8 Famiglia e sessualità nel Magistero dal Concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II

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               Famiglia e sessualità nel Magistero
          dal Concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II
                                  di Bruna Bocchini Camaiani

          È opinione comune che sui temi dell’amore, della coppia e della contrac-
          cezione la distanza tra le norme predicate dal magistero della Chiesa e i
          comportamenti e i sentimenti dei cattolici sia molto grande: Les catholi-
          ques restent loin d’Humanae vitae1 titolava “La Croix” nel luglio 2008,
          proponendo una serie di articoli che analizzavano la recezione di quella
          enciclica di Paolo VI quarant’anni dopo la sua promulgazione. Con più
          decisione il teologo Dietmar Mieth commentava su “Concilium”:
          «Quarant’anni di mancata ricezione di una proibizione che entrava molto
          nei dettagli dovrebbero bastare per prendere in considerazione una revi-
          sione»2. D’altro canto i messaggi inviati da Benedetto XVI ai partecipanti
          ai convegni organizzati per celebrare quell’anniversario sottolineano la
          «chiaroveggenza con la quale il problema fu affrontato […]. La verità
          espressa nella Humanae vitae non muta; anzi proprio alla luce delle nuove
          scoperte scientifiche il suo insegnamento si fa più attuale e provoca a riflet-

               1.@E. Maurot, Les catholiques restent loin d’Humanae vitae, in “La Croix”, 24 luglio
          2008; cfr. inoltre le interviste a padre Philippe Bordeyne, docente della facoltà teologica
          de l’Institut Catholique de Paris, a cura di F.-X. Maigre, Un problème plus vaste que la
          régulation des naissances, e quella a monsignor Pierre d’Ornellas, a cura di N. Seneze,
          L’Église parle de façon prophétique; cfr. anche l’articolo di A. Montoya da Buenos Aires,
          Les catholiques argentins se tiennent à distance, che iniziava così: «L’épiscopat continue
          de défendre les positions d’Humanae vitae mais la pratique des fidèles est tout autre»
          (http://www.la-croix.com).
               2.@D. Mieth, Humanae vitae compie quarant’anni. Un’occasione per riflessioni che
          portano oltre la controversia sulla contraccezione, in “Concilium”, 1, 2008, pp. 156-62; cfr. il
          Forum teologico, pp. 151-88, con interventi di Márcio Fabri dos Anjos, José M. de Mesa e
          Mary Hunt. Analogo il giudizio di Hans Küng: «Il primo caso, nella storia della Chiesa
          del XX secolo, in cui la schiacciante maggioranza di popolo e clero rifiutò obbedienza al
          papa su una questione rilevante (oggi, per esempio, il 97% dei cattolici degli USA tra i
          venti e i quarant’anni)» (A. Melloni, Ch. Theobald, a cura di, Vaticano II: un futuro dimen-
          ticato?, in “Concilium”, 4, 2005, p. 148).

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          tere sul valore intrinseco che possiede»3. In questa prospettiva quel
          concetto di rispetto della natura e di legge naturale che era alla base del
          testo di Paolo VI viene considerato profetico in relazione alla discussione
          contemporanea sui temi della bioetica.

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                                           Il dibattito conciliare

          Il dibattito che su questi temi si svolse al Concilio Vaticano II, in partico-
          lare per il capitolo su matrimonio e famiglia della costituzione pastorale
          Gaudium et spes rivelava tensioni e difficoltà che evidenziavano modelli
          diversi di Chiesa e dei rapporti Chiesa-mondo moderno. La discussione
          investiva il rapporto tra magistero e coscienza individuale, la stessa conce-
          zione di natura e di legge naturale, l’immagine della sessualità e del matri-
          monio. Gli schemi preparatori, prodotti della tradizione intransigente e
          “romana”, erano stati rifiutati dall’assemblea, all’interno della quale
          comunque emergevano prospettive diverse. Pur con immagini ecclesio-
          logiche nuove, legate alla valorizzazione del “popolo di Dio” e con la
          proposizione di diverse concezioni antropologiche che comportavano una
          certa rivalutazione della sessualità e il concetto di storicità della legge natu-
          rale, rimaneva forte il modello del rapporto con il mondo che vedeva nel
          magistero ecclesiastico l’interprete autentico della legge naturale comune
          a tutti gli uomini.
               Significativo è l’ampio dibattito svoltosi negli ultimi giorni dell’otto-
          bre 1964 per il rilievo dei protagonisti; in quella occasione si definivano i
          temi e gli argomenti fondamentali, che sarebbero stati poi riproposti in
          molteplici occasioni, e ben si evidenziava la divaricazione tra la prospetti-
          va dottrinale e “romana” di Ruffini, Browne e Ottaviani e quella pastora-
          le, prevalente tra i vescovi in concilio, come Léger di Montreal, Suenens di
          Bruxelles, Maximos IV, patriarca di Antiochia dei Melchiti, e Alfrink di
          Utrecht. Il testo proposto tentava di superare l’impostazione tradizionale
          per una più ampia valorizzazione dell’amore umano e della responsabi-
          lità della coppia nella pianificazione dei figli, secondo l’ispirazione fonda-

                3.@Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti al congresso internazionale
          promosso dalla Pontificia Università Lateranense, nel 40° anniversario dell’enciclica
          “Humanae vitae”, del 10 maggio 2008 (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi);
          cfr. anche Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI al congresso internazionale “Humanae
          vitae”: attualità e profezia di un’enciclica (Roma, 3-4 ottobre 2008), del 2 ottobre 2008, ivi.

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          mentale di quella costituzione che apriva a un’ampia rivalutazione delle
          realtà terrene. Ruffini riteneva che emergesse una debolezza dottrinale nel
          testo, perché dalla costituzione del matrimonio in sacramento derivavano
          caratteristiche che non potevano essere attenuate. In particolare criticava
          l’affermazione che spettasse solo ai coniugi la decisione relativa al nume-
          ro dei figli: «Vere durus est hic sermo, obscurus et ambiguitatibus, valde
          periculosis, refertus»4 e richiamava la dottrina agostiniana, la Casti connu-
          bii di Pio XI del 1930, e l’allocuzione alle ostetriche di Pio XII, dell’ottobre
          1951, dove si era ammessa una autonoma regolazione delle nascite da parte
          dei coniugi, ma all’interno dei ritmi naturali della fecondità della donna.
          In quei testi, sosteneva il cardinale di Palermo, era già contenuta tutta la
          «perennem Ecclesiae sapientiam». Questa posizione, più volte riproposta
          anche da altri, si ispirava alla definizione dottrinale classica del matrimo-
          nio, presente anche nel diritto canonico, che distingueva tra un fine prima-
          rio, «proles generanda et educanda» e un fine secondario, che prevedeva
          il «mutuum auxilium» e il «remedium concupiscentiae»5; una visione che
          veniva riproposta, il giorno successivo, dal cardinal Browne, che richia-
          mava l’importanza dell’amore «di amicizia», contrapposto all’amore «di
          concupiscenza» nella coppia e invocava «cautela» nel rivendicare i diritti
          dell’amore coniugale.
               L’impostazione dello schema proposto dai riformatori, che di fatto
          aveva raccolto una vasta maggioranza di consensi, proponeva invece, in
          una logica personalista, l’abbandono dell’impostazione giuridica dei
          «fini» per superare un’attitudine «pessimistica e negativa» sull’amore
          umano, un’impostazione che si riteneva non derivasse dalla Scrittura o
          dalla Tradizione, ma da una tradizione teologico-filosofica mutuata dalla
          scolastica. L’amore, che coinvolge «anima e corpo», era stato proposto
          come il vero fine del matrimonio, sosteneva Léger6. In questa prospettiva

               4.@Acta Synodalia sacrosanti concilii ecumenici Vaticani II, Città del Vaticano 1970-80;
          III,Congregatio generalis CXII, 6, pp. 52-4, cit. a p. 53. Sul dibattito conciliare Storia del
          concilio Vaticano II, diretto da G. Alberigo, Peeters-il Mulino, Bologna 1995-2001: vol. 4,
          1999, cap. V, di N. Tanner, La Chiesa nelle società: ecclesia ad extra, pp. 293-415 (matrimo-
          nio e famiglia pp. 332-8); vol. V, 2001, cap. V, di P. Hünermann, Le ultime settimane del
          concilio, pp. 371-491 (I fini del matrimonio e il controllo delle nascite e parr. seguenti,
          pp. 409-27). Sulla storia della Gaudium et spes importante il lavoro di G. Turbanti, Un
          Concilio per il mondo moderno. La redazione della costituzione pastorale “Gaudium et spes”
          del Vaticano II, il Mulino, Bologna 2000.
               5.@Acta Synodalia, cit., pp. 86-8.
               6.@Ivi, p. 55, tutto l’intervento alle pp. 54-6.

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          il tema della fecondità si poneva come fine del matrimonio7, ma riferito a
          tutta la vita matrimoniale e non al singolo atto, come invece ripeteva la
          dottrina tradizionale. Importante, in questa linea, l’intervento di Suenens,
          uno dei protagonisti del Concilio e della stessa Gaudium et spes8. Il cardi-
          nale di Bruxelles ricordava la necessaria collaborazione con la commis-
          sione pontificia nominata per questo problema, prima da Giovanni XXIII
          e poi ampliata da Paolo VI, ma riteneva importante porre all’attenzione di
          quella commissione alcuni principi fondamentali. La sua era una sottoli-
          neatura del ruolo del Concilio, anche su questo tema. Egli poneva come
          primo punto il problema del rapporto tra la Scrittura e la tradizione,
          centrale in tutto il dibattito conciliare, in una prospettiva di evoluzione
          della comprensione evangelica e dottrinale:

          L’Evangelo è sempre lo stesso. Ma nessuna epoca può gloriarsi di aver compre-
          so fino in fondo le insondabili ricchezze del Cristo. E lo Spirito Santo ci è stato
          promesso perché progressivamente ci «introduca nella pienezza della verità».
          Così la Chiesa non ripudia la verità che una volta ha insegnato in modo autenti-
          co, ma con il progredire di una più profonda analisi del Vangelo, può e deve
          integrare questa verità in una sintesi più ricca e rivelare la fecondità più ricca di
          quei principi. […] È necessario esaminare se abbiamo mantenuto in perfetto
          equilibrio i vari aspetti della dottrina cristiana sul matrimonio. Può darsi che
          abbiamo posto a tal punto l’accento sulla parola della Scrittura: «crescete e
          moltiplicatevi» che abbiamo lasciato un po’ in ombra l’altra parola divina:
          «saranno due in una sola carne»9.

          Suenens rifiutava con decisione l’accusa che in questo modo si aprisse la
          via al «lassismo morale» e chiedeva che si approfondisse un altro grande
          problema che era alla base delle differenti posizioni: «una conoscenza
          più approfondita della legge naturale» in relazione con il progresso della
          scienza: «Dal tempo di Aristotele e anche dal tempo di sant’Agostino
          abbiamo imparato alcune cose. Conosciamo sempre meglio la complessità
          della natura con le interferenze tra biologia e psicologia, tra corpo e spiri-
          to. Sempre si scoprono anche nuove possibilità dell’uomo nel dirigere il
          corso della natura»10.

                7.@Ivi, p. 55.
                8.@J. Grootaers, Le cardinal Suenens, stratège et charismatique, in Id., Actes et acteurs
          à Vatican II, University Press, Leuven 1998, pp. 314-25 (trad. it. I protagonisti del Vaticano
          II, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 229-43).
                9.@Acta Synodalia, cit., pp. 57-9, cit. p. 58 (trad. mia).
                10.@Ibid.

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               Da ciò sembrava al cardinale di dover proporre ulteriori ricerche su
          ciò che è «secondo natura» o «contro natura», seguendo il progresso della
          scienza, e aggiungeva un appello che assumeva quasi il senso di una provo-
          cazione: «Vi scongiuro fratelli. Evitiamo un nuovo “processo Galilei”.
          Ne basta uno alla Chiesa». Rifiutava anche l’accusa di aderire a una
          «morale di situazione», invocando invece la necessità, nell’esposizione
          della dottrina, di tenere conto delle nuove problematiche emerse nel corso
          della storia, come avevano fatto i pontefici con le encicliche sociali.
               Una prospettiva simile ispirava l’intervento del patriarca Maximos IV
          Saigh, che sottolineava la lontananza tra «la dottrina ufficiale della Chiesa
          e la pratica contraria dell’immensa maggioranza delle coppie cristiane».
          Quella dottrina doveva essere ripensata «alla luce della scienza moderna,
          tanto teologica, che medica, psicologica e sociologica». Si rifiutava di
          accettare quelle finalità «dissociate» in primarie e secondarie e poi si chie-
          deva: «Certe posizioni ufficiali non sono tributarie di concezioni supera-
          te, forse di una psicosi da celibatari estranei a questo settore di vita? Non
          siamo, senza volerlo, sotto il peso di questa concezione manichea dell’uo-
          mo e del mondo, secondo la quale l’opera della carne, viziata in sé stessa,
          non è tollerata che in vista del figlio?»11.
               Egli invitava a tener conto dei risultati nuovi dell’esegesi dei passi della
          Genesi, già richiamati da Suenens, e di quello relativo a Onan (Genesi, 38,
          8-10), che veniva interpretato tradizionalmente come una condanna della
          limitazione delle nascite, mentre diverse prospettive erano emerse dagli
          studi filologico-esegetici. Inoltre, invitava i vescovi cattolici a porsi su
          questo tema in sintonia con le altre Chiese cristiane e anche con le rifles-
          sioni delle altre religioni. Il giorno successivo sulla stessa linea interveniva
          il cardinal Alfrink12, arcivescovo di Utrecht, che riproponeva il problema
          di una teologia che partisse da una riflessione antropologica profonda-
          mente rinnovata.
               Una prospettiva radicalmente diversa era quella di Ottaviani. Egli
          richiamava la sua esperienza familiare, undicesimo di dodici figli, con un
          padre operaio che non aveva mai dubitato dell’aiuto della Provvidenza e
          poneva, come segretario del Sant’Uffizio, un problema cruciale nel dibat-
          tito, quello della «inerranza» della Chiesa nei secoli passati: «Forse che
          l’inerranza della Chiesa dovrà essere messa in dubbio? O lo Spirito Santo
          non fu presente nella Chiesa nei secoli passati per illuminare le menti su

              11.@Ivi, pp. 59-62, cit. p. 60.
              12.@Ivi, pp. 83-5.

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          questo aspetto della dottrina?»13. Tale affermazione a lui sembrava «enor-
          me». Questo era uno dei più rilevanti problemi che il Concilio si era trova-
          to ad affrontare in più occasioni e che poi non avrebbe del tutto risolto, se
          non in una ricerca dell’ampiezza e dei molteplici aspetti della tradizione
          nel suo rapporto con la Scrittura. Il problema della «inerranza» del magi-
          stero era comunque l’obiezione che sempre i teologi della minoranza
          curiale, che aveva nel Sant’Uffizio la propria roccaforte, avevano messo
          in campo.
               Non è possibile in questa sede seguire il complesso itinerario della
          redazione di questo capitolo e della Gaudium et spes. Ciò che va sottoli-
          neato, a ogni modo, è il ruolo del Santo Uffizio e in particolare della
          commissione dottrinale che interveniva, come era avvenuto anche ai primi
          di giugno del 1964, fino al punto che «un testo prodotto da un organo del
          Concilio veniva sottoposto a giudizio di ortodossia sulla base di un decre-
          to della Congregazione»14, come quello del marzo 1944 sui fini del matri-
          monio, creando una sorta di processo verso il teologo Häring, che era stato
          l’ispiratore del capitolo. In questa situazione la scelta di Paolo VI di voler
          giungere, in questa come in altre occasioni, a un testo che raccogliesse
          sostanzialmente il voto unanime dell’assemblea lo portava a interventi di
          autorità, con l’inserzione di aggiunte o correzioni, nelle quali egli si face-
          va portatore delle tesi della minoranza. Di fronte alla discussione della fine
          di ottobre 1964, che era stata fortemente conflittuale, il pontefice avocava
          a sé la questione della limitazione delle nascite, sulla quale il concilio non
          avrebbe quindi dovuto deliberare. Rimaneva, tuttavia, l’impianto del capi-
          tolo, che sottolineava in primo luogo l’importanza dell’amore di coppia e
          la decisione autonoma dei genitori sulla pianificazione familiare, una
          impostazione che aveva trovato consensi crescenti, come era accaduto
          anche su altre questioni. Le varie votazioni sulle redazioni del testo racco-
          glievano sempre un’ampia maggioranza, ma la minoranza poteva contare
          su rappresentanti importanti delle Congregazioni romane, che avevano
          redatto quei testi preparatori che erano stati rigettati, e che trovavano
          attento ascolto presso Paolo VI.

              13.@Ivi, pp. 85-6.
              14.@Turbanti, Un Concilio per il mondo moderno, cit., p. 363, richiama l’osservazione
          di Congar nel suo diario: «È la grande offensiva concertata: Franić, Lio, Tromp… in
          breve il Sant’Uffizio» (Y. M. Congar, Diario del concilio, II, San Paolo, Cinisello Balsamo
          2005, 6 giugno 1964, p. 92). La critica contro Häring era quella di «voler far consacrare dal
          Concilio la sua posizione, secondo la quale l’amore è l’elemento essenziale del matrimo-
          nio» (ibid.).

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               La discussione della fine di novembre 1965 registrava una delle crisi
          più profonde. Il 25 novembre il pontefice inviava quattro emendamenti
          che, come ha evidenziato un attento esame di Jan Grootaers15, erano stati
          elaborati dalla minoranza curiale, con un ruolo da protagonisti svolto dal
          gesuita John Ford, consultore della commissione pontificia, come teologo
          di Ottaviani, e dal francescano Ermenegildo Lio, che insegnava all’Anto-
          niano e che aveva fatto parte della Commissione dottrinale che aveva elabo-
          rato gli schemi preparatori. I temi sui quali si interveniva erano la «gerar-
          chia dei fini» del matrimonio, la fecondità e la contraccezione e l’autorità
          del magistero contrapposta al tema di una possibile evoluzione dottrinale.
               Lo scontro era notevole; infatti non riguardava unicamente il tema in
          discussione, ma in primo luogo il rapporto tra il ruolo del Concilio e quel-
          lo del pontefice, evidenziando un rilevante conflitto di autorità: «Forse
          mai come in questa occasione il pontefice sembrava essere ostaggio di
          una delle diverse correnti che si confrontavano in concilio»16. Diversi
          tentativi di mediazione facevano sì che lo stesso pontefice intervenisse di
          nuovo, tramite il Segretario di Stato Cicognani, per precisare che i suoi
          emendamenti non dovevano essere considerati vincolanti. Il testo finale
          manteneva così l’impostazione iniziale voluta dalla maggioranza, ricono-
          scendo che il giudizio sulla «fecondità» doveva essere formulato «davan-
          ti a Dio dagli sposi stessi» (cap. 50), ma anche che questi ultimi avrebbero
          dovuto seguire le indicazioni del magistero (cap. 51), con una nota che
          richiamava tutte le posizioni magisteriali e anche un discorso di Paolo VI
          del 23 giugno 1964, nel quale si ammetteva la possibilità della revisione. Su
          questo tema, come su altri testi conciliari, la mediazione finale teneva
          conto dei diversi orientamenti, cercando di comprenderli tutti, ma anche
          sollecitando un complesso lavoro interpretativo che spesso avrebbe dato
          esiti contraddittori. Sul tema della regolazione delle nascite il problema
          veniva rimandato alla commissione pontificia17.

                15.@J. Grootaers, J. Jans, La régulation des naissances à Vatican II: une semaine de crise.
          Un dossier en 40 documents, Peeters, Leuven 2002, pp. 15-9 (cap. Deux protagonistes: les
          Pères Lio et Ford); Storia del concilio Vaticano II, cit., vol. V, cap. V, di P. Hünermann, pp.
          409-27. Ringrazio Giovanni Turbanti per la segnalazione del volume di Grootaers.
                16.@Turbanti, Un Concilio per il mondo moderno, cit., p. 751.
                17.@Sui lavori della commissione pontificia cfr. i documenti pubblicati in Controllo
          delle nascite e teologia. Il dossier di Roma, presentato e commentato da J. M. Paupert, ed.
          it. a cura di L. Rossi, Queriniana, Brescia 1967; cfr. anche R. Blair Kaiser, Il controllo di
          Roma sul controllo delle nascite. Retroscena della commissione pontificia e Paolo VI, in H.
          Küng, N. Greinacher (a cura di), Contro il tradimento del Concilio. Dove va la Chiesa

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               In realtà, questa commissione era stata nominata per uno studio su
          «la popolazione, la famiglia e la natalità»18, ma più volte Paolo VI era inter-
          venuto ampliandone il numero e allargandola con consulenti laici e con
          competenze diverse: sociologi, demografi, economisti, medici, psicologi,
          fino a raggiungere il numero di 75 membri19, dei quali una parte composta
          da teologi che avrebbero votato. Una commissione per la supervisione,
          composta da vescovi e cardinali, era nominata nel marzo 1966; allora ripre-
          sero i lavori, che andarono dall’aprile al giugno dello stesso anno, quando
          le conclusioni vennero consegnate al pontefice.
               Non sono noti i nomi dei membri della commissione, tranne alcuni, e
          non sono accessibili gli atti dei lavori; sono state pubblicate alcune testi-
          monianze, non del tutto concordi. Invece sono noti i testi delle relazioni
          finali che furono pubblicati nel 1967, creando un certo scandalo, sul
          “National Catholic Reporter” e su “The Tablet”, poi nello stesso anno editi
          in francese da Jean-Marie Paupert presso la casa editrice Seuil e in italiano
          dalla Queriniana. Si tratta di tre testi20, due della maggioranza e uno della
          minoranza, che avevano raccolto solo poche adesioni21. L’argomentazione,

          cattolica?, Claudiana, Torino 1987, pp. 255-77; R. McClory, Turning Point, Crossroad, New
          York 1995; B. Colombo, Discussioni sulla regolazione della fertilità: esperienze personali e
          riflessioni, in “Teologia”, 28, 2003, pp. 72-98. “L’Osservatore romano” del 7-8 marzo 1966
          informava di una ulteriore commissione, con sette cardinali e nove vescovi (con Ottaviani,
          Döpfner e Heenan, segretario il domenicano P. H. Riedmatten; inoltre tra gli altri l’ar-
          civescovo di Cracovia, Wojtyła) che avevano il compito di supervisione; cfr. anche F. V.
          Joannes, L’Humanae vitae. Inchiesta a cura di F. V. Joannes, Mondadori, Milano 1968, pp.
          35-40; B. Lecomte, Giovanni Paolo II, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004, p. 263. Cfr.
          anche R. B. Kaiser, The Politics of Sex and Religion, Leaven Press, Kansas City (MO) 1985.
                18.@M. Rouche, La préparation de l’encyclique “Humanae vitae”. La commission sur la
          population, la famille et la natalité, in Paul VI et la modernité dans l’Église, École française
          de Rome, Rome 1984, pp. 361-84.
                19.@Cfr. la presentazione di L. Rossi, in Controllo delle nascite e teologia, cit., p. 9.
          Secondo Blair Kaiser (Il controllo di Roma, cit., p. 267) la pubblicazione di questi docu-
          menti fu «fatta filtrare» alla stampa dal «direttore del Centro di documentazione olande-
          se a Roma Leo Alting von Gesau».
                20.@I tre documenti, identificati con A, B, C, sono pubblicati in Controllo delle nasci-
          te e teologia, cit.; A e C raccolgono il pensiero della maggioranza: il primo, A, Documento
          sintetico sulla moralità della regolazione delle nascite, alle pp. 53-72; il terzo, C, Schema di
          documento sulla paternità responsabile, alle pp. 129-52; il secondo, B, espressione della
          minoranza, Stato della questione: dottrina della Chiesa e sua autorità, alle pp. 73-128. In
          appendice l’originale latino dei tre testi alle pp. 153-86.
                21.@Cfr. M. Rouche, La préparation de l’encyclique “Humanae vitae”, cit., pp. 366-7;
          Lecomte, Giovanni Paolo II, cit., p. 263; Franz Böckle, membro della commissione ponti-

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                               8.   FAMIGLIA E SESSUALITÀ NEL MAGISTERO

          ampia, è rivolta sostanzialmente a quei nodi che erano già stati evidenziati
          nel dibattito conciliare: il concetto di natura e di legge naturale; la possibi-
          le evoluzione della dottrina in relazione alla riaffermazione dell’autorità del
          magistero. I teologi “personalisti”, come venivano chiamati i teologi che
          aderivano alle tesi della maggioranza, insistevano sul fatto che il magistero
          della Chiesa, così come si era espresso, non era «vincolante»22; l’enciclica
          Casti connubii, infatti, non rappresentava un atto di magistero infallibile e
          quindi anche l’affermazione della stessa enciclica sull’«esistenza di tale
          tradizione non è infallibile»23. In realtà il magistero su questo tema era rite-
          nuto in evoluzione, evidente nell’interpretazione di Pio XII, che aveva inno-
          vato, accettando l’idea di un controllo della fertilità, anche se solamente
          naturale, e ancora più chiaramente nella discussione conciliare. Si contra-
          stava allora una certa «tendenza, secondo la quale si vorrebbe che il magi-
          stero autentico, non infallibile sia considerato praticamente infallibile»24.
          Un capoverso era dedicato all’«Esposizione sistematica degli argomenti
          dedotti dalla legge naturale», con l’affermazione: «Il rispetto incondizio-
          nato della natura così come è in sé stessa, quasi che la natura, nella sua
          esistenza fisica, sia espressione della volontà di Dio, fa parte di una conce-
          zione dell’uomo che vede qualcosa di misterioso, di sacrale, nella natura e
          perciò teme che qualsiasi intervento umano sia destinato a distruggere e
          non a perfezionare questa natura»25.
               Si richiamavano a questo proposito le proibizioni nei secoli passati
          degli interventi chirurgici, per evidenziarne il condizionamento storico.
          Ma in primo luogo i due testi della maggioranza tendevano a ribadire che
          la moralità in questi ambiti doveva essere affermata sulla base della valo-
          rizzazione dell’amore coniugale26, nel quale «la sessualità non è soltanto
          ordinata direttamente alla procreazione» e la fecondità è da intendere
          all’interno di «tutta la vita coniugale»27. Nel secondo documento della

          ficia, Osservazioni teologiche sull’enciclica Humanae vitae, in D. Mongillo, E. Chiavacci,
          T. Goffi, F. Böckle (a cura di), Humanae vitae. Testo e note teologiche pastorali, Queri-
          niana, Brescia 19694, p. 121; Blair Kaiser, Il controllo di Roma, cit., pp. 265-6. Di parere
          parzialmente diverso Colombo, Discussioni sulla regolazione della fertilità, cit.
                22.@Documento sintetico sulla moralità della regolazione delle nascite, in Controllo
          delle nascite e teologia, cit., p. 53.
                23.@Ivi, p. 54.
                24.@Ivi, p. 59.
                25.@Ivi, p. 60.
                26.@Schema di documento sulla paternità responsabile, ivi, pp. 132-4.
                27.@Documento sintetico sulla moralità della regolazione delle nascite, ivi, p. 69.

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          maggioranza si insisteva in particolare sull’idea che «gli obblighi morali
          non possono essere precisati in ogni particolare circostanza della vita», per
          cui era più importante richiamarsi «alla responsabilità morale di ciascu-
          no»28. Tra i motivi che venivano richiamati figuravano la «dottrina che si
          sta evolvendo», le mutate condizioni storiche, sociologiche, ma anche il
          «sensus fidelium», secondo il quale l’imposizione dell’astinenza come
          mezzo di regolazione delle nascite «non può fondarsi sulla verità»29. Alla
          base di questa valorizzazione del sensus fidelium, in relazione alla defini-
          zione della verità, c’era il rifiuto di quella tradizione ecclesiologica che
          aveva descritto il rapporto ecclesiale unicamente in chiave di autorità e
          obbedienza e che, secondo la ben nota definizione di Congar, aveva spes-
          so ridotto l’immagine di Chiesa a «gerarcologia»30, e la suggestione prove-
          niente dalla teologia dell’Ortodossia orientale, secondo la quale le deci-
          sioni conciliari dovevano essere confermate dalla loro accettazione da
          parte della comunità ecclesiale.
              L’argomento più rilevante della relazione della minoranza era dato dal
          richiamo all’insegnamento tradizionale: venivano riportati i testi dei
          pontefici più recenti e molti altri documenti del magistero, e si sottolinea-
          va la continuità della tradizione dimostrata dal lavoro dello storico del
          diritto canonico Noonan31 per sostenere che «la Chiesa non può aver
          sbagliato sostanzialmente per tanti secoli, o anche nel corso di uno solo
          […], sarebbe in gioco l’autorità del magistero ordinario in fatto di mora-

                28.@Schema di documento sulla paternità responsabile, ivi, p. 131.
                29.@Ivi, p. 140.
                30.@Y. M. Congar, L’Église de saint Augustin à l’époque modern, Éditions du Cerf,
          Paris 1970, p. 464. Per il richiamo alla tradizione ortodossa in relazione all’importanza della
          ricezione ecclesiale delle decisioni conciliari cfr. la Conclusion di Y. M. Congar in Le Conci-
          le et les Conciles, Éditions du Cerf, Chevetogne 1960, pp. 285-334, in particolare pp. 287-8;
          cfr. anche B. Sesboüé, Autorité du magistère et vie de foi ecclésiale, in “Nouvelle Revue
          Theologique”, 4, 1971, pp. 337-62, che sottolinea come «Le peuple de Dieu […] est donc le
          lieu théologal de ce cheminement dans la foie et c’est lui qui est infaillible et indéfectible
          dans sa foi» (p. 357); in questa prospettiva la sua valutazione nell’Appendice, Á propos de la
          “réception” de “Humanae vitae”, pp. 360-2. Sul tema della ricezione cfr. anche G. Alberigo
          (a cura di), Elezioni, consenso, recezione, in “Concilium”, 7, 1972.
                31.@Il riferimento è al lavoro di John T. Noonan, Contraception, Harvard University
          Press, Cambridge (MA) 1965. La citazione in Stato della questione: dottrina della Chiesa e
          sua autorità, cit., p. 79. Sull’importanza del volume di Noonan nel dibattito del concilio
          e postconcilio cfr. C. Langlois, Le crime d’Onan. Le discours catholique sur la limitation
          des naissances (1816-1930), Les Belles Lettres, Paris 2005, in particolare la Introduction alle
          pp. 9-27.

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          le»32. Il problema centrale era «se la Chiesa può con autorità vincolante
          insegnare i principi della legge naturale infallibilmente o no»33. Il rischio
          che si voleva allontanare era così espresso: «L’autenticità del magistero
          sembra essere sostanzialmente intaccata: restringendo la sua missione e il
          suo potere […], riducendo la sua competenza […], sottraendo al magiste-
          ro l’autorità per distinguere fra le varie esigenze del diritto naturale e per
          definire la dottrina»34. In particolare poi la decisione favorevole alla
          contraccezione presa dalle Chiese protestanti diveniva un ulteriore argo-
          mento per non accettare quella ipotesi: «Si dovrebbe ammettere con tutta
          franchezza che lo Spirito Santo, nel 1930, nel 1951 e nel 1958 avrebbe assi-
          stito le Chiese protestanti; per di più non avrebbe difeso Pio XI e Pio XII».
          Ciò avrebbe comportato come conseguenza «il deprezzamento definitivo
          della direzione dottrinale e morale della Chiesa gerarchica», aprendo «la
          via a maggiori dubbi e più gravi sulla storia della cristianità»35. Sul tema del
          concetto di natura si riaffermava: «La vita umana come è inviolabile quan-
          do già esiste (in facto esse) così è in certo modo inviolabile anche nelle sue
          cause prossime (vita in fieri)»36. La negazione della storicità della legge
          naturale era così inscindibilmente connessa con la riaffermazione assolu-
          ta del magistero della gerarchia e del pontefice su questo tema: un magi-
          stero infallibile, anche se non definito in quanto tale, ma per la forza della
          sua stessa tradizione. Questi temi sarebbero poi stati ampiamente valoriz-
          zati da Giovanni Paolo II.

               32.@Stato della questione: dottrina della Chiesa e sua autorità, cit., pp. 91-2.
               33.@Ivi, p. 93.
               34.@Ivi, pp. 111-3. Il teologo belga Pierre de Locht, che aveva fatto parte della commis-
          sione pontificia, ha pubblicato nel suo Les couples et l’Église, cronique d’un témoin,
          Editions du Centurion, Paris 1979, una cronaca dei dibattiti in seno alla commissione,
          sottolineando che questo aspetto della continuità del magistero era stato del tutto deter-
          minante; cfr. anche J. Hug, Les couplet et l’Église. Vraie et fausse autorité dans l’Église, in
          “Choisir”, 250, 1980, pp. 22-3.
               35.@Stato della questione: dottrina della Chiesa e sua autorità, cit., pp. 114-5. Lo stesso
          argomento viene ripreso più avanti: «Questo mutamento darebbe un grave colpo al
          dogma dell’assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa […]. Infatti la dottrina della Casti
          connubii in realtà fu solennemente promulgata contro la dottrina della conferenza di
          Lambeth […]. E tuttavia non si dovrebbe ammettere che la Chiesa nell’esercizio di questa
          sua funzione avrebbe sbagliato e che lo Spirito Santo avrebbe assistito maggiormente la
          Chiesa anglicana […]. Per questo altri ritengono che la Chiesa farebbe meglio ad ammet-
          tere il suo errore come ha fatto recentemente in altre circostanze. Qui, tuttavia, non si
          tratta di questioni marginali (come ad esempio nel caso di Galileo)» [sic] (ivi, pp. 127-8).
               36.@Ivi, p. 87.

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                                  L’Humanae vitae e la sua ricezione

          Come è noto, l’enciclica Humanae vitae, emanata il 25 luglio 1968 da Paolo
          VI, pur all’interno di un discorso più ampio e positivo sul matrimonio e
          sull’amore coniugale, che riprendeva anche brani della Gaudium et spes,
          faceva proprie le tesi della minoranza sulla regolazione delle nascite e acco-
          munava in un’unica condanna la contraccezione, l’aborto e la sterilizza-
          zione37, allontanandosi dalle distinzioni presenti nel testo conciliare. L’en-
          ciclica affermava di non poter deflettere da una tradizione e da un
          magistero così ampio su questo problema. Le relazioni della commissione
          erano state accantonate e la redazione era stata elaborata da altri gruppi di
          lavoro; un ruolo di grande rilievo l’avrebbero avuto il cardinal Colombo,
          padre Martelet e, in particolare nell’ultimo periodo, l’arcivescovo di Craco-
          via Wojtyła, che era stimato da Montini e che aveva collaborato stretta-
          mente con il pontefice su questo tema38. Una comparazione testuale tra
          l’enciclica e la Gaudium et spes ha permesso a Philippe Delhaye, che aveva
          fatto parte sia della commissione pontificia che della sottocommissione
          conciliare durante la crisi del novembre 1965, di verificare la dipendenza del
          testo pontificio da quegli emendamenti proposti dal pontefice in quella
          occasione e accettati solo in parte dal testo conciliare39.
              Come è noto, l’enciclica incontrò opposizioni di «risonanza mondia-

               37.@“Humanae vitae”. La retta regolazione della natalità, in E. Lora, R. Simionati (a
          cura di), Enchiridion delle encicliche, 7, Giovanni XXIII, Paolo VI (1958-1978), EDB, Bologna
          1994, par. 14, pp. 821-3. Nella Gaudium et spes il discorso sulla contraccezione era distinto
          dalla condanna dell’aborto.
               38.@J. Grootaers, Quelques données concernant la rédaction de l’encyclique “Humanae
          vitae”, in Paul VI et la modernité dans l’Église, cit., pp. 385-98. Cfr. anche di C. Wojtyła,
          Amore e responsabilità. Studio di morale sessuale, prefazione all’edizione italiana del cardi-
          nale G. Colombo, Marietti, Torino 1969. L’edizione francese del 1965 è recensita su “La
          Civiltà cattolica” (1° ottobre 1966, q. 2791, pp. 61-2) da G. Mellinato con qualche lieve
          riserva. Lecomte, Giovanni Paolo II, cit., ritiene determinante l’influenza del vescovo di
          Cracovia e dei documenti redatti da una commissione che egli aveva formato su questo
          tema per contrastare le tesi della relazione della maggioranza e che sarebbero stati valo-
          rizzati nell’enciclica; questi elementi favoriscono un motivo di forte avvicinamento al
          pontefice (ivi, pp. 263-5).
               39.@Ph. Delhaye, L’encyclique “Humanae vitae” et l’enseignement de Vatican II sur le
          mariage et la famille (“Gaudium et spes”), in “Bijdragen, Tijdschrift voor filosofie en
          theologie”, 29, 1968, pp. 351-58; Grootaers, Jans, La régulation des naissances à Vatican II:
          une semaine de crise. Un dossier en 40 documents, cit., pp. 36-41.

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          le»40 nell’opinione pubblica, negli ambienti teologici41, e posizioni artico-
          late e non unanimi nell’episcopato. Le obiezioni riguardavano problema-
          tiche diverse: un primo ambito era quello della teologia morale, dell’im-
          magine dell’amore di coppia e dell’autonomia della coscienza individuale,
          ma molto ampia era anche la discussione ecclesiologica. Il pontefice, infat-
          ti, aveva prima sottratto la discussione all’assemblea conciliare, dove la
          maggioranza era favorevole a una riforma; poi aveva preso decisioni in
          contrasto con l’opinione espressa dalla maggioranza della commissione
          che pure egli stesso aveva nominato. Questi fatti ponevano non pochi
          problemi in relazione alla collegialità nel governo della Chiesa, che pure
          era stata affermata nella costituzione Lumen gentium42. Questa decisione
          si collocava in un momento caratterizzato da un atteggiamento dottrinale
          più severo, assunto dal Vaticano come risposta alle difficoltà postconci-
          liari. Il 30 giugno dello stesso anno Paolo VI aveva emanato il suo Credo,
          che sembrava una indiretta risposta al Catechismo olandese43, mettendo un
          freno a molti dibattiti teologici. La decisione dell’enciclica, per le moda-
          lità con le quali era stata assunta, veniva interpretata come una svolta
          rispetto al Concilio e una rivincita della curia e della teologia romana44.
          La forte preoccupazione ecclesiale, non solo relativa all’enciclica, per la
          «libertà» del lavoro teologico era testimoniata da una lettera aperta, firma-
          ta dai più importanti teologi, esegeti, storici cattolici, come Aubert,
          Chenu, Congar, Murphy, Rahner, resa nota alla fine del 196845.
               Uno degli aspetti più rilevanti della ricezione di questo testo pontificio
          è proprio l’ampiezza del dibattito e della discussione, impensabile ai tempi
          di Pio XI e Pio XII. La pluralità di posizioni da un lato riflette i diversi orien-

               40.@K. Rahner, Riflessioni sull’enciclica “Humanae vitae”, Edizioni Paoline, Roma
          1968, p. 7.
               41.@Joannes, L’Humanae vitae. Inchiesta a cura di F. V. Joannes, cit.
               42.@J. Grootaers, De Vatican II à Jean-Paul II. Le grand tournant de l’Église catholique,
          Le Centurion, Paris 1981, in particolare “Humanae vitae” ou l’exercice non collegial du
          magistére, pp. 14-22 ss. (trad. it., Dal concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II, Marietti,
          Casale Monferrato 1982).
               43.@Cfr. per i riferimenti al dibattito e alle censure romane, Il dossier del Catechismo
          olandese, testi raccolti da A. Chiaruttini, introduzione, note storiche e teologiche di L.
          Alting von Gesau e di V. Joannes, Mondadori, Milano 1968.
               44.@Küng, Greinacher (a cura di), Contro il tradimento del Concilio, cit.
               45.@Dichiarazione sulla libertà e la funzione della teologia nella Chiesa, in “Conci-
          lium”, 1, 1969 (testo allegato al fascicolo), tra i firmatari figurava anche Joseph Ratzinger.
          Cfr. l’ampio quadro delineato da G. Miccoli, In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni
          Paolo II e Benedetto XVI, Rizzoli, Milano 2007, pp. 136 ss.

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          tamenti già emersi nel dibattito conciliare, dall’altro evidenzia il fatto che, su
          questo tema, come ha scritto Rahner, i laici cattolici «si erano già fatta una
          ben delineata opinione – poco importa quale essa fosse – applicandola già
          alla prassi della loro vita»46. Delhaye ha parlato a questo proposito di una
          «colère thèologique» da parte di numerosi professori ecclesiastici che si
          erano incontrati e che avevano sottomesso «le document pontifical à une
          critique sévère», prima che si ponessero in atto «les contropoids que les
          théologiens utilisent a propos de l’argument d’autorité: valeur diverse des
          textes, droits de la conscience»47. Lo stesso Delhaye, inoltre, ha definito l’at-
          teggiamento di moltissimi laici come una «révolution tranquille», costituita
          da un modo nuovo di porsi di fronte alla legge richiamandosi alla propria
          coscienza48, allontanandosi da quella morale, prevalente fino a pochi decen-
          ni prima, «exclusivement extrinsèque, […] hétéronome», ricevuta dai geni-
          tori, educatori e preti, basata sul principio di autorità «dans l’optique d’une
          philosophie chrétienne baptisée (c’est le cas de le dire) droit naturel».
               Può essere di un certo interesse allora tenere presenti le dichiarazioni
          dell’episcopato, frutto di riunioni e spesso votazioni delle conferenze
          episcopali, che sono quindi più complesse di quelle dei singoli teologi, o
          intellettuali cattolici, per cogliere le diverse interpretazioni e proposte.
          «Non ci si può nascondere che nessuna enciclica degli ultimi decenni ha
          mai incontrato una tenace opposizione quanto la presente»49, scrivevano
          nel loro documento comune i vescovi tedeschi. Questo era un dato ricor-
          dato da tutti, talora con qualche disappunto; complessivamente si richia-
          mava la Gaudium et spes, con la sottolineatura positiva dell’amore coniu-
          gale e della «paternità responsabile», con la scelta autonoma nella

                46.@Rahner, Riflessioni sull’enciclica “Humanae vitae”, cit. p. 8.
                47.@Ph. Delhaye, Pour relire Humanae vitae, in Pour relire Humanae vitae. Declara-
          tions épiscoplaes du monde entier. Commentaires théologiques par Philippe Delhaye, Jan
          Grootaers, et Gustave Thils, Duculot, Gembloux 1970, p. 9.
                48.@Id., La conscience devant la loi, ivi, p. 35. La sottolineatura dell’autonomia dei creden-
          ti rispetto alle indicazioni della gerarchia su questi temi viene fatta anche da Blair Kaiser, Il
          controllo di Roma sul controllo delle nascite, cit., in Küng, Greinacher (a cura di), Contro il
          tradimento del Concilio, cit. pp. 255-77, cfr. anche H. Küng, La situazione nella Chiesa cattoli-
          ca, ivi, pp. 7-18, e D. Mieth, Dottrina morale a spese della morale?, ivi, pp. 137-53.
                49.@Precisazione dei vescovi tedeschi sulla situazione pastorale venutasi a creare dopo
          l’apparizione dell’enciclica “Humanae vitae”, in Rahner, Riflessioni sull’enciclica “Huma-
          nae vitae”, cit., dove in appendice sono riportati i testi dei vescovi della conferenza episco-
          pale italiana, belga, canadese e tedesca (cit. a p. 110). I testi degli episcopati nazionali, e di
          molti vescovi, sono pubblicati in D. Tettamanzi, La risposta dei vescovi all’Humanae vitae,
          Àncora, Milano 1969, in questo volume il testo dei vescovi tedeschi alle pp. 75-91.

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          programmazione delle nascite, ma anche il decreto sulla libertà religiosa.
          Tutti ricordavano anche l’obbligo di un’attenzione rigorosa, un «leale
          ossequio, interno ed esterno al magistero della Chiesa»50, come aveva
          scritto il pontefice. Le accentuazioni e i toni diversi si trovavano nel riferi-
          mento alla regolazione delle nascite e al paragrafo 14 dell’enciclica, dove
          si negava come «intrinsecamente immorale» ogni «atto coniugale, reso
          volutamente infecondo»51. Le diversità si evidenziavano nelle accentua-
          zioni di alcuni temi, come il riferimento normativo alla coscienza indivi-
          duale oppure il semplice richiamo all’obbedienza (non solo «ossequio»)
          e alla «misericordia» nel ministero della penitenza.
               I vescovi avevano la consapevolezza di una grande distanza tra la norma
          e le scelte, la vita quotidiana dei fedeli. La linea seguita sembrava ricordare la
          distinzione classica tra la “tesi” e l’“ipotesi”, ma con accentuazioni che riflet-
          tevano i diversi contesti ecclesiali e di società civile ai quali si rivolgevano. Nei
          paesi di tradizione anglosassone del Nord Europa, dove era più presente il
          confronto con le Chiese protestanti che avevano assunto un diverso atteg-
          giamento, più evidenti erano le riserve, pur con la riaffermazione della
          fedeltà alla Chiesa. L’episcopato tedesco, ad esempio, si richiamava fin dall’i-
          nizio, per spiegare che l’enciclica era una dichiarazione magisteriale rifor-
          mabile, alla propria pastorale dell’anno precedente (22 settembre 1967) sul
          tema dei possibili errori del magistero ordinario e dell’evoluzione nella
          «comprensione» dei dogmi. È importante sottolineare come questo tema,
          che ben raramente veniva affrontato dalla gerarchia in un testo di larga diffu-
          sione, venisse esposto in una lettera collettiva. Scrivevano i vescovi:

          Intendiamo riferirci all’eventualità che l’autorità magisteriale della Chiesa, nell’e-
          sercizio delle sue funzioni ufficiali, possa incorrere e sia di fatto incorsa in erro-
          ri. […] Questa possibilità di errore non sussiste di fronte ai punti dottrinali
          sanzionati da una solenne definizione del papa o d’un concilio ecumenico […].
          Con ciò però ovviamente non si contesta affatto che, anche nel caso d’un dogma,
          pur mantenendo sempre intatto il suo significato originario, risulti pur sempre
          possibile e anche necessario un incremento nella sua comprensione52.

               50.@“Humanae vitae”. La retta regolazione della natalità, in Lora, Simionati (a cura di),
          Enchiridion delle encicliche, 7, cit., par. 28, p. 841, dove si richiede ai sacerdoti e ai teologi
          anche di «esporre senza ambiguità l’insegnamento della Chiesa» e che «tutti si attengano
          al magistero della Chiesa e parlino uno stesso linguaggio».
               51.@Ivi, p. 823.
               52.@Il testo è riprodotto in Rahner, Riflessioni sull’enciclica “Humanae vitae”, cit.,
          pp. 17-21, cit. alle pp. 18-9.

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               Richiamando quella lettera pastorale si ricordava il necessario «sfor-
          zo di valutare positivamente e assimilare anche una dichiarazione magi-
          steriale non infallibile», ma si riconosceva che la «forte opposizione»53 non
          si fondava su un rifiuto dell’autorità pontificia. Molti chiedevano «di non
          minimizzare le difficoltà intrinseche e di non cercare la soluzione in inter-
          pretazioni inattendibili», chiedendo piuttosto una «ulteriore discussio-
          ne»54. Non si trovava in questo testo il richiamo, frequente in altri testi, alla
          «misericordia» e alla confessione, ma si ricordava, richiamando il capito-
          lo 51 della Gaudium et spes, che la scelta doveva essere cercata dai coniugi
          «dopo un coscienzioso esame, che tenga conto delle norme e dei criteri
          oggettivi»55. Si affermava anche che non dovevano essere danneggiate la
          «corresponsabilità ecclesiale» e «la formazione di una coscienza autono-
          ma» e si dava assicurazione che i pastori «nel loro ministero e specialmen-
          te nell’amministrazione dei s. sacramenti, sapranno rispettare la decisio-
          ne di coscienza consapevole e responsabile dei fedeli»56. Stringato il testo
          olandese e sobrio nelle argomentazioni: «Noi ci rendiamo conto che molti
          cattolici sono inquieti. Molti sono delusi […] . La loro fede è messa alla
          prova». In una dichiarazione il cardinal Alfrink sosteneva che sarebbe
          stato «difficile per il clero far comprendere questa enciclica»57. Simili i toni
          e nette le argomentazioni dei vescovi scandinavi, che definivano l’auto-
          rità della Chiesa magisteriale verso i fedeli con termini che sottolineavano
          la corresponsabilità ecclesiale: «Lontano dal privarli del diritto di pensa-
          re e dal trattarli da bambini, essa li assiste nella loro riflessione»58. In
          questa prospettiva, il richiamo al fatto che non fosse un documento infal-
          libile doveva giustificare un meditato dissenso: «Che nessuno dunque sia
          trattato da cattivo cattolico per la sola ragione di tale dissenso […]. Resta
          inteso che l’uomo, in qualsiasi circostanza, non deve mai agire contro la
          sua coscienza»59. Inoltre, una presa di distanza era evidente anche nella
          parte finale del testo, quando definivano di grande importanza «il fatto di

                53.@Precisazione dei vescovi tedeschi sulla situazione pastorale venuta a crearsi dopo
          l’apparizione dell’enciclica “Humanae vitae”, pubblicata in appendice a Rahner, Riflessio-
          ni sull’enciclica “Humanae vitae”, cit., p. 109.
                54.@Ivi, p. 112.
                55.@Ivi, p. 116.
                56.@Ivi, p. 118.
                57.@Il testo, del 31 luglio 1968, in Tettamanzi, La risposta dei vescovi all’Humanae vitae,
          cit. pp. 59-60.
                58.@L’episcopato scandinavo, ivi, pp. 159-69, cit. a p. 164.
                59.@Ivi, p. 166.

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          non perdere il senso delle proporzioni. Ci sono nel mondo d’oggi dei
          problemi più importanti che la minuziosa regolazione degli atti della vita
          intima degli sposi», mentre la divergenza di opinioni veniva ritenuta
          «necessaria e utile», mantenendo l’unità e la fedeltà al papa60.
               Non è possibile in questa sede analizzare tutto il ventaglio ampio e
          variegato delle posizioni episcopali, i contesti e i dibattiti ecclesiali e socia-
          li nei quali si collocavano. È a ogni modo importante notare che il riferi-
          mento alla coscienza come normativa e al rispetto delle scelte autonome
          dei coniugi indica la differenza più significativa tra queste posizioni e altre,
          come quella ad esempio dell’episcopato italiano, ma non solo questo, che
          faceva riferimento, secondo un’antica prassi pastorale, alla misericordia,
          alla confessione e al fatto che la trasgressione potesse essere considerata
          una colpa lieve. Era questo, infatti, uno degli aspetti più rilevanti del
          problema. L’episcopato belga richiamava il dovere per il fedele di valuta-
          re con molta serietà il testo pontificio, espressione di un magistero auten-
          tico, ma riaffermava anche, citando il decreto sulla libertà religiosa e san
          Tommaso, il diritto di seguire la propria coscienza61. Analoga l’argomen-
          tazione dei vescovi austriaci, svizzeri, inglesi e statunitensi62. Il testo dell’e-
          piscopato francese, all’interno del quale era ancora presente Lefebvre e
          che aveva richiesto nove stesure e ben otto votazioni, era pieno di sfuma-
          ture: si parlava di «conflitti di doveri», suggerendo l’ipotesi della scelta del
          minor male, di contraccezione come «disordine […] non sempre colpe-
          vole»63, si ampliava il discorso alla famiglia e all’educazione a una sessua-

               60.@Ivi, p. 168.
               61.@Dichiarazione dell’episcopato belga sull’enciclica “Humanae vitae”, pubblicata in
          appendice a Rahner, Riflessioni sull’enciclica “Humanae vitae”, cit., p. 72: «Tuttavia, se
          qualcuno, competente in materia e capace di formarsi un giudizio personale ben saldo –
          ciò che suppone una informazione sufficiente – dopo un serio esame dinanzi a Dio, giun-
          ge, su qualche punto, a conclusioni diverse, egli ha il diritto di seguire, in questo campo,
          le proprie convinzioni, purché rimanga nella disposizione di continuare lealmente le
          proprie ricerche». In nota si aggiungeva: «Tale dottrina, che si ritrova in s. Tommaso (1°
          e 2°, q. 19, art. 5) ha ispirato la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (Dignitatis
          humanae, nn. 2-3)».
               62.@Pubblicati in Tettamanzi, La risposta dei vescovi all’Humanae vitae, cit.
               63.@L’episcopato francese, ivi, cit. a p. 189 (il testo è del novembre, pp. 170-93): il cura-
          tore aggiunge anche altri due testi dell’episcopato francese, del 1967 e del febbraio del
          1968, mentre era in discussione un progetto di legge sull’uso dei preservativi. A p. 190 si
          richiama il tema dei diversi doveri in conflitto: quello della norma morale e quello dell’a-
          more coniugale, ricordando la norma di «ricercare davanti a Dio quale dovere sia nel caso
          maggiore. Gli sposi si determineranno in base a una riflessione comune». Un’analisi teolo-

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          lità attenta all’equilibrio complessivo della persona. Altre dichiarazioni, di
          paesi a prevalenza cattolica, come quelli spagnolo o messicano, argomen-
          tavano con più nettezza l’obbligo dell’obbedienza64.
               Nel testo della Conferenza episcopale italiana, pur ribadendo che
          una «opportuna libertà di ricerca» andasse « riconosciuta ai teologi», si
          chiedeva a questi di «offrire la loro leale adesione» per far comprendere
          l’importanza del documento ai fedeli; al clero si ricordava «di esporre e
          applicare senza ambiguità e discordanze» l’insegnamento pontificio.
          Contemporaneamente si richiamava l’enciclica in quei brani nei quali
          faceva riferimento alla comprensione verso i peccatori, ricordando la
          misericordia divina per la «difficoltà a volte molto seria in cui si trovano,
          di conciliare le esigenze della paternità responsabile con quelle del loro
          amore reciproco»; si riconosceva una minore «gravità», rispetto a scelte
          dettate «dall’egoismo e dall’edonismo»65, ma non si poneva nemmeno il
          problema di una decisione diversa e non figuravano riferimenti all’auto-
          nomia della coscienza da rispettare. Di fronte alla parola del magistero,
          infine, l’atteggiamento previsto era solo quello dell’obbedienza.
               Diverso e più complesso risultava il tipo di argomentazione dei vesco-
          vi latino-americani, riuniti a Medellín, e analogo a quello di alcuni vesco-
          vi africani. Il loro esame si rivolgeva in primo luogo alle difficoltà della
          famiglia, alla grande diffusione di unioni irregolari, ai bambini abbando-
          nati e solo in questo contesto si faceva un riferimento all’enciclica, per
          denunziare in primo luogo «una politica demografica antinatalista». La
          Humanae vitae veniva letta da gran parte dell’episcopato del Terzo mondo
          come una denuncia delle ambiguità delle politiche basate «sul controllo

          gica delle diverse accentuazioni, con particolare attenzione a quelle di area francofona, in
          Pour relire Humanae vitae. Declarations épiscopales du monde entier. Commentaires théo-
          logiques par Philippe Delhaye, Jan Grootaers, et Gustave Thils, cit. Su Lefebvre cfr. L.
          Perrin, Il caso Lefebvre, a cura di D. Menozzi, Marietti, Genova 1991.
                64.@ Tettamanzi, La risposta dei vescovi all’Humanae vitae, cit.: alle pp. 61-6 l’episco-
          pato messicano e alle pp. 212-22 quello spagnolo.
                65.@Ivi, p. 112: «Il loro comportamento, pur non essendo conforme alla norma cristia-
          na, non è certo valutabile nella sua gravità come quando provenisse unicamente da moti-
          vi viziati dall’egoismo e dall’edonismo». In una nota esplicativa, che accompagnava il
          testo, i vescovi italiani precisavano che il tono diverso, rispetto a quello di altri episcopa-
          ti, era dovuto al fatto che in altri paesi, «anche per la presenza di altre confessioni cristia-
          ne, il problema era stato dibattuto […] in maniera molto più estesa e vivace, e non erano
          mancate voci, pur qualificate, che proponevano soluzioni diverse da quella adottata»,
          mentre in Italia «si era maggiormente osservata l’indicazione precisa del papa di attener-
          si» alla dottrina tradizionale (ivi, p. 104).

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