Tra Speranza e Vecchia Sfiducia: Un tentativo di Analisi e Mise en contexte del poemetto Le ceneri di Gramsci

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Tra Speranza e Vecchia Sfiducia: Un tentativo di Analisi e
   Mise en contexte del poemetto Le ceneri di Gramsci

   Fadil Moslemani

   Romance Notes, Volume 57, Number 1, 2017, pp. 83-95 (Article)

   Published by The University of North Carolina at Chapel Hill, Department
   of Romance Studies
   DOI: https://doi.org/10.1353/rmc.2017.0007

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“tra sPeranza e vecchia sfiducia.”
     un tentativo di analisi e mise eN CoNtexte
         del Poemetto Le CeNeRi di gRamsCi

                                 fadil moslemani

con la pubblicazione, nel 1957, della sua prima raccolta di poesie successi-
va alla “stagione friulana,”1 Pier Paolo Pasolini non solo riesce efficacemente
a evidenziare la vulnerabilità e lo smarrimento del ruolo dell’individuo in
una società post-bellica in rapida mutazione, ma perviene altresì a condensa-
re, scrutando con straordinaria attenzione gli sviluppi storici del suo tempo,
la dolorosa contraddittorietà e le angosce esistenziali della sua condizione di
uomo-poeta in seno ad un mondo – quello della roma degli anni cinquanta e
delle sue borgate – che tanto ha inciso sulla sua maturazione umana e artisti-
ca. sebbene tutti gli undici poemetti inclusi ne Le ceneri di gramsci forni-
scano numerose chiavi di lettura e presentino un ricco “materiale poetico”
degno di essere analizzato, l’attenzione del presente saggio sarà essenzial-
mente focalizzata sul singolo componimento omonimo che, oltre ad avere
conferito il titolo alla raccolta, esercita una funzione centrale ai fini di un’in-
tima indagine del Pasolini “romano.” stretto “a tenaglia” tra una sublime
attrazione per la natura incontaminata delle borgate e una disincantata consa-
pevolezza del carattere ormai irrefrenabile dell’avanzare della società dei
consumi, il Pasolini “marxista” degli anni cinquanta, fresco scopritore di
Gramsci, consacrerà al microcosmo delle periferie romane la quasi totalità
della sua attività di scrittore, regista e poeta. vere e proprie “cartine di torna-
sole” di alcune delle principali tematiche sollevate dal poeta bolognese, Le
ceneri divengono pertanto un utile prisma attraverso il quale è possibile sop-
pesare con maggiore attenzione il “pensiero pasoliniano” di quegli anni: dalla
riflessione sullo “stato di salute” della poesia contemporanea alle considera-

    1
      Pasolini pubblicherà L’usignolo della Chiesa Cattolica solo nel 1958, dopo la pubblica-
zione, nel 1954, de La meglio gioventù.

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zioni sul disagio ideologico del poeta passando per il già citato binomio bor-
gate-società neocapitalistica, i temi d’interesse reperibili nel poemetto sono
indubbiamente molteplici. attraverso una disamina nel contempo formale e
contenutistica, il presente saggio intende pertanto far emergere alcuni degli
aspetti più salienti e significativi del componimento – raramente evidenziati
in profondità dalla critica – al fine di fornire, mediante un attento close rea-
ding del testo, un sguardo più ravvicinato, intimo e particolareggiato dei ver-
si presi in esame.
    nella seconda metà degli anni cinquanta si conclude per Pasolini una
delle sue stagioni letterarie indubbiamente più proficue: da Ragazzi di vita
(scritto tra il 1950 e il 1954 e pubblicato nel 1955), a Una vita violenta (pub-
blicato nel 1959) passando per Passione e ideologia (1960) 2 e per la feconda,
seppure breve, esperienza critica di officina (1955-59),3 la stagione rappre-
sentata dal decennio preso in esame appare certamente lungi dall’essere orfa-
na di “slanci” significativi e proficui sia dal punto di vista della critica che da
quello più prettamente letterario. composti nella prima metà del decennio ma
pubblicati nel 1957, i componimenti della raccolta de Le ceneri di gramsci
costituiscono indubbiamente una delle migliori espressioni poetiche del
drammatico “passaggio-cerniera” dall’amato grembo materno friulano all’al-
lora sconosciuta realtà romana; “nella casa di rebibbia, nella fascia delle
borgate,” dirà lo stesso Pasolini quasi quindici anni dopo, “[. . .] ho comin-
ciato la mia ‘opera poetica’ vera e propria, quella che ora mi pare la mia
‘vecchia poesia’, dalle Ceneri di gramsci alla Poesia in forma di rosa” (Poe-
sie 9-10). “tra speranza e vecchia sfiducia” (vv. 7-8, iii), Le ceneri incarna-
no, come vedremo, quella dolorosa presa di coscienza da cui il poeta,
combattuto tra ragione e passione, non sembrerà riuscire a sottrarsi.4
    tenuto conto dell’importanza dell’intimo rapporto forma-contenuto in
seno al componimento analizzato, un’iniziale rapida disamina della metrica
assume di certo tutta la sua rilevanza al fine di una migliore comprensione
del poemetto. a tale riguardo, uno degli aspetti metrici ineludibili attiene
innanzitutto alla palese e ben nota influenza pascoliana osservabile nella strut-
tura dei versi; già riscontrabile nei versi dialettali così come nelle liriche de

     2
      composta da un una serie di saggi critici redatti tra il 1948 e il 1958, Passione e ideologia
(pubblicata nel 1960) costituisce pertanto uno strumento indispensabile per enucleare gli
approcci e le convinzioni poetiche adottati dal poeta in rapporto all’universo letterario a lui coevo.
    3
      nata nel 1955 a Bologna su iniziativa di francesco leonetti, roberto roversi e lo stesso
Pasolini, officina, dopo un’attività editoriale articolata in due fasi distinte (1955-58 e 1958-59),
cessò la sua attività nel 1959.
    4
      d’ora in avanti, quando non specificato altrimenti, con Le ceneri intendiamo il poemetto
analizzato, non la raccolta nel suo insieme.
“tra sPeranza e vecchia sfiducia”                                    85

L’usignolo della Chiesa Cattolica, essa assume contorni spiccatamente mar-
cati nel componimento analizzato, dove la “riesumazione” della forma del
poemetto in terza rima dantesca tipica di Pascoli (sostanzialmente in disuso
nel novecento dopo l’esperienza crepuscolare) rappresenta il primo elemento
di vicinanza – forse il più palese – che unisce i due poeti. una prossimità for-
male, quest’ultima, che non va di certo “amputata” dall’attività critica che il
poeta bolognese esercitava con proficuo impegno durante tutto il decennio.
come ben sottolinea mengaldo:

[. . .] per questo nuovo, all’interno di Pasolini stesso, tipo di pascolismo, l’approfondimento
condotto in veste di critico è stato probabilmente fondamentale, come di solito non si dice a
sufficienza: è un caso in cui, paradigmaticamente, lavoro del “critico” e lavoro dello scrittore
creativo stanno in un rapporto che non solo non è di dipendenza del primo dal secondo, ma
neppure di generico parallelismo; piuttosto di crescita e auto-superamento dell’uno sopra e
attraverso l’altro. (173)

sebbene sarebbe senza dubbio poco pertinente riversare impulsivamente nel-
la raccolta de Le ceneri tutto il “materiale” critico-programmatico fornitoci
da Passione e ideologia, ci sembra tuttavia essenziale compiere, quando la
nostra analisi lo necessita, una lettura parallela degli undici poemetti con l’at-
tività critica ad essa coeva, in quanto conferisce un’ulteriore chiave di lettura
che consente un miglior approfondimento, sia contenutistico che formale,
della produzione poetica pasoliniana dell’epoca presa in esame.
     l’asse del discorso su Giovanni Pascoli in Passione e ideologia è costi-
tuito dall’ipotesi che l’intera “istituzione stilistica novecentesca” vada fatta
“in gran parte risalire alla ricerca pascoliana,” ossia alle molte sfaccettature
del suo sperimentalismo e plurilinguismo che le diverse correnti letterarie
così come le figure poetiche più rilevanti della prima metà del novecento
“proseguono uno ad uno, in altrettante linee divergenti e per così dire a ven-
taglio” (mengaldo 173). volto a evidenziare la considerevole influenza della
lirica pascoliana sulla produzione poetica della prima metà del secolo, il con-
tributo critico di Pasolini ben sottolinea quanto il mondo poetico italiano, a
suo giudizio, sia ancora debitore, negli anni cinquanta, nei confronti del poeta
di san mauro di romagna.
     Per quanto attiene al poemetto de Le ceneri, uno degli aspetti metrici che
per primi emergono in fase di analisi riguarda, da un lato, la suddivisione
strofica in terzine – talvolta delimitate, come vedremo, da un verso isolato –
e, dall’altro, l’utilizzo di uno schema ritmico incatenato attraverso, di norma,
dei versi endecasillabi. Benché tale schema non venga sempre seguito alla
lettera, esso, com’è noto, sembra avere un predecessore diretto nel Pascoli
dei Poemetti, autore che all’impianto lirico sostituisce, attraverso l’impiego
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delle terzine, un più dilatato taglio narrativo. a questo riguardo, un primo
aspetto su cui occorre interrogarsi concerne le funzioni che il poemetto e la
terzina assumono, in chiave poetica, nel componimento analizzato. come
sottolinea Giuseppe leonelli nella sua prefazione alla raccolta:

la terzina incatenata è un metro narrativo per eccellenza. aveva permesso al poeta di myricae
(possiamo considerare le myricae di Pasolini l’Usignolo della chiesa cattolica, scritto prima
delle Ceneri, ma pubblicato dopo) di legare in una volontà di discorso oggettivo, in un’intelaia-
tura sintattica le epifanie del mondo e di sé stesso raccolte nel suo primo libro: di scrivere i
Poemetti, Primi e Nuovi. (Le ceneri di gramsci 13)

Pasolini, quindi, sulla scia dell’exemplum pascoliano, adotta questo modello
in quanto gli consente di elaborare con maggior “agio compositivo” una nar-
ratività più distesa e, in definitiva, una migliore continuità discorsiva. È per-
tanto in questo contesto che va inserito il saggio intitolato La libertà stilistica
apparso su officina quasi in concomitanza con l’uscita delle Ceneri; distan-
ziandosi marcatamente dalla natura rarefatta della poetica ermetica, Pasolini
non esita quindi ad esprime le sue preferenze per un registro più contiguo a
quello prosastico, ovvero per una poesia “abbassata tutta al livello della pro-
sa” (Passione e ideologia 424). Giova tuttavia rilevare che la reprise di una
forma metrica fedele alla prestigiosa tradizione poetica italiana (dante in pri-
mis) non si traduce, in Pasolini, in un conformato e convenzionale appiatti-
mento su un’architettura prestabilita. al contrario, un’attenta analisi dei versi
pasoliniani illustrano quanto la metrica de Le ceneri sia solo apparentemente
tradizionale, poiché filtrata dalla volontà del poeta di riverberare la propria
soggettività nella struttura dei versi composti. Quest’ultimi, infatti, proprio
come la struttura sintattica, vengono di regola spezzati al loro interno, e
sovente sospesi da molteplici pause contraddistinte dall’interpunzione, da
incisi, parentesi e puntini di sospensione. il frequente uso degli enjambe-
ments conferisce inoltre un ulteriore rilievo alle numerose interruzioni
riscontrabili nel poemetto. a tale proposito, i primi quattordici versi del terzo
capitolo del componimento risultano ben rappresentativi degli aspetti metrici
sopracitati:

                          uno straccetto rosso, come quello
                          arrotolato al collo ai partigiani
                          e, presso l’urna, sul terreno cereo,
                          diversamente rossi, due gerani.
                          lì tu stai, bandito e con dura eleganza
                          non cattolica, elencato tra estranei
                          morti: le ceneri di Gramsci . . . tra speranza
                          e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
“tra sPeranza e vecchia sfiducia”                                       87

                          per caso in questa magra serra, innanzi
                          alla tua tomba, al tuo spirito restato
                          quaggiù tra questi liberi. (o è qualcosa
                          di diverso, forse, di più estasiato
                          e anche di più umile, ebbra simbiosi
                          d’adolescente di sesso con morte . . .)

È pertanto sufficiente una rapida disamina di alcuni poemetti pascoliani per
veder confermata la corrispondenza, in termini metrici, tra i due poeti. l’e-
stratto sopracitato, rappresentativo di tutti i sei capitoli del componimento,
ben illustra come la frammentarietà del discorso venga palesemente espressa
dall’incisività delle pause (“lì tu stai” al verso 5 e “morti” al verso 7 ne sono
un esempio), e, come osservato, dalla costante presenza degli enjambements
(“simbiosi d’adolescente” vv. 13-14). il senso di incompiutezza e del “non
chiuso” – ben rappresentativo del “dramma irrisolto” che affligge il poeta –
viene inoltre efficacemente esaltato dal ripetuto uso dei puntini di sospensio-
ne. come osserva Borghello, la metrica, in definitiva, non fa che ripresentare
una “ritrascrizione di una più generale ‘sineciosi’ fra struttura tradizionale (il
poemetto, l’endecasillabo) e una ‘vitale’ forza interiore che corrode e distrug-
ge dall’interno questa razionale dimensione” (154). se a questo aspetto alle-
ghiamo la costante volontà di Pasolini di creare una cupa atmosfera di
inadeguatezza e imperfezione attraverso un uso apparentemente sregolato e
imperfetto delle rime (“puoi”-“noia” vv. 25-27, i / “nudi”-“chiude” vv. 31-
33, i), il discorso riguardo all’utilizzo strumentale e soggettivizzato di una
forma metrica tradizionale ai fini prettamente personali e introspettivi acqui-
sisce un ulteriore elemento chiarificatore.
    ribaltando in maniera originale la crociana definizione di “poesia della
poesia,” Geno Pampaloni definisce il senso che contraddistingue il poemetto
de Le Ceneri come “poesia dell’ideologia,” sottolineando come la lirica
espressa non sia più soltanto quella tipicamente esistenziale e, in senso lato,
diaristica di una parte cospicua della poesia novecentesca, ma è soprattutto
quella nutrita di valori comuni nati dalla resistenza, e progressivamente
maturati “a forza di polemica e di crisi, di definizioni e di strappi, di molte-
plici esperimenti, in una sorta di obbiettivazione espressionistica delle idee e
della storia” (forti 152). il veemente e tumultuoso discorso poetico viene
quindi fatto “coagulare” con i detriti lasciati dal passato e con l’irrisolta dimen-

   5
       nella sua breve analisi del poemetto, Boyer pone in evidenza come i sei capitoli dei com-
ponimenti si organizzino sostanzialmente attorno a tre concetti distinti, i quali possiedono una
funzione strutturante attraverso la quale istituiscono un continuo “gioco” di domande e risposte:
la coscienza borghese dell’intellettuale e l’anima del popolo, il dovere e la rabbia di comprendere
la razionalità della storia e, infine, il ruolo dell’individuo di fronte ai potere costituiti (128).
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sione ideologica a cui il poeta si trova confrontato.5 rievocando e unendo
due temi ricorrenti della poesia tradizionale – quello della meditazione
davanti alla tomba e quello dell’evocazione dei morti6 – Pasolini perviene
pertanto a collocarsi su una certa linea di continuità tematica tracciata dalla
poesia italiana (ed europea) senza tuttavia rinunciare a conferire ai suoi versi
tutta l’affliggente e irresoluta specificità della sua epoca.
     l’incontro-scontro con il mondo delle borgate e la lacerante identità di
marxista sui generis7 del poeta risulta inoltre lampante sin dal ritmo cadenza-
to delle prime cinque terzine del componimento, dove il persistente contrasto
luce-ombra (da notare l’ossimorico “cieche schiarite” del verso 4, i), non
solo acuisce il carattere di irrespirabilità dell’“impura aria” (v.1, magistral-
mente espressa dal dualismo fonetico “u”-“a”), ma sembra altresì specchiare
le passioni e i dubbi che albergano nel poeta. il “grigiore del mondo” (v. 11,
i) a cui la decadente società italiana dell’imminente boom economico viene
associata, diviene, nel contempo, il buio con cui la “mortale pace” (vv. 8-9, i)
del cimitero acattolico del testaccio accoglie il poeta. “l’autunnale maggio”
(vv. 10-11, i) che funge da toile de fond al laico pellegrinaggio nel luogo in
cui, non il padre, ma l’“umile fratello” Gramsci (vv. 20-21, i) è sepolto ha
altresì la funzione di delineare simbolicamente una stagione storica che rac-
coglie mestamente “la fine del decennio in cui ci appare / tra le macerie finito
il profondo / e ingenuo sforzo di rifare la vita; / il silenzio, fradicio e infecon-
do . . .” (vv. 12-15, i). molto è stato scritto dalla critica, a questo riguardo,
sulla scelta del poeta bolognese di utilizzare il termine “fratello” in luogo di
“padre”; tralasciando la spiegazione che vedrebbe nel difficile rapporto di
Pasolini con il padre le ragioni dell’utilizzo del termine “fratello,” ci piace
pensare che il suo impiego sia innanzitutto da mettere in relazione alla straor-
dinaria influenza, sia in termini politico-ideologici che in ambito più squisita-
mente culturale, che il pensiero di Gramsci ebbe sul giovane Pasolini sin
dalla fine degli anni Quaranta. Benché il parallelismo affettivo tra la morte

    6
      da foscolo a carducci (basti pensare al componimento Presso l’urna di P.B. shelley), il
tema della meditazione di fronte alla tomba dei morti è senza dubbio ricorrente nella storia let-
teraria italiana. lo stesso poeta romantico Percy Bysshe shelley, sepolto accanto a Gramsci e
menzionato da Pasolini nel poemetto, scrisse, nel 1815, un componimento sul tema intitolato a
summer evening Churchyard.
    7
      sulle pagine di Vie Nuove, in una nota polemica con carlo salinari (una delle voci “uffi-
ciali” del partito comunista italiano in ambito letterario), Pasolini ben riassume la natura con-
tradditoria dell’adesione al marxismo: “[. . .] essere marxisti, oggi, in un paese borghese,
significa essere ancora in parte borghesi. finché i marxisti non si renderanno conto di questo,
non potranno mai essere del tutto sinceri con se stessi. la loro infanzia, la loro formazione, le
loro condizioni di vita, il loro rapporti con la società, sono ancora oggettivamente borghesi. la
loro ‘esistenza’ è borghese, anche se la loro coscienza è marxista” (22).
“tra sPeranza e vecchia sfiducia”                                        89

del giovane fratello-partigiano e quella del giovane intellettuale comunista
sembri certamente pertinente, ciò che emerge dai versi, al di là degli evidenti
intrecci biografico-familiari presenti nella poesia, è l’indiscusso rapporto di
“fratellanza,” non tanto su un piano prettamente dottrinale (è anche da qui,
infatti, che prende forma il “dramma irrisolto” della contraddizione8) ma
piuttosto su quello linguistico-culturale. nel compiere un lieve sforzo di
“fantasia concreta” (per usare un termine di origine gramsciana) – lieve, in
quanto la genuina e sofferente empatia per le sofferenze dell’intellettuale sar-
do (“noi morti ugualmente, con te, nell’umido giardino” vv. 22-24, i) non
sembra richiedere alcuno sforzo particolare – il poeta si contraddistingue per
il compimento di una duplice azione: rendere omaggio alla straordinaria figu-
ra dell’intellettuale marxista (e alle speranze da lui un tempo incarnate) e, nel
contempo, distanziarsi, “tra umilianti speranze” (v. 20, iv), dalla decadente
(“alessandrina” v. 29, vi) eredità emersa dal suo letto di ceneri.
     se si amplia maggiormente il discorso, non solo al Pasolini-poeta, ma
altresì al Pasolini-critico, lo stretto rapporto di fratellanza intellettuale con
Gramsci assume indubbiamente tutta la sua rilevanza e specificità. Gli aspetti
inerenti alla dimensione socio-linguistica e letteraria del pensiero gramsciano
(basti pensare alla nobiltà conferita ai dialetti nazionali) sono infatti essenzia-
li per cogliere al meglio la poetica pasoliniana in tutte le sue sfaccettature.
l’attenta e acuta considerazione della secolare “questione della lingua” come
fattore costitutivo di una vera letteratura nazional-popolare ancora da realiz-
zare così come l’attenta analisi del rapporto culturale, prima ancora che poli-
tico-economico, esistente tra le classi egemoniche e subalterne diverranno
sovente la “matrice teorica” su cui Pasolini articolerà la sua dialettica anti-
borghese così come parte della sua attività artistico-letteraria. secondo men-
galdo, tuttavia, assai più marginale sarebbe stato l’interesse del poeta
bolognese per quella questione centrale dei Quaderni gramsciani che consi-
dera i problemi letterari come problemi di organizzazione della cultura, e la
“funzione” letteraria come accettazione di un ruolo intellettuale in seno alla
politica del consenso attuata dalle classi che sono o aspirano a diventare ege-
moniche. “Presso Pasolini,” osserva mengaldo, “in fondo prevale sempre, ro-
manticamente, la visione del poeta come testimone e martire individuale
anziché come anello di una storia di intellettuali” (158).

    8
       i seguenti versi non soltanto illustrano il “religioso” richiamo che le dimensioni “naturali”
e pre-storiche dei popoli esercitano sul poeta, ma evidenziano altresì un accenno di diniego
riguardo a una delle condizioni sine qua non della dottrina marxista, ovvero l’assoluta necessità
di acquisire, in fase preliminare, una coscienza di classe che funga d’anticamera alla successiva
lotta: “attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la
millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza; è la forza originaria / dell’uomo, che
nell’atto s’è perduta” (vv. 8-12, iv).
90                                    romance notes

     la dimensione individualistica e “romantica” del poeta, d’altronde, è ben
individuabile in seno ai versi analizzati; il centro del poemetto, infatti, a
dispetto del peso simbolico scaturito dall’ingombrante figura storica trattata,
non risulta gravitare attorno a Gramsci, ma verte rapidamente sull’angosciata
condizione del poeta intento a confessare “il suo paterno stato di traditore”
(v. 4, iv) in un costante e contrastante gioco di luci (“in luce, contro te nelle
buie viscere” v. 3, iv) che si protrarrà senza interruzioni sino ai versi conclu-
sivi del componimento. il militante sardo, attraverso lo spezzamento del rit-
mo del verso, viene avvicinato e distanziato in continuazione dal poeta, quasi
a testimoniare l’impossibilità di raggiungere una precisa e persuasiva caratte-
rizzazione ideologica di sé. “come se il poeta,” osserva asor rosa, “volgen-
do lo sguardo direttamente su di sé, acquistasse maggior forza, maggior
interesse” (142). la forza dirompente degli scandali della contraddittorietà e
“della coscienza” (alla cui importanza drammaticità viene dato rilievo trami-
te l’isolamento9 dei versi 49 e 50, iii), scaturita dall’immagine del poeta din-
nanzi allo spirito, ancora in vita, del rivoluzionario comunista, assume infatti
i contorni di un “individualismo assoluto,” dove le diverse tematiche solleva-
te dal componimento sembrano confluire, quasi per inerzia, nell’intimistica
dimensione dell’io poetico. come osserva lo stesso ferretti, Pasolini finisce
così per “oscillare pericolosamente tra travestimento narcisistico dei grandi
problemi della poesia d’occasione, ma può anche realizzare un discorso pri-
vato-storico che è al tempo stesso tanto vario e imprevedibile, quanto inter-
namente lineare e coerente” (121).
     ci sembra inoltre interessante rilevare come il tema dello “scandalo del
contraddirsi,” vero e proprio nucleo semantico portante del componimento, si
situi, alla stregua di un gioco di scatole cinesi, in una posizione di sostanziale
centralità rispetto a tutti i vari livelli con i quali esso può venire posto in rela-
zione: centrale rispetto al numero di versi del poemetto (su un totale di 307
versi, le terzine “incriminate” si snodano dal verso 129 – ossia quello inerente
allo “scandalo” – sino alla quasi perfetta posizione di centralità del verso
156); sostanzialmente al centro, in quanto all’inizio del quarto capitolo,
rispetto alla suddivisione in sei capitoli effettuata dal poeta; e, inoltre, conse-
guentemente centrale in relazione all’intera raccolta de Le ceneri (il poemetto
è collocato al settimo posto su un totali di undici). infine, tenendo conto dei
segmenti temporali costitutivi della produzione artistico-letteraria di Pasolini,
va altresì rilevato come il componimento, composto nel 1954, si collochi

     9
      se l’importanza conferita allo “scandalo della coscienza . . .” (vv. 49-50, iii) viene posta
in risalto dall’isolamento dei due versi, i tre puntini di sospensione sembrano per contro espri-
mere l’esistenza di una soluzione allo scandalo rimandata sine die.
“tra sPeranza e vecchia sfiducia”                                        91

simbolicamente, in quanto parte integrante del periodo del mito sottoproleta-
rio, in una posizione intermedia tra la fase del mito contadino e la terza intri-
cata fase pasoliniana; un intervallo di tempo, quest’ultimo, che finirà per
sfociare, com’è noto, in un fecondo momento di “mitologico terzomondi-
smo” seguito da una serie di dolorose abiure e remises en question.10 la mul-
tidimensionalità della sostanziale centralità del poemetto conferisce quindi
un’ulteriore valenza simbolica a dei versi che, oltre a rappresentare uno dei
momenti più alti della poesia pasoliniana, mettono efficacemente a nudo gli
innumerevoli dissidi ideologico-identitari radicati nel poeta. sebbene sia
eccessivo delineare in maniera caricaturale “un prima” e “un dopo” Le cene-
ri, e considerarle come l’unica griglia di lettura esistente per cogliere le lace-
ranti contraddizioni pasoliniane, riteniamo, tuttavia, che poche altre opere
prodotte dal poeta bolognese consentono un così profondo ed esplicativo ina-
bissamento nel suo faticoso “tormento di mantener[s]i in vita” (vv. 35-36,
iii) e nel suo sentirsi “perso” (v. 49, iii) in un mondo che, nella sua contrad-
dittorietà, odia amorevolmente (“amando il mondo che odio” vv. 47-48, iii).
     non privo di questioni irrisolte, il poemetto diviene quindi l’espressione
poetica della volontà di Pasolini di sviluppare i temi e i contenuti sollevati
dalla sua epoca. Giova ricordare, a tale proposito, che l’improvvisa apertura
di nuovi orizzonti creatasi dalla rimozione della “cappa culturale” imposta
dalla dittatura portò molti poeti italiani (i più giovani in primis) ad abbraccia-
re nuove tematiche e nuovi modi di “fare poesia,” spesso in contrapposizione
con le stagioni poetiche antecedenti. l’accentuata idiosincrasia verso la poe-
sia “in vaso chiuso,” derivata come retaggio dalla stagione letteraria prece-
dente e concretizzatasi con l’affermazione dell’ermetismo, divenne infatti un
tratto ricorrente nella critica pasoliniana di quegli anni. collocabili anch’esse
nella seconda metà degli anni cinquanta, le esperienze del poeta bolognese e
del gruppo di officina sul fronte anti-ermetico (spesso riassunto, in termini
più generali, in anti-“novecentismo”11) meritano di essere menzionate in
quanto, in un gramsciano legame tra teoria e praxis, non solo ben riflettono
le scelte poetiche di Pasolini, ma, nel contempo, consentono una migliore

    10
        la prima fase, quella del mito contadino, si snoda dalle Poesie a Casarsa (1942) sino
all’ultima parte de L’usignolo della Chiesa Cattolica (pubblicata nel 1958 ma comprendente
poesie composte tra il 1943 e il 1949). dopo la fase del mito sottoproletario degli anni cin-
quanta, il terzo periodo, infine, estende il mito precedente al cinema integrandolo con il mito
del terzo mondo; dopo accattone (1961) e mamma Roma (1962), infatti, giova menzionare
opere come appunti per un film sull’india (1968) e appunti per un’orestiade africana (1970).
    11
        i saggi più rappresentativi di questa querelle letteraria sono in Neosperimentalismo
(1956) e Libertà stilistica (1957). “al critico fin troppo appassionato, si mescola in me . . . l’ideo-
logo,” osserva lo stesso Pasolini, “e la mia lotta ideologica si è svolta tutta contro l’ermetismo e
il novecentismo, sotto il segno di Gramsci” (il Portico della morte 149).
92                                    romance notes

comprensione del contesto critico-letterario dal quale emerse il “caotico
mondo” de Le ceneri (squarotti 154). Quest’ultime, infatti, vanno inserite nel
tentativo (già avviato con la composizione dei versi dialettali) di creare un
linguaggio poetico che si contrapponesse alla tradizione ermetica e “rondi-
sta” della prima metà del secolo. l’esperienza dell’ermetismo, agli occhi di
Pasolini, era infatti lungi dal rappresentare un mero fenomeno poetico circo-
scritto in un segmento temporale ridotto della storia letteraria italiana, ma, al
contrario, doveva venir analizzata come il punto di arrivo di tutto un “movi-
mento” poetico “antipopolare” e distante dalla realtà che aveva dominato la
poesia nazionale per secoli. in termini più schematici, per il Pasolini gram-
sciano-continiano,12 è pertanto nella secolare lotta tra un monolinguismo eli-
tario e “sublime” (uscito sostanzialmente vincitore dalla contesa nel corso dei
secoli) e le varie tendenze plurilinguistiche che va inserita la sua produzione
poetica.13 l’interesse di Pasolini per Pascoli va pertanto compreso anche
come un apprezzamento linguistico per la capacità del poeta romagnolo di
non rimanere “fossilizzato” in un solo registro.

il “plurilinguismo” pascoliano (il suo sperimentalismo antitradizionalistico, le sue prove di
“parlato” e “prosaico,” le sue tonalità sentimentali e umanitarie al posto della casistica sensua-
le-religiosa petrarchesca) è di tipo rivoluzionario ma solo in senso linguistico, o, per intenderci
meglio, verbale: la figura umana e letteraria del Pascoli risulta dunque soltanto una variante
moderna, o borghese nel senso moderno, dell’archetipo italiano, con incompleta coscienza del-
le propria forza comunque innovativa. (Passione e ideologia 237)

la raccolta de Le ceneri, lungi dal rappresentare un monolinguismo di élite
chiuso ad ogni comunicazione col sociale, costituisce anch’essa, così come
numerose altre opere pasoliniane, un interessante esempio di plurilinguismo
letterario. il pascolismo pasoliniano menzionato in precedenza acquisisce
pertanto nella sua dimensione plurilinguistica un ulteriore elemento di inte-
resse interpretativo. secondo Gallo, infatti, sono proprio questi i segnali della
crisi che coinvolge entrambi i poeti, i quali:

[. . .] non credono più in un mondo nettamente determinato dove una gerarchia stabilisce un
preciso rapporto uomo-cosmo, bensì in una dimensione frantumata (da ciò il linguaggio etero-
geneo) dove sulla logica prevale l’intuizione, la sensazione immediata volta ad indicare corri-
spondenze non visibili tra le cose. e la poesia delle Ceneri non è mai definitiva. (132-33)

    12
       Giova rammentare che Pasolini riprese esplicitamente dallo stesso critico piemontese la
contrapposizione tra monolinguismo “petrarchesco” e “plurilinguismo” di dante. Per contini,
“se la lingua del Petrarca è la nostra, ciò accade perché egli si è chiuso in un giro di inevitabili
oggetti eterni sottratti alla mutabilità della storia” (167).
    13
       elogiato sia da de sanctis che da Gramsci, il quale del de sanctis era per molti aspetti
“un discepolo,” il plurilinguismo dantesco verrà poi “ripreso” dal gramsciano Pasolini.
“tra sPeranza e vecchia sfiducia”                                      93

Plurilinguismo inteso, quindi, come ulteriore strumento per veicolare la mol-
teplicità dei dubbi, delle esperienze e degli interrogativi del poeta. sostituen-
do “il problema alla grazia,” Pasolini, attraverso l’utilizzo di un linguaggio
eterogeneo e di registri dissimili, ripropone quegli elementi di contrasto tra
mondo borghese e realtà sottoproletaria onnipresenti nelle sue opere “roma-
ne” (siciliano 210). una roma che, dopotutto, assume anch’essa il ruolo di
scenario unico che, “scolorandosi” di fronte agli occhi del poeta, diviene del
tutto funzionale alla sua poesia di “superstite sorte” (v. 7, ii). così come la
città eterna è stata un “violento trauma e violenta carica di vitalità, cioè espe-
rienza di un mondo e quindi in un certo senso del mondo”14 in occasione del
suo repentino arrivo, anche nei versi de Le ceneri essa – attraverso i logorati
“attici giallini” (v. 5, i), le “misere tettoie” (v. 31, i), il “buio giardino stranie-
ro” (v. 2, i) e le astoriche borgate – diviene, insieme alle svelate ma mai
risolte contraddittorietà del poeta, la protagonista diretta, non solo come inti-
mo oggetto di descrizione e di analisi, ma proprio come impellente necessità
testimoniale di fronte a se stesso e al recente passato.
    essere un “diseredato” (v. 23, iv) che possiede costituisce, in definitiva,
la “desolante [. . .] condizione” (vv. 22-23, iv) che contraddistinguerà il poe-
ta sino al termine dei suoi giorni, “imbrigliato” in un mai ben precisato desi-
derio di disperata rivoluzione, come disperato è, dopo tutto, il poeta stesso e
il popolo che sarebbe tenuto ad attuarla. e se perfino la luce della speranza e
la consapevolezza dell’appartenere al razionale progresso delle dinamiche
storiche non servono più (“ma a che serve la luce?” v. 28, iv), allora il poeta,
inerme, “abdica.” contrariamente all’incontaminata natura di coloro che,
esclusi dalla storia ma ancora capaci di relazionarsi all’autenticità della vita
(“la perdono serenamente, / se il cuore ne hanno pieno” vv. 68-69, vi), egli,
cosciente del suo naturale appartenere all’avanzare di un Progresso giudicato
ormai abortito, finirà per congedarsi con un conclusivo e angosciante interro-
gativo: “potrò mai più con pura passione operare?” (v. 74, vi). custode della
vita del poeta (“con il cuore cosciente di chi soltanto nella storia ha vita” vv.
72-73, vi), la storia finisce pertanto col cozzare con le passionali disillusioni
del tempo presente. un vuoto, quest’ultimo, che, seguendo il solco tracciato
da Le ceneri, verrà riproposto, sebbene con accenti diversi, nella raccolta di
poesie successiva a quella “gramsciana”: “La religione del mio tempo,” scri-
verà Pasolini in una nota apparsa nel 1961 su Vie Nuove, “esprime la crisi
degli anni sessanta. [. . .] la sirena neo-capitalistica da una parte, la desistenza
reazionaria dall’altra: e il vuoto, il terribile vuoto esistenziale che ne conse-

   14
      la frase fu pronunciata da Pasolini in un’intervista concessa, nel 1957, alla rivista diretta
da vincenzo cardarelli La Fiera Letteraria (dieci domande a Pier Paolo Pasolini 1).
94                                    romance notes

gue. Quando l’azione politica si attenua, o si fa incerta, allora si prova o la
voglia dell’evasione, del sogno (“africa, unica mia alternativa”) o un’insor-
genza moralistica [. . .]” (Le belle bandiere 161).
    mai si saprà con certezza con quale “dosaggio” di passione il poeta
affrontò le stagioni successive a quella de Le ceneri; ci pare comunque certo
che la sofferta “autonomia ideologica” emergente dal poemetto esaminato
non venne mai esaurita, riproponendosi costantemente nelle successive opere
pasoliniane – talvolta in maniera velata, talvolta in tutta la sua esemplarità –
attraverso le sempiterne sembianze del dramma irrisolto.

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