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Definizioni di città: concetti e teorie
nella geografia urbana
di Raffaele Cattedra e Francesca Governa

                         Ne pas essayer trop vite de trouver une définition de la ville; c’est
                         beaucoup trop gros, on a toutes les chances de se tromper.
                                        Georges Perec, Espèces d’espaces, Galilée, Paris 2000

1. Che cos’è la città?

1.1. Per una definizione di partenza Chiedersi che cos’è la città può essere                      È utile definire
un buon punto di partenza per capire qual è l’oggetto di attenzione della                        la città?
geografia urbana in generale e di questo libro in particolare, oppure può ri-
velarsi una domanda talmente banale da non meritare una risposta, dal
momento che tutti sanno cos’è una città, tutti sanno riconoscerla quando
ne vedono una, quando camminano, vivono o lavorano al suo interno? In
altri termini, è una domanda pertinente o una domanda mal posta e irrile-
vante sia dal punto di vista conoscitivo e teorico, sia da quello pratico?
Normalmente, quando parliamo o immaginiamo una città pensiamo a
luoghi e momenti specifici sia nella storia (Londra e la Rivoluzione indu-
striale; New York e l’11 settembre; Torino e la marcia dei 40.000 e adesso,
magari, le Olimpiadi), sia nella nostra specifica esperienza individuale
(Roma e la gita scolastica del liceo; la città in cui siamo nati o in cui vivia-
mo ecc.). Eppure, altrettanto intuitivamente, possiamo convenire sul fatto
che le città sono (e sono pensate come) dei luoghi peculiari. Vivere in città
non è la stessa cosa del vivere “fuori” dalla città, qualsiasi cosa ciò signifi-
chi. In tempi passati, la distinzione era più semplice: le città erano circon-
date da mura che mettevano chiaramente in evidenza il dentro e il fuori, la
città e la non città. Ora non è più così: le città, da tempo, si sono diffuse,
hanno superato i limiti imposti dalle mura e anche quelli indicati dalla
chiara separazione fra città e campagna (cfr. cap. 3). La città è ovunque, e il
riferimento all’urbano è parte integrante per molte delle nostre attività
quotidiane.
La città, però, non è solo una categoria fondamentale per l’esperienza per-
sonale, ma lo è anche per quella “pubblica”, sociale e politica. Del resto, la
necessità di definire cosa sia la città pervade, da sempre, la riflessione di
quanti (filosofi, geografi, sociologi, urbanisti) si sono occupati, nel corso
del tempo, del fenomeno urbano. Le prime risposte a questa domanda si

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Geografie dell’urbano

                      devono ad Aristotele e Platone, poi agli Utopisti, a Tommaso Moro, a Ro-
                      bert Owen. È quindi una domanda che non può essere liquidata come irri-
                      levante neanche dal punto di vista teorico.
È possibile definire   Il problema, dunque, è se sia possibile definire la città come categoria gene-
la città?             rale e astratta, ovvero se possiamo pensare ad essa unicamente con riferi-
                      mento a ciò che conosciamo e di cui abbiamo esperienza più o meno diret-
                      ta. Questa alternativa non è semplice, poiché se consideriamo la moltepli-
                      cità del fenomeno urbano nel mondo non riusciamo a trovare una risposta
                      plausibile al nostro quesito. Sono città, ad esempio, Il Cairo, Parigi, Vare-
                      se, Tokyo, Las Vegas, Samarcanda..., entità così diverse da apparire incom-
                      mensurabili. Eppure partire dall’osservazione di città esistenti permette di
                      cogliere un dato che, benché apparentemente banale, costituisce un buon
                      inizio: la città, cioè, è prima di tutto un insediamento, relativamente circo-
                      scritto, in cui sono localizzati edifici e abitanti. Nelle prime pagine di Die
                      Stadt (1921), Max Weber (1864-1920), uno dei massimi studiosi della città
                      moderna, scrive

Definizione di Weber   si può tentare di definire una “città” in modi molto diversi. È comune a tutte le
                      definizioni soltanto il fatto che essa in ogni caso (almeno relativamente) sia un in-
                      sediamento circoscritto, un “centro abitato”, e non una o più abitazioni isolate.
                      [...] Essa è un grande centro abitato (trad. it. 2003, p. 3).

                      Lo studio della città di Max Weber si concentra, come quello di molti suoi
                      contemporanei (da Hugo Preuss a Werner Sombart), sulla città medievale
                      e i suoi principi costitutivi, per poi delineare modelli più generali e con-
                      fronti con l’attualità politica.
Significato            Per definire la città, Weber parte dall’evidenza topografica, dalla concen-
immediato             trazione e circoscrizione dell’insediamento, pur riconoscendo, come vedre-
                      mo, i limiti del guardare esclusivamente questi aspetti. Essi tuttavia costi-
                      tuiscono un utile fondamento per capire che cosa sia la città, poiché per-
                      mettono di individuarne le caratteristiche fisiche: possiamo così definire la
                      città in relazione alla pluralità e molteplicità delle cose (edifici, strade...)
                      che sono localizzate al suo interno. Questa definizione si basa sul significa-
                      to immediato, rappresentabile nello spazio fisico. È questo un terreno tradi-
                      zionale di indagine della città: come scriveva negli anni trenta l’urbanista e
                      sociologo Lewis Mumford (1895-1990), sono numerosi gli studi che si sono
                      concentrati su questi aspetti. Ma, come ci ricorda lo stesso autore, questi
                      studi non permettono di cogliere le caratteristiche e le dinamiche sociali,
                      economiche, politiche e culturali senza le quali le città non esisterebbero.
                      Mumford (1937) definisce questa seconda dimensione il vero significato
                      dell’urbano che risiede nel suo essere un intreccio geografico (a geographi-
                      cal plexus), un’organizzazione economica, un processo istituzionale, il tea-
                      tro dell’azione sociale e il simbolo estetico dell’unità collettiva. L’organiz-

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2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

zazione fisica della città sarebbe quindi, per Mumford, il quadro in cui si
dispiegano le relazioni sociali, favorendo o frustrando la loro ricchezza e la
loro significatività collettiva.
Benché la relazione fra dimensione fisica e dimensione sociale non sia una                 Significato mediato
relazione così lineare come nell’interpretazione di Mumford, se proviamo
a capire cosa ci sia dietro la realtà fisica non possiamo fermarci a guardare
unicamente le strade o gli edifici. Dobbiamo considerare anche altri aspetti
(sociali, economici, culturali e politici, appunto) che caratterizzano la città
in quanto forma specifica di organizzazione socio-spaziale. È questo il si-
gnificato mediato, cioè quanto di non spaziale si può evocare descrivendo
quel tipo di organizzazione e di relazioni spaziali che connota la città come
entità fisica (Dematteis, 1985).
Per cogliere questo secondo significato, Max Weber concentra la sua atten-                 Città ed economia
zione sul rapporto tra città ed economia. L’attenzione di Weber verso tale                in Sombart
rapporto deriva dal suo intenso dialogo con Werner Sombart (1863-1941),
sociologo ed economista tedesco, secondo il quale non è possibile perveni-
re ad una concettualizzazione generale sulla città. È piuttosto necessario ri-
conoscere la pluralità delle possibili definizioni e valutarne la pertinenza
con riferimento al punto di vista adottato e all’obiettivo che si pone la defi-
nizione stessa. Per Sombart, in sostanza, avremo diverse definizioni di città
a seconda che ci si concentri sulla dimensione storica, piuttosto che su
quella economica, statistica o giuridica, o anche, più semplicemente, se si
voglia definire la città per finalità pratiche (Petrillo, 2001). In questa pro-
spettiva, e ponendosi dal punto di vista dell’economia e con l’obiettivo di
individuare le dinamiche dello sviluppo urbano, nel 1916 Sombart defini-
sce la città come «un più grande insediamento umano che per il suo sosten-
tamento non ha altre risorse che i prodotti di un lavoro agricolo esterno»
(cit. in Petrillo, 2001, p. 88). Sombart, come anche Weber, considera la ca-
tegoria storico-economica di mercato come essenziale per la definizione e la
comprensione della vita economica urbana, che si fonda su uno scambio
continuo fra i prodotti artigianali della città e i prodotti agricoli della cam-
pagna circostante. La città di Weber, a differenza di quella di Sombart,
non è però solo luogo di scambio e consumo di beni prodotti altrove (nella
campagna), ma anche luogo in cui sono prodotti una parte dei beni stessi.
Quindi per Weber, la città «si differenzia dai sistemi economici tradiziona-
listi, chiusi [...], proprio perché sviluppa una determinata dinamica di rela-
zioni di produzione e scambio con l’esterno, e la mantiene stabilmente» (Pe-
trillo, 2009, p. 26).
Le concezioni di città di Sombart e di Weber, pur con delle differenze, sot-              Rapporto fra città
tolineano un aspetto importante, che segnerà fortemente l’evoluzione suc-                 e territorio
cessiva degli studi urbani. Questo aspetto è rappresentato dalla relazione
fra la città e il territorio circostante, relazione che, come segnala Weber, è

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                       al contempo economica e politica. Per Weber, quindi, «non si può parlare
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                       cittadina, di una Herrschaft [regola] esercitata in virtù di una forza non
                       solo economica, ma soprattutto politico-militare» (ivi, p. 29).
Significato fisico       Se proviamo a riassumere il ragionamento fin qui svolto, possiamo com-
e significato sociale   prendere come la città abbia, contemporaneamente, un significato fisico
                       (la città come insieme di edifici e strade, come insediamento accentrato di
                       popolazione e attività) e un significato sociale (la città come insieme di re-
                       lazioni fra esseri umani). Questa doppia accezione è all’origine di un’ambi-
                       guità di fondo, del fatto cioè che la parola “città” è usata per indicare cose
                       diverse e con riferimento a differenti universi di significati. Il significato fi-
                       sico rimanda quindi a, e contemporaneamente costruisce, significati eco-
                       nomici, politici e sociali. I modelli spaziali sono indissociabili dai dispositi-
                       vi sociali e politici cui sono destinati a corrispondere, sulla base della con-
                       vinzione, a lungo dominante, secondo la quale la configurazione fisica del-
                       la città può riflettere e condizionare le attività della società e il comporta-
                       mento dei cittadini.
Significato simbolico   Oltre alle dimensioni fisica e sociale, la città presenta anche una dimensio-
                       ne astratta e ideale, che fa riferimento alla natura mitologica (sacra ma an-
                       che, all’opposto, profana) del fatto urbano. Benché non approfondiremo
                       direttamente questa dimensione, è però utile richiamare come essa derivi
                       dalle “grandi narrazioni” mitologiche e dei testi sacri, nelle quali la città
                       riassume in sé la rappresentazione del mondo, espressione sia del cosmos,
                       dell’armonia, dell’ordine (del divino), sia del caos, della discordia, del di-
                       sordine (dell’umano). L’ordine del sim-bolico che si oppone all’ordine del
                       dia-bolico. Nei mappamondi medievali, ad esempio, la centralità di Geru-
                       salemme sanciva la sacralità urbana (tutt’oggi ribadita), mentre la periferi-
                       cità delle terre di Gog e Magogh ne sottolineava il carattere apocalittico
                       (Racine, 1993; Eliade, 2006; Scafi, 2007) (fig. 1).
                       Il continuo scivolamento fra i diversi significati e le diverse dimensioni del-
                       l’urbano rende difficile pervenire ad una definizione di città univoca e con-
                       divisa. Se consideriamo i primi due significati, quello fisico e quello sociale,
                       la questione si complica ulteriormente poiché all’enfasi posta sull’uno cor-
                       risponde l’erosione dell’altro: i due significati sono spesso usati in maniera
                       mutuamente esclusiva. Questa separazione rimanda allo scollamento logi-
                       co fra una concezione di città che guarda le cose secondo un’idea topogra-
                       fica degli insediamenti umani e un’altra che guarda i processi (Farinelli,
                       2003). Un ulteriore elemento di complessità deriva dal cambiamento del
                       fenomeno urbano, e del suo ruolo economico, politico, culturale e sociale,
                       nel tempo e nello spazio: i caratteri che permettono di definire la città in
                       un certo periodo storico e in un certo luogo non sono validi né utili per
                       sempre od ovunque.

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figura 1 Mappamondo del Salterio, 1265 ca. A sinistra, British Library di Londra; a destra, disegno sintetico
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     Fonte: Scafi (2007, pp. 124-5).
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Geografie dell’urbano

Polis, urbs e civitas   L’ambiguità della città è evidente sia nelle parole tradizionalmente usate
                        per nominarla (la polis greca, da cui deriva “politica”, arte e pratica del go-
                        verno delle società umane; l’urbs e la civitas latine, la prima riferita alla ma-
                        terialità del costruito, la seconda allo spessore sociale e culturale e che si
                        esplicita in relazione al concetto di civiltà), sia nelle prime riflessioni siste-
                        matiche sul fenomeno urbano moderno. Franco Farinelli (2003) segnala
                        come già Aristotele avesse riconosciuto il carattere fondamentalmente so-
                        ciale della polis, che «esiste per far vivere bene gli uomini» (ivi, p. 136). Nel-
                        la cultura occidentale, tale significato permane fino a tutto il Cinquecento.
                        Nel 1588, Giovanni Botero scrive Delle cause della grandezza delle città, un
                        trattato che avvia la moderna riflessione teorica sul tema (Gambi, 1973a).
                        Botero indica la ragione della grandezza delle città non nell’estensione o
                        nella larghezza delle mura, ma nella quantità degli abitanti, «ridotti insie-
                        me per vivere felicemente». Questa concezione sottolinea non tanto il si-
                        gnificato fisico, quanto quello sociale: la localizzazione urbana di una
                        “moltitudine” di persone permette di (e al contempo è rivolta a) vivere
                        una vita più felice.
                        Il significato sociale della città è rovesciato alla fine del Settecento, periodo
                        nel quale, con l’Illuminismo, si afferma la prevalenza di una concezione fi-
                        sica dell’urbano. A questo proposito, Farinelli (2003) riporta la definizione
                        di città contenuta nella Encyclopédie (1751-80): «insieme di più case dispo-
                        ste lungo le strade e circondate da un elemento comune che di norma sono
                        mura e fossati». E immediatamente si precisa: «ma per definire una città
                        più esattamente, è una cinta muraria che racchiude quartieri, strade, piazze
                        pubbliche e altri edifici» (ivi, p. 137). La città è così ridotta a entità fisica
                        formata dall’ambiente costruito, dagli edifici, dalle strade e dalle strutture
                        che la compongono, dal quadro ambientale in cui è insediata. Del resto,
                        questo tipo di definizione è a lungo influente e si ritrova ancora nel Dic-
                        tionnaire de l’Académie Française del 1935 (Lamarre, 1998, p. 6).

Definire                 1.2. La città e l’urbano Per Michael Pacione (2009), autore di uno dei più
e classificare           diffusi (e ampi) manuali recenti di geografia urbana, l’obiettivo dello stu-
                        dio della città come entità fisica è la classificazione dei diversi luoghi sulla
                        terra e la conseguente distinzione fra aree urbane e non urbane. In questo
                        caso, alla definizione di città centrata esclusivamente sugli elementi fisici
                        “inanimati” si aggiungono anche gli esseri viventi che la popolano, visti
                        però unicamente in termini quantitativi e schematici.
                        Operare una simile classificazione è relativamente semplice, poiché esisto-
                        no molti indicatori disponibili a tale scopo. Numero di abitanti, densità
                        della popolazione, base economica, e quindi percentuale di popolazione
                        addetta ad attività del settore secondario e oggi sempre più del terziario
                        (cfr. cap. 4), caratteristiche e rango delle funzioni insediate in un certo luo-
                        go (cioè delle attività economiche, culturali o politiche localizzate nelle di-

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2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

verse aree) sono tutti esempi, semplici e intuitivi, di indicatori demografici
e socio-economici che permettono di capire se una certa area è urbana op-
pure no. Una città avrà infatti un elevato numero di abitanti, un’alta densi-
tà di popolazione, una percentuale rilevante di addetti ad attività economi-
che non di tipo agricolo o agropastorale, un numero significativo di fun-
zioni “rare” in grado di svolgere un ruolo attrattore per un ampio territorio
circostante: dall’università ai negozi specializzati; dalle produzioni econo-
miche innovative ai centri di ricerca; dai teatri ai centri istituzionali del po-
tere politico. Del resto, Toschi, già nel primo manuale di geografia urbana
pubblicato in Italia nel 1966, sosteneva la possibilità di individuare la di-
stinzione fra urbano e rurale attraverso l’elaborazione di un indice di urba-
nità dato dalla combinazione di dieci variabili (i.e. la percentuale di popo-
lazione attiva, di popolazione dotata di titolo di studio o di abitazioni for-
nite di servizi).
Questo modo di affrontare il problema permette di identificare, in termini
apparentemente oggettivi, le differenze fra aree urbane e non urbane ed è
spesso utilizzato per delimitarne le superfici a fini statistici o politico-am-
ministrativi. Ad esempio, per la raccolta e l’organizzazione dei dati nel-
l’ambito dei censimenti svolti periodicamente, in quasi tutti i paesi, per
documentare lo stato e l’evoluzione delle variabili demografiche, sociali,
economiche ed insediative per la pianificazione, per fini di studio o istitu-
zionali, in particolare per la delimitazione delle aree metropolitane (Mori-
coni-Ebrard, 2000; Bartaletti, 2009). Tuttavia, come mette in evidenza
Hall (2006), questo modo di affrontare il problema, in realtà, non rispon-
de alla domanda iniziale: piuttosto che una definizione di città, produce
una classificazione dei luoghi, distinguendo fra quelli che sono considera-
bili, sulla base di parametri predefiniti, urbani da quelli che non lo sono.
Classificare e definire sono due operazioni diverse: la classificazione, utiliz-
zando gli indicatori cui si è prima accennato (o altri della stessa natura),
suddivide i luoghi sulla base del diverso grado di “urbanità” dei criteri con-
siderati rilevanti a questo fine, ma non permette di capire quali siano gli
aspetti specifici e distintivi della città in quanto tale. Gli indicatori ci per-
mettono quindi di identificare, dal punto di vista oggettivo, le aree che
presentano una maggiore concentrazione di caratteri associabili all’urbano,
ma non ci permettono di definire la qualità o, per meglio dire, l’essenza
della città.
Al di là delle differenze tra le esigenze di classificazione e quelle di defini-
zione della città, procedere per indicatori pone però anche un altro proble-
ma, più strettamente legato alla individuazione empirica dei caratteri urba-
ni a livello mondiale. Qual è, infatti, il numero di abitanti (la densità di
popolazione, la percentuale di popolazione non addetta al settore primario
o il raggio di influenza delle attività insediate) superato il quale un centro
diventa una città? Va considerato che le soglie al di sopra delle quali possia-

                                                                                    49
Geografie dell’urbano

                   mo classificare un’area come urbana variano ampiamente nel tempo e nello
                   spazio. In Svezia, ad esempio, ogni insediamento con più di 200 abitanti è
                   classificato dal censimento nazionale come urbano, mentre negli Stati Uni-
                   ti la quantità minima di popolazione per accedere allo status di città è
                   2.500, in Svizzera è 10.000 e in Giappone 30.000 (Pacione, 2009). Le diffe-
                   renze dipendono, ovviamente, dalle caratteristiche insediative dei diversi
                   paesi, a loro volta connesse all’evoluzione storica del popolamento, ai ca-
                   ratteri geomorfologici, alle dinamiche dello sviluppo economico ecc. Mol-
                   te aree della Svezia sono caratterizzate da un insediamento sparso, rispetto
                   al quale una soglia di 200 abitanti è già rilevante. Se però adottassimo la
                   stessa soglia per il Giappone, un paese molto densamente abitato, trove-
                   remmo praticamente solo città. In Africa, si contano fino a 25 definizioni
                   statistiche differenti di città in una cinquantina di paesi (Lebris, 1996).

Wirth e lo stile   1.3. Urbanità e stile di vita urbano  Il significato sociale della città e gli effetti
di vita urbano     che essa ha sugli stili di vita dei suoi abitanti è invece al centro dell’atten-
                   zione della sociologia urbana e, in parte, degli studi di architetti e urbani-
                   sti. In quest’ambito di riflessione, un riferimento fondamentale è il saggio
                   di Louis Wirth (1897-1952) intitolato Urbanism as a Way of Life del 1938
                   (tradotto in italiano nel 1998 come L’urbanesimo come stile di vita, benché
                   la traduzione italiana del termine Urbanism appaia discutibile). Secondo
                   Castells (1974b), è la specifica “cultura urbana”, nel senso antropologico
                   del termine, cioè «un sistema di valori, norme e rapporti sociali che possie-
                   dono una specificità storica e una logica propria di organizzazione e di tra-
                   sformazione» (ivi, p. 106), che attrae l’attenzione di Wirth, e che costituirà
                   uno dei temi principali (e controversi) delle riflessioni sull’urbano.
                   Wirth, esponente della “Scuola di Chicago” (cfr. par. 3.1), si propone di
                   arrivare a una definizione sociologica coerente della città e individuare gli
                   elementi che definiscono lo stile di vita urbano. Secondo Wirth, infatti, ciò
                   che definisce la città è lo specifico stile di vita dei suoi abitanti, che deriva
                   dalla combinazione di tre caratteristiche chiave: il numero di abitanti, la
                   densità degli insediamenti e l’eterogeneità sociale. Wirth, come mette in
                   evidenza Perulli (2007), «opera una classificazione sociologica della città
                   basata sulla scoperta delle variazioni urbana e rurale, che dà luogo al con-
                   cetto di urban-rural continuum. [...] La città viene definita come uno stan-
                   ziamento relativamente grande, denso e permanente di individui social-
                   mente eterogenei» (ivi, p. 23). Ed è proprio l’eterogeneità che costituisce il
                   carattere di maggiore novità dell’impostazione di Wirth: il riconoscere cioè
                   nella città un “mosaico di mondi sociali”, in cui il passaggio dall’uno all’al-
                   tro favorisce la tolleranza delle differenze, ma richiede anche l’istituzione di
                   meccanismi di controllo per il suo mantenimento.
                   La posizione di Wirth è stata (e in realtà, almeno in parte, è ancora) molto

                   50
2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

influente, ma ha anche ricevuto numerose critiche. Tali critiche hanno
messo in evidenza, da un lato, la mancata verifica empirica della costruzio-
ne teorica dell’autore e la sua “rigidità” rispetto ad un fenomeno in conti-
nua evoluzione come quello urbano; dall’altro lato, le debolezze teoriche e
concettuali.
Per quanto riguarda il primo insieme di critiche, va considerato che, come                Rigidità
precedentemente accennato, le città si sono fisicamente estese e lo stile di               della posizione
vita urbano si è ormai diffuso su un territorio ampio, trascendendo i limiti              di Wirth
fisici dei confini urbani. Come scrive infatti Mumford nell’incipit della sua
opera, La città nella storia (1961), divenuta un classico, «questo libro si apre
con una città che era, simbolicamente, un mondo, e si conclude con un
mondo che è diventato, per molti aspetti, una città» (ivi, p. 8). Se quindi,
già all’inizio degli anni sessanta, Mumford indica che il mondo è divenuto
una città, a maggior ragione i tre parametri indicati da Wirth circa un seco-
lo fa appaiono oggi inadeguati nel connotare le caratteristiche dell’urbano.
I limiti teorici della posizione di Wirth sono invece al centro delle riflessio-           Critica neomarxista
ni di numerosi autori, che ne sottolineano aspetti diversi. Manuel Castells
(1974b; ed. or. 1972) e David Harvey (1978; ed. or. 1973) – due fra i più
importanti studiosi della città contemporanea, portatori negli anni settanta
del Novecento di una prospettiva neomarxista – hanno sottolineato come
il fenomeno urbano e le caratteristiche dello stile di vita ad esso associate
siano inseriti all’interno di un quadro più ampio, definito e influenzato
dalle dinamiche economiche e, in particolare, dalle forze del capitalismo.
In questa prospettiva, pur con alcune differenze, i due autori si chiedono
quanto i caratteri dello stile di vita urbano delineati da Wirth siano specifi-
ci della città in quanto tale o se dipendano invece dal dispiegarsi di processi
più ampi, come quelli dell’economia capitalista.
Altre critiche alla posizione di Wirth vengono da Ash Amin e Nigel Thrift                 Prossimità e distanza
(2005), due geografi anglosassoni che si pongono esplicitamente l’ambizio-                 delle relazioni sociali
so obiettivo di un radicale ripensamento della città, proponendo e stimo-
lando nuove descrizioni e “immaginazioni geografiche” su di essa. Secon-
do questi autori, anche in relazione al periodo storico in cui è scritto il sag-
gio, Wirth riconosce e sottolinea come distintivo dello stile di vita urbano
un tipo particolare di relazioni sociali, cioè quello basato sui rapporti face-
to-face (o di compresenza). Ciò che invece manca nella lettura di Wirth
sono altri tipi di relazioni sociali, che caratterizzano, con sempre maggiore
frequenza, la vita nella città: oggi, le relazioni a distanza e i legami virtuali
influenzano sempre più la formazione di relazioni sociali che prescindono
largamente dalla prossimità. Del resto, il ruolo esercitato dai mezzi di co-
municazione nel “dare forma” alle relazioni socio-spaziali è un elemento
da tempo riconosciuto negli studi urbani. Jean Gottmann (1961), ad esem-
pio, studiando alla fine degli anni cinquanta il sistema urbano in formazio-
ne fra Boston e Washington (cfr. cap. 3, fig. 8), mette in evidenza il ruolo

                                                                                    51
Geografie dell’urbano

                          esercitato dallo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni nel sostenere la
                          crescita degli insediamenti urbani, favorendo gli spostamenti e la mobilità
                          quotidiana a grandi distanze. Se ci concentriamo sugli sviluppi più recenti
                          dei sistemi di comunicazione, è abbastanza intuitivo capire quanto e come
                          l’uso del telefono cellulare abbia modificato le nostre vite o, ancora, il fatto
                          che le relazioni sociali che si intessono nei social networks definiscano nuovi
                          spazi relazionali. Non si tratta, ovviamente, di stabilire se le relazioni basate
                          sulla prossimità e la compresenza siano migliori o peggiori di altri tipi di
                          relazioni fra individui, quanto di riconoscere l’evoluzione delle modalità
                          d’interazione sociale in ambito urbano e la costruzione di nuovi spazi che
                          questa determina.
Critica                   Infine, sempre Amin e Thrift mettono in evidenza come Wirth, così
della concezione          come altri teorici della città di inizio Novecento (da Lewis Mumford a
organicista della città   Patrick Geddes), consideri la città come un organismo vivente, adottan-
                          do una metafora presente fin dall’antichità e divenuta a partire dal Rina-
                          scimento estremamente diffusa e potente. L’idea di unificare il mondo
                          sotto la figura della natura, in cui tutti i fenomeni sono, per definizione,
                          interrelati in una combinazione di influenze reciproche, porta a vedere
                          l’azione umana come un annesso, un caso particolare, un’eccezione. In
                          questo modo, e seguendo un filone di pensiero ben presente nella geogra-
                          fia del periodo (basti pensare alla concezione organicista dello Stato di
                          Friedrich Ratzel o a un saggio dello stesso autore del 1903 sulla genesi e
                          l’evoluzione “organica” delle grandi città, ripreso in Italia da Toschi nel
                          1966), la città è considerata come un organismo delimitato e stabile, in
                          cui prende corpo un particolare stile di vita cui corrisponde una stabile
                          gerarchia sociale e spaziale. Le relazioni che si realizzano all’interno del-
                          l’organismo urbano sono quindi considerate come naturali e immutabili,
                          escludendo di fatto le logiche politiche, i conflitti e i rapporti di potere
                          che caratterizzano, invece, con tutta evidenza, le città e le dinamiche ur-
                          bane (cfr. capp. 7 e 8).

                          2. Il pensiero sulla città fra teorie e mutamenti urbani

                          2.1. La città come organismo vivente I geografi si sono interessati molto tar-
                          di all’analisi della città, e questa sarà riconosciuta come oggetto specifico di
                          studio e, poi, come campo disciplinare autonomo – cioè come geografia
                          urbana – solo a partire dalla seconda metà del Novecento. Per lungo tem-
                          po, inoltre, è stata proprio la concezione organicista ad attirare il loro pen-
                          siero. Vi sono state analisi che hanno descritto il “metabolismo” urbano
                          fino a prendere in considerazione il ciclo di vita delle città, con un approc-
                          cio che non va confuso con quello che, definito con la stessa formula, stu-
                          dia il passaggio dall’urbanizzazione alla suburbanizzazione e alla disurba-
                          nizzazione (cfr. cap. 3). In questo senso, Élisée Reclus, grande divulgatore e

                          52
2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

fra i primi geografi ad occuparsi della città, scrive in un saggio poco noto
del 1895 intitolato The Evolution of Cities che «come ogni organismo che si
sviluppa, la città tende anche a morire» (Reclus, 1895, ed. 1992 p. 162).
L’autore preciserà in seguito che le città «possono diventare dei corpi orga-
nici perfettamente sani e belli», mentre «il movimento all’interno delle cit-
tà [...] può essere comparato allo scorrere del sangue nel corpo umano»
(Reclus, 1905, t. v, p. 379). Su questa scia, ancora qualche decennio dopo,
Pierre Lavedan, nel volume Géographie des villes, dichiara esplicitamente
che «la città è un essere vivente. Come ogni essere vivente, essa nasce, cre-
sce, muore» (Lavedan, 1936, p. 9).
Tale concezione, comune a tanti autori dei primi decenni del Novecento,                    Il linguaggio
rimane comunque ambigua, perché, come si è accennato, interpreta la città                  della concezione
dal punto di vista evoluzionista (dal villaggio alla metropoli), ma anche                  organicista
perché usa il riferimento organicista come mero linguaggio metaforico.
Adottando la comparazione antropomorfa della città o di parti di essa, il
linguaggio organicista sarà comunque in auge per gran parte del xx secolo:
esso si declinerà in termini di tessuti, cellule, trame, arterie, organi (polmo-
ni, cuore), in termini fisiologici (circolazione, flussi) o eziologici e patolo-
gici (macrocefalia, neoplasie, degradazione fisica, morale ecc.). Si tratta di
un lessico che sarà poi ripreso anche nell’approccio strutturalista e che ri-
troviamo ancora nel lessico odierno dell’urbano. Di fatto, anche le conce-
zioni funzionaliste di città rimandano alle funzioni fisiologiche esercitate
dall’organismo urbano. Così come, anche se in una prospettiva diversa, è
ancora all’immagine della città-organismo che si riferisce l’ecologia urbana
nell’ambito del dibattito sulla “città sostenibile”. Tale dibattito si è svilup-
pato soprattutto in seguito alla pubblicazione nel 1987 (con la traduzione
in italiano nel 1988) del Rapporto della Commissione Ambiente e Svilup-
po delle Nazioni Unite (wced) intitolato Our Common Future, più noto
come “Rapporto Brundtland”, e poi nei successivi vertici internazionali
che si sono svolti in diverse città del mondo (da Rio de Janeiro a Johanne-
sburg; da Kyoto a Copenaghen) per affrontare la problematica ambientale
(Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, 1988; Alberti, Sole-
ra, Tsetsi, 1994).
Nondimeno, l’approccio politico di Élisée Reclus, geografo e anarchico, si-                La personificazione
tua la sua analisi evoluzionista in relazione alla “lotta di classe” che si espri-         della città
me nella città. Sempre nella prospettiva di Reclus, la città è colta come “un
personaggio”: ognuna manifesta una “personalità particolare” e una “per-
sonalità collettiva” che si caratterizza attraverso la diversità sociale e morfo-
logica dei suoi quartieri. Nelle sue note metodologiche Reclus suggerisce
che «lo studio logico delle città [...] permette di giudicarle come si giudi-
cherebbe un personaggio» (1905, p. 354). La personificazione delle città, de-
clinata come possibilità di considerarle come “attori collettivi”, si ritrova

                                                                                     53
Geografie dell’urbano

                   anche nel dibattito più recente, in particolare nell’ambito delle riflessioni
                   sulle politiche urbane (cfr. cap. 8).
Rivoluzione        Nello stretto rapporto che lega l’analisi della città e la sua evoluzione mor-
industriale        fologica e sociale possiamo ritenere come momento cruciale quello in cui,
e concezione       soprattutto in Europa, verso la metà del xix secolo, gli effetti della Rivolu-
della città        zione industriale si esplicitano manifestamente nel processo di urbanizza-
                   zione: l’industria ha bisogno di manodopera e mercato. È in questo perio-
                   do che nasce e si sviluppa l’urbanistica moderna. Sono allora soprattutto
                   gli ingegneri sanitari e gli igienisti ad occuparsi e ad analizzare le città
                   (Zucconi, 1988). La visione “diagnostica” di una città malata che va guarita
                   – una concezione che ritroviamo ancora oggi – è frutto di questo particola-
                   re rapporto fra ingegneri e medici. L’emergere della statistica come scienza
                   e come strumento di analisi costituirà un ausilio importante per studiare
                   fenomeni urbani e sociali (densità, estensione, sovrappopolamento, pover-
                   tà, epidemie, mortalità) e per proporre rimedi.
La città moderna   Ad ogni modo, la città “moderna” dell’Ottocento costituisce un momento
dell’Ottocento     chiave, un passaggio indispensabile per comprendere, al contempo, l’evo-
                   luzione del pensiero sulla città e la trasformazione di questa pressappoco
                   fino alla Prima guerra mondiale. Il ruolo esercitato dall’industrializzazione
                   sulla città è descritto da Henry Lefebvre attraverso i processi congiunti di
                   implosione ed esplosione: ovvero di densificazione e concentrazione (so-
                   prattutto delle aree centrali) della città e della sua espansione e ristruttura-
                   zione (più o meno pianificata). Secondo Lefebvre (1968), l’avvio del pro-
                   cesso d’industrializzazione ha subordinato il valore d’uso a quello di scam-
                   bio e ha dato origine ad una urbanizzazione “disurbanizzante e disurbaniz-
                   zata”, che ha devastato e portato all’esplosione la città tradizionale:

                   l’industria ha attaccato le città nel senso più forte del termine, distruggendole, dis-
                   solvendole. Essa fa crescere le città a dismisura, ma in una esplosione delle loro an-
                   tiche caratteristiche [...] l’uso e il valore d’uso sono scomparsi [...]. Con questa ge-
                   neralizzazione dello scambio, il suolo è diventato merce, lo spazio indispensabile
                   per la vita quotidiana si vende e si acquista. Tutto ciò che fa la vitalità della città
                   come opera è scomparso davanti alla generalizzazione del prodotto. [...] Da un
                   lato si istituiscono centri di decisione dotati di poteri ancora sconosciuti, poiché si
                   concentrano la ricchezza, la forza repressiva, l’informazione. Dall’altro, l’esplosio-
                   ne delle antiche città permette processi multiformi di segregazione; gli elementi
                   della società sono impietosamente separati gli uni dagli altri nello spazio (Lefeb-
                   vre, 1968, trad. it. pp. 71-2).

                   2.2. La città industriale come luogo del degrado e della libertà Nell’interpre-
                   tazione della città industriale è possibile individuare, seppure schematica-
                   mente, la contrapposizione di due posture.

                   54
2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

La prima è una postura critica che denuncia le ineguaglianze, la povertà, la              Visione negativa
violenza, lo sfruttamento, e quindi l’immoralità e la degenerazione fisica e
sociale che albergano nelle città. La matrice di questa postura è da ricercarsi
nel riproporsi, nel corso del tempo, di una visione quasi archetipica della
città come mostro che divora gli esseri umani, come luogo di perversione e
di degrado fisico, sociale e morale. Una concezione che si consolida con
l’avvento della città industriale, nella letteratura e poi nel cinema; nelle in-
chieste, come quella di Friedrich Engels (1845) sulle condizioni delle classi
lavoratrici nelle città inglesi ottocentesche, di cui Manchester costituisce il
prototipo (cfr. cap. 8), o nelle denunce di Karl Marx sull’“alienazione” e lo
sfruttamento cui sono sottoposti gli operai nella città capitalista. O, anco-
ra, nella visione di una città malata (Calabi, 1979) e, pur in maniera più
circostanziata e comunque animata dalla volontà di agire, nelle pagine che
Le Corbusier (cfr. par. 2.4) dedica nel 1925 all’urbanistica, attraverso cui
superare il caos e le “conseguenze fatali” in cui si dibatte la città d’inizio
Novecento, su cui «grava una catastrofe imminente» (1967, p. 42).
Si inserisce in questa postura anche il filone utopico, già evocato nel para-              Utopie urbane
grafo precedente, che assume nell’Ottocento una dimensione più concreta,
a carattere sociale e industriale. L’obiettivo di definire un’organizzazione
spaziale che rispecchi o induca una specifica organizzazione sociale porta a
promuovere numerose esperienze riformatrici, basate su valori di diversa
natura: laica o religiosa, riformista, filantropica (di cui Robert Owen è sta-
to il precursore), socialista e/o anarchica (Pierre-Joseph Proudhon), tecno-
logica (Henri de Saint-Simon, Michel Chevalier) o estetica (John Ruskin).
Sono inoltre concepiti progetti di insediamento come i falansteri di Char-
les Fourier, le città giardino di Ebenezer Howard, le colonie, le “città rura-
li”, i “villaggi dell’armonia” e le città operaie. Alcuni di questi saranno poi
realizzati in Europa, come la “città impresa” di Ugine in Savoia (Söder-
ström, 1997), negli Stati Uniti (Salt Lake City, la capitale dei Mormoni
nello Utah, fondata nel 1857), in America Latina e in Algeria. La storica
della città Françoise Choay (1973) suddivide i modelli di città definiti dagli
utopisti in due principali filoni: quello progressista (più attento alle solu-
zioni razionaliste, tecniche e scientifiche) e quello culturalista (che critica
la scomparsa dell’unità organica della città ed è più attento alla dimensione
estetica del vivere urbano). Non senza polemiche e diatribe, il “socialismo
scientifico” e il “materialismo storico” di Marx ed Engels tenderanno a di-
scostarsi dal filone utopista, accusato di avere aspirazioni troppo idealisti-
che, di proporre un approccio riformista e non una critica “totale” della
società capitalista, considerando la società in termini statici e fissi.
La seconda postura attiene a una visione positiva che riconosce i valori di               Visione positiva
libertà, di diversità, di modernità, che esalta le prospettive legate all’eman-
cipazione sociale – tanto quelle dell’individuo quanto quelle di genere (le

                                                                                    55
Geografie dell’urbano

                     donne e la diversità sessuale) –, che elogia la produzione culturale, artistica,
                     tecnologica e di innovazione di cui la città è al contempo luogo di espres-
                     sione, attore e contesto. Per cogliere il senso di questa prospettiva, ricordia-
                     mo un adagio tedesco del xv secolo che recita così: “L’aria della città rende
                     liberi”! Tale espressione sarà ripresa da Max Weber nel suo Die Stadt del
                     1921 per segnalare che nell’Europa medievale del Nord, prima dell’ascesa
                     della borghesia, i servi riescono ad emanciparsi dalla subordinazione ai loro
                     padroni solo dopo un periodo di residenza in città. La valenza fondamen-
                     tale di questo secondo approccio si può chiaramente cogliere anche sotto
                     un altro aspetto assai emblematico: ovvero l’imposizione del termine “cit-
                     tadino” a tutti gli individui nella Francia della fine del xviii secolo, in
                     quanto principio costitutivo dell’ideale egualitario e repubblicano (liberté,
                     fraternité, égalité) della Rivoluzione del 1789.
Simmel               È al sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918), considerato uno dei pa-
e la metropoli       dri fondatori della sociologia, che si devono alcuni fondamentali scritti sul-
                     la città moderna di fine Ottocento, in particolare nella sua forma metropo-
                     litana (cfr. La filosofia del denaro del 1900; La metropoli e la vita dello spirito
                     del 1903 e il saggio sulla Moda del 1905). Guardando la metropoli, gli esseri
                     umani che la abitano e le interazioni sociali al suo interno, e confrontando
                     quanto osservato con i corrispondenti fenomeni che avvengono in una pic-
                     cola città, Simmel individua alcuni caratteri essenziali del proprio tempo e
                     riconosce un nuovo tipo di abitante metropolitano, il cui comportamento
                     si inscrive nella nuova realtà dell’economia monetaria di mercato in cui
                     tutti gli scambi sono regolati dal denaro. Secondo Simmel (1903), infatti, la
                     metropoli produce «un’intensificazione della vita nervosa [...] prodotta dal
                     rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori» (trad.
                     it. 1995, p. 36). Di conseguenza, l’abitante della metropoli ha una specifica
                     personalità, è un individuo blasé, le cui relazioni sono basate sull’anonima-
                     to, l’indifferenza, l’individualità e il distacco. Nel complesso, tuttavia, se-
                     condo Simmel, la metropoli è il luogo della società in cui l’essere umano
                     gode della maggior libertà possibile, in virtù delle relazioni sociali “fredde”
                     che connotano la vita metropolitana.
Comunità e società   L’idea di metropoli di Simmel risente di numerose influenze. In particola-
                     re, la distinzione fra città di provincia e metropoli rinvia alla distinzione fra
                     comunità e società, una coppia di concetti che avrà una grande influenza
                     nello sviluppo successivo degli studi urbani. Comunità e società sono con-
                     cepite, pur nelle diverse accezioni dei vari autori, da Ferdinand Tönnies a
                     Max Weber a Emile Durkheim, come due modelli antitetici di organizza-
                     zione e di interazione sociale.
                     Il riferimento alla comunità implica, come dato strutturante, una certa co-
                     munione di interesse dei soggetti locali in funzione di un comune senso di
                     appartenenza. Soprattutto nelle concezioni di Tönnies e Durkheim, ma

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2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

più in generale nel “pensiero comunitario”, le relazioni comunitarie ap-
paiono caratterizzate da una “solidarietà organica”. L’appartenenza alla co-
munità è dunque un’appartenenza data, naturale, immanente: «una rela-
zione sociale deve essere definita “comunità” (Vergemeinschaftung) se, e
nella misura in cui, la disposizione all’agire poggia su una comune apparte-
nenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale), degli individui che
ad essa partecipano» (Weber, 1922, cit. in Esposito, 1998, p. xi). Arnaldo
Bagnasco (1999), riprendendo il libro di Tönnies del 1887 intitolato pro-
prio Gemeinschaft und Gesellschaft (Comunità e società), chiarisce in questo
modo la distinzione fra i due modelli di organizzazione sociale. Le relazioni
sociali «danno luogo ad associazioni che possono essere concepite “o come
vita reale e organica – e questa è l’essenza della comunità – o come forma-
zione ideale e meccanica – e questo è il concetto della società”» (ivi, p. 20).
Inoltre, mentre le relazioni comunitarie, benché tipiche delle piccole co-
munità di villaggio, si ritrovano fondamentalmente in «ogni unità sociale
in condizione di alta integrazione [...] [e arrivano] infine a definire la socie-
tà tradizionale che ha preceduto quella moderna» (ivi, p. 17), quelle mecca-
niche appaiono distintive delle relazioni sociali nelle città industriali di fine
Ottocento.
Tale concezione della comunità, sostanzialmente “positiva” e appagante,                   Concezione attuale
pervade il dibattito sulla città per lungo tempo. Comunità è però un con-                 della comunità
cetto “scivoloso”. Secondo Roberto Esposito (1998), ad esempio, il legame
di comunità deriva da un munus, cioè un compito, un dovere, una legge o,
anche, da un dono reciproco, da fare e non da ricevere, un dono che passa
da un soggetto all’altro e che, dunque, non può appartenere a nessuno. I
membri di una comunità si qualificano quindi non perché hanno un pri-
mato, un possesso e neppure per una capacità di riconoscimento privilegia-
to che li lega indissolubilmente l’uno all’altro, bensì per il debito che deriva
dall’aver ricevuto un dono e che li pone nell’obbligo di ridonare a loro vol-
ta. Obbligo e dono danno origine ad una relazione di reciprocità che è vin-
colante perché non si fonda sulla trascendenza di un donatore originario.
La comunità è così pensata non già in relazione a identità precostituite e
date, ma nella finitezza, nel vuoto più che nel pieno, sottraendone il senso
alle rappresentazioni mitologiche di un’origine perduta da ritrovare che
poi si risolvono nella costruzione di identità aggressive o comunque regres-
sive. In altri termini, la posizione di Esposito sottolinea la necessità della
comunità, come presupposto dell’esistenza sociale, e al contempo l’impos-
sibilità di una sua configurazione secondo i principi di stabilità e certezza
della tradizione del pensiero comunitario. Essa riconosce inoltre la centra-
lità dell’imposizione nel definire e “costruire” i legami fra i soggetti, allon-
tanandosi così dalla visione di stampo organicista della comunità come un
“uno collettivo” naturale e dato.

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Geografie dell’urbano

Regolarizzazione      2.3. Figure spaziali della città moderna Bernardo Secchi (2000) fa riferi-
e ordine urbano       mento ad alcune figure per rendere conto dell’ideologia spaziale all’opera
                      nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, caratte-
                      rizzata dalla “regolarizzazione” e dal nuovo “ordine urbano” che viene im-
                      posto a capitali e grandi città europee, americane ma anche degli imperi
                      coloniali. Fin dal periodo napoleonico, e poi successivamente nel corso del
                      xix e agli inizi del xx secolo, Parigi, Barcellona, Vienna, Berlino, Londra,
                      Madrid, Washington, San Pietroburgo, Mosca, Napoli, Torino, Atene,
                      ma anche Il Cairo, Istanbul, Algeri, per citarne alcune, conoscono muta-
                      zioni più o meno radicali, che riorganizzano spazi pubblici e privati, interi
                      quartieri, strade e isolati, porti, e in alcuni casi riprogettano l’intera città.
                      Molti centri storici, dopo aver subito il sovraffollamento delle nuove masse
                      inurbate, sono sottoposti ad azioni di sventramento, mentre le periferie si
                      riempiono di quartieri operai, di ampie zone di baraccamenti, ma anche di
                      banlieues pavillionaires per le classi medie e di “città giardino”.
Innovazioni moderne   Tali mutazioni – e le innovazioni che portano con sé la modernità e i nuovi
e trasformazioni      stili di vita (dal comfort all’igiene, dalla tecnologia ai trasporti, dal lusso
urbane                alla cultura e allo spettacolo...), ma anche nuove povertà urbane e conflitto
                      sociale – mettono in scena il nuovo ordine (sociale e spaziale) basato sulla
                      regolarità, la continuità, la normalizzazione, la gerarchia e la standardizza-
                      zione (Secchi, 2000). Illuminazione a gas e poi luce elettrica, acqua corren-
                      te (per le case borghesi), telefono, tram e metropolitana, stazioni ferrovia-
                      rie monumentali, larghe arterie stradali (le percées, i boulevards), ampie
                      piazze, gallerie coperte, grandi magazzini, teatri, caserme, ospedali, collegi,
                      giardini e soprattutto fabbriche mutano nel profondo la fisionomia di
                      grandi e medie città e rappresentano l’ascesa della borghesia industriale,
                      commerciale e delle professioni liberali. Tutto ciò esprime l’entrata in gio-
                      co del capitale nella costruzione edilizia e l’avvento dello Stato Nazionale
                      con tutti i suoi simboli. Si tratta, insomma, di una ristrutturazione sostan-
                      ziale della città, basata su processi «di concentrazione, di centralizzazione,
                      [di espansione] e di segregazione, che comportano una rottura con l’unità
                      del precedente sistema urbano» (Delfante, 1997, p. 235) e inducono una
                      nuova sincronizzazione sociale in funzione del modo di produzione della
                      città industriale (capitalista, liberale ma anche repressiva).
Il modello spaziale   Fra le principali esperienze di trasformazione urbana di questo periodo
della città           vanno ricordate sicuramente quelle di Barcellona (sotto la guida di Ilde-
dell’Ottocento        fons Cerdà) e di Parigi (per opera del barone Haussmann), i cui piani
                      costituiscono i capisaldi dell’urbanistica ottocentesca e dell’idea di città
                      che essa persegue (cfr. riquadri 1 e 2). Il modello spaziale di riferimento
                      della città ottocentesca è costituito dalla griglia ortogonale, usata sia per
                      l’espansione delle città esistenti sia per la fondazione di nuove città
                      come, nel corso del Novecento, le città coloniali africane, alcuni centri

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2.   Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

dell’America Latina, le città sovietiche o quelle costruite nei paesi dell’ex
Europa socialista. Sul modello di Haussmann anche Marsiglia e Lione in
Francia, Bruxelles e Anversa in Belgio, Madrid in Spagna, Vienna in Au-
stria, ma pure Atene, Lisbona e Sofia si trasformeranno, riordinando gli
spazi, dotandosi di grandi viali e di prospettive monumentali ispirate a
Parigi. In Italia, Firenze, Torino, Milano e Roma saranno oggetto di
grandi trasformazioni. Per Napoli, nel 1885, sarà messa a punto persino
una legge ad hoc, detta del “Risanamento”, che programma lo sventra-
mento di vaste aree del cuore storico e promuove l’edificazione di palazzi
e gallerie che mettono in scena il nuovo ordine borghese e monarchico
dell’Italia unitaria.

riquadro 1     Fra teoria e azione: la Barcellona di Ildefons Cerdà

La crescita demografica ed economica di Barcellona porta, nel 1853, alla concezione del pia-
no di estensione (Ensanche) della città da parte dell’ingegnere Ildefons Cerdà. L’iniziativa di
quest’ultimo, che sarà attuata nel corso del decennio successivo, presenta numerosi ele-
menti importanti. Il piano consiste nella realizzazione di un ampio tracciato ortogonale de-
stinato a “ricucire” la città storica con i villaggi vicini, anche attraverso la demolizione della
mura della ciutat vella. Il piano, che presenta la forma e l’idea della scacchiera e riprende il
modello classico ippodameo, si struttura attraverso la realizzazione di moduli ripetitivi e
standardizzati: cioè degli isolati rettangolari di 130 metri di lato con angoli smussati di 20
metri, tagliati da una lunga diagonale di circa 10 chilometri disposta secondo un tracciato
che corre da ovest verso il mare (cfr. figura). Il carattere continuo e isotropico dello spazio
che ritroviamo nella razionalità dell’impianto a scacchiera (ovvero di uno spazio che inten-
de mantenere ovunque le stesse proprietà e la stessa velocità di trasformazione) costituisce
in effetti un segno distintivo dell’ideologia di normalizzazione della città dell’epoca moder-
na, peraltro secondo un modello già adottato in altri luoghi ed esperienze (nella Grecia
classica come nella fondazione delle città americane codificata nella legge urbanistica di Fi-
lippo ii). Nel caso di Cerdà esso va probabilmente inteso anche come volontà di mettere in
atto un progetto spaziale foriero di una filosofia sociale egualitaria. Nondimeno, per dare il
senso dei tempi lunghi delle trasformazioni urbane e del retaggio importante della città
moderna su quella di oggi, è utile ricordare che la sistemazione dell’ultima porzione della
Diagonal del Mar è stata rimessa in cantiere – certo con un’altra logica architettonica e
urbanistica – solamente in questi ultimi anni, in seguito alla costruzione del Forum di Bar-
cellona (2004): quindi dopo quasi 150 anni dalla sua concezione iniziale (cfr. cap. 9). Razio-
nalista e liberale, innovatore attento alle questioni dei trasporti, dei rifiuti, dei servizi e del
comfort, Cerdà non disporrà tuttavia della stessa autorità politica del suo contemporaneo,
Georges-Eugène Haussmann a Parigi (cfr. riquadro 2), e dovrà giustificare “scientificamen-
te” il suo operato. Egli elabora un trattato, Teoría general de la urbanización y aplicación de
sus principios y doctrina a la reforma y ensanche de Barcelona, pubblicato nel 1867, che co-
stituisce un punto cardinale nella storia del pensiero e dell’azione sulla città. Con questo li-
bro Cerdà lascia ai posteri l’uso di un neologismo e di un nuovo concetto nel vocabolario
della città, quello di “urbanizzazione”, inteso però nel senso odierno di urbanistica. L’urba-
nizzazione, in quanto scienza, «è l’insieme dei principi, dottrine e regole che bisogna appli-
care perché le costruzioni e il loro raggruppamento, lungi dal [...] corrompere le facoltà del-
l’uomo sociale, contribuiscano a favorire il suo sviluppo e ad accrescere il benessere indivi-
duale e quello pubblico» (Cerdà, 1867, trad. it. p. 84).

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