State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie

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State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
State of Decay 2, il ritorno
dell’apocalisse zombie

Con State of Decay 2 Undead Labs e Microsoft sfornano il tanto
agognato sequel, in esclusiva per le console della famiglia
Xbox, dell’ottimo titolo zombie survival open world uscito nel
2011 per Xbox 360 e PC. Le vicende legate a State of Decay 2
si posizionano temporalmente 18 mesi dopo il titolo originale;
l’esercito ha perso, disertando e lasciando indifesi i pochi
rifugiati sparsi per le città e le campagne. I morti viventi,
invece, diventano, ogni giorno che passa, sempre più famelici
e numerosi. Come se non bastasse, un’infezione denominata
“Piaga del Sangue” ha contagiato molti di loro, rendendoli
ancora più pericolosi e soprattutto contagiosi per le persone
ancora in vita. Questi zombie particolari sono riconoscibili
dal loro continuo grondare sangue e venire morsi più volte da
loro, significa rischiare di contrarre la stessa malattia e,
di conseguenza, esporsi ad una possibile trasformazione a meno
che non ci si riesca a curare in tempo. La Piaga del Sangue è
una delle novità più importanti di questo seguito, il quale,
non presentando una vera e propria storia raccontata, ricama
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
su questa “malattia” il focus principale dell’avventura. Non
si può, quindi, parlare di campagna o di storia vera e propria
ma bensì di semplice “avventura” che può durare anche 100 ore
di gioco. Ovviamente, uno scopo per concludere il tutto c’è e
si dirama in due fasi opportunamente divise; in un primo
momento bisogna eliminare ogni singolo “ammasso del sangue”
presente nella mappa di gioco, questi sono l’origine della
malattia e assomigliano a piccoli nidi, molto difficili da
distruggere senza essere armati a dovere. Una volta completata
questa difficile mansione, inizia la fase due, la quale si
differenzia a seconda del leader che si è scelti per il
proprio gruppo. In State of Decay 2 esistono quattro diversi
tipi di caratterizzazione: Signore della Guerra, Costruttore,
Commerciante e Sceriffo, è chiaro che un membro Eroe scelto
può avere uno soltanto di questi status, che risultano casuali
e non selezionabili dal giocatore. Una volta che ricade la
scelta, viene sbloccata l’impresa, vale a dire la missione
finale per concludere la partita; con il Signore della Guerra,
ad esempio, per vincere bisogna spazzare via una particolare
comunità violenta chiamata “Coalizione”. Il gioco ha inizio
con la possibilità di scegliere una coppia di personaggi
unici, quindi non proposti in maniera casuale. Dopo un breve
tutorial in cui si viene catapultati nella vicenda, viene poi
chiesto in quale, delle tre mappe presenti nel gioco, ci si
vuole iniziare a insediare. Ognuna di loro è diversificata
come area e come ambientazione, dalla montagna all’altopiano.
La scelta è relativa, poiché se ci stanchiamo è possibile
trasferire l’intera comunità in un’altra zona nel corso della
partita. State of Decay 2 segue la logica del survival game,
mettendo a disposizione più di un alter-ego con l’intenzione
di far costruire/gestire una comunità. Importante constatare
come lo studio Undead Labs abbia ben pensato di non
stravolgere il sistema efficiente conosciuto nel primo
capitolo, enfatizzando inoltre la meccanica della morte
permanente dei personaggi al fine di impedire qualsivoglia
azione priva di senno. Oltre a essere un survival game, però,
State of Decay 2 è anche un gioco di ruolo con caratteristiche
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
gestionali, visto che aggiunge alla solita gestione della
comunità maggiori elementi di caratterizzazione, come la
personalità o le abilità specifiche, che potranno man mano
essere allenate al fine di sfruttare al meglio ogni
peculiarità in dotazione. I punti di forza e debolezza,
mostrati nel pannello dedicato, permettono al giocatore di
scegliere il personaggio x a discapito di quello y quando si
tratta di fare una particolare missione, ripulire un luogo
infestato e così via, cercando di non ignorare anche la sfera
caratteriale per evitare di generare risse all’interno del
luogo sicuro. Ogni volta che una skill viene utilizzata,
questa cresce di livello, raggiungendo dopo sei stelle un
grado di specializzazione, da selezionare con cautela al fine
di creare un team diversificato capace di far fronte a
qualsiasi eventualità.

Avere tutti i personaggi specializzati nello stesso asset è
uno sbaglio, perché si può finire per non avere l’abilità
giusta per costruire un edificio necessario nella base, oppure
utilizzare oggetti o armi più potenti. Come scritto in
precedenza, gli sviluppatori non hanno voluto stravolgere un
sistema già consolidato, scegliendo piuttosto di inserire
tantissime variabili in più. Le prime missioni personali
rappresentano il modo più rapido per ottenere influenza, ma
contribuiscono anche al reperimento di risorse e oggetti utili
per andare avanti, come materiali da costruzione, cibo, scorte
mediche e molto altro ancora. Toccherà quindi scendere a patti
con una serie di eventi, sfortunati o meno, dettati dalla
casualità, che possono in qualche modo creare lo stimolo
giusto utile a reagire alle difficoltà proposte dal gioco.
Sopravvivere da soli è un conto, ma farlo in una comunità è
tutta un’altra cosa. Per questo i consigli migliori restano:
mai girare da soli, mai sovraccaricare lo zaino, mai uscire
senza un’arma di riserva, mai lasciare una tanica di
carburante extra a casa. Gestire la comunità è la parte più
profonda e complessa dell’intera produzione, ma allo stesso
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
tempo ciò che rende State of Decay unico nel suo genere di
riferimento. La prima cosa da tenere a mente è che ogni azione
ha una conseguenza sul morale dei compagni e sul rispetto
degli alleati. La morte di un membro può causare depressione,
tristezza, rabbia e provocare risse, suicidi, e fughe. Il
compito di chi gioca, perciò, è quello di tenere il morale
sempre alto, raccogliendo risorse vitali e costruendo
particolari edifici debiti al benessere collettivo, come:
letti, generatori, pozzi, salottini. Esattamente con nel
precedente capitolo, i rifugi sono contati, ma sono nettamente
più grandi e disposti di aree di costruzione piccole e grandi,
dove poter edificare gli edifici più congeniali al nostro
stile. Ogni struttura offre dei bonus ma anche dei malus,
spetta al giocatore fare i dovuti accorgimenti su cosa e
soprattutto dove costruire. Il rifugio è quindi l’hub della
squadra, dei superstiti; un luogo in cui ci si può riposare
dopo una giornata difficile, dove poter chiacchierare con gli
altri membri e potersi curare in un’infermeria. La parte
gestionale è fondamentale nel complesso dell’esperienza, saper
gestire e organizzare i propri seguaci significa saper
sopravvivere e riuscire a cavarsela. Spesso orde di zombie
assaltano la base e vincere non è mai una cosa scontata, le
perdite sono preventivabili. Per fortuna, rispetto al passato,
si ha la possibilità di giocare con qualsiasi personaggio che
viene introdotto nel campo base, ognuno con un background che
incide sulle sue statistiche e sulla sua utilità; un medico è
utile in un’infermeria, mentre un ex marine se la cava meglio
a sparare. Come in una squadra di calcio, tutti sono utili ma
nessuno è indispensabile, ragion per cui se qualcuno crea
problemi, è possibile esiliarlo o addirittura ucciderlo al
fine di preservare l’intera comunità. Anche un ammalato di
Piaga del Sangue può essere salvato con la cura opportuna, ma
può essere anche cacciato o soppresso. Insomma, da questo
punto di vista State of Decay 2 offre infinite possibilità di
situazioni e di conseguente divertimento. Il combat system
scelto per State of Decay 2 mostra sia punti di forza che di
debolezza. Le armi da fuoco restituiscono un feedback
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
soddisfacente durante l’utilizzo, grazie al fatto che ognuna
non solo provoca un rumore capace di attirare gli zombie, ma
comporta un particolare rinculo o mira difettosa al momento in
cui vengono utilizzate con un’abilità bassa. Ogni oggetto ha
un livello di usura che scende a seconda dell’utilizzo, e di
come ne viene fatto uso, arrivando inevitabilmente alla
rottura. Per quanto riguarda le armi da mischia, queste
vengono suddivise in contundenti e da taglio, ed è importante
riconoscerne la differenza e la qualità perché durante le
esplorazioni può capitare di far fronte a diverse
problematiche. Le armi contundenti sono utilissime per
danneggiare l’avversario facendolo subito mettere prono a
terra, così da attivare l’esecuzione con la pressione
contemporanea dei tasti (LB+X), mentre quelle da taglio
smembrano con un’alta probabilità di tagliare un arto o
perfino la testa. Il reperimento delle risorse in gioco è
possibile frugando nei contenitori, tenendo premuto il tasto
(Y), ma bisogna cercare di non fare di fretta al fine di fare
tutto in modo silenzioso e letale.

Oltre agli edifici infestati, dove è possibile trovare
discrete ricompense, ci sono anche gli edifici dove si sta
espandendo la Piaga del Sangue, a tutti gli effetti si tratta
di nidi da distruggere per ottenere nuclei da fondere nelle
cliniche per creare una cura. Andando avanti e migliorando le
proprie caratteristiche miglioreranno anche gli zombie
presenti sulla mappa, che da semplici diventeranno prima
rossi, con escrescenze, e poi colossi, tumuli e così via.
Ognuno di loro ha delle caratteristiche uniche e vi garantiamo
che sono particolarmente coriacei da uccidere se non preparati
doverosamente per lo scontro. Anche le orde sono lievemente
migliorate e se ne vedono i frutti soprattutto nelle missioni
secondarie legate alle enclavi vicine sparse per la mappa,
visto che dargli il proprio aiuto non sempre si rivela un atto
di altruismo giustificato o premiato degnamente. L’utilizzo
della radio da campo, infine, concede al giocatore un attimo
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
di respiro dall’esplorazione, indicando al modico costo di un
pugno di influenza dei luoghi dove è possibile cercare delle
risorse base. Questo comando richiederà più punti influenza
quando la richiesta verte sulla ricerca di altri superstiti,
oppure sul cambio della mappa da una zona all’altra. Se sul
fronte gameplay e meccaniche di gioco Unlead Lab ha svolto un
lavoro encomiabile, lo stesso non si può affermare parlando
del comparto tecnico: State of Decay 2 è infatti molto
distante, sia visivamente che a livello di animazioni, dalla
maggior parte delle produzioni di tripla A. L’utilizzo
dell’Unreal Engine ha sicuramente portato i suoi frutti e i
progressi sono notevoli rispetto a quanto visto nel primo
capitolo con un aspetto grafico molto più piacevole e
animazioni nel complesso meno legnose. Le tre “mappe” inoltre
sono vaste, completamente esplorabili, ricche di edifici e
strutture da esplorare e non mancano macerie e rottami con cui
interagire: insomma gli elementi di contorno a livello di
quantità non mancano. Sicuramente State of Decay 2 non è un
titolo che fa gridare al miracolo e non è l’esclusiva capace
di sprigionare tutta la potenza di Xbox One X ma nel complesso
risulta gradevole. Il frame rate risulta invece ancora troppo
ballerino e paradossalmente i cali maggiori si verificano
proprio sulla più potente console mentre sul modello
tradizionale e su Xbox One S l’esperienza risulta più fluida a
discapito però della risoluzione e di un campo visivo meno
profondo e dettagliato.

Un lavoro praticamente ineccepibile invece è stato fatto sulla
caratterizzazione dei personaggi: ognuno con il proprio
background, desideri, aspettative, abilità uniche e tratti
caratteriali e psicologici ben precisi che impatteranno
direttamente sul gameplay, sulla gestione del rifugio e sugli
obiettivi di missione. Poche le novità invece sui nemici: si
incontreranno molti zombi noti, non mancheranno creature
corazzate, mini-boss alquanto letali e anche gli esseri umani
che non sempre saranno amichevoli. Per quanto riguarda il
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
multiplayer cooperativo fino a 4 giocatori assieme, State of
Decay 2 non riesce ad avere un’identità ben precisa. La
cooperazione funziona in maniera simile a quanto già visto in
Monster Hunter World: si lancia un razzo di segnalazione e si
aspettano rinforzi, amici, persone sconosciute, non importa,
arrivano con il loro personaggio per aiutare. Undead Labs ha
voluto in qualche modo rendere questa modalità una sorta di
“aiuto temporaneo” e non qualcosa da poter giocare dall’inizio
alla fine. Per prima cosa non è possibile distaccarsi
dall’host della partita e, inoltre, oltre ad aiutarlo non è
possibile fare nient’altro. Ma allora, qual è il vantaggio di
un giocatore che vi viene ad aiutare? A seconda delle missioni
completate, degli oggetti trovati e degli zombie uccisi, si
ottengono delle ricompense da poter utilizzare nella propria
partita, ma attenzione però: se si muore dall’amico, si perde
il personaggio. C’è poi la questione legata all’atmosfera e
alla difficoltà, il gioco non si adegua e ciò significa che in
4 riesce ad essere fin troppo semplice, snaturando un po’ quel
concetto di sana paura e tensione che l’esperienza riesce a
conferire unicamente nel single player. Insomma una modalità
gradita, ma troppo essenziale e priva di mordente, un mero
contorno di produzione. Tirando le somme, State of Decay 2 è
un buon prodotto, che riesce sicuramente a divertire e che
farà la gioia degli appassionati delle più famose serie
televisive dedicate all’apocalisse zombie. Alcune piccole
imperfezioni però e il dover stare attenti a ogni piccolo
particolare rendono il titolo di Undead Labs un’esperienza
dedicata soprattutto a chi ha molta pazienza, tempo da
spendere e nervi saldi. Insomma, se siete alla ricerca di un
videogame dove è necessario buttarsi in mezzo all’azione e
dove si ottengono risultati immediati allora è meglio navigare
verso altri lidi. Se però si cerca un survival pieno di cose
da fare, denso di suspance e con gameplay severo e a tratti
crudele, allora State of Decay 2 è il gioco che fa per voi.
State of Decay 2, il ritorno dell'apocalisse zombie
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 7
Longevità: 9
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

Dark Souls Remastered, il
capolavoro  originale  di
Miyazaki torna in grande
stile

Quando si vuole intraprendere un’opera di riedizione di un
titolo che è diventato un’icona del gaming, come Dark Souls di
From Software, vista l’entità dell’intervento che si vuole
compiere, i rischi sono elevatissimi. Cambiare anche il più
piccolo particolare in un titolo basato sull’attenzione per il
dettaglio e su un simbolismo così ben strutturato può in un
sol colpo demolire l’impianto originale e attirare le ire di
una delle community più prolifiche e intransigenti del web.
Per questo, quando From Software annunciò il ritorno del
proprio capolavoro sull’attuale generazione di console, i
timori dei fan più accaniti iniziarono a moltiplicarsi
vistosamente. Ora che Dark Souls Remastered è finalmente
realtà, possiamo dire che l’opera di Miyazaki è riuscita a
resistere agli strali del tempo, segno che quando alla base di
un titolo c’è un ottimo lavoro il prodotto finale è destinato
a resistere. Tutto ciò che era presente nel capolavoro
originale è fortunatamente ancora intatto e, nonostante il
passare del tempo, l’atmosfera silenziosa, oscura e ansiogena
riesce ad avere lo stesso meraviglioso effetto di sempre su
chi si trova dinanzi lo schermo. È evidente fin da subito che
gli sviluppatori di Virtuos, lo studio asiatico che si è
occupato del porting in collaborazione con Bandai Namco, si
siano concentrati unicamente sull’adattamento estetico di
tutta l’esperienza. Prima ancora di iniziare a vagare per le
prigioni dei non-morti ci si accorge che anche i testi e le
illustrazioni hanno ora una definizione ben maggiore di quella
originale, sgranata e offuscata. La risoluzione è infatti la
prima protagonista del miglioramento estetico generale e
moltiplica esponenzialmente la quantità di pixel a schermo.
Basti pensare che viene addirittura quadruplicata su
PlayStation 4 Pro, Xbox One X e PC, dove si raggiungono i 4K
senza troppe difficoltà. Lo stesso trattamento è stato
riservato anche per le texture, finalmente limpide nel
rivestire e rappresentare armature, armi ed incantesimi,
rendendo il tutto decisamente più ricco di dettagli. In un
gioco che narra la sua storia anche tramite le fattezze di un
oggetto o il disegno su uno scudo, questo lavoro acquisisce
ancora più importanza. Tramite risoluzione e texture
migliorate la definizione grafica di tutto il titolo raggiunge
livelli di precisione così alta da emozionare chi ha trascorso
centinaia di ore sul titolo originale. Nel particolare sono
due i miglioramenti che rappresentano le novità più
interessanti di Dark Souls Remastered. L’illuminazione
avanzata permette finalmente alle fonti luminose di influire
sull’aspetto delle texture e mostra la proiezione di ombre
dinamiche molto più al passo coi tempi. Alcuni piccoli effetti
grafici, come gli sprite delle anime e alcune sorgenti di
luce, sono poi stati completamente tirati a nuovo. Dove però
si vede il vero salto in avanti rispetto al passato è nella
fluidità dell’azione di gioco, infatti, il framerate è
saldamente ancorato sui sessanta frame per secondo, anche
nelle. situazioni più concitate e pesanti sul motore di gioco.
Per quanto riguarda la giocabilità, niente è stato cambiato e
persino la risposta dei comandi è la stessa di un tempo. Il
regno di Lordran svetta ancora una volta in tutta la sua
maestosità, e si offre tale e quale a come era in passato.

Tutto ciò che avviene in Dark Souls non è finalizzato a
causare la morte di chi gioca, ma ad indicare quali sono gli
inciampi da non ripetere in futuro. Si tratta di un modo
d’intendere il gaming molto comune oggi, ma che nel 2011 era
in una fase di scoperta, oppure di “riscoperta” per coloro che
provenivano dalla vecchia scuola a 8 e 16 bit. Si muore, si
perdono tutte le anime accumulate in quella sessione e si
lotta con tutte le proprie forze per non crollare nuovamente
prima di aver raggiunto la zona del trapasso. L’incedere della
produzione di From Software è grosso modo questo dall’inizio
alla fine, intervallato dal tiepido sollievo di quei falò che
simboleggiano l’oscurità verso cui sta precipitando il regno.
A conti fatti, Dark Souls Remastered continua oggettivamente
ad avere una sua attualità, anche al netto di due sequel che
ne hanno ampliato non poco le caratteristiche e i contenuti.
Chi avrà modo di avvicinarsi al primo episodio dopo aver già
provato i suddetti eredi potrebbe trovarsi tra le mani un
titolo più lento e macchinoso, al quale mancheranno alcune
finezze introdotte solo successivamente. L’assenza iniziale
del teletrasporto tra falò, un sistema di crafting
eccessivamente intricato, il limite a 2 anelli, così come
anche l’impossibilità di effettuare un respec: il lavoro di
From Software è rimasto quell’originale diamante grezzo,
dotato sì di un proprio equilibrio, ma anche piuttosto rigido
se paragonato ai suoi successori. L’unico approccio possibile
con una simile produzione è lo stesso che era richiesto nel
2011, pretendendo tanta umiltà, ma anche moltissima pazienza,
nel tentativo di padroneggiare un gameplay molto ragionato e
non sempre immediato. Se la componente visiva rappresenta
sicuramente il principale fattore di novità per coloro che
vorranno avvicinarsi a Dark Souls Remastered, non bisogna però
tralasciare le diffuse innovazioni che ha subìto il gameplay,
soprattutto per quanto riguarda il reparto online. Il titolo
può infatti ora contare su server dedicati che vanno a
soppiantare il vecchio e fastidioso sistema basato sul peer to
peer, complice di tante situazioni surreali dovute alla
discontinuità nella trasmissione dei dati tra giocatori. Una
nuova base da cui partire per ricostruire un mondo fatto di
segni d’evocazione, aiuti e macchie di sangue, ripopolando
quello che negli ultimi anni era veramente diventato un regno
abbandonato a se stesso. È lodevole inoltre notare come il
team di sviluppo abbia provveduto ad inserire altri piacevoli
cambiamenti al comparto multiplayer di Dark Souls, come ad
esempio la possibilità di evocare direttamente un amico grazie
allo stesso sistema di password già visto nel terzo capitolo.
Un’introduzione che in parte snatura il senso di abbandono e
di casualità che i giocatori del 2011 ricorderanno molto bene,
ma che allo stesso tempo consente di godere appieno della
possibilità di affrontare in cooperativa le infinite sfide
delle terre dei Lord.

È stato aumentato anche il numero di invasioni possibili: un
membro ospitante, tre aiutanti e due giocatori ostili, per un
totale di sei non morti che possono scontrarsi
contemporaneamente nello stesso match. Un’eventualità che è
stata estesa anche alla modalità Arena, che ora offre anche
battaglie 3v3 e un deathmatch tra 6 giocatori. Tirando le
somme, presa per quello che è, questa edizione raggiunge in
pieno il suo obiettivo: permettere di giocare il primo Dark
Souls nella sua veste migliore. Certo, in alcuni casi il peso
degli anni si fa sentire e l’aspetto spoglio, seppur definito
delle ambientazioni, avrebbe forse meritato un trattamento
ulteriore, ma fortunatamente nulla di tutto questo fa gridare
allo scandalo o pregiudica la giocabilità del titolo. Dark
Souls Remastered, insomma, è la giusta occasione per
recuperare un capolavoro del recente passato se non avete
avuto il piacere di giocarlo nel 2011, oppure di avventurarsi
nelle terre delle anime oscure tra le storie di draghi e
giganti ancora una volta ma con una veste grafica migliorata,
un comparto multiplayer assolutamente di tutto rispetto e una
fluidità che rende l’esperienza assolutamente incredibile. Il
prezzo conveniente unito alla presenza dei contenuti
aggiuntivi a nostro avviso sono la ciliegina sulla torta in
più che rendono l’acquisto di Dark Souls Remastered ancora più
goloso. Quindi, sia che si sia dei veterani del titolo
originale, sia che ci si avvicini per la prima volta a questo
capolavoro, questa riedizione merita assolutamente l’acquisto.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8
Longevità: 9
VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise
Conan Exiles, un survival
game    duro   e   crudele
nell’universo di Robert E.
Howard

Con oltre un anno trascorso in accesso anticipato su Steam,
Conan Exiles è uno degli esempi più lampanti di gioco che ha
saputo adattarsi al feedback degli utenti modificandosi in
meglio. Ambientato nel mondo fantasy creato da Robert E.
Howard, il gioco si presenta agli occhi dei giocatori Xbox One
e PS4 come un survival duro e puro che scaglia i giocatori
senza risorse e nudi in un mondo ostile. Conan Exiles lascia
fin da subito il giocatore in balia di se stesso proprio per
anticipare quale sarà la dura realtà in cui bisognerà
sopravvivere e combattere. Dopo una breve introduzione,
scandita da una cutscene nella quale mette il giocatore nei
panni di un criminale esiliato e condannato a morte che viene
tirato giù dalla croce da Conan, il protagonista si ritroverà
direttamente all’interno di un avanzato sistema di generazione
del personaggio che offre ampie opzioni di modifica sia per
quanto concerne la corporatura che per i lineamenti del volto.
Una volta portate a termine queste formalità, l’avventura ha
finalmente inizio, ma non sarà subito facile abituarsi al
sistema di controllo e soprattutto alle dinamiche necessarie
per la progressione del proprio alter ego virtuale. La flebile
premessa narrativa lascia immediatamente spazio ad una fitta
rete di richieste, le quali si faranno man mano sempre più
complesse e articolate, raggruppate in una sezione del menu
denominata “avventura”. I primi compiti suggeriti saranno
estremamente semplici e rivestiranno il ruolo di tutorial per
coloro che si trovano alla prima esperienza con il genere di
riferimento. Ciò significa che fin dall’inizio in Conan Exiles
bisognerà darsi da fare per bere o mangiare non appena ce ne
sarà bisogno, ma sarà necessario anche reperire risorse da
utilizzare per la creazione di strumenti inizialmente semplici
e successivamente più complessi e utili. La prima ora si passa
accumulando rami, rocce, fibre vegetali e via dicendo. Grazie
a questi oggetti si potrà assemblare una rudimentale arma, ma
anche un giaciglio di fortuna da cui ripartire in caso di
morte. All’inizio il personaggio creato è un essere umano con
muscoli ben sviluppati ma flosci, ha una resistenza alla
fatica molto limitata, che gli consente di correre o nuotare
solo per brevi tratti e di arrampicarsi su dirupi di modesta
altezza. Proprio in virtù di questo, nelle prime ore, è
sconsigliato andare a zonzo per la mappa, in quanto è molto
facile imbattersi in animali selvaggi che con un paio di colpi
si riveleranno letali. Stesso discorso va fatto per gli altri
esuli, più organizzati e numerosi. Attaccarne uno per
procurarsi del cibo significa attirare l’attenzione di almeno
altri due, il che si traduce con morte certa. Stesso iter se
si proverà a fare qualche uccisione stealth. Inoltre, anche
una caduta da altezze medie farà calare drasticamente la barra
dell’energia, che non potrà essere ripristinata se non
mangiando cibo abbastanza nutriente. Insomma, nella fase
iniziale di Conan Exiles bisognerà accontentarsi di larve ed
insetti, ma soprattutto bisognerà procedere un passo alla
volta per non finire miseramente sotto terra. Parlando di
gameplay, appena preso il controllo del personaggio,
completamente nudo, bisognerà sbrigarsi a fuggire dal deserto
dove ci si trova, raggiungendo un territorio più amichevole,
per così dire. Prima però sarà possibile fare la conoscenza
del sistema di crafting, che occuperà per la maggior parte del
tempo di gioco chi si trova dinanzi lo schermo. Raccolte
alcune fibre vegetali, dei sassi e dei bastoni, sarà possibile
costruire dei vestiti e avere i primi strumenti di lavoro: un
piccone e un’accetta, entrambi di pietra, molto rozzi e poco
resistenti.

Per fortuna nel frattempo si sarà guadagnato qualche livello e
si potrà decidere di assegnare dei punti non solo alle sei
caratteristiche del personaggio, ma anche a delle nuove
ricette per il crafting, così da avere più opzioni, tra le
quali delle armi vere e proprie e i primi materiali da
costruzione per gli edifici. Nonostante i miglioramenti
apportati nel corso del periodo di sviluppo, la parte del
crafting è quella rimasta più costante nel tempo e non è
cambiata molto rispetto all’inizio. Per raccogliere materiale
basterà trovare le risorse e colpirle con lo strumento giusto.
Ovviamente più sarà forte il proprio alter ego virtuale, e più
risorse si potranno trasportare. In generale, la difficoltà di
gioco che offre Conan Exiles è calibrata bene, ma varia
moltissimo a seconda di come si decide di affrontare
l’avventura, giocabile da soli, in cooperativa o in PvP. Prima
di andare avanti con la descrizione del gameplay, è giusto
specificare che, come praticamente tutti i survival che lo
prevedono, Conan Exiles dà il meglio di sé quando giocato in
cooperativa con degli amici. Il sistema migliore per capire
bene questo titolo è iniziare per gradi, studiare il sistema
di gioco in single player o con qualche amico, per poi tentare
la fortuna online, magari su server in cui i rifugi sono
indistruttibili. Tornando al gameplay, sbloccate alcune
ricette e raccolte le necessarie materie prime, sarà possibile
finalmente innalzare un piccolo rifugio, arredandolo magari
con un letto di foglie, una cassa per togliersi
dall’inventario il materiale in eccesso e un falò per cucinare
il cibo. Proseguendo nell’avventura si avrà a disposizione
molta più mobilia da fabbricare, oltre alla possibilità
d’installare alcuni banchi da lavoro, indispensabili per
realizzare l’equipaggiamento migliore. Da principio sarà bene
posizionare la propria casa vicino a uno specchio d’acqua,
così da non aver problemi per placare la sete. Per la fame
invece bisognerà, come già accennato, accontentarsi di qualche
insetto, almeno finché non si sarà appresa l’arte della
caccia. Il posto dove ci si trova all’inizio ha solo a
disposizione le materie basilari, appena si cresce di qualche
livello, però, ha inizio la vera avventura con l’esplorazione
dell’interno della mappa. Conan Exiles gestisce la crescita
del personaggio e della difficoltà di gioco in modo graduale e
impeccabile: i materiali migliori si trovano nelle aree più
remote, raggiungibili solo quando si dispone di un personaggio
abbastanza forte da sopravvivere ai nemici che si fanno
gradualmente più forti. I primi sono degli altri esiliati, dei
coccodrilli giganti e delle tartarughe, tutti pericolosi ma
lenti e alla lunga facilmente gestibili. Più avanti invece si
incontreranno alcune tribù molto forti e numerose, dei giganti
di ghiaccio, degli scheletri viventi, dei mammut, dei puma e
tanti altri avversari ancora, che renderanno problematica, ma
allo stesso tempo gratificante l’esplorazione dei diversi
luoghi che la mappa offre.

In Conan Exiles ci sono anche dei boss, ossia degli avversari
particolarmente potenti posti normalmente in fondo a qualche
pericoloso dungeon, che possono essere affrontati solo con
l’equipaggiamento giusto e con l’adeguata esperienza
individuale. E qui entra in gioco il sistema di combattimento.
Sebbene nelle prime versioni di gioco questo fosse
assolutamente complesso e difficile da padroneggiare, adesso
affrontare i nemici risulta veramente divertente e appagante.
Grazie all’introduzione del sistema di combo e mosse speciali,
diverse per ogni arma, e la maggiore e più precisa risposta
dei corpi ai colpi inferti, adesso entrare in un villaggio
pieno di nemici non è più uno strazio, così come affrontarne
di più contemporaneamente. Certo, non è una passeggiata e si
muore lo stesso molto di frequente, ma almeno si riesce a
comprendere da dove arrivano i colpi e si vede chiaramente
quando si va a segno, senza che le armi scivolino sui corpi
degli avversari. Gli sviluppatori hanno aggiunto anche una
barra della vita sui nemici per darci subito un’idea della
loro resistenza, così magari da non perdere tempo con quelli
troppo forti. Grazie a questi miglioramenti assume molto più
senso la costruzione di nuovo equipaggiamento, che non si
limita a essere una compensazione dei difetti del sistema di
combattimento, ma un premio per l’abilità dimostrata sul campo
di battaglia. Certo, ci vuole qualche ora di gioco per avere
almeno delle armi e delle corazze di ferro, e molto di più per
arrivare a quelle fatte di materiali pregiati, ma i bonus che
danno sono finalmente percettibili e fanno la differenza. Dal
punto di vista tecnico, Conan Exiles non stupisce
particolarmente, al di là del framerate ballerino e di una
qualità complessiva non eclatante, a dare particolarmente
fastidio sono soprattutto una gestione non ottimale della
telecamera che inficia l’esperienza di gioco in generale. Il
modello poligonale principale non è male, ma buona parte delle
ambientazioni iniziali sono a dir poco scarne. Con il
procedere dell’avventura le location migliorano e la grafica
si assesta su livelli medio alti, ma nel complesso il lavoro
svolto non fa gridare al miracolo. L’interfaccia, poi, è un
elemento che i giocatori console troveranno scomodo da
utilizzare. Fin dai primi minuti risulta chiaro che gli
sviluppatori non si sono spremuti per rendere la fruizione del
gioco comoda agli utenti PS4 e Xbox One. Le schermate
dell’inventario sono chiaramente disegnate per essere
esplorate con un mouse, farlo con un controller è scomodo sia
per la lentezza di movimento del cursore, sia per la
difficoltà nel capire quale elemento venga evidenziato. Detto
ciò, tirando le somme, Conan Exiles non è un videogame adatto
a tutti. E’ un survival game che procede lentamente, a cui
bisogna dedicare molte e molte ore prima di ottenere i
risultati desiderati, ma allo stesso tempo per chi ha
pazienza, i frutti di tutto il tempo speso per far crescere il
proprio alter ego virtuale garantirà diverse soddisfazioni. Un
titolo del genere farà la gioia degli amanti del crafting,
invece per chi preferisce un po’ di azione allo stato puro,
meccaniche intuitive e risultati più veloci consigliamo di
navigare verso altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7
Sonoro: 8
Gameplay: 7,5
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

Burnout Paradise Remastered,
tornano le corse sfrenate e
gli incidenti spettacolari

Dopo anni di assenza, Burnout, la serie che ha reso celebre il
team Criterion, ritorna su console grazie alla versione
rimasterizzata di Burnout Paradise. Se, come molti degli
amanti della serie che hanno già solpato a dovere questo
titolo ben 10 anni fa, vi state chiedendo vale la pena
acquistarlo ancora una volta? La risposta è: assolutamente sì.
Anche a distanza di così tanto tempo, infatti, il gioco
targato EA si conferma come uno dei migliori racing arcade di
sempre e su PS4 come anche su Xbox One gira ad una velocità e
garantisce una fluidità in grado di far letteralmente
schizzare gli occhi fuori dalle orbite. Il lavoro svolto su
questa “nuova” versione del gioco è veramente degno di nota.
Ovviamente è bene sottolineare che stiamo parlando di una
rimasterizzazione, non di un remake, quindi significa che la
base rimane comunque quella del gioco originale comprensivo di
tutte le sue espansioni. Burnout Paradise è stato ripulito e
tirato a lucido con nuovi effetti di luce, colori più vivi e
texture in alta risoluzione, inoltre il passaggio su hardware
più potenti ha però permesso agli sviluppatori di alzare i
dettagli al massimo, inserire un po’ di macchine in più su
schermo e far girare il tutto senza alcun affanno. Per chi non
lo sapesse o non ha avuto il piacere di giocare il titolo 10
anni fa, Burnout Paradise è un racing game ambientato a
Paradise City, città di fantasia che ricorda alla lontana Los
Angeles. In questo scenario migliaia di chilometri di strade
liberamente esplorabili sono il luogo in cui bisognerà
affrontare decine di rivali a cui far assaggiare un po’ di
metallo rovente a suoni di corse folli, incidenti
spettacolari, salti e acrobazie folli.

https://www.youtube.com/watch?v=qDaJe0kOuxc

A differenza dei capitoli precedenti in Burnout Paradise non
ci sono gare isolate, ma a ogni incrocio della città sarà
possibile fermarsi per dare il via a uno dei tanti tipi di
sfide. Le gare classiche sfruttano al meglio la natura open-
world del gioco. In questa tipologia di sfida c’è un punto di
partenza e un traguardo da raggiungere, ma tutto quello che
accadrà nel mezzo dipenderà dal giocatore, quindi si potrà
scegliere il percorso migliore da utilizzare, le scorciatoie
da prendere e il momento adatto per eliminare i rivali
provocando spettacolari incidenti a colpi di sportellate a
tutto gas. Gli incidenti, chiamati Takedown, sono da sempre il
marchio di fabbrica di Burnout e anche in questo capitolo
rivestono un ruolo importante. Oltre a consentire di
rallentare notevolmente un rivale, caricheranno la barra del
Nitro consentendo di andare ancora più veloce. Il turbo potrà
essere riempito anche correndo contromano, effettuando
acrobazie e commettendo ogni tipo d’infrazione, l’importante è
che sia sempre attivo in quanto senza di esso gli avversari
avranno una chance in più di arrivare prima al traguardo. Se
si è amanti delle gare a eliminazione si potrà partecipare
alle Furie Stradali, modalità di gioco in cui sarà richiesto
di mandare fuori strada più avversari possibile, invece se si
vuole provare il brivido del pericolo si potrà partecipare
alle sfide Stunt che richiedono il raggiungimento di un certo
punteggio attraverso salti, derapate e sorpassi pericolosi.
Molto intense sono poi le gare “Uomo nel Mirino”, nelle quali
si verrà presi di mira da “sicari” alla guida di potenti mezzi
neri che avranno il preciso scopo di mandare il giocatore
fuori strada prima che esso arrivi al traguardo. Esistono poi
delle gare chiamate Strada Rovente, che possono essere
affrontate solo con determinati tipi di vettura. Inizialmente
molte di queste saranno precluse, ma sarà possibile tornarci
per affrontarle quando si avrà a disposizione il bolide
adatto. Le macchine del gioco non sono su licenza ufficiale ma
non sarà difficile vedere in loro parecchie somiglianze con
modelli realmente esistenti. Paradise City è divisa in
quartieri e in un’apposita schermata si potrà tenere sotto
controllo la percentuale di completamento del gioco e delle
singole sfide in ogni zona. Nella mappa si possono vedere
anche gli eventi e i luoghi già scoperti, che potrete
raggiungere facilmente in poco tempo. I parecchi i chilometri
di strada a disposizione e gli infiniti bivi sono il modo
migliore per scoprire scorciatoie e luoghi segreti che
nascondono sfide e collezionabili. Alla luce di tutto questo,
la cosa migliore da fare per vivere al meglio l’esperienza di
Burnout Paradise è girare per la città senza un obiettivo
preciso e affrontare le gare quando lo si ritiene più
opportuno, andare in giro e fare quello che si vuole e
imparare la mappa al meglio in modo tale da avere una chance
in più durante le gare. Ciò che più importa è che in
quest’edizione rimasterizzata del titolo EA è che lo spirito
del gioco è rimasto intatto, alla pari del divertimento. Una
volta avviato il gioco ed essere partiti con il mezzo in giro
per le strade di Paradise City oltre alle gare si potranno
incontrare gli sfasciacarrozze, nei quali cambiare vettura
scegliendo tra quelle sbloccate, le stazioni di servizio,
utili per ricaricare la barra del turbo una gara e le
carrozzerie, nelle quali entrare se si vuole dare una nuova
livrea al proprio bolide. Ultime, ma non per importanza ci
sono le Officine, utili da raggiungere assolutamente nel caso
in cui il mezzo abbia subito gravi danni.
https://www.youtube.com/watch?v=xaTy_zM4W1w

Per gli amanti dei collezionabili, Burnout Paradise Remastered
mette anche a disposizione 400 cartelli stradali da
distruggere, cancelli da sfondare, salti acrobatici e garage
nascosti. Trovarli tutti sarà una vera impresa, ma alla fine
la soddisfazione sarà davvero tanta. Giocando a Burnout
Paradise Remasterd in qualsiasi momento si potrà entrare in
modalità multiplayer. Non ci sono schermate separate o menù a
cui accedere, infatti basterà premere destra sulla croce
direzionale per invitare un amico ad una sfida, entrare in una
gara con altri corridori o creare una partita personalizzata.
Questa edizione rimasterizzata tra l’altro include gli 8 DLC
del gioco originale. Big Surf Island offre nuove sfide e
veicoli, Cops and Robbers aggiunge una modalità inseguimento
online e le livree della polizia per tutte le macchine di
Paradise. Legendary Cars butta nel mucchio dei bolidi dal
sapore cinematografico che non faticherete a riconoscere,
mentre l’espansione Burnout Bikes include quattro mostri su
due ruote: FV1100, FV1100-T1, Firehawk V4 e Firehawk GP
Competition. Non mancano neanche una manciata di macchinine
giocattolo del pacchetto Toys e le sfide aggiuntive del DLC
Cagney. Da sottolineare anche la presenza del Party Pack,
introdotto a suo tempo nell’edizione Ultimate Box di Burnout
Paradise. Questa modalità multiplayer offline consente ad un
massimo di 8 giocatori di intraprendere una serie di sfide
veloci scegliendo tra Abilità, Velocità e Stunt. Per quanto
riguarda il comparto audio, il gioco offre una colonna sonora
assolutamente eccezionale: oltre che l’immortale Paradise City
dei Guns n’Roses, la tracklist è infarcita di brani rock
assolutamente adrenalinici di artisti famosi e non. Gli
effetti sonori, poi, sono esaltanti e sempre ben calibrati.
Questo fa si che nonostante le migliaia di situazioni surreali
che si affronteranno, il tutto risulti sempre credibile.
Graficamente parlando, nonostante si tratti di un’edizione
rimasterizzata, il lavoro svolto è davvero eccellente. I
modelli sono stati tirati a lucido e la città appare più bella
e viva che mai. Il frame rate, poi, inchiodato sui 60 fps al
secondo rendono l’esperienza di gioco estremamente fluida e
appagante. Tirando le somme, questo Burnout Paradise
Remastered è veramente un acquisto imperdibile per tutti
coloro che sentivano la mancanza della saga, ma anche per chi
vuole un gioco di corse assurdo e scanzonato che sia diverso
dai soliti simulatori di guida ultra realistici. Burnout
Paradise è divertimento allo stato puro e lasciarselo
sfuggire, anche in virtù del golosissimo prezzo, sarebbe un
vero errore.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

Fifa 18, EA celebra la coppa
del mondo con il dlc gratuito
“World Cup Russia”
Una grande novità è in arrivo per tutti i fan di Fifa 18.
Electronic Arts, infatti, celebra il più grande torneo di
calcio dell’anno con 2018 FIFA World Cup             Russia,
l’aggiornamento scaricabile gratuitamente da         tutti i
possessori del titolo calcistico di EA. L’update offre
l’opportunità unica di vivere il torneo mondiale attraverso
gli elementi ufficiali del titolo, come le squadre, gli stadi,
le divise, gli stemmi, i palloni ufficiali e l’ambito trofeo
in palio. Gli appassionati e possessori di PlayStation 4, Xbox
One, Origin per PC e Nintendo Switch potranno scaricare
gratuitamente il contenuto a partire dal 29 maggio. Il “World
Cup Mode” aggiungerà ulteriore profondità a FIFA 18,
permettendo agli appassionati di questo videogioco di
cimentarsi nell’inedita modalità dedicata alla Coppa del Mondo
e che promette nuove sfide e la riproduzione perfetta di
quanto succederà davvero in Russia dal 14 giugno al 15 luglio
prossimi. Per permettere una completa “full immersion”
nell’atmosfera dei Mondiali la Electronic Arts interverrà
radicalmente sul gioco, aggiungendo una miriade di dettagli.
Ad esempio saranno inserite le rappresentative nazionali che
si sono qualificate per la Coppa del Mondo e che invece erano
assenti nel gioco, ben 12 nuove squadre provenienti da tutto
il mondo. A queste si aggiungeranno nuovi palloni, nuove
divise e naturalmente nuovi giocatori, mentre quelli già
presenti nel gioco vedranno le proprie caratteristiche
aggiornate sulla scia delle prestazioni offerte nel mondo
reale.

L’aggiornamento 2018 FIFA World Cup Russia permette di
scegliere una delle 32 nazionali qualificate per vivere il
sogno del mondiale e scrivere la propria storia nel torneo,
dalla fase a gironi alla finale di Mosca in modalità
Amichevole Online e Torneo Online. Inoltre, con il Torneo FIFA
World Cup Personalizzato è possibile scegliere una delle
nazionali incluse in FIFA 18 per creare un torneo unico,
selezionando anche nazionali non qualificate come Italia, Cile
e USA. Per immergersi nelle più calde atmosfere degli stadi e
cimentarsi in partite offline, da solo o con amici, è stata
inclusa anche la modalità Calcio d’Inizio FIFA World Cup. Nel
nuovissimo DLC saranno inoltre inclusi, riprodotti con fedeltà
assoluta, i 12 stadi che ospiteranno la manifestazione, mentre
anche la modalità Ultimate Team sarà aggiornata e in parte
rivisitata: le carte di moltissimi calciatori saranno
aggiornate per rispecchiarne i valori attuali e rendere ancor
più realistico il gioco, ma non mancheranno le icone più
famose nella storia dei Mondiali e un nuovissimo sistema di
intesa che si baserà sulla nazionalità e sulle confederazioni
di appartenenza. Naturalmente saranno presenti, insieme
all’Ultimate Team, anche le ormai celebri “Sfide Creazione
Rosa”, che avranno temi e premi ispirati alla Coppa del Mondo
e che sicuramente allungheranno la longevità di un gioco che è
già un successo e che con questo splendido aggiornamento
gratuito mira ad avvicinarsi ancora di più ai cuori dei propri
fan in vista dell’uscita autunnale di FIFA 19. Non resta altro
che scaldare i polpastrelli in attesa di questo succosissimo
dlc.

Francesco Pellegrino Lise
God of War, un Kratos feroce
e   maturo   approda   sulla
PlayStation 4

Qualsiasi appassionato di videogames conosce o ha giocato
almeno una volta a God of War, saga esclusiva PlayStation che
si è evoluta nel corso degli anni, partendo nel 2005 dalla Ps2
fino a giungere all’odierna Ps4. Questo titolo porta dentro di
sé echi di un passato a dir poco epico che l’hanno portato ad
essere un punto di riferimento nel genere action in terza
persona e che hanno portato il protagonista, Kratos, a
diventare una vera e propria icona del gaming di casa Sony. In
questo nuovo God of War, ultimo capolavoro in esclusiva su
PlayStation 4, tale eredità si mescola con un presente più
maturo, moderno, in linea con quelle che sono le produzioni
attuali, ma soprattutto che abbandona il lato estremamente
selvaggio del protagonista mettendo in mostra un aspetto più
“umano” del Dio della guerra. Ma veniamo alla trama: tanti
anni sono passati dalla disfatta di Zeus e dal crollo del suo
Pantheon. Sono trascorsi anni di pace, fatti di una vita
regolare, di nuovi affetti familiari e di una paternità
faticosa, forse non desiderata. Di questa misteriosa stagione
della vita di Kratos quasi non si fa menzione nel nuovo God of
War. Il grande balzo temporale mette nelle mani dei giocatori
un eroe invecchiato, taciturno e barbuto, ma non per questo
meno carismatico degli anni delle sue imprese. Kratos porta
ancora le cicatrici delle sue antiche avventure, in lui
ribolle la stessa fierezza ereditata dall’educazione di
Sparta, ma il dio della guerra ha deciso di cambiare. Di
crescere, di trasformarsi, di diventare più maturo. Alla
stessa maniera della serie di cui è protagonista, che ci
propone un episodio diverso ma non irriconoscibile, grandioso
come un tempo ma deciso ad evolversi. God of War per Ps4,
insomma, rappresenta la volontà di rifondare il canone
dell’action, di allargarne i confini abbracciando un incedere
più avventuroso e meno volto ai combattimenti troppo forzati.
Le premesse della trama sono interessanti e fanno capire da
subito che ci si trova in una situazione nuova, rispetto al
passato della saga. Kratos, come già detto, è invecchiato e ha
anche un figlio, Atreus, un ragazzino inesperto che a inizio
gioco muove i primi passi nel mondo della caccia e del
combattimento. Tutta la trama principale è basata sul viaggio
che Kratos e Atreus intraprendono per portare a termine un
preciso obiettivo. Ed è nel corso di questo viaggio che il
giocatore può scoprire qualcosa in più sul nuovo Kratos,
abituarsi al suo cambiamento, anche caratteriale, osservarlo
nel ruolo di padre e apprezzare il gran bel lavoro di
sceneggiatura fatto dagli scrittori di Santa Monica Studio.

Il ritmo di questo nuovo God of War è
molto particolare
Sicuramente più lento rispetto al passato della saga, ma
comunque convincente per altri motivi. Il rapporto tra Kratos
e Atreus è uno degli aspetti più belli da seguire, nel corso
del viaggio, ma in generale è l’evoluzione dei tanti elementi
di gioco a colpire, convincere, soddisfare. C’è il progresso
della trama stessa, con l’aggiunta di nuovi dettagli man mano
che si procede nell’avventura, c’è il progresso di Kratos, che
può imparare nuove abilità di combattimento e diventare più
forte con nuovi pezzi di equipaggiamento, c’è il progresso del
gioco, che si apre a nuove possibilità grazie all’ottenimento
di strumenti che permettono di sbloccare nuove situazioni. E
tutti questi elementi, insieme, contribuiscono a rendere il
viaggio estremamente affascinante e magistralmente cadenzato.
Insomma, affrontando il nuovo God of War, man mano che si
procede nell’avventura è tutto un susseguirsi di emozioni
uniche che difficilmente potranno essere cancellate dalla
memoria. A livello di gameplay le attività principali in cui
il giocatore è coinvolto sono fondamentalmente tre:
l’esplorazione attenta di nuove aree, il combattimento contro
diversi tipi di nemici, la risoluzione di enigmi ambientali.
L’esplorazione è abbastanza libera in alcune precise fasi del
gioco e lo diventa totalmente dopo l’end game, ma ovviamente
il risultato non è come quello di un classico open world. God
of War per PS4 è un gioco che vuole anche un po’ guidare il
giocatore, almeno finché non avrà completato la trama
principale. C’è spesso modo di distrarsi dalla storia, ed è
anche consigliabile farlo, perché è proprio grazie
all’esplorazione e al completamento di missioni secondarie che
è possibile ottenere esperienza utile a sbloccare nuove
abilità di combattimento e pezzi di equipaggiamento
indispensabili per rendere Kratos all’altezza delle sfide più
ardue. Progredire con il protagonista, quindi, significa anche
esplorare per bene tutto ciò che il gioco ha da offrire.
Quindi, se si vuole diventare più forti, bisogna sfruttare al
cento per cento il mondo di gioco, imparare a conoscerne tutti
i segreti ed esplorarne tutti i posti più nascosti. Se fino a
questo punto è evidente quanto questo nuovo capitolo della
saga di God of War sia stato potenziato in ogni elemento con
risultati molto positivi: è più grande, più longevo, più
narrato, più profondo, più personalizzabile, è proprio nel
momento in cui ci si focalizza sul combattimento e sui nemici
che le cose si fanno meno univoche nel giudizio. Il totale
cambio di visuale ha portato il gioco a trasformarsi da un
action puro, quasi sul confine di un hack & slash, con tanto
di indicatore delle combo portate a termine e telecamera
fissa, a un videogame d’azione tattico in terza persona con
visuale libera alle spalle, perfettamente in linea con le
tendenze del momento. Il movimento è più lento, pur non
essendo mai legnoso, ma si trascina dietro delle importanti
limitazioni, come l’impossibilità di tenere sott’occhio
l’intero campo di battaglia relegando all’uso di indicatori
visibili e alle continue urla di Atreus la percezione dei
colpi in arrivo dalle spalle. Per il resto la meccanica si
basa sui classici elementi che sono presenti negli action RPG
odierni: ci sono i colpi inferti dall’arma equipaggiata o
dalla distanza attraverso Atreus, la schivata rapida e con
capriola, la parata con tanto di contromossa se attivata al
momento giusto, lo stordimento dei nemici indicato da una
seconda barra che affianca quella della vita e che viene
influenzata dai colpi in base alla tipologia di resistenza
dell’avversario. Quando quest’ultimo valore raggiunge il
massimo, il nemico può essere preso da Kratos dando il via a
una piccola cutscene di esecuzione o a un quick time event che
permette di infliggere un certo numero di colpi prima che il
nemico si risvegli. Il problema è che, una volta maturato un
tot di ore sul campo di battaglia, ci si rende conto che il
combat system è nato dalla fusione di molte cose già viste che
tutte insieme non riescono a soddisfare pienamente il
giocatore più esigente o quello abituato ai vecchi ritmi della
saga.

Purtroppo in questo nuovo God of War il
set di mosse a disposizione è limitato e
molto lento
Nella sua crescita ed evoluzione e dopo una decina di ore si
prenderà coscienza che basta utilizzare sempre e soltanto
poche combinazioni di attacco per proseguire senza troppi
problemi. Nulla da dire invece sulla sensazione d’impatto e
sul feedback dei colpi, e più in generale sulla coreografia
degli scontri. Ottima invece la gestione di Atreus: il ragazzo
ha dei comportamenti abbastanza aggressivi e partecipa sempre
agli scontri in autonomia distraendo gli avversari per
aiutarci con gli attacchi e risultando sempre molto efficace
nel lancio delle frecce. Queste, oltre ad essere gestite in
automatico dal personaggio, possono essere controllate
direttamente con la pressione di un tasto e risultano cruciali
sia per consentire di bersagliare e colpire una specifica
tipologia di nemico, sia per rallentare e stordire tutti gli
avversari. Per quanto concerne la “crescita” del personaggio,
Kratos ha diversi modi per potenziarsi. Innanzitutto, vincendo
gli scontri con i nemici guadagna punti esperienza, che
possono essere spesi per acquistare abilità utili in
combattimento. Queste abilità sono legate allo sviluppo della
sua ascia Leviatano, che a sua volta va potenziata grazie
all’ottenimento di appositi materiali. Più si potenzia
l’ascia, più si sbloccano nuove abilità da acquisire tramite
l’investimento dei punti esperienza guadagnati. Queste abilità
sono fondamentalmente nuovi attacchi e/o nuove combo
eseguibili in combattimento. Possono riguardare l’utilizzo
dell’ascia o anche il combattimento “pugno e scudo” che
comunque si rivela molto importante in diverse occasioni. Il
Leviatano, poi, può essere arricchito da due attacchi runici:
nel gioco se ne trovano diversi e sta al giocatore scegliere
quali utilizzare ed è bene sottolineare che li si può cambiare
in qualsiasi momento, come se fossero pezzi di
equipaggiamento. Allo stesso modo in cui si può cambiare in
qualsiasi momento il pomo dell’ascia, che è un vero e proprio
pezzo di equipaggiamento, in grado di fornire miglioramenti
alle caratteristiche basilari di Kratos, oltre a fornire
abilità specifiche. Oltre al pomo dell’ascia Kratos può
indossare e migliorare anche pezzi per il busto, le braccia e
i fianchi, oltre a un talismano. Ciascuno di questi pezzi va a
incrementare le statistiche del personaggio, che sono Forza.
Kratos quindi non sale di livello semplicemente uccidendo
nemici, ma diventa più forte migliorando la sua ascia,
sbloccando nuove abilità e potenziando il suo equipaggiamento
oppure ottenendone uno migliore. Dal punto di vista grafico,
questo nuovo God of War è uno dei videogames meglio realizzati
fino ad oggi, grazie al connubio di un’ottima realizzazione
tecnica a una sensazionale direzione artistica. I modelli dei
personaggi e dei nemici sono assolutamente eccellenti, così
come lo sono molte ambientazioni. Anche le animazioni e la
regia di alcuni momenti giocano il loro importante ruolo
nell’appagamento audiovisivo che God of War è capace di
generare. Molto buono anche il doppiaggio italiano, che va a
coprire una mole di dialoghi davvero sorprendente per un
episodio della serie. E questa, tra l’altro, è un’altra
caratteristica molto apprezzabile e gestita in modo molto
intelligente. Svariati elementi della “lore” di questo nuovo
God of War e dell’interpretazione della mitologia nordica che
Santa Monica propone, vengono raccontati in dialoghi tra i
personaggi, che avvengono nei momenti in cui è più opportuno
che avvengano, come quando ci si sposta in barca da un posto
all’altro, senza quindi andare a sovrapporsi a momenti di
gioco in cui si sta necessariamente pensando ad altre
esigenze. Unico neo della produzione è l’assenza di una
modalità multigiocatore online che a nostro avviso, nel 2018,
è una componente fondamentale per la pubblicazione di un
software.

Un titolo assolutamente imperdibile per i
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