lavoro
domestico o il volontariato, non tiene conto degli elementi distributivi e la sua maggior attenzione
per le quantità prodotte impedisce di considerare anche la qualità dei beni e servizi immessi sul
mercato.
Nel 2017 il Pil pro-capite a prezzi correnti del Lussemburgo e dell’Irlanda è stato circa il triplo del
suo reddito mediano pro-capite. Il concentrarsi di molte multinazionali estere che hanno scelto di
collocare la propria sede legale all’interno dei confini nazionali, ha avuto un effetto distorsivo nel
calcolo del Pil per questi paesi.
Nel 2018 la Danimarca ha registrato il consumo effettivo individuale pro-capite più elevato tra i
paesi della Ue, 33.300 euro (prezzi correnti), seguita dalla Svezia e dal Regno Unito. L’Irlanda,
nonostante registri un Pil pro-capite più elevato, è all’ottavo posto con un consumo effettivo
procapite di 25.500 euro annui. Un prodotto interno lordo pro-capite elevato non è detto che rifletta
un livello di benessere diffuso o un’equa distribuzione del reddito. Nel 2018 la produzione pro-
capite a prezzi correnti degli Stati Uniti risultava pari a circa 62.516 dollari, un valore piuttosto
elevato, ma allo stesso tempo il paese presentava anche un indice di disuguaglianza tra i più alti al
mondo.
Consumare la stessa quantità di beni e servizi lavorando un numero di ore inferiore comporta un
aumento del proprio tenore di vita. Nel 2017 la Turchia, il Messico e il Giappone sono stati i paesi
in cui si è registrata la percentuale più alta di lavoratori dipendenti con un orario superiore alle 50
ore settimanali.
Misure alternative al Pil di crescita mostrano ranking diversi dai tradizionali: secondo il World
Happiness Report 2019 gli Stati Unititi, che realizzano oltre un quarto del Pil mondiale, occupano
solo la diciannovesima posizione.

Il Pil compie 85 anni

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“Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indicatore Dow-Jones, né i successi del
paese sulla base del Prodotto interno lordo” sosteneva più di 50anni fa
Robert Kennedy in un discorso tenuto all’Università del Kansas nel 1968.
Il Pil misura il valore di mercato di tutti i beni e i servizi prodotti nei confini nazionali in un
determinato periodo di tempo. Si tratta di una misura della produzione del paese e in quanto tale
considera solo ciò che ha valore monetario in un processo di scambio.
Non tiene conto della salute, della qualità dell’istruzione, dell’inquinamento atmosferico e della
generosità o della sicurezza delle persone eppure quanto produciamo non regola solo l’andamento
di borse e mercati ma il rating di un paese e le azioni politiche dei governi.
Come sottolinea il rapporto Ocse 2018, quando un sistema disegnato per misurare un aspetto
diventa prassi diffusa tra molti si corre il rischio di dimenticare i limiti del sistema di misurazione
stesso. Il Pil è nato con un’ambizione ben più modesta del valutare il benessere di un paese: nel
1933 l’economista Simon Kuznet fu incaricato dall’allora presidente Roosvelt di costruire un
sistema di contabilità nazionale per misurare il reddito del paese. Così il Pil, come lo conosciamo
oggi, è nato per valutare l’attività di mercato o la spesa aggregata, diventando l’indicatore più
utilizzato al mondo.
Lo stesso Kuznet ne definì i limiti metodologici: per quanto fosse un valido indicatore del ritmo di
crescita di un paese, tuttavia, quando è necessario valutare problemi economici o policy da adottare
è necessario ricordare la distinzione fra quantità e qualità della crescita.
Presa coscienza dell’inadeguatezza del Pil per misurare il benessere, l’iniziativa più significativa in
tale ambito è stata adottata dalla Francia circa dieci anni fa quando nel 2008 il presidente Sarkozy
ha incaricato tre economisti Stiglitz, Sen e Fitoussi di formare una commissione di esperti per “la
misurazione della performance economica e del progresso sociale”, lavoro da cui la Commissione
europea ha tratto l’anno seguente il Rapporto Stiglitz, che ha incentivato l’attività di ricerca
nell’ambito della misurazione del benessere e dello sviluppo sostenibile.
Nel 2015 i governi dei 193 Paesi membri dell’ONU hanno sottoscritto l’Agenda 2030, un
programma di azione che ingloba i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable
Development Goals, SDGs) e una serie di traguardi da raggiungere entro il 2030.
Sulla scia della Francia in Italia l’Istat pubblica il rapporto BES, Benessere equo e sostenibile, che
ha l’obiettivo di misurare il benessere degli italiani sulla base di una serie di indicatori. L’Italia è
stato il primo paese ad attribuire un riconoscimento ufficiale alle misure del benessere
introducendole a partire dal 2017 nel Documento di economia e finanza.

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I limiti del Pil
Le criticità del Pil sono di duplice natura: i limiti di carattere tecnico propri di qualsiasi misura
statistica e i limiti concettuali legati all’errato utilizzo dell’indicatore da parte dei policy makers.
Il Pil non considera le attività che non sono oggetto di scambio sul mercato come il lavoro
domestico o il volontariato, non tiene conto degli elementi distributivi in quanto è un aggregatore
del reddito non una misura della sua distribuzione.
Il Pil non coglie le esternalità negative ambientali e sociali del sistema produttivo (danni ambientali,
esaurimento delle risorse naturali), ad esempio il Pil diminuisce se prodotti più efficienti a livello
energetico riducono il consumo elettrico, ma può aumentare con attività inquinanti che utilizzano
risorse naturali.
Come si evince dal Rapporto Stiglitz la maggiore attenzione per le quantità prodotte impedisce al
Pil di considerare anche la qualità dei beni e servizi immessi sul mercato, che nelle economie più
avanzate costituisce un aspetto significativo della misura del reddito e dei consumi. Ad esempio,
non è in grado di cogliere i miglioramenti qualitativi dei servizi informatici e delle tecnologie di
comunicazione, non necessariamente i prezzi riflettono la variazione della qualità dello stesso
prodotto nel tempo.
Il Pil misura il valore di servizi quali la sanità e l’istruzione in termini di costo ai prezzi di mercato,
quale il costo del personale medico, ma non i risultati ottenuti, come il numero di trattamenti
compiuti e il tipo di malattie curate, la qualità delle prestazioni e la probabilità di successo.
Tuttavia, i progressi in campo medico e la qualità dell’istruzione hanno raggiunto in molti paesi
livelli così significativi da influenzare gli standard di vita. Inoltre, le misure al lordo non tengono
conto del deprezzamento del capitale in quanto l’ammortamento dei beni tangibili è difficile da
stimare.

Misure del benessere alternative al Pil
Il Rapporto Stiglitz della Commissione europea sottolinea come nel valutare il benessere materiale
(o tenore di vita) degli abitanti, il reddito o i consumi siano misure più idonee rispetto al Pil.
Secondo i dati Eurostat nel 2017, ad esempio, il Lussemburgo è il paese che registra il reddito
mediano netto equivalente pro-capite più elevato, circa 36mila euro, a fronte di una media Ue di
16.300 euro. Il Pil pro-capite a prezzi correnti del Lussemburgo e dell’Irlanda nel 2017 è stato circa
il triplo del suo reddito mediano pro-capite.
I due paesi sono esplicativi di come il Pil non sia una misura affidabile della disponibilità
economica effettiva degli abitanti. Ad esempio, nel caso dell’Irlanda si è assistito al concentrarsi di

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molte multinazionali estere che hanno scelto di collocare la propria sede legale all’interno dei
confini nazionali spinte da una tassazione più agevolata.
Ciò ha avuto un effetto distorsivo nel calcolo del Pil irlandese accentuando il gap con il reddito
effettivo degli abitanti. La presenza di multinazionali ha avuto un impatto positivo sulle condizioni
economiche dei residenti, soprattutto a livello occupazionale, ma non spiega un Pil pro-capite così
elevato.
L’utilizzo del reddito mediano pro-capite, al posto del reddito medio pro-capite, fornisce
informazioni migliori sulla distribuzione della variabile, in quanto è quel valore del reddito che
bipartisce la distribuzione della popolazione.
Un’altra misura rappresentativa del benessere materiale della popolazione è il consumo effettivo
individuale pro-capite (AIC, actual individual consumption procapite) utilizzato per confronti a
livello internazionale.
Secondo i dati Eurostat, nel 2018 la Danimarca ha registrato il consumo effettivo individuale pro-
capite più elevato, 33.300 euro (prezzi correnti), seguito dalla Svezia e dal Regno Unito. L’Irlanda,
nonostante registri il Pil pro-capite più elevato, è all’ottavo posto con un consumo effettivo pro-
capite di 25.500 euro annui. L’Italia è in linea con la media europea pari all’incirca a 21.100 euro di
consumi pro-capite.
Un aspetto significativo del benessere economico di un paese è la distribuzione del reddito.
Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, nel 2018 gli Stati Uniti
presentavano un Pil pro-capite a prezzi correnti pari a circa 62.516 dollari, un valore elevato nel
confronto internazionale. Tuttavia, anche l’indice di Gini era tra i più elevati a indicare una
concentrazione piuttosto alta del reddito: nel 2017 è stato pari a 39,1. Un prodotto interno lordo pro-
capite elevato non è detto che rifletta un’equa distribuzione del reddito o un livello di benessere
diffuso. Al contrario, la Germania rispetto al Regno Unito, alla Francia, alla Spagna e all’Italia ha
un Pil-procapite maggiore (circa 52.900 dollari) ma un indice di Gini più basso rispetto agli altri,
29,1.
Secondo i dati Eurostat, nel 2017 (ultimo dato disponibile) il rapporto interquintile (income
interquintile share ratio) della Ue è stato all’incirca pari a 5, ossia il quintile più ricco della
popolazione ha percepito un reddito pari a cinque volte quello del 20% più povero. La Spagna e
l’Italia hanno registrato valori al di sopra della media europea, rispettivamente, 6,6 e 5,9. Al
contrario, in Finlandia il 20% più ricco della popolazione detiene un reddito pari a tre volte e mezzo
il quintile più povero, il rapporto più basso di tutta l’Ue, ad eccezione della Repubblica Ceca e della
Slovenia.

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Come sottolineava il rapporto della Commissione europea dieci anni fa, il benessere è
multidimensionale e include oltre agli standard materiali di vita come il reddito, i consumi e la
ricchezza anche la salute, l’istruzione, le attività personali, il lavoro, la libertà politica, la qualità
delle strutture di governo, l’integrazione e relazioni sociali e l’ambiente.
Quindi è opportuno considerare anche le attività non di mercato, strettamente legate al tempo libero
a disposizione, infatti, consumare la stessa quantità di beni e servizi lavorando un numero di ore
inferiore comporta un aumento del proprio tenore di vita.
Secondo i dati Ocse, nel 2017 la Turchia, il Messico e il Giappone sono i paesi in cui si è registrata
la percentuale più alta di lavoratori dipendenti che hanno un orario superiore alle 50 ore settimanali.
In Turchia circa un terzo dei lavoratori dipendenti supera questa soglia, in Messico il 29,5% e in
Giappone poco più di un quinto.
La media Ocse è pari al 12,6% dei lavoratori dipendenti, in Italia solo il 4% dei lavoratori
dipendenti ha un orario superiore alle 50 ore settimanali. Invece, la Francia è al primo posto per
numero di ore al giorno (16) che un lavoratore a tempo pieno dedica ad attività ludiche o alla cura
personale (come dormire, curarsi, mangiare) seguita dalla Spagna.
L’analisi Better Life Index misura lo stato di salute del paese per mezzo di due variabili:
l’aspettativa di vita alla nascita e la percentuale della popolazione oltre i 15 anni che ritiene di
essere in buona salute. Circa l’88% dei canadesi, statunitensi e neozelandesi ritengono di godere di
buona salute, nei primi due paesi i cittadini hanno un’aspettativa di vita alla nascita di circa 82 anni
mentre negli Stati Uniti di 78,8 anni.
Al contrario, in Italia in cui l’aspettativa di vita alla nascita è in media di 82,7 anni, solo il 66%
degli Italiani ritiene di godere di buona salute. Analogamente, in Portogallo, a parità di aspettativa
di vita, solo il 46% della popolazione crede di essere in buona salute.

Happiness score: il Pil rende felici?
Secondo il World Happiness Report 2019, la Finlandia in cui si registra un punteggio complessivo
di 7,8 punti su una scala che va da 0 a 10 è il paese più “felice” al mondo, seguita dagli altri paesi
scandinavi, dalla Nuova Zelanda e dal Canada.
Il Regno Unito, la Germania e gli Stati Uniti rientrano tra i primi venti paesi, seguiti dalla Francia al
ventiquattresimo posto, dalla Spagna al trentesimo e, infine, dall’Italia che occupa la trentatreesima
posizione.
L’analisi misura il livello di felicità di 156 nazioni e dei suoi abitanti tenendo conto di sei
dimensioni: il Pil pro-capite, la generosità degli abitanti, la serenità nel poter compiere scelte di vita,

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