Quel sottile filo che lega i fatti di Bibbiano alla dell'Affidamento - Itali@ Magazine

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Quel sottile filo che lega i fatti di Bibbiano alla dell'Affidamento - Itali@ Magazine
Quel sottile filo che lega i
fatti   di   Bibbiano   alla
Riforma    dell’Affidamento
Condiviso
I fatti di Bibbiano hanno reso pubblico ciò che tante
associazioni denunciano da anni: il pericolo rappresentato
dalla possibilità che si creino relazioni di interesse fra i
giudici e le case famiglia. In alcuni distretti giudiziari non
a caso il    tasso di collocamenti extrafamiliari induce a
qualche riflessione. Ma cosa lega questi fatti alla riforma
dell’affidamento condiviso? Ne parliamo con Vittorio Vezzetti,
fondatore dell’International Council on Shared Parenting-

Dott. Vezzetti, come si spiega che possano accadere fatti
come quelli oggetto dell’indagine giudiziaria sugli affidi
della Val d’Enza?

Fatti di questo genere possono verificarsi e perpetuarsi solo
in assenza di chiare linee guida e di validi meccanismi, anche
statistici, di controllo. Mi spiego meglio:      già nel 2012
pubblicai una importante ricerca che evidenziava come in
Italia, nel campo dell’affido di minori a comunità, esistesse
una situazione a macchia di leopardo. In pratica evidenziai
fra Regione e Regione delle variazioni percentuali di minori
affidati a comunità così evidenti e statisticamente
significative che non potevano dipendere da realtà sociali
locali ma solo da scuole di pensiero e procedure molto
diverse. Portai questo studio in audizione presso la
Commissione Infanzia e Adolescenza ma, come spesso accade, non
successe nulla.

L’introduzione di linee guida chiare può essere d’aiuto?

Certamente perché le linee guida evitano che il destino dei
minori possa soggiacere all’arbitrio degli operatori. Non
dimentichiamo lo scandalo di qualche anno fa quando vennero
messe in risalto le relazioni di interesse fra molti giudici e
numerose case famiglia.     Inoltre un’analisi statistica può
evidenziare facilmente se in una certa area c’è un tasso di
collocamenti extrafamiliari abnorme e indurre il sospetto che
qualcosa non funzioni a dovere, innescando così
tempestivamente una doverosa attività di verifica. Sulla base
dei dati che raccolsi, io potei solo confrontare il
comportamento di Regioni e Province Autonome ma sicuramente
esistevano ed esistono tuttora aree all’interno della stessa
Regione con tassi di affido extrafamiliare significativamente
diversi fra loro. Insomma, una specie di anarchia dove il più
forte può fare i propri interessi, non necessariamente
economici ma anche solo ideologici.

La situazione è comparabile con quella dell’affidamento
condiviso in caso di separazione e divorzio?

Direi proprio di sì. Anche qui la legge attuale è piuttosto
vaga in quanto definisce solo la necessità di tempi
equilibrati e continuativi da trascorrere con ciascuno dei
genitori ma, di fatto, se uno si trova nel Distretto di
Brindisi vede tradotta questa locuzione in termini di
equipollenza temporale mentre se si trova del Distretto
giudiziario della quasi totalità degli altri Tribunali deve
soggiacere a distribuzioni temporali del 20% versus 80 con
notevoli varietà da Tribunale a Tribunale ed anche da giudice
a giudice e da perito a perito      nell’ambito del medesimo
Tribunale. In pratica si avverte anche qua la necessità di
linee guida ponderate e da aggiornare costantemente da cui
derogare solo in presenza di validi e obiettivi motivi. Troppo
spesso, come stiamo vedendo, l’autonomia professionale viene
confusa con l’arbitrio e l’anarchia. E’ invece vero il
contrario: la professionalità degli operatori, quelli validi,
verrebbe valorizzata dall’introduzione di precise linee guida.
Funziona ormai così in tantissimi settori: dalla Medicina
all’Aeronautica    e  i   risultati   sono         tangibili.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Linea_guida)

Quindi secondo     lei esiste un sottile filo ideologico che
collega i fatti   di Bibiano (ma anche quelli del Forteto o dei
Diavoli della     Bassa Modenese e chissà quant’altri) alle
resistenze alla   riforma dell’affidamento condiviso?

Certamente e non è un caso che le forze e le associazioni che
cercano di minimizzare i fatti di Bibiano o che addirittura li
hanno favoriti creando il giusto clima politico coincidono in
larga parte o facciano rete con i movimenti contrari alla
riforma dell’affidamento condiviso. Questa è ormai l’Italia
degli slogan e delle ideologie.       Lo studio e la ricerca
vengono dopo e spesso danno fastidio.

Ma esiste una letteratura scientifica di riferimento in questo
specifico settore dell’affidamento dei figli?

Certo. Ormai negli ultimi lustri è stato possibile, grazie
alla diffusione dell’affido materialmente condiviso (shared
parenting), effettuare molteplici studi comparativi su larga
scala e le conclusioni sono sostanzialmente univoche. A tempi
di frequentazione equivalenti corrispondono bambini e adulti
in media più sani. Poiché la giurisprudenza prevalente ignora
questo aspetto, è giusto che il Contratto di Governo abbia
focalizzato questo obiettivo.

di Mario Masi

Vi presento l’homo social
di Miriam Terzanota

Il tipo social è la versione 2.0 dell’uomo che si aggira per i
giardinetti con l’impermeabile.Non sai mai cosa possa
nascondersi sotto o, almeno, speri di non scoprirlo mai.
Indossa la sua pic migliore (una foto risalente a un decennio
prima, nella migliore delle ipotesi; nella peggiore si avvale
della foto di Brad Pitt, scaricata da google immagini, nella
speranza che nessuno se ne accorga).

Foto in primo piano se ha il panzone; con la testa “tagliata”
(che manco Maria Antonietta) se è calvo; con l’amico figo di
fianco (creando quella speranza, puntualmente disattesa, che
dopo 4999 richieste di amicizia finalmente ha iniziato a
seguirti un uomo che non ha lo stesso sex appeal del ragionier
Ugo Fantozzi) se il chirurgo estetico gli ha consigliato di
andare a Lourdes.
Non esiste però un solo tipo. Abbiamo così tante specie di
homo social che Alberto Angela ne farebbe un’intera stagione
di “Ulisse-Il dispiacere della scoperta”.

Ma studiamoli più da vicino.
1. Il portinaio: quello che saluta sempre. “Buongiornissimo”
al mattino, “buonanottissima” la sera. Ogni volta che entri o
esci da Facebook, lui sarà sempre lì pronto a salutarti.
2. Il pescatore: quello che pratica pesca a strascico. Non
importa se tu sia bella o brutta, stupida o intelligente,
simpatica o antipatica…l’unica cosa che per lui conta è il
respiro. Se ancora non è stata dichiarata l’ora del tuo
decesso, hai la speranza di imbatterti in lui. Scrive messaggi
in cui esalta le tue doti, soprattutto quelle che non hai, ti
riempie di complimenti, facendoti sentire l’unica donna al
mondo e poi…invia a tutte.
3. L’amico: quello che non hai mai visto né sentito, quello a
cui hai accettato la richiesta di amicizia perché stavi
cercando di togliere la nutella scivolata sul display del tuo
smartphone. Quello che esordisce con fare talmente
confidenziale da insinuare in te il dubbio che sia un ex
compagno delle elementari che ha subito un trapianto facciale.
4. Il commentatore seriale: colui che non è riuscito a far
parte del pubblico della De Filippi e prova la scalata verso
il successo, fatta di codici sconto e pubblicità a fitvia,
facendo gavetta sulla tua bacheca. Non si fa mai trovare
impreparato sull’argomento del giorno perché lui, se in
difficoltà, risolve tutto con un emoji, con un commento fuori
luogo come un congiuntivo a “uomini e donne” e non manca mai
di farti sentire la sua presenza.
5. Lo psicologo: quello che sulla base dei tuoi post riesce a
stabilire il tuo umore, capisce i tuoi problemi, vuole
aiutarti a risolverli…e magari tu hai postato una frase di
Marquez prima e una di Luca Giurato, poi.
6. Il cicerone: colui che esce di casa solo per fare la spesa,
quello il cui viaggio più avventuroso è consistito nel
trasferimento dal divano al bagno, quello il cui unico
ristorante che conosce è la cucina di sua mamma…ti invita a
visitare la sua città, offrendosi di fare da Cicerone…per
attraversare la strada.
7. Il risorto di figa: colui che scredita tutti gli altri,
appellandoli come defunti dell’apparato sessuale femminile,
mettendone in mostra i difetti e prendendone le distanze
mentre nel frattempo ci sta provando anche con lo scaldabagno.
Il suo iter è un calvario; sembra morire mentre cerca di
dissimulare il suo vero interesse attraverso: poesie,
citazioni colte, ricercata ironia…per poi risorgere al primo
accenno di tette. Cosa non si fa per la figa?!
8. Il polemico: è il Vittorio Sgarbi dei social. Se tu
sostieni A, lui sostiene B, se tu sei vegana, lui è carnivoro,
se tu sostieni la pace nel mondo, lui ti fa la guerra, se tu
gli dai ragione, lui cambia versione…è quello che non è
riuscito ad avere attenzione nemmeno il giorno del suo
compleanno e cerca rivalsa sui social.
9. Il social venditore: è il Giorgio Mastrota di internet;
quello che ti contatta per mettere un like alla sua pagina,
ascoltare un suo pezzo, leggere un suo libro, vedere un suo
film, comprare un set di pentole, un materasso e una bici con
cambio shimano.
10. Lo gne gne gne: quello che ti lascia il suo numero, ti
chiede il tuo, ottiene un due di picche e, piuttosto che darsi
al solitario, rilancia con un maturo “gne gne gne” e insulti a
raffica, fino alla frase finale a effetto, con la quale
vorrebbe ferirti o dichiarare la sua integerrimità,
asessualità…”ma io sono felicemente sposato”, una volta uscito
dal programma “non sapevo di avere una moglie”.
11. Il selfatore: quello che passa il tempo a corteggiare se
stesso e a farsi più foto di quante ne scattino alla Gioconda.
12. Il prostatore: quello che ti scambia per un andrologo,
allegandoti la foto del suo cervello basso.
13. Il pensionato: quello che ti segue, post dopo post, così
come si seguono i lavori di un cantiere.
14. L’ufficio di collocamento: quello che esalta le tue doti
fisiche, intellettive, morali… e ti propone di lavorare per
lui che sono anni che è in cassa integrazione.
15. L’uomo pagine bianche: quello che nel vano tentativo di
raccogliere numeri di telefono di donne avvenenti (ma anche
non avvenenti; basta che respirino), ti lascia il suo,
ovviamente non richiesto, come se fossi un cesso
dell’autogrill.
16. Il giocatore di poker: quello che reagisce a un due di
picche con la stessa pacatezza e calma con la quale Enrico
Varriale reagisce alle parole di Walter Zenga. Ai suoi occhi,
ti trasformi da Cindy Crawford a Gegia in una frazione di
secondo, senza l’impiego di filtri ma grazie al potere
taumaturgico di un “no”.

Le tipologie non sono solamente queste ma spesso tutte sono
accomunate da un unico denominatore: dimenticano che ciò che
gli viene data è un’amicizia virtuale, non la confidenza.
Cosa fa soffrire i figli di
genitori separati?
di Annabell Sarpato

Cosa fa soffrire i figli di genitori separati? La separazione
è un evento che ha un forte impatto su tutta la famiglia. Essa
riguarda in primis la coppia genitoriale, ma inevitabilmente
ha ricadute sull’intero sistema familiare, in particolar modo
sui figli. Spesso i genitori mi chiedono se la separazione di
per sé può causare conseguenze negative sui figli. In realtà
non è così. Quando mamma e papà si separano, infatti, i bimbi
inevitabilmente sperimentano sentimenti forti e contrastanti.
Dolore, rabbia, senso di impotenza, tristezza, paura e senso
di colpa sono emozioni fisiologiche che i bambini sperimentano
di fronte alla comunicazione della separazione. Queste
emozioni, con il tempo, però, tendono a sfumare. I bambini,
infatti, elaborano la sofferenza e la possono tradurre in
punti di forza. Attivano, così, la loro capacità di
resilienza.

Non è la separazione in sé a causare conseguenze negative a
lungo termine sui bambini. La separazione è un vero e proprio
lutto e, come tale, deve essere elaborato. Cosa fa soffrire i
figli di genitori separati, dunque? Oltre alla sofferenza
fisiologica a seguito di una separazione, infatti, possono
esserci delle situazioni che esacerbano questi sentimenti e li
mantengono nel tempo, non permettendo una elaborazione della
separazione di mamma e papà. Di seguito, alcune riflessioni su
cosa fa soffrire i figli di genitori separati e rischia di
causare malessere e disagio nei bimbi.
COSA FA SOFFRIRE I FIGLI DI GENITORI
SEPARATI? IL CONFLITTO ESPERITO
   CONFLITTO. Sono molte le ricerche che evidenziano che
   non è la separazione in sé a sviluppare conseguenze
   negative sui figli, ma il livello di conflittualità che
   viene esperito durante la separazione. Se anche dopo la
   decisione di andare a vivere in due case separate le
   liti sono molto frequenti, i bambini assorbono
   quest’atmosfera ostile, sviluppando sentimenti di
   tristezza e rabbia, con il rischio di rispondere a
   questa situazione con comportamenti sintomatici.
   Ricordiamo che la conflittualità non è solo quella
   esplicita, caratterizzata da urla e gesti plateali, ma
   anche quel continuo battibeccare latente, basato su
   ripicche e giochi subdoli di potere.

   STRUMENTALIZZAZIONE DEI      BAMBINI. I bambini sono
   inevitabilmente coinvolti nella separazione di mamma e
   papà. La situazione, però, si aggrava nel momento in cui
   i bimbi vengono coinvolti nelle discussioni dei
   genitori, assumendo il ruolo di strumento per attaccare
   o ferire l’altro genitore. Anche i continui litigi sulle
   questioni dei bambini, sulla loro educazione dopo la
   separazione e sulla loro gestione, pone i piccoli al
   centro del conflitto, accrescendo il loro senso di
   colpa.

COSA FA SOFFRIRE I FIGLI DI GENITORI
SEPARATI? L’IMPORTANZA DEL RISPETTO
   IL GENITORE FANTASMA. Anche se ci si separa, mamma e
   papà continuano a essere e fare i genitori. Questo è un
   diritto e un dovere dei genitori. Ci possono essere due
   situazioni altamente pericolose. Quando un genitore si
allontana dalla vita del bimbo in modo volontario e
     quando uno dei due coniugi fa di tutto per isolare
     l’altro genitore, impedendogli di avere rapporti con il
     piccolo. Situazioni di questo tipo possono essere molto
     gravi per l’intero sistema familiare, perché trasmettono
     il messaggio che la separazione non riguarda solo mamma
     e papà, ma anche il legame genitoriale. E’ molto
     importante evitare questo tipo di situazioni, perché le
     uniche vittime sono i bimbi.

     MANCANZA DI RISPETTO. I bimbi, non dimentichiamolo, sono
     persone. Hanno sentimenti, emozioni, soffrono e
     gioiscono come i grandi. Non è vero che i bimbi non si
     accorgono di nulla. I piccoli, spesso, sono molto più
     ricettivi degli adulti e hanno la capacità di cogliere
     cosa sta succedendo intorno a loro in maniera molto più
     sensibile dei grandi. Per questo è sempre importante
     basare il rapporto sul dialogo e sul confronto, parlando
     con i propri figli in maniera sincera e aperta. Questo
     non vuol dire sobbarcare i piccoli dei propri problemi o
     affidando a loro responsabilità che non gli spettano.
     Ciò, invece, significa parlare loro di quello che sta
     succedendo e di come si possono affrontare insieme le
     difficoltà che si incontrano. Ovviamente, tenendo conto
     dell’età e del livello di sviluppo del piccolo.

Cos’è l’idoneità genitoriale
di Maria Bernabeo

Una coppia in separazione molto spesso a causa del conflitto
si trova a sostenere una CTU in cui il giudice chiede la
valutazione dell’idoneità genitoriale.

In tantissime CTU si assiste ad un indagine di personalità dei
genitori molto approfondite, alla ricerca di quegli elementi
che rilevano la capacità /incapacità di padre e madre di
svolgere adeguatamente la funzione genitoriale.

Durante le CTU vengono somministrate una quantità di test
psicologici con l’intento di avere un profilo chiaro della
personalità dei genitori. E poi?

Come può essere correlato la struttura di personalità alla
capacità genitoriale?

Al giudice poco interessa se il genitore abbia tratti
narcisisti oppure l’altro presenti comportamenti di tipo
passivo-aggressivo.

Non è comprensibile basare gran parte della consulenza su
questi aspetti, anche attraverso l’analisi di risultati dei
test psicologici.

Al tribunale necessitano risposte concrete: i genitori come si
comportano nei confronti della prole?

L’art. 337 ter Codice Civile decanta:

“ Il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo, con ciascuno dei genitori, di
ricevere cura, educazione , istruzione e assistenza morale da
entrambi i genitori, mantenere i rapporti significativi con
gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”

Ciò che decanta l’art. 337ter è l’idoneità genitoriale ed è
ciò che in CTU in caso di separazione conflittuale dovrebbe
essere valutata.

Non si chiede il profilo di personalità dei genitori, test
psicologici ecc.
Come fa il CTU a correlare la personalità dei genitori alla
loro capacità genitoriale?
Il più delle volte nelle conclusioni della CTU rimane vago
sulla idoneità genitoriale suggerendo trattamenti psicologici.

Come fa il CTU a correlare la personalità dei genitori alla
loro capacità genitoriale?

Il più delle volte nelle conclusioni della CTU rimane vago
sull’idoneità genitoriale suggerendo trattamenti psicologici.

Non bisogna dimenticare che l’idoneità genitoriale è
rappresentata dalla capacità di ciascun genitore di rispettare
e garantire il diritto del figlio di mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori di
ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da
entrambi e di conservare rapporti significativi con gli
ascendenti e con parenti di ciascun ramo parentale, ed è
esattamente questo che chiede il quesito del CTU non un
profilo di personalità.

v

Perdono:   ricollocare                                   il
passato nel passato
di Giorgia Belardini
Quando si parla di perdono sorge immediatamente un pre-
giudizio, considerandolo di matrice religiosa.
Oggi, invece, numerosi studi sostengono il perdono come una
forma di terapia, utile all’interno di un percorso di sostegno
psicologico, per eliminare atteggiamenti disfunzionali in
favore di sentimenti benevoli, a beneficio del sé.

Possibili reazioni alle offese
Reazioni naturali sono emozioni e sentimenti di incredulità,
odio, rabbia, tristezza, senso di colpa, paura,
disorientamento e autosvalutazione.

In seguito, modalità di reagire possono dividersi in:

     Desiderio di vendetta.
     Funziona come deterrente per future potenziali
     aggressioni e gratifica nell’immediato, ma ci sono delle
     conseguenze paradossali: non c’è una vera       chiusura
     psicologica a seguito della vendetta, più facilmente
     vengono innescate nuove ritorsioni, incrementando la
     paura, e se sono presenti ruminazioni diventa alquanto
     tossica.

     Evitamento.
     Viene messo in atto per la preoccupazione della propria
     incolumità fisica e/o psichica o per non andare incontro
     all’opinione negativa degli altri; spesso può servire
     allo scopo di vendetta, nel momento in cui l’offensore
     traeva benefici dalla relazione.

     Perdono.
     E’ una via di uscita dalla sofferenza.

Cosa NON è il perdono

Non è dimenticare.
Per perdonare dobbiamo ricordare, ma in    modo diverso; sarebbe
impossibile far cadere nell’oblio          un ricordo in modo
volontario. Il perdono è un percorso        che trova un senso,
aumenta la comprensione in favore di una   crescita personale.

Non è riconciliazione.
Il perdono non prevede necessariamente la riconciliazione,
soprattutto perché potrebbe mettere a rischio il benessere
psico-fisico: la riconciliazione avviene dopo un percorso di
perdono e contempla un processo bilaterale in cui l’offensore
è parte attiva, dimostrando di essere cambiato e cercando di
riguadagnare la fiducia.

E ancora… Non è un atto di sottomissione, non è negare la
gravità, non è non volere una giustizia.

Ma che cos’è il perdono?

Perdonare significa concedere un dono.

È una SCELTA, un percorso unilaterale che richiede tempo e
prevede cambiamenti emotivi, cognitivi,      motivazionali   e
comportamentali verso l’offensore.

Per perdonare è importante prima impegnarsi ad elaborare i
propri vissuti e la propria rabbia, comprendere le motivazioni
ed empatizzare con l’offensore, lasciar andare sentimenti
negativi e ruminazioni in favore di sentimenti benevoli.

Il primo passo? Differenziare il danno diretto da quello
secondario (ruminazioni, autocritiche, decisioni prese
pensando di non avere libertà di scelta): tutto quello che è
successo non determina necessariamente che vada in quel modo.
Vuoi che quella persona continui ad avere tutto questo potere?

“Raptus” – Anteprima Giovedì
7 febbraio 2019 a Milano –
Disordini    da   dipendenza
virtuale   e    perdita   di
capacità di controllo
di Lara Ferrara

All’interno di “Virtus – La connessione tra il reale e il
virtuale”
Direzione artistica di Antonietta Campilongo, promossa
dall’Associazione Neworld, Nwart, con il patrocinio del Comune
di Milano nell’ambito del progetto Spazi al Talento.

Anteprima video:”Raptus” – Giovedì 7 febbraio 2019 alle ore
19.30 – Fabbrica del Vapore, Comune di Milano

Partiamo dal fatto degli impulsi, della flessibilità cognitiva
e della capacità di assumere decisioni in base
all’appagamento.
Bisogna accettare l’idea che la tecnologia non sia affatto
neutra ma possa produrre effetti sulla mente largamente
indipendenti dalla consapevolezza e razionalità di chi li
subisce, e tanto più insidiosi perché si presentano sotto una
forma accattivante e seducente.

La dipendenza da informazioni,la paura di essere tagliati
fuori, ciò che colpisce di più è che questa fenomenologia è
legata a trasformazioni delle parti del cervello preposte al
controllo di questa funzione. I disturbi cognitivi e
comportamentali affondano le radici in trasformazioni
organiche e sviluppano propensioni genetiche addirittura.
Il tema delle malattie mentali scatenate da un cattivo
utilizzo del virtuale è un argomento al centro di tantissimi
dibattiti su diversi piani e livelli.
Non solo in Italia, ma in tutto mondo, la comunicazione
sociale non ha potuto evitare di metterci mano in modo più o
meno diretto ed esplicito. Di seguito l’idea di realizzarne un
opera di video arte che rappresentasse lo scatenarsi di un di
raptus causato dal mal funzionamento di un computer.

Ideazione ed interpretazione video: Lara Ferrara
Per la regia di: Juan Diego Puerta Lopez

Direttore della fotografia e montaggio: Andrès Arce Maldonado

“Raptus” è stato interamente girato nella struttura del ex
manicomio Santa Maria della Pietà di Roma.
https://www.aslroma1.it/polo-museale/santa-maria-della-pieta
Si ringrazia la ASL Roma 1 per la gentile concessione.
https://www.aslroma1.it/

Informazioni evento:

VIRTUS La connessione tra il reale e il virtuale
A cura di Antonietta Campilongo
http://www.antoniettacampilongo.it/
/www.facebook.com/events/2503488966333109/
Dal 7 al 12 febbraio 2019
Fabbrica del Vapore – Spazio The Art Land – lotto 10
Giovedì 7 febbraio 2019 alle ore 18.00, dopo il MACRO di Roma
si inaugura, presso la Fabbrica del Vapore – Spazio The Art
Land – lotto 10 a Milano, la mostra dal titolo: Virtus | La
connessione tra il reale e il virtuale
Con la direzione artistica di Antonietta Campilongo, è
promossa dall’Associazione Neworld, Nwart, con il patrocinio
del Comune di Milano nell’ambito del progetto Spazi al
Talento.

Bullismo e cyberbullismo:
facciamo chiarezza
di Giorgia Belardini

COME AGISCONO DI SOLITO I BULLI?

L’aggressività è diretta, impulsiva; nel bullismo c’è una
intenzionalità e una persistenza nel tempo che può essere a
livello fisico (sottrazione di oggetto o violenza fisica), a
livello verbale (tramite continue offese), ma anche in modo
indiretto, attraverso l’esclusione del gruppo o la diffusione
di pettegolezzi, tipica del bullismo femminile.

OGGI CON L’ARRIVO DEI CELLULARI CI SONO ANCHE MESSAGGI
OFFENSIVI…

Ormai avanza sempre più il fenomeno del cyberbullismo, fatto
di messaggi offensivi che raggiungono la vittima dove col
bullismo tradizionale non poteva essere raggiunta.
Il cyberbullismo è proprio un atto aggressivo, intenzionale,
condotto da un individuo o un gruppo di individui attraverso
varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo contro
una vittima che non può difendersi.
QUALI SONO I CAMPANELLI D’ALLARME?

Si comincia con l’isolare una vittima, quindi la si fa sentire
sola, vulnerabile, in pericolo.
La percezione è che non puoi parlarne con nessuno, altrimenti
ti si ritorce contro e le violenze saranno ancora peggiori.
Da fuori si notano cambiamenti di umore, la vittima non vuole
più andare a scuola o fare quello che prima gli piaceva, dorme
male, parla poco e spesso ha disturbi psicosomatici.

COME SI FA’ AD INDIVIDUARE IL BULLO?

Un bullo è una persona che si è creata una corazza, una
identità aggressiva che offende gli altri e spesso si trova in
compagnia di vari aiutanti e sostenitori che aumentano la sua
forza.
Naturalmente l’interazione tra bullo e vittima è asimmetrica
(squilibrio di potere tra le parti) che può essere per età,
grandezza fisica o per atteggiamento mentale; proprio per
questo è importante indagare e far capire cosa si nasconde
dietro l’aggressività del bullo.

IN CHE MODO LE VITTIME DEL BULLISMO ESCONO DAL TUNNEL?

Le vittime spesso hanno conseguenze sia a breve che a lungo
termine, con disturbi fisici, del sonno, ansia e bassa
autostima; soprattutto si vergognano e si sentono in colpa per
quella situazione, quindi è molto difficile che chiedano aiuto
e riescano da soli ad uscirne.
È importante quindi come genitori, come insegnanti e come
amici fare attenzione ai cambi di umore improvvisi e ai
piccoli segnali che vengono mandati dalla vittima.

UN GENITORE COME PUO’ CONTROLLARE IL PROPRIO FIGLIO/FIGLIA?
Controllarlo è diventato quasi impossibile oggi, tra porte
delle stanze chiuse e cellulari, i ragazzi sono molto più
esposti.
Quello che si può fare è insegnare ai propri figli il dialogo,
quindi parlare con loro ascoltandoli attivamente, senza
esprimere giudizi; interessarsi, comprendere e condividere le
loro emozioni; essere un punto di riferimento, cercando di
incrementare la loro autostima e le loro potenzialità; creare
una rete tra casa e scuola che possa far sentire il ragazzo
protetto e supportato.

La mediazione familiare a
tutela dei minori: intervista
a Monica Gioscia
di Mario Masi

Il dibattito che sta seguendo al DDL 735, proposto dal
Senatore Simone Pillon si sta concentrando in particolar modo
sulla figura del mediatore familiare sugli aspetti psico-
educativi della mediazione familiare a tutela della
bigenitorialità. Ne parliamo con la dott.ssa Monica Gioscia,
educatore professionale, mediatore familiare e counselor.

Di cosa di occupa il mediatore familiare?

Mi occupo di conflitti familiari, sostegno alla genitorialità
e coppie in separazione già da tempo; mai come in questo
periodo sociale percepisco però la necessità di utilizzare lo
strumento della mediazione familiare nell’interesse delle
persone come prevenzione della violenza e gestione alternativa
del conflitto. Il conflitto nella coppia, è il terreno
all’interno del quale si muove e si anima la nostra
professione.

Come la mediazione aiuta i genitori?

Lo scopo della mediazione è consentire ai coniugi che hanno
deciso di porre fine al loro matrimonio di raggiungere in
prima persona degli “accordi di separazione” e di essere gli
artefici della riorganizzazione familiare che andrà a regolare
la loro vita futura e dei loro figli , seguendo il concetto
delle bigenitorialità partendo dal presupposto che la
responsabilità genitoriale debba essere esercitata da entrambi
i genitori . Attualmente il nuovo disegno di Legge Pillon/735
sostiene e legittima i bisogni dei figli in separazione ad
essere accompagnati da entrambi i genitori nella crescita,
garantendo la bigenitorialità.

Come ne beneficiano i figli?
Noi mediatori abbiamo una grande responsabilità di tutela nei
riguardi dei minori: ne assumiamo la rappresentanza, assumiamo
il loro punto di vista, portiamo in primo piano i loro
bisogni, cerchiamo di lavorare per la continuità degli
affetti.

I bambini non soffrono la separazione in sé, ciò che li
traumatizza è il conflitto, la violenza. L’effetto devastante
sul bambino si verifica laddove esista un’alta conflittualità
, dove è strumentalizzato, laddove il bambino subisce la
perdita di uno dei due genitori o non riesce a comprendere ciò
che sta accadendo. In mediazione troviamo un modo giusto ,a
seconda dell’età del bambino per far parlare i genitori con i
figli di quello che sta succedendo. Aiutiamo i genitori a
rassicurarli che la separazione dei loro genitori non
implicherà il sacrificio degli affetti, nè la rottura dei
legami.

Come interviene il mediatore nel conflitto di coppia?

Individuando e agendo sulle “posizioni” e sui veri “bisogni”
di una persona. In una coppia che litiga emergono subito le
posizioni, il mediatore individua dietro la rigidità di
un’idea (posizione) il bisogno di ognuno dei coniugi, il
sentimento che procura quella rigidità, il malessere, le
ferite. Lasciamo che la coppia litighi di fronte a noi per
creare quel “raffreddamento emotivo” che ci darà la
possibilità di aiutarli a leggerlo meglio e a gestirlo
diversamente.

In questo modo, aiutiamo i genitori a rientrare nuovamente in
contatto con la capacità della propria mente di pensare a
quello che sta accadendo a loro e ai propri figli.

Quando si può dire che un incontro sta funzionando?

Quando l’incontro di mediazione si sta rivelando efficace si
percepisce che le due menti della coppia “pensano insieme”, si
allontanano dallo schema amico-nemico, e inizia ad emergere la
consapevolezza del ruolo che ognuno di loro deve svolgere
nella vicenda che riguarda il piano genitoriale.

Il lavoro sul conflitto è condizione necessaria e
indispensabile in mediazione familiare. Due persone che stanno
attraversando una crisi coniugale, sono arrabbiate, a volte si
odiano e perdono di vista i bisogni dei figli, perché vivono
una situazione di angoscia legata alla separazione, è
consequenziale che resta loro difficile poter lavorare su un
progetto educativo per i figli che porta a distinguere la
relazione di coppia da quella genitoriale.

Come viene gestito il conflitto?

In mediazione dobbiamo fare in modo che il conflitto si
esprima, emerga, che i sentimenti di rabbia si affievoliscano
quasi come in una “camera di decompressione”, mi piace usare
questa metafora, questo perché le coppie che hanno ancora
sentimenti di rabbia inespressi strumentalizza e spesso
ostacola o getta discredito sull’altra figura genitoriale. Da
più parti si sta facendo strada l’idea che gli eccessi di
azioni giuridiche contro l’altro genitore sia la
manifestazione di un disagio relazionale di uno dei due
genitori, che si esprime nell’incapacità di dialogare e
coordinarsi con l’altro.    Il procedimento giuridico a mio
avviso impedisce l’immediatezza e favorisce la cronicizzazione
di situazioni non equilibrate. Ecco che la mediazione
familiare diventa anche un forte strumento di prevenzione per
evitare l’alienazione genitoriale, lavorare sulla coppia
elaborando il conflitto e i sentimenti di rabbia facilita il
raggiungimento dell’obiettivo iniziale quello di creare una
sintonia tra gli ex partners sul piano genitoriale, non più
una coppia coniugale ma una coppia genitoriale.

La mediazione familiare è un grande strumento di tutela per i
minori nella misura in cui offre l’opportunità alla coppia di
“ammorbidire il conflitto”, di sostenere il legame di mamma e
papà in nome della bi-genitorialità, ripristinare la
comunicazione, favorendo la creazione di rapporti e contatti
duraturi e funzionali di entrambi i genitori con i figli.

Mediare una coppia in separazione non è cosa di poco conto, è
come stare in un mare in tempesta dove i naviganti hanno perso
i punti di riferimento, oltre a pensare che si lavora sul
“non-amore”. Credo che la dimensione affettiva spesso, sia una
spinta propulsiva insieme alla passione che determina una
motivazione a gestire un cambiamento e a trovare soluzioni.
Far rinascere una coppia di genitori in mediazione, al termine
di una relazione coniugale, dà la possibilità di far
riemergere quell’amore, in un’altra dimensione relazionale,
l’amore per i propri figli che nonostante tutto non deve e non
finirà mai.

La violenza non ha sesso
di Maria Bernabeo

Quando parliamo di violenza domestica, ci viene da a pensare a
quella che le donne subiscono da generazioni.

VIOLENZA DOMESTICA SILENZIOSA

Le vittime di sesso maschile, che vengono uccise dalle loro
compagne, hanno una media di 45 anni.

Il più delle volte gli uomini non sporgono denuncia, un po’
per vergogna o per difficoltà psicologica ( tipica di chi
subisce violenza).
Il più delle volte l’elemento frenante è la paura, le persone
che subiscono maltrattamenti hanno paura, indipendentemente
dal sesso di chi subisce il maltrattamento.

Gli uomini che subiscono violenza domestica oltre a quella
psicologica, vengono picchiati e gli vengono lanciati oggetti.

Come le donne presentano escoriazioni, lividi su diverse parti
del corpo.

Non importa se sono forti o se sembra inverosimile anche loro
sono vittime di violenza domestica.

LA VIOLENZA DI GENERE

Uomini e donne subiscono minacce, ma la minaccia subita
dall’uomo non viene perseguita come un reato penale ma un
reato lieve, se la donna fa una denuncia di minaccia la sua
denuncia apre un procedimento penale

Ma ci viene da dire una minaccia è un reato sia se chi la
riceve è un uomo o una donna.

Oggi più che mai occorre fare un riesame di tutto questo
chiedendo agli uomini che la subiscono tacitamente di farsi
coraggio e di chiedere aiuto e denunciare.

Quel     veleno    chiamato
alienazione parentale
di Silvia Marchi

Parlare oggi di alienazione parentale sembra essere diventato
impossibile, se non scegliendo per forza una delle due vie
maestre contrapposte che vedono di qua la diagnosi medica che
etichetta il tutto come sindrome e ne fa quindi un gruppetto
variegato di sintomi associabili ad essa ma anche ad altro, e
di là la sentenza comune e inappellabile che dice che
l’alienazione parentale non esiste. Eppure una strada di mezzo
c’è e, contro ogni aspettativa, è la strada più semplice e
peraltro già abbondantemente battuta. Proviamo per un attimo a
staccarci dalla terminologia infelice e se vogliamo anche un
po’ strumentale con cui si denomina questo spauracchio
pedagogico e caliamolo nella vita di tutti i giorni, in esempi
di condotte abituali facilmente riscontrabili e purtroppo
frequentemente catalogate come situazioni di scarsa rilevanza
educativa.

Poniamo la seguente situazione: il bambino è a casa del papà.
La mamma lo chiama per salutarlo e per sapere come sta e nel
corso della telefonata gli chiede del tutto innocentemente “ti
manco?”. Dico del tutto innocentemente poiché la situazione è
più che verosimile e presumibilmente è capitato a molte mamme
o a molti papà di assistervi o di trovarvisi. La pedagogia
chiama questo tipo di conversazione comunicazione paradossale
poiché mette il bambino in una condizione di indecidibilità.
Ovvero: qualsiasi risposta lui dia alla domanda, sarà una
risposta sbagliata. È evidente che al bambino in quel momento
la mamma non manchi affatto, altrimenti le avrebbe telefonato
lui, dunque la sua risposta dovrebbe tranquillamente essere
“no”, eppure difficilmente dirà la verità poiché la natura
fuorviante della domanda porta con sé un sostrato emotivo a
lui estremamente chiaro, e cioè che se dirà alla mamma che non
gli manca, lei ci rimarrà male. Una comunicazione di questo
tipo ha principalmente due effetti, entrambi dannosi: il primo
è che obbliga nei fatti il bambino a mentire e lo costringe a
privilegiare il ragionamento funzionale a scapito del suo
percepito emozionale (ti dico quello che è meglio dire e non
ti dico quello che provo perché fare felice te è più
importante di quello che sento io), con un conseguente e
naturale senso di colpa dovuto al malessere di qualcosa che è
andato storto (ho detto una bugia e le bugie non si dicono,
eppure mi sembra che questa bugia abbia fatto felice la mamma)
e alla confusione generata dal non aver assolutamente chiaro
il perché. Il secondo effetto altrettanto dannoso è che una
comunicazione siffatta ribalta un assioma che per il bambino è
inviolabile: se io sono felice, la mamma è felice; viceversa
se io sono triste, la mamma è triste. Tutto crolla quando il
bambino risponde di sì a quel “ti manco?”, poiché lo stato
emotivo in cui sentiamo che qualcosa ci manca, è tutt’altro
che uno stato emotivamente positivo, eppure la mamma ne è
felice.

Poniamo   un’altra   situazione,    anch’essa   estremamente
verosimile: il papà va a prendere il figlio a casa della
mamma. La mamma esce imbronciata, non lo saluta, non lo guarda
se non in cagnesco, abbraccia il bambino e dice: “fai il bravo
e sii educato con papà”. Questo tipo di comunicazione è simile
alla precedente con la sola differenza che il paradosso si
innesca tra il dire e il fare. E’ necessario tenere presente
che per i bambini, il comportamento dei genitori è legge, non
a caso emulano fuori dalle mura domestiche ciò che vedono fare
a mamma e papà, sia nelle espressioni che nei modi di dire o
di comportarsi. Un’affermazione di questo tipo getta il
bambino in una condizione di disarmante insicurezza: se “sarà
educato” e “farà il bravo” (entrambe le scelte linguistiche
sono infelici, ma ahimè assai comuni, questo poiché entrambe
hanno una connotazione del tutto soggettiva e mai oggettiva),
di fatto sbaglierà poiché andrà contro quello che la mamma ha
appena fatto. Viceversa se si comporterà come si è comportata
la mamma, di fatto disobbedirà a quanto lei gli ha appena
richiesto a parole, trovandosi anche in questo caso nella
condizione di sbagliare.

Ecco che, una volta sviscerati questi presupposti, possiamo
provare ad addentrarci un po’ di più in un’ulteriore
situazione verosimile e purtroppo assai attuale: il papà sta
per arrivare e il bambino dice che non vuole andare da lui.
Sostenere a prescindere che questo tipo di richiesta rispecchi
il reale stato emotivo del bambino è un approccio non solo
superficiale, ma anche nei suoi confronti emotivamente
disconfermante. Il genitore competente è quello che
immediatamente si chiede se per caso non abbia
involontariamente      dato   un   messaggio    comunicativo
contraddittorio. Qualche esempio: “quando si tratta di
arrivare in orario, tuo padre proprio non ce la può fare”
oppure “nei giorni in cui deve stare con te va a lavorare.
Quello lavora sempre!”. Queste frasi all’apparenza magari non
amorevoli ma tutto sommato innocue hanno in realtà
un’immediata potenza distruttiva. Esse costruiscono su una
peculiarità non necessariamente negativa (pensiamo per esempio
a quante volte, da innamorati, abbiamo trovato divertente il
fatto che il partner fosse un ritardatario) o addirittura su
un aspetto totalmente indipendente dal proprio volere (per
quanto lavorare possa essere piacevole, sfido chiunque a dire
che preferisce quello all’idea di passare del tempo al parco
con il proprio figlio) una correlazione emotiva per cui il
bambino sente immediatamente di non essere importante
abbastanza da meritare un atteggiamento diverso. Ora, un
bambino che sa di non essere importante per un genitore, sarà
inevitabilmente terrorizzato all’idea di poter non esserlo più
neanche per l’altro e cercherà con le unghie e con i denti di
ancorarsi a ciò che gli sembra più saldo.

Questi sono tutti esempi di atteggiamenti pedagogicamente
distruttivi estremamente comuni e sottovalutati. Parlare di
alienazione parentale è fuorviante nella misura in cui rende
astratto e difficile da capire ciò che invece non è altro che
un insieme di atteggiamenti di tutti i giorni, una modalità
educativa fallimentare e potenzialmente squalificante per il
bambino ma talmente comune da non essere quasi più visibile.
Il bambino, messo di fronte all’ipotesi di fare del male a un
genitore, sceglierà sempre l’alternativa di squalificare se
stesso e ciò che prova, con il conseguente rifiuto delle
proprie emozioni e l’incapacità di costruire una propria
immagine identitaria chiara e indipendente.

Ed è fondamentale, in questo senso, un’ultima precisazione. È
vero che le situazioni di cui sopra sono plausibili anche a
ruoli invertiti, ma è necessario riconoscere che, per essere
introiettata, una modalità educativa così dannosa necessita di
essere reiterata e vissuta dal bambino per la maggior parte
del suo tempo. Dunque il potere disconfermante di un padre che
vede il figlio 6 giorni (o meno) al mese non potrà mai essere
lo stesso rispetto a quello di una madre che lo vede 24
giorni. Allo stesso modo, però, le possibilità di un padre
disconfermato di vedersi riabilitato agli occhi del proprio
bambino grazie alla quotidianità e al proprio agire
intenzionale si riducono praticamente a zero se consideriamo
la norma corrente che vuole questa suddivisione totalmente
sbilanciata dei tempi di frequentazione. Viene anche da questa
constatazione, insieme alle altre, la presa d’atto della
necessità che una riforma efficace nella materia delle
separazioni e degli affidi dei minori non solo contenga
dispositivi disincentivanti i comportamenti di alienazione
parentale, ma stabilisca come principio di base, equilibratore
e calmierante, la piena parità dei tempi di frequentazione di
madre e padre (e della rispettiva cerchia parentale) da parte
del fanciullo.
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