Progetto svolto da Alessandro Gottardi, Fabio Lenzo e Kewjn Witschi - Corso interdisciplinare Anno scolastico 2003/2004

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Progetto svolto da Alessandro Gottardi,
                 Fabio Lenzo e Kewjn Witschi.

                                Corso interdisciplinare
                              Anno scolastico 2003/2004

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT   Pagina 0 di 35
INDICE:

1.             OBIETTIVI DELLA RICERCA                                        p. 2

2.             INTRODUZIONE GENERALE SUL TEMA DELLE MIGRAZIONI                p. 3

3.             QUESTA POVERA ITALIA (DATI STATISTICI)                         p. 4

4.             SITUAZIONE GENERALE                                            p. 8

5.             BOOM ECONOMICO                                                 p. 9

6.             LE MIGRAZIONI INTERNE                                          p. 9

7.             LA CASSA DEL MEZZOGIORNO                                       p. 10

8.             IL MECCANISMO PERVERSO DEI DAZI                                p. 11

9.             IL RUOLO DEL GOVERNO                                           p. 11

10.            LE CAUSE DELLO SQUILIBRIO NORD – SUD                           p. 11

11.            L’EMIGRAZIONE VERSO I CENTRI INDUSTRIALI                       p. 12

12.            MIGRANTI DAL NORD E MIGRANTI DAL SUD                           p. 12

13.            LO SVILUPPO ECONOMICO-SOCIALE DELL'ITALIA NEGLI ANNI

               SESSANTA (APPROFONDIMENTO)                                     p. 13

14.            CONSUMI                                                        p. 17

15.            FIAT E OLIVETTI                                                p. 19

16.            STRANIERI IN ITALIA                                            p. 20

17.            LE MIGRAZIONI E LA SOCIETÀ MULTIETNICA (CONCLUSIONE) p. 21

18.            CURIOSITÀ (FILM, TESTI, CANZONI, FOTOGRAFIE E ALTRO)           p. 22

19.            BIBLIOGRAFIA                                                   p. 32

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OBIETTIVI DELLA RICERCA

Con questa ricerca ci siamo posti l’obiettivo di mostrare l’immenso movimento
migratorio che si è sviluppato in Italia dal dopoguerra ad oggi.
Abbiamo messo in luce situazioni di vita, di lavoro o solo di sopravvivenza che possono
sembrare di un altro mondo, ma invece si sono verificate nella vicina Italia alcuni anni or
sono.
La realtà era ben diversa da quella di oggi, c’erano i migranti del Sud che erano mal
visti dalle popolazione del Nord, venivano considerati come gli extracomunitari ai giorni
nostri.
Abbiamo messo l’accento sul fatto che la vita di chi emigrava non era per niente bella,
era piena di problemi e di difficoltà di ogni genere.
Spesso chi emigrava verso la “terra promessa” non trovava quello che si aspettava, la
sua situazione poteva anche peggiorare, quindi non sempre l’emigrazione era la
soluzione al disagio in cui si era costretti a vivere nel dopoguerra.

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Migrazione" può avere diversi significati; per maggiore chiarezza in questo lavoro
   si intende come "spostamenti umani motivati soprattutto dalla ricerca di un
                  impiego o di una miglior situazione di vita".

 INTRODUZIONE GENERALE SUL TEMA DELLE MIGRAZIONI

La migrazione è un fenomeno in continuo cambiamento.
Negli ultimi 30 anni questo fenomeno ha continuato a crescere fino a raggiungere flussi
di circa 150 milioni di persone a livello mondiale.
I maggiori poli di attrazione dell’immigrazione sono i paesi ricchi del Nord, in particolare
Europa occidentale e Usa; in questi Stati gli immigrati rappresentano circa il 5-10%
della popolazione totale.
Ci sono tantissime persone che migrano per il mondo, per i motivi più diversi, di solito si
tratta di una fuga, dalla guerra, dalla persecuzione politica, dalla carestia.
C’è chi si sposta per semplice curiosità, voglia di vedere il mondo, o anche perché
desidera un lavoro o uno stipendio più alto, in generale tutti cercano un futuro migliore.
Questi emigranti sono alla ricerca delle opportunità che la loro terra d’origine non gli
offriva: spesso sono confrontati con il dilemma di vivere in una situazione socio-
economica disastrata.
Una gran parte di queste persone si sposta all’interno del cosiddetto "Sud del mondo",
lontano da noi.
Tante situazioni personali diverse, anche se i motivi si contano sulle dita di una mano.
I cosiddetti "esperti", gente che studia le migrazioni da una vita, parlano di cinque grandi
cause:

   a) l’impoverimento della campagna: ci si sposta verso la città, perché la proprietà
      della terra è nelle mani di poche persone e i braccianti sono sfruttati e mal pagati.
      Non si riesce più a vivere solo con ciò che offre la terra;
   b) i mass-media che alimentano un sogno irraggiungibile creano aspettative di
      ricchezza, mostrando un’immagine del mondo ricco (il Nord, la città) falsa: non si
      vedono le periferie poverissime, ma solo il ricco centro finanziario, non si vede la
      fine che farà la maggior parte dei “fuggitivi”;
   c) la costruzione di nuove, moderne e veloci vie di comunicazione e mezzi di
      trasporto facilitano la mobilità delle persone, diventa più facile raggiungere il
      lontano e ricco Nord;
   d) l’enorme differenza dei salari tra i luoghi di provenienza e i luoghi di arrivo del
      tragitto migratorio spinge molti a pensare di sistemare la propria situazione
      stando solo pochi anni al "Nord";
   e) la presenza di parenti, amici, paesani nei luoghi di immigrazione è l’anello
      d’appoggio di una "catena migratoria" che trascina verso i vari Nord le persone
      che fuggono dai tanti Sud.

Ci sono diverse situazioni e diversi bisogni.
Si dice che la migrazione fa parte della vita dell’uomo, che spesso è forzata da
un’economia che uccide o da spietate dittature, ma non bisogna dimenticare che dietro
ogni migrazione c’è una vicenda umana.

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QUESTA POVERA ITALIA (DATI STATISTICI)

Ed ora approfondiamo il tema cominciando ad illustrare qualche grafico sulla
povertà dell’Italia prima dell’avvento del boom economico.

                                   Italia 1951: grande miseria

                        fonte: "Commissione Parlamentare sulla miseria 1951"

Famiglie che non consumavano mai zucchero, vino e carne                     869.000 (7,5%)

Famiglie che vivevano in case sovraffollate, tuguri o grotte              2.793.000 (24,1%)

Abitazioni senza latrina                                                            95,0%

Vani a disposizione di ogni abitante del rione Monti a Roma                         0,37

Gabinetti presenti alla borgata Giordani di Roma                           1 ogni 200 persone

Suicidi per miseria a Napoli sul totale                                             49,0%

Abitanti in condizione di “estremo disagio” a Matera                                94,5%

Questo grafico mostra la situazione disastrata dell’Italia nell’immediato dopoguerra: si
può notare che in città come Matera praticamente tutta la popolazione viveva in
pessime condizioni. Era assolutamente necessario porre rimedio a tutto questo.

                            Italia 1951: salario e potere acquisto

                        fonte: "Commissione Parlamentare sulla miseria e
                    Sommario statistiche storiche italiane 1861-1955”, Roma, 1958

   -   salario medio giornaliero in lire :

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- prezzi medi al consumo in lire :

Confrontando gli ultimi due grafici ovvero quello sul salario medio e quello sui prezzi medi, si può notare
che un comune bracciante, col suo salario poteva permettersi ben poco.
Vivere in queste condizioni era quasi impossibile ed emigrare era la sola via d’uscita.
Un fattore determinante per il flusso migratorio Sud – Nord Italia era la pessima situazione economica
della maggior parte dei lavoratori del Sud.

         Case del Veneto nel 1961: strascichi di miseria alla vigilia del boom

                                       Case del Veneto nel 1961
                  fonte: "Paese Veneto", di Ulderico Bernardi, ed. Il Riccio, Firenze 1987

Questo grafico mette in evidenza le condizioni di vita
degli italiani nel Veneto ma è facile immaginare che
questa situazione si vivesse in gran parte del
paese.
La popolazione si trovava a vivere in una situazione
di disagio, lo stipendio dei lavoratori in moltissimi
casi non bastava neanche per comprare beni di
prima necessità.
La vita non era facile e si può vedere dal grafico
che persino l’acqua corrente mancava nella metà
delle abitazioni.
È evidente che le condizioni igenico-sanitarie della
popolazione erano pessime.
A questa popolazione, oltre a dare il cibo bisognava
anche trovare una casa, il problema era immenso.

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Percentuale di analfabeti nel 1931

fonte: sito www.bibliolab.it su dati tratti da "Storia della scuola in Italia dal Settecento ad oggi" di Genovesi
                       ed. Laterza e La scuola in Italia, di Marcello Dei, ed. Il Mulino

Un altro grande problema, che andava ad aggiungersi a tutti gli altri, era il fatto che
circa 1/5 della popolazione fosse analfabeta. Questo 20% avrebbe fatto fatica ad
inserirsi in qualsiasi settore lavorativo che non fosse l’agricoltura, per loro emigrare era
ancora più difficile, ma una volta emigrati non sarebbero riusciti a difendere i loro
interessi o a sfruttare i loro diritti (basti solo pensare che molti operai chiamati dalla
FIAT per un colloquio di lavoro si acquistavano il biglietto da soli senza essere a
conoscenza del fatto che questo doveva essere pagato dalla FIAT).

                                 Percentuale di analfabeti nel 1961

fonte: sito www.bibliolab.it su dati tratti da "Storia della scuola in Italia dal Settecento ad oggi" di Genovesi
                       ed. Laterza e La scuola in Italia, di Marcello Dei, ed. Il Mulino

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SITUAZIONE GENERALE

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l'Italia era un paese logorato dalla tragedia
appena vissuta.

I problemi da affrontare erano tanti ma bastarono pochi anni di pace e di libera
democrazia per ridare un nuovo volto al Paese, che in breve si ripresentò fiorente e
migliore di prima. Nell'Europa occidentale gli Stati Uniti riuscirono a consolidare in tempi
molto brevi la propria area di influenza, sfruttando soprattutto lo stretto legame tra aiuti
economici e richieste politiche.

Il piano Marshall* fu lo strumento fondamentale di questa politica: gli U.S.A. fornivano a
condizioni favorevoli materie prime, macchinari, navi, ecc…, in modo da scacciare lo
spettro della fame, aiutare la ricostruzione e far decollare nuovamente la produzione
industriale; per contro però, ponevano condizioni economiche (come l'acquisto di
manufatti statunitensi) e, soprattutto politiche. Gli U.S.A. subordinarono di fatto gli aiuti
del piano Marshall a interventi nella politica interna delle nazioni interessate, cui davano
"consigli" sul comportamento da tenere nei confronti dei sindacati, dei partiti di sinistra,
della politica estera.

                                               Nel 1948 l'Italia era un Paese in gran parte
                                               agricolo, tanto che l'industria occupava solo il
                                               17% dei lavoratori: in poco meno di trenta anni
                                               essa si sviluppò e arrivò ad occupare il 32% dei
                                               lavoratori, mentre l'agricoltura perse il 30% degli
                                               addetti ai lavori. Furono soprattutto le piccole
                                               e medie aziende, grazie alla loro flessibilità ed
                                               alla capacità di adattarsi rapidamente alle
                                               necessità del mercato, la base d'affermazione
                                               dell'economia italiana.

                                               Un altro fattore di sviluppo dell'economia fu la
                                               costruzione, da parte dello Stato, di una fitta rete
                                               autostradale che rese agevoli e veloci le
                                               comunicazioni e i trasporti fra le regioni del
                                               Paese e gli altri Stati europei.

Era un enorme giro di ricostruzioni: case, strade, ferrovie ecc… questo creava molti
posti di lavoro, in più cresceva anche il benessere e quindi ripartirono i consumi.
Bisognava produrre di più, che in quei tempi voleva dire ingrandirsi e assumere.

In quel periodo alcune industrie esistenti si potenziarono sino a divenire grandi
multinazionali come ad esempio la Fiat, specializzata nel settore automobilistico.

                                  * Marshall è il nome del segretario di stato americano che lo attuò tra il 1948 e il 1952

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BOOM ECONOMICO

Fra il 1952 e il 1963 il reddito pro-capite in Italia
ebbe un incremento molto superiore rispetto a
quello conosciuto da tutti gli altri paesi Europei,
ciò consentì una vera e propria rivoluzione nei
consumi. Il decollo industriale Italiano fu favorito
dall'adesione      nel   1951       alla   Comunità
economica europea (Cee), istituita con i Trattati
di Roma ed entrata in vigore il 1° Gennaio 1958.
Negli anni compresi tra il 1958 e il 1963
l'industria italiana conobbe uno straordinario
sviluppo, soprattutto nei settori della meccanica,
della chimica e dell'elettricità, tanto che si parlò di
un vero e proprio miracolo economico. L'Italia
divenne la settima potenza industriale del
mondo. Tuttavia l'economia Italiana continuò a presentare due volti differenti: il Sud
rimase arretrato e povero, con un'agricoltura ancora in gran parte latifondistica, senza
infrastrutture (strade, centrali elettriche, porti ecc.) non in grado di consentire
l'insediamento d'industrie, che invece rimasero concentrate al Nord nel "Triangolo
industriale" Milano-Torino-Genova.
L’emigrazione ha “impoverito” il Sud, ha contribuito alla crescita delle disuguaglianze.
Il Sud ha vissuto una forte fuga di manodopera e non è riuscito ad entrare nel circolo
dell’industrializzazione, (si intende che le industrie non si insediavano al Sud).

LE MIGRAZIONI INTERNE

                                                        Le prime migrazioni in Italia hanno
                                                        avuto carattere agricolo i pastori
                                                        portavano le loro greggi a pascolare
                                                        assai lontano dalle montagne, nelle
                                                        pianure     sottostanti;    i    mietitori
                                                        accorrevano in frotte nel Tavoliere delle
                                                        Puglie e in altre zone coltivate
                                                        intensamente a grano; inoltre,          il
                                                        raccolto e la monda del riso avevano
                                                        sempre attirato manodopera stagionale
                                                        prevalentemente femminile dalle altre
                                                        regioni confinanti con la Lombardia.

                                           Il secondo dopoguerra vide l'Italia
                                           diventare in pochi anni un paese
                                           industriale; questo provocò un grosso
                                           movimento migratorio che ebbe come
effetto un gigantesco mescolamento di popolazione al suo interno.

L'avvento dell’ industrializzazione infatti richiese forti contingenti di lavoratori
dagli altri paesi e soprattutto dalle campagne: le città si popolarono e crebbero in modo
vertiginoso.

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Dal 1946 ad oggi circa sei milioni di italiani emigrarono all'estero, mentre negli stessi
anni altri 17.000.000 di italiani cambiarono residenza, trasferendosi per motivi di lavoro
da una parte all'altra del Paese, ma soprattutto
nelle città industriali del Centro- Nord. Fu
soprattutto nel corso degli anni Sessanta che
un imponente flusso migratorio portò molti
lavoratori dalle aree agricole del Mezzogiorno
verso le regioni e le città industrializzate
dell’Italia del Nord che potevano garantire posti
di lavoro nelle loro fabbriche. Tipico è il caso di
Torino dove gli stabilimenti FIAT assorbirono
grandi quantità di manodopera, al punto che in
alcuni reparti più dell'80% degli operai era di
origine meridionale.

LA CASSA DEL MEZZOGIORNO
Nel dopoguerra l’economia del Sud Italia, come visto in precedenza, era ancora molto
arretrata; così il governo di allora cercò un modo per incentivare lo sviluppo al Sud.
Il rimedio sembrava essere la "Cassa del mezzogiorno" che venne istituita nel 1950 e
fu seguita da una legge del 1953 di credito agevolato.
Il progetto consisteva nello stanziamento di 1000 miliardi di lire (circa 7 miliardi di
franchi all’epoca) da destinare alle industrie che si fossero localizzate sotto una linea
immaginaria che si trovava a sud di Roma.
La linea fu tracciata lì, perché si stimava che in quel area risiedeva una percentuale pari
al 38% della popolazione nazionale, quindi gli aiuti avrebbero toccato moltissime
persone.
La cassa del Mezzogiorno era un incentivo che serviva per invogliare le industrie a
stabilirsi nel sud Italia, così facendo avrebbero contribuito a sviluppare questa area.
Inoltre vi era la concessione di esenzioni fiscali e di contributi a fondo perso a tutti
coloro che volevano creare attività industriali nel sud.
Spesso succedeva che chi decideva di stabilire la propria attività sistemasse le sue
industrie il più vicino possibile alla linea di divisione della penisola dato che il mercato
non era certo nel sud Italia bensì al nord; in tal caso i prodotti giungevano molto più
rapidamente nella Pianura Padana e loro potevano comunque usufruire dei sussidi e
delle esenzioni da tasse.
Nel mezzogiorno e nelle isole furono create grandi aziende chimiche siderurgiche e
meccaniche dette "Cattedrali del deserto", si pensava che esse avrebbero dato lavoro a
milioni di disoccupati ma anche che avrebbero potuto produrre e vendere a condizioni
convenienti e che intorno si sarebbe potuto sviluppare il cosiddetto indotto costituito da
tante piccole aziende private al servizio dell’azienda pubblica.
Purtroppo non fu così perché le grandi aziende che furono costruite erano poco
efficienti e molto inquinanti. I loro dirigenti furono nominati molto spesso per motivi
politici anche se non avevano esperienza industriale. Le industrie costruite nelle
cosiddette zone depresse si rivelarono troppo grandi e troppo costose. In pochi anni
sperperarono quantità consistenti di denaro pubblico senza riuscire a creare né un
indotto né uno sviluppo economico.

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IL MECCANISMO PERVERSO DEI DAZI

Il governo italico decise di introdurre dei dazi doganali per disincentivare le importazioni,
questo rappresentò un vantaggio per gli industriali che producevano e vendevano
all’interno dei confini dello Stato, perché ora non temevano più la concorrenza estera e
potevano quindi vendere i loro prodotti a prezzi più alti.
Dall’altra parte i consumatori si trovano con un potere d’acquisto più basso e tutti coloro
che esportavano vedono i loro utili diminuire perché gli altri paesi, ad esempio la
Francia, rispose ponendo a loro volta dazi sulle merci italiane.
Questi dazi sono solo serviti ad arricchire ulteriormente le grandi industri, come la FIAT,
e ad impoverire i piccoli artigiani e il popolo.
Tutto ciò può significare che il governo tenesse la parte alle grandi industrie.

IL RUOLO DEL GOVERNO

Per assicurare maggiore stabilità ai governi la Democrazia cristiana decise di avviare un
dialogo con il Partito socialista, creando così una sorta di coalizione di centro-sinistra. I
primi governi di centro-sinistra realizzarono alcuni importanti riforme:

           •   Elevazione dell’obbligo scolastico da 11 a 14 anni;
           •   Nazionalizzazione delle aziende che producevano energia elettrica;
           •   Potenziamento della Cassa del Mezzogiorno;
           •   Riforma degli ospedali e della sanità;
           •   Miglioramento dei trasporti urbani;
           •   Abolizione dei contratti di mezzadria.
           •   Abolizione dell’avviamento professionale e istituzione della scuola media
               unica.

I governi pensavano che il paese si sarebbe sviluppato più rapidamente allargando la
presenza dello Stato nell’economia; inoltre, queste riforme contribuirono a dare un
notevole impulso al mutamento sociale ed economico che già negli anni precedenti era
stato intenso.

LE CAUSE DELLO SQUILIBRIO NORD-SUD

Attorno al 1950, l'industria italiana, da poco uscita dalle rovine della guerra, è
impegnata nella ricostruzione.
Dopo la ricostruzione l'economia meridionale, nonostante uno sviluppo generale, vede
diminuire il suo peso sull'economia nazionale.
L'agricoltura del Sud conosce un certo sviluppo, ma nello stesso arco di tempo lo
sviluppo dell'agricoltura del Nord è molto più rapido.
Analogamente, mentre nel 1951 l'industria meridionale rappresenta il 14,9% della
produzione industriale nazionale, nel 1960 essa passava al 14,6%, sostanzialmente
rimane uguale anche se arriva il boom economico e il Nord cresce a dismisura.
Quanto alle attività terziarie, queste erano passate, nel Mezzogiorno, dal 23,4% (nel
1951) al 23,0% (nel 1960).
Complessivamente, la parte di prodotto nazionale proveniente dal Mezzogiorno passa
in dieci anni dal 23,4 al 21,2% del totale.
Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT          Pagina 12 di 35
Lo squilibrio tra le due parti del paese si aggrava col passare del tempo, il Sud
                   non migliora mentre il Nord avanza rapidamente.
I contadini devono costituire il cosiddetto esercito industriale di riserva, cioè una massa
di lavoratori da trasformare in operai soltanto se l'industria italiana fosse entrata in una
fase di espansione, erano una specie di riservisti.
L’afflusso massiccio di contadini poveri dal Sud al Nord andrebbe a ingrandire la massa
già immensa dei disoccupati creando una serie di tensioni sociali gravissime.
A questo punto, la politica di riforma manifesta contraddizioni nelle proprie decisioni.
L'obiettivo della riforma agraria é accontentare la richiesta di terra dei contadini
meridionali, e bloccare un movimento di massa ormai pericoloso, con la riforma
agraria si raggiunge l’obbiettivo.
In seguito gli interventi di bonifica e di finanziamento della Cassa del Mezzogiorno
cominciano a diventare più selettivi, meno indiscriminati, concentrandosi cioè in
prevalenza su quella che viene definita la polpa del Mezzogiorno - le zone fertili
costiere, la piana del Volturno, ecc. - lasciando perdere l'osso, e cioè le zone montane
scarsamente produttive, se non del tutto sterili.
Si cerca cioè di finanziare un'agricoltura altamente meccanizzata, basata su
colture specializzate, in grado di produrre a prezzi competitivi per i mercati
europei. E' una soluzione logica, dal punto di vista strettamente economico. Ma in
questo modo i milioni di contadini che vivevano una vita stentata nelle zone che
costituivano l'osso del Mezzogiorno, vengono abbandonati a se stessi.

L'EMIGRAZIONE VERSO I CENTRI INDUSTRIALI

Anche negli anni '50 la soluzione provvisoria delle contraddizioni del Mezzogiorno
viene dall'emigrazione. Ma, a differenza della grande emigrazione che si era attuata tra
'800 e '900, questa non è diretta soltanto verso l'estero, che in quegli anni significa
specialmente il Belgio, ma soprattutto verso l’interno, verso l’Italia settentrionale e in
particolare il triangolo economico. L'impetuoso sviluppo dell'industria del Nord
negli anni del "miracolo economico", provoca un fenomeno di migrazioni interne
senza precedenti nella storia d'Italia, sia per le sue dimensioni, sia per le
trasformazioni sociali cui esso dà luogo. Le persone lasciano le campagne con la
prospettiva di trovare lavoro e benessere nella macchina produttiva del Nord, ovvero
l’industria.

MIGRANTI DAL NORD E MIGRANTI DAL SUD
Per chi lasciava le campagne del Nord la situazione era, in genere, più favorevole.
C'era una forte corrente migratoria dalle zone collinari povere di alcune regioni
(soprattutto del Veneto) verso città lontane come Milano e Torino.
Ma nella maggior parte dei casi si trattava di andare dalla campagna al capoluogo di
provincia, o a un grosso paese in cui erano nate delle industrie.
In questi casi gli spostamenti erano limitati (poche decine di chilometri) o addirittura
inesistenti: molti potevano continuare a risiedere dov'erano prima, e limitarsi a cambiare
mestiere.
In termini di condizioni di vita, di abitudini, di integrazione nell'ambiente sociale
circostante, i cambiamenti erano modesti e non drammatici.

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT         Pagina 13 di 35
Ben diverso era, invece, il caso di chi abbandonava la campagna meridionale.
Qui, essendo mancato - o assai ridotto nelle sue dimensioni - uno sviluppo industriale
moderno, partire significava fare non decine, ma centinaia e anche migliaia di
chilometri.
Significava passare in un mondo diverso, caratterizzato da abitudini, mentalità diverse e
spesso ostili.
Il quartiere di San Salvario a fianco della stazione di Porta Nuova a Torino è stato per
anni il primo approdo degli immigrati dal Sud, che appena arrivati cominciavano a girare
per quelle strade alla ricerca di un alloggio.
In un clima di diffidenza, spesso l'unica soluzione era rappresentata dalle pensioni ed
affittacamere che noleggiavano i letti secondo i turni di lavoro delle fabbriche.
Si calcola che da tutto il Paese circa 6.000.000 di italiani si trasferirono al Nord,
mettendo in crisi le amministrazioni comunali delle grandi città che, soprattutto nei primi
anni, non seppero offrire loro case adeguate, scuole, ospedali, strade e tutte le altre
attrezzature civili che caratterizzano una città progredita.
Intere comunità di immigrati che non potevano permettersi una casa nei quartieri più
centrali e che non riuscivano a trovare alloggi nei quartieri operai delle città industriali, si
concentravano in enormi quartieri dormitori sorti nelle periferie dotate di pochi servizi
pubblici e lontani dal centro.
Le migrazioni interne richiedono agli inizi gli stessi gravi sacrifici personali di quelle
all'estero: lasciare a casa la famiglia, andare a lavorare da soli nelle grandi città,
cambiare attività lavorativa, vivere in una camera d'affitto con più compagni da lavoro o
in una baracca, cucinarsi da soli i cibi se non vi è la mensa aziendale della fabbrica,
risparmiare i soldi da inviare a casa, acclimatarsi al nuovo ambiente di lavoro e alla
nuova mentalità, e, infine, se il lavoro sarà sicuro, il salario sarà giusto, affrontare il
problema della chiamata della famiglia.
Questo comporta trovare una casa a poco prezzo nei quartieri più modesti o nei dintorni
della città in cui si lavora, pagare le spese del trasferimento della famiglia e del trasloco
dei pochi mobili, e poi subito dopo affrontare e risolvere tutti i problemi educazione dei
figli, della scuola nuova, del trovare lavoro ad altri membri della famiglia perché questa
possa sostentarsi in una società e in un gruppo sociale straniero che praticamente
saranno avversi all'emigrato.

LO SVILUPPO ECONOMICO-SOCIALE DELL'ITALIA NEGLI ANNI
SESSANTA (APPROFONDIMENTO)

Introduzione:
Negli anni ‘60 sbocciò il benessere; alla fine del 1965 oltre la metà delle famiglie aveva
un frigorifero, il 49% un televisore, il 23% una lavatrice, le case in costruzione
aumentarono a dismisura, ecc.
Gli occupati nell'industria erano quasi 7 milioni, il doppio della gente che lavorava nei
campi, mentre crebbero gli studenti, gli impiegati e le casalinghe.
L'Italia era così sicura di un futuro sereno che il servizio di leva fu ridotto da diciotto a
quindici mesi. Si lavorava meno e in condizioni migliori, c’era molto più tempo libero.
Dal punto di vista socio culturale l'aspetto prevalente degli anni sessanta fu quello
dell'instaurarsi di costumi propri del consumismo capitalista. Durante questi anni la
famiglia italiana passò dal risparmio al consumo.

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT            Pagina 14 di 35
Bisogna sottolineare che ciò avvenne anche perché la famiglia non aveva abbastanza
capitali per investirli in beni durevoli.
Le famiglie italiane, da allargate che erano, tendevano a divenire nucleari: capitava più
spesso che fosse solo un membro a procurare il denaro per tutta la famiglia.
Dopo la tv si poteva aspirare a possedere anche un'autovettura (di preferenze la
"grandiosa" FIAT 600). Si passò dalle 342.000 vetture immatricolate negli anni
cinquanta ai 4.670.000 veicoli circolanti a metà del sessanta. Per far fronte a tutti questi
veicoli si programmò la costruzione di un’estesissima rete autostradale, che in breve
tempo divenne la seconda d'Europa dopo quella della Germania.
Naturalmente la FIAT non era estranea a questa scelta che privilegiò il trasporto su
ruote rispetto a quello su rotaia, fatto che finirà per creare giganteschi problemi di
viabilità.
Così molte famiglie erano costrette a comprarsi la macchina soprattutto perché dei
mezzi pubblici non se ne vedeva traccia.
Altro dato importante di questo periodo fu la massiccia migrazione della popolazione dal
sud nelle regioni del nord. Città come Milano e Torino, dove un cittadino su nove
lavorava alla FIAT, videro aumentare il numero degli abitanti.
Di conseguenza si verificò una violenta e incontrollata urbanizzazione, mentre aumentò
la speculazione edilizia.
Per tutti gli anni del boom economico erano aumentati i profitti, era aumentata la
produzione e gli investimenti, ma i salari erano rimasti sempre i soliti.
Faticosamente, fra il 1962 ed il 1963, i sindacati riuscirono a cambiare rotta.
Però per resistere al conseguente aumento dei prezzi, ed alla crisi economica dovuta
anche alla minore competitività delle merci sui mercati esteri, nonché al crescente
disavanzo della bilancia commerciale, la banca d'Italia dovette attuare una pesante
stretta creditizia. Tutto ciò causò una fuga di capitali all'estero e un notevole calo degli
investimenti con conseguente caduta dell'occupazione.
Chi ha subito i colpi più duri è stata la manodopera femminile, ma ne risentì anche
quella maschile. Ciò causerà seri problemi sia a livelli pensionistici, (infatti aumentarono
ulteriormente le pensioni di invalidità), che a livello scolastico. In questi anni le scuole
cominciarono ad essere considerate aree di "parcheggio" per la forza lavoro giovanile in
attesa di occupazione, anche se poi, ottenuto il titolo di studio, spesso il lavoro diventa
solo un miraggio. Tutto ciò spiega abbondantemente la grande protesta degli studenti
medi che, manifestatasi per la prima volta nel biennio 1968/69, finirà per diventare una
delle costanti della vita italiana.
Lo stato cercò di risolvere l'economia rilanciando l'industria pubblica e trasferendo al
sud l'industria pesante.
Gli investimenti nel Mezzogiorno aumentarono notevolmente e furono compiute
generose assunzioni nell'amministrazione pubblica. Il tutto ha comportato un aumento
della spesa pubblica e nuovi oneri fiscali che caddero soprattutto sui lavoratori
dipendenti: con la riforma del sistema fiscale, nei primi anni sessanta la quota spettante
al fisco viene prelevata direttamente dalla busta paga, senza che il contribuente debba
fare alcun sforzo.
Gli industriali del Nord cercarono di reagire alla crisi decentrando la produzione,
aumentando i ritmi di lavoro e lasciando peggiorare le condizioni di vita in fabbrica.
In questo periodo viene incentivata la produttività mediante aumenti salariali.
Quindi la ripresa della crescita produttiva, dopo il 1967 è legata principalmente al
massimo sfruttamento del lavoro operaio.
Anche fuori dalle fabbriche la situazione non era facile: i servizi pubblici sono scarsi e di
cattiva qualità. Lo stato spendeva molto, ma male. Tutto ciò avveniva mentre gli
industriali invece di reinvestire i profitti preferivano trasferirli in luoghi più sicuri, dando il
via ad una vera e propria industria dell'espatrio clandestino di capitali. Tutta questa
situazione esplose fra il settembre ed il novembre del 1969, in occasione del rinnovo

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT               Pagina 15 di 35
contrattuale dell'industria. L'azione sindacale venne profondamente mutata, rispetto ai
decenni precedenti, ed al centro delle rivendicazioni non vi era più soltanto la richiesta
di un maggior salario, ma anche quella di migliori e più umane condizioni di lavoro.
Nonostante le difficoltà incontrate il movimento sindacale riuscì ad ottenere clamorosi
successi. Oltre agli aumenti salariali, al miglioramento delle condizioni di lavoro, si
ottenne l'importantissimo statuto dei lavoratori, attraverso il quale si attuava un ampio
controllo sindacale, si impediva agli imprenditori di licenziare liberamente. A tutto ciò si
aggiunse l'abolizione delle "gabbie salariali", che permettevano di erogare al sud
stipendi inferiori che al nord e l'approvazione delle 150 ore. Si trattava di ore di
permesso, servendosi delle quali i lavoratori avrebbero potuto riprendere a studiare e
quindi riqualificarsi.
In conclusione si può dire che, alla fine del decennio sessanta, gli imprenditori ebbero
ciò che si meritavano. Infatti avevano creduto di risolvere la crisi del 64/66 riducendo gli
investimenti ed aumentando i ritmi di lavoro, ora si ritrovavano le fabbriche piene di
impianti vecchi e di operai ribelli.
Bisogna ricordare che però fra il 1964 ed il 1969, i consumi e i redditi degli italiani
continuarono ad aumentare.

Lo sviluppo economico nella seconda metà degli anni sessanta:
Il periodo compreso tra il 1964 e il 1969 può essere suddiviso in due momenti
qualitativamente assai significativi, che ancora oggi fanno discutere. Il primo momento è
rappresentato da una crisi economica del tutto imprevista che, apertasi alla fine del
1963, esplose a pieno nel 1964 e fu superata solo alla fine del 1965. Si trattò di una
crisi che apparve allora temporanea e in seguito fu considerata una specie di
preannuncio della grande crisi del 1970.
Tutte e due le ipotesi sono fondate: la crisi del 1964-65 fu l'espressione di un momento
negativo ampiamente superato nel quadriennio successivo e fu allo stesso tempo
un'anteprima di quello che sarebbe successo negli anni seguenti.
Il secondo momento è quello della ripresa, dei primi passi della programmazione
economica e della riaffermazione del libero mercato, secondo una logica diversa dal
passato. In questo periodo che va dal 1966 al 1969 si ebbe la crescita del prodotto
interno lordo, dopo il periodo di rallentamento del 1964.
Pur nettamente distinguibili tra loro, questi due sottoperiodi sono accumulati da un
nuovo quadro politico, il centro-sinistra, sorto con l'intento di modificare le linee della
politica economica del periodo precedente. Sulla carta il disegno dell'intervento dello
stato era abbastanza dettagliato; nei fatti le autorità di politica economica dovettero fare
i conti con due ostacoli imprevisti alla realizzazione dei programmi elaborati: la crisi del
1964-65 e l'affermazione di un nuovo modello spontaneo di sviluppo che fu chiamato
"intensivo".

La crisi del 1964-65
Nel 1964 il governo di centro-sinistra, nato nel 1963, dovette far fronte a due impegni
urgentissimi: far fronte all'inaspettato e preoccupante squilibrio della bilancia dei
pagamenti e contrastare le spinte inflazionistiche generate dalla crescita del costo del
lavoro.
Abbiamo visto come il costo del lavoro incrementò nei primi anni sessanta. L'offerta di
lavoro, alimentata dall'esodo agricolo, si rivelò niente affatto illimitata e la manodopera
incominciò a scarseggiare. I salari presero ad aumentare, da prima per effetto delle
leggi del libero mercato e poi a seguito dell'azione sindacale. I consumi interni crebbero

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT         Pagina 16 di 35
velocemente, i prezzi incominciarono a salire, le esportazioni non erano più competitive
sui mercati esteri e le importazioni rallentarono notevolmente.
L'emergere di questa situazione negativa bloccò i progetti di riforma del governo e
obbligò la banca d'Italia a prendere, tra la fine del 1963 e l'inizio del 1964, una serie di
misure anticrisi: furono innalzati i tassi di interessi. In Italia ci si accorse che l'unica
strada praticabile per contrastare queste situazioni negative era rappresentata soltanto
dalla politica monetaria.
In effetti nel 1964-65 le modalità di intervento ebbero pieno successo. Quando la
liquidità scarseggia, il credito è razionato, il tasso di interesse aumenta in misura
rilevante e i pagamenti verso l'estero vengono assoggettati a vincoli onerosi, le imprese
si vedono costrette a risparmiare su tutti i fattori di produzione; riducono così le scorte,
effettuano licenziamenti, rinviano i piani di investimento.
Tutti questi comportamenti hanno un effetto negativo sulla domanda e
conseguentemente sul livello di attività. Diminuisce, quindi, anche la domanda di
importazioni mentre le imprese cercano nei mercati esteri la domanda che è venuta a
mancare sui mercati interni, favorendo le esportazioni.
In questo modo la bilancia dei pagamenti migliora.
Contemporaneamente, sul mercato interno delle merci accade che la caduta del
prodotto interno lordo, si accompagna a una consistente riduzione di tutte e due le
componenti della domanda finale interna: gli investimenti e i consumi delle famiglie,
perché il reddito di queste è colpito dal ritorno della disoccupazione, con il risultato di
una stabilità artificiale dei prezzi che allontana lo spettro dell'inflazione.
Negli anni sessanta siamo ancora lontani dal benessere diffuso. Nelle strade circolano
ancora le vecchie 600, i televisori sono in bianco e nero, la vecchia catena di montaggio
domina in tutte le fabbriche. Nel periodo compreso tra il 1964 e il 1969 il governo, che
aveva dovuto rinunciare al suo piano iniziale, fu costretto a trovare un compromesso
per salvare l'Italia. Così dapprima (1964-65) prese le misure anticrisi e successivamente
(nel 1966), in sintonia con la ripresa, rilanciò l'idea di programmare un piano di riforme
approvando il piano di sviluppo economico per il quinquennio 1967-1971 presentato dal
ministro Pieraccini.
Gli industriali reagirono a questo periodo di crisi modificando il loro assetto produttivo e
finanziario, le modalità di impiego della forza lavoro e il modello di sviluppo dell'intera
economia.

La ripresa del 1966-1969
I tassi di crescita annua del PIL reale tornano ad essere elevati come all'epoca del
miracolo economico, gli operatori ritrovarono fiducia nelle prospettive economiche. Con
la crisi del 1964-65 il sistema si era allontanato dalla piena occupazione, molti lavoratori
avevano preso il posto e altri non riuscivano a trovare il primo impiego: in un certo
senso si erano ricostituite le condizioni che negli anni cinquanta avevano alimentato
un'offerta illimitata di lavoro con cui frenare la dinamica salariale, tenere basso il costo
del lavoro e ampliare l'occupazione a buon mercato.
In effetti i salari frenarono la loro corsa dopo l'impennata registrata durante il miracolo e
i costi di produzione diminuirono: Ciò nonostante la domanda di lavoro ristagnava.
La crescita sostenuta del prodotto interno lordo non si basò su un incremento
dell'occupazione, ma esclusivamente su una straordinaria espansione della produttività
del lavoro. Contemporaneamente quella sorta di blocco della domanda di lavoro si unì
con il blocco dell'offerta che suscitò all’ora vivaci discussioni.

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT          Pagina 17 di 35
Il blocco della domanda, invece, è da considerarsi il perno su cui hanno ruotato tutti gli
eventi successivi (la grande crisi degli anni settanta, la fine prematura dell'idea di
programmazione dell'idea economica, la nascita dello stato assistenziale, la rivoluzione
tecnologica degli anni ottanta).

CONSUMI

Negli anni ‘50 e ’60, quando ebbe inizio il "boom economico", si ebbe anche una
grande proliferazione di oggetti che la ripresa della produzione industriale metteva a
disposizione delle persone le quali, grazie ad una maggiore disponibilità economica,
potevano acquistare.

SCOOTER: questo oggetto ebbe il suo sviluppo nei
primi anni del boom economico e fu davvero una
bella scoperta perché nel giro di due o tre anni tutti
ne possedevano una. La prima azienda a immetterla
sul mercato fu la Piaggio dopo di che si immise la
mitica Lambretta.

                                                TELEVISIONE: Questo oggetto invece ebbe il
                                                suo sviluppo verso il 1954 quando incominciò
                                                ad entrare nelle case dei più facoltosi e ricchi
                                                italiani e nei ritrovi pubblici come bar e sala da
                                                biliardo. Nel 1960 tutti si riunivano nei bar o in
                                                casa di chi possedeva il televisore, per
                                                assistere ai programmi più famosi del tempo
                                                come LASCIA O RADDOPPIA condotto da
                                                Mike Bongiorno o le famose Olimpiadi di
                                                Roma.

L’AUTOMOBILE: ebbe il suo sviluppo nel
1960 con la fine delle olimpiadi di Roma e deve
la sua grande diffusione e popolarità ai grandi
miglioramenti delle strade e alla costruzione
delle prime autostrade. L’azienda leader di
quegli anni fu la F.I.A.T, una industria che
crebbe e prosperò dando un contributo
significativo all’intera economia italiana. Fu
Giovanni Agnelli a guidare l’azienda sulla falsa
riga di Henry Ford, indirizzandone la
produzione verso modelli di serie destinati a
una fascia più larga di utenti.

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT               Pagina 18 di 35
LA CAMBIALE: è lo strumento che insieme agli
oggetti entrò nelle case di molti italiani perché
consentì l’acquisto di elettrodomestici e altri beni
durevoli anche senza avere a disposizione subito
il contante; l’istituto poligrafico dello stato stampò
tanti tipi di "pagherò" che diventarono lo
strumento per circondarsi subito di tante
suppellettili.

                                              TURISMO ALL’ ITALIANA: Verso gli anni 55
                                              fino agli anni 60-62 la costiera romagnola ebbe
                                              il suo boom: italiani e non incominciarono per le
                                              vacanze a venire qui in Italia. Gli albergatori
                                              affittavano stanzette con tutti i confort per la
                                              modica cifra di 600-1000 al giorno verso il 1959
                                              la voce "divertirsi" diventò un imperativo, e tutto
                                              ciò venne costatato dall'improvviso aumento dei
                                              bilanci familiari. Ogni persona spendeva quasi
                                              3000 lire per spettacoli e manifestazioni e 2500
                                              per il cinema.

CENTRI      COMMERCIALI:         le    persone
incominciarono a frequentare i centri
commerciali, mentre fino a poco tempo prima
conoscevano solo il piccolo negozietto a
gestione famigliare. Le persone non
andavano solo per fare la spesa ma anche
per incontrarsi e passare un po’ di tempo.

RADIO: essa ebbe il suo sviluppo alla metà
degli anni 60 quando le persone
incominciarono a richiedere cose diverse
dalla TV, nacquero vari programmi radiofonici
condotti da persone che divennero molto
famose.

Le migrazioni Sud-Nord Italia dal dopoguerra ad oggi: un caso FIAT              Pagina 19 di 35
FIAT E OLIVETTI

Tra i principali gruppi del "triangolo industriale" Milano, Genova, Torino, la FIAT e
l’Olivetti furono tra i primi nel dopoguerra ad affrontare un processo di riorganizzazione
aziendale con l’apertura verso il mercato internazionale.
FIAT è la sigla della Fabbrica Italiana Automobili Torino, una società automobilistica
costituita nel 1899 sotto la guida di Agnelli.
A partire dal 1915 la FIAT partecipò attivamente alle forniture belliche, ascendendo in
tal modo al terzo posto tra le industrie italiane, dopo l’Ansaldo e l’Ilva.
Nel dopoguerra la FIAT intensificò la produzione e l’esportazione di auto, promuovendo
il considerevole sviluppo della motorizzazione privata.
La possibilità di produrre a costi decrescenti dipendeva, da un lato, dal massimo
sfruttamento degli impianti, di pari passo con la sostituzione dei macchinari più obsoleti;
dall’altro, dall’allargamento del mercato interno, in presenza di un aumento generale del
potere di acquisto, e da una graduale liberalizzazione degli scambi.
Si può dire, in sintesi, che la FIAT fu un asse portante del modello di sviluppo
caratteristico del "miracolo economico" italiano degli anni ‘60, avendo esteso, in quegli
anni, la sua presenza all’estero sino a diventare un gruppo multinazionale.
All’ inizio degli anni Sessanta, infatti, più della metà della popolazione torinese viveva
direttamente del lavoro del gruppo FIAT, ma consistenti frange di addetti alle attività
terziarie, al commercio e ai servizi operavano ai margini del vasto giro di interessi
alimentato dalla principale impresa motrice e dalle sue affiliate. Inoltre la continua
crescita della produzione automobilistica e delle costruzioni accessorie aveva
richiamato a Torino e nella sua cintura, fra il 1951 e il 1961, un continuo flusso
migratorio, specialmente dalle zone depresse del Mezzogiorno e dalle campagne più
povere dell’entroterra regionale.
Altrettanto intensa fu la trasformazione dell’Olivetti. Poste le basi fra il 1946 e il 1947 per
un’opera costante di rinnovamento dei sistemi di lavorazione e di controllo, l’azienda di
Ivrea si avvalse degli aiuti governativi e di quelli americani per progettare nuovi impianti
e inaugurare un tipo di produzione standardizzata per categorie differenziate di
consumatori e per una più ampia gamma di impieghi. Fu merito di Adriano Olivetti
l’elaborazione di un piano di sviluppo complessivo, che teneva conto sia dei risultati già
raggiunti dopo il 1937 nel campo delle macchine per scrivere e delle calcolatrici, sia
delle nuove potenzialità offerte dal settore dell’attrezzaggio (rettificatrici, macchine
multiple e speciali, impianti di lavorazione automatizzati).
Sotto il profilo economico la sua espansione si svolse più o meno negli stessi tempi e
con le stesse cadenze di quella della FIAT. Dopo la pausa di "raccoglimento" del 1952-
53, in coincidenza con una breve fase recessiva, il periodo centrale degli anni
Cinquanta rappresentò per l’impresa di Ivrea un momento cruciale. Anche in questo
caso, a innescare uno sviluppo quantitativo senza precedenti e a costi decrescenti,
fondato sul binomio ad ogni livello di tecnica e organizzazione, fu l’impetuosa crescita
della domanda di nuovi beni di consumo durevoli. Fra il 1946 e 1958 il numero delle
macchine per scrivere di tipo standard si moltiplicò per più di quattro volte e mezzo,
quello delle portatili di quasi nove, e quello delle macchine da calcolo e contabili per più
di sessantasei volte.

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STRANIERI IN ITALIA

Le migrazioni dai paesi del sud del mondo è un fenomeno di dimensione planetaria:
negli ultimi 10 anni sono venute anche in Italia moltissime persone alla ricerca di
condizioni di vita migliori di quelle dei paesi d’origine: sono lavoratori che provengono
da molti paesi ancora in via di sviluppo, dove l’economia sociale è molto difficile e la
situazione politica è di grande incertezza. Su 130 milioni di rifugiati e immigrati nel
mondo l’Italia comunque ne ospita poco più di 1 milione.
L'irregolarità ha assunto sempre più consistenza nonostante i provvedimenti di
sanatoria o di regolarizzazione (e comunque è un fenomeno diffuso in tutta Europa): la
maggior parte dei cittadini extracomunitari riescono a trovare un lavoro precario al
Centro Sud della penisola nel settore agricolo, della pesca e dell'edilizia. Il caso italiano
comunque rimane anomalo per l'interesse della malavita che sta attivando una vera e
propria tratta di manodopera e purtroppo di nuovi "schiavi" o "schiave".
Come per i "nostri" primi emigrati italiani, anche per i cosiddetti extracomunitari è molto
difficile trovare un’abitazione, oltre che un lavoro in regola. Gli emigrati sono visti
spesso come elementi di disturbo: vogliono lavorare, ma spesso questi sono costretti ad
accettare lavori "in nero" o, peggio, illegali; hanno bisogno di alloggi e di abitazioni
dignitose, ma il paese ha già i "suoi" senza – casa, i "suoi" poveri, che vivono in
condizioni abitative inadeguate; hanno bisogno di assistenza sanitaria, ma questo è un
servizio che già costa moltissimo e che non soddisfa nemmeno le necessità degli
italiani. E' un vero problema, che comunque certo non si risolve non accettando più
immigrati, poiché le nostre industrie hanno bisogno di loro per poter funzionare e perché
non si può impedire a nessuno di cercare condizioni di vita migliori.
Molte società occidentali sono da lungo tempo multietniche, composte cioè da persone
di etnie differenti. L’Italia si è trovata impreparata di fronte a questo fenomeno: i
provvedimenti del governo sono stati tardivi e sono operativi da poco tempo circa i
nuovi ingressi (vedi la "Legge Martelli"). Dobbiamo comunque prepararci a vivere in
società composte da razze, religioni, etnie diverse: l'importante è trovare un modo per
vivere tutti insieme pacificamente.

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CONCLUSIONE: LE MIGRAZIONI E LA SOCIETÀ MULTIETNICA

I flussi migratori:
Rispetto al passato il mondo contemporaneo è seguito da un considerevole incremento
dei flussi migratori.
Oggi si emigra da tutte le aree povere del mondo verso quelle ricche: la scelta della
destinazione è condizionata da fattori non solo geografici ed economici (dal Centro al
Nord-America, dalla riva Sud a quella Nord del Mediterraneo, dall’Europa Orientale a
quella Occidentale), non solo politici, ma anche culturali (la lingua, la regione, la
presenza di comunità di connazionali).
La portata di questo flusso imponente non è facilmente misurabile, anche perché in
parte considerevole le migrazioni si svolgono in forma clandestina.
Proprio il carattere incontrollabile e, in apparenza inarrestabile del fenomeno costituisce
un problema di non facile soluzione per le economie e per le opinioni pubbliche dei
paesi industrializzati.

La società multietnica:
Diverse sono state le reazioni. Da un lato (sinistra politica) si è manifestata nelle chiese
cristiane, ma anche in una parte della cultura liberale la tendenza a cogliere gli aspetti
positivi dell’immigrazione: non solo l’afflusso di nuova forza lavoro pronta a svolgere
qualsiasi lavoro, ma anche l’ingresso di nuovi valori, usanze e culture.
In questa prospettiva il multiculturalità viene considerato un valore positivo: è così
sostenuta l’idea di una società multietnica, in cui le differenze culturali e religiose siano
adeguatamente protette e valorizzate, soprattutto in ambito scolastico.

La reazione identitaria:
Dal lato opposto, il fenomeno migratorio ha suscitato risposte di ansia e ripulsa (con
punte di vera e propria xenofobia), risvegliando l’antica paura dell’Occidente di essere
sommerso da ondate di popoli più numerosi e demograficamente più vitali.

Questa minaccia, vera o presunta, portata agli equilibri dei paesi ospiti dall’ingresso
degli immigrati (soprattutto se dotati di forte coesione culturale, com’è il caso dei
musulmani) ha accentuato, per reazione, la tendenza alla riscoperta e alla difesa golosa
delle identità nazionali o religiose, già alimentata dalla caduta dei grandi sistemi
ideologici.

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CURIOSITÀ (FILM , TESTI CANZONI, FOTOGRAFIE E ALTRO)

I temi dell’emigrazione e del boom economico sono stati oggetti di diversi film dal
dopoguerra fino ai giorni nostri. Dal 1945 al 1950 il cinema italiano si riscatta con la
ricca e feconda stagione del neorealismo, quando alcuni registi girano, con attori presi
dalla strada, con pochi mezzi e senza sostegni dallo Stato, film che raccontano storie
ambientate nella realtà dell’Italia distrutta dalla guerra come: "La terra trema", "Roma
città aperta" e "Ladri di biciclette". Ecco alcuni dei film più famosi che ritraggono la
realtà del dopoguerra italiano.

                                  LADRI DI BICICLETTE (1948)

A un padre di famiglia che ha trovato un impegno come attacchino nella Roma del
dopoguerra rubano la bicicletta, strumento fondamentale per il lavoro. Disperato, cerca
di rubarne una allo stadio: bloccato e aggredito dalla folla viene lasciato libero davanti
alle lacrime del figlio Bruno che commuovono la gente. Questo film è una delle opere
migliori del neorealismo "centro attorno al quale orbitano le opere degli altri neorealisti",
ed è una lucida e profonda anali della dura realtà di quei anni.

                                          IL BOOM (1963)

Per risollevare i propri affari e pagare i troppi debiti Giovanni Alberti decide di vendere
un occhio a un riccone. Ma arrivato a un passo dell’operazione subentra la paura. Il film
si regge tutto sulla recitazione di Sordi sulla sua abilità nel descrivere le meschinità
dell’Italiano medio.

                                     COSI’ RIDEVANO (1998)

Anche se il film è recente, la storia è ambientata negli anni 50/60, periodo in cui il boom
economico investì il nord e in particolare la Torino della Fiat e degli operai. Il titolo del
film si rifà a una vecchia rubrica della rivista "La domenica del corriere": sull’ultima
pagina comparivano delle barzellette che però non facevano ridere più nessuno, ma
semmai intenerivano per l’ingenuità di un pubblico ormai scomparso. Nella Torino degli
anni 50, centinaia di meridionali arrivavano ogni giorno. Il calabrese Pietro arriva a
Torino e cerca subito il fratello maggiore Giovanni. Lui, già a Torino da qualche anno,
va in giro ben vestito, sembra un signorino, ma si vergogna delle origini e dei propri
segreti. Giovanni vuole che Pietro diventi un bravo maestro. Pietro crede ciecamente
nella bontà di Giovanni, che in realtà è diventato un delinquente. Per amore del fratello
Pietro si auto accusa di un omicidio commesso dal fratello, e rinuncia ad una vita che
poteva dargli riscatto sociale e un lavoro prestigioso.

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I COMPAGNI (1963)

Il professore Sinigalia guida uno sciopero di lavoratori tessili Torinesi alla fine dell' 800.
L'arrivo di un gruppo di crumiri, alcuni tafferugli e l'intervento della polizia fanno fallire lo
sciopero, ma gli operai hanno cominciato a prendere coscienza delle loro forze. Il film è
un affresco spettacolare, divertito e malinconico su un nascente movimento operaio
dove qualche sdolcinatura alla De Amicis non limita la forza di questa commossa
rievocazione del socialismo Torinese agli inizi del secolo.

                                  TREVICO-TORINO (1973)

L'amara presa di coscienza di un giovane emigrato del Sud nella capitale dell'auto: il
contatto traumatico con la città, l'assunzione alla Fiat, l'amicizia con un sindacalista e
con una giovane extraparlamentare, l'inasprimento del lavoro dopo un litigio con il
caporeparto. È un film realizzato seguendo l'idea zavattiniana del giornale
cinematografico che cerca di equilibrare documentario, narrazione e sensibilità
psicologica.

                                  PANE E CIOCCOLATA (1974)

L'emigrato Italiano (Manfredi) cameriere nella linda Svizzera, compie l'efferato crimine
di orinare in pubblico, perdendo lavoro e permesso di soggiorno: comincia così una vita
di clandestinità fino al disperato e fallimentare tentativo di simulata arianità con tintura
bionda ai capelli. Nonostante l'ingombrante presenza di Manfredi che non si rifiuta
nessun vezzo gigionesco, Brusati riesce ad affrontare il tema dell'emigrazione senza
cadere nel populismo e lavorando efficacemente sul registro grottesco - surreale.

   L'emigrazione (sia verso l'America che dal sud al nord d'Italia) fu oggetto anche di
                                    molte canzoni.

  Molte raccontavano delle difficoltà incontrate durante il viaggio e nei primi momenti
 dell'integrazione, ma parlavano anche di nostalgia per la terra lontana considerata pur
   sempre come la vera "casa", nonostante le necessità di andarsene per trovare un
                                         lavoro.

"AMERICA AMERICA"

Mamma mia dammi cento Lire

Che in America voglio andar,

cento Lire io te le do ma in

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